Categoria: Fatti

  • Amministrative Catanzaro: Donato è primo, si va al ballottaggio

    Amministrative Catanzaro: Donato è primo, si va al ballottaggio

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    Amministrative a Catanzaro: salvo sorprese, Catanzaro tornerà al voto per decidere chi sarà sindaco tra Valerio Donato, uscito dalle urne con una forbice oscillante tra il 40 e il 44%, e Nicola Fiorita, che invece oscilla tra il 31 e il 35%.
    I due candidati principali hanno staccato la coalizione di Antonello Talerico, che presenta una forbice tra il 13 e il 17% e il monocolore di Wanda Ferro, che non supera il 9%.

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    Valerio Donato, candidato sindaco a Catanzaro

    Amministrative Catanzaro, Donato: parleremo anche con Fdi

    «Aspettiamo i risultati finali e ragioniamo su dati veri. Se saranno questi, certamente faremo un’ulteriore battaglia con l’intera area che in qualche misura rappresento di tre liste di centrosinistra, due di centro e cinque di centrodestra». Lo ha dichiarato a caldo Donato alle telecamere di Porta a Porta.
    In particolare, alla domanda se al ballottaggio andrà anche con Fdi, Donato ha risposto: «Io mi rivolgerò, come ho fatto in primo turno, all’elettorato di qualunque schieramento politico per sostenere questa proposta che come obiettivo principale ha la città e il governo della città. I punti centrali sono stati tanti ma soprattutto il lavoro, le politiche sociali, l’attenzione alle fasce di persone fragili, unitamente a servizi essenziali e poi prospettive di sviluppo come il Pnrr ci concede».

    Amministrative e referendum: affluenza in calo, flop sulla giustizia

    Il primo turno delle Amministrative di Catanzaro si è svolto in un clima di disaffezione elettorale registrato dalle statistiche.
    Infatti, l’affluenza alle Comunali di ieri in Italia è stata del 54,72%, secondo i dati definitivi relativi agli 818 comuni gestiti dal Viminale.
    Alle precedenti elezioni omologhe era stata del 60,12%.
    Discorso peggiore per il referendum sulla giustizia, rimasto al 20%. Segno che le Amministrative non sono riuscite a trascinare gli elettori al voto anche per i quesiti.

    I primi nove sindaci della Calabria

    Intanto sono nove i sindaci eletti al primo turno in Calabria. I primi tre sono del Reggino.
    A Motta San Giovanni, conferma per l’uscente Giovanni Verduci. Stesso discorso a Placanica, dov’è stato confermato Antonio Condemi. Si cambia, invece, a San Procopio, dove diventa primo cittadino Francesco Posterino.
    Altra conferma nel Vibonese: a Fabrizia resta sindaco Francesco Fazio.
    Un uscente e una new entry nel Catanzarese. Conferma a Isca sullo Jonio per Vincenzo Mirarchi. A Settingiano, invece, diventa sindaco Antonello Formica.
    Nel Cosentino sono tre i sindaci.
    A Cellara diventa primo cittadino Vincenzo Conte. Due conferme a Panettieri e a San Vincenzo La Costa, rispettivamente per gli uscenti Salvatore Parrotta e Gregorio Iannotta.

  • Ospedale a Vaglio Lise: il fantasma prende corpo?

    Ospedale a Vaglio Lise: il fantasma prende corpo?

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    Ormai è una non notizia: il nuovo Ospedale di Cosenza si dovrebbe fare a Vaglio Lise.
    A otto mesi dal suo insediamento, la giunta a guida Franz Caruso ha provato a mettere un punto fermo al dibattito sul nuovo Hub.
    È solo un mezzo passo, intendiamoci, perché l’ultima parola spetta al Consiglio comunale.
    Tuttavia resta un segnale forte, sebbene l’idea non sia proprio originalissima.
    La scelta di Caruso, infatti, riesuma la vecchia proposta di Mario Oliverio.
    Ma meglio una riesumazione che niente.

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    Quel che resta dalla stazione di Vaglio Lise a Cosenza

    La rivincita di Cosenza?

    L’ipotesi di Vaglio Lise è un compromesso tra le esigenze della città e quelle della provincia, comunque costretta a far capo all’Annunziata.
    Ma soprattutto è una risposta forte all’ipotesi opposta, coltivata a Rende in piena era Principe e rilanciata di recente dall’attuale sindaco Marcello Manna.
    Secondo questo progetto, il nuovo ospedale di Cosenza sarebbe dovuto sorgere nei pressi dell’Unical, magari per stimolare la realizzazione della tanto vagheggiata Facoltà di Medicina.
    E c’è da dire che questo progetto aveva ripreso quota con la recente istituzione, ad Arcavacata, di un Corso di laurea di Medicina e tecnologia digitale.
    Realizzare l’hub nei pressi di una delle Stazioni ferroviarie più inutili d’Italia è quindi un punto segnato nella trentennale contesa con Rende per la leadership della futura (e ipotetica) città unica. Un puntello più a Sud, che dovrebbe limitare le pretese di centralità d’oltre Campagnano.

    Uno schiaffo a Mario Occhiuto

    Un Mario (Oliverio) resuscita un po’, un altro Mario (Occhiuto) affonda un altro po’.
    La scelta di Vaglio Lise implica il rigetto più totale dell’ipotesi formulata dall’ex sindaco: tirare su l’Ospedale nuovo sulle macerie del vecchio.

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    La giunta Caruso delibera in merito alla sede del nuovo Ospedale

    Qualcosa a metà tra il restyling l’opera nuova, che avrebbe dovuto coinvolgere in maniera più organica anche il Mariano Santo di Mendicino.
    A dirla tutta, un progetto ultracampanilista, basato soprattutto su esigenze urbanistiche: puntellare a oltranza la parte sud di Cosenza che, priva dell’Annunziata, rischia la desertificazione.

    Nuovo ospedale di Cosenza: anni di chiacchiere

    Fin qui, in pillole, la lunga storia della contesa sul nuovo Hub, che dovrebbe prendere il posto dell’attuale struttura, realizzata negli anni ’30 e prossima al secolo.
    Da quando fu elaborata la proposta di Vaglio Lise, sono passati due sindaci e un commissario a Cosenza, altrettanti più un commissario a Rende, due presidenti di Regione più un facente funzioni.
    Il problema non è il luogo, del quale a dispetto della decisione presa si continuerà a discutere. Ma il tempo.
    Meglio tardi che mai, si potrebbe dire se ci si ostinasse a vedere il bicchiere mezzo pieno. Peccato che per tanti aspetti sia tardi un bel po’.

    Medici scettici

    Per i medici ha parlato non senza un po’ di ironia maligna, il presidente dell’Ordine Eugenio Corcioni.
    Il quale ha lanciato qualche tempo fa un affondo che parte da un paragone ingeneroso tra Cosenza e Avellino, quando non era ancora orfana di Ciriaco De Mita.

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    Il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni (foto Alfonso Bombini)

    Due ex capitali politiche, sosteneva il presidente dei Medici, di cui una, quella campana, ha realizzato quattro strutture sanitarie, l’altra, Cosenza, trentacinque ologrammi.
    Il tempo ci dirà se la delibera della giunta Caruso, tra l’altro il primo atto forte dell’attuale amministrazione, è il primo passo verso la solidificazione dell’ologramma.
    Tanto più che i soldi per il gigantesco maquillage urbanistico-sanitario ci sono.
    Ma, anche in caso di realizzazione, il problema sarebbe risolto a metà, come aveva rilevato lo stesso Corcioni: mancano i medici.
    Fatto l’ospedale toccherà fare anche i camici. Ma questa è davvero un’altra storia.

  • Operazione della Gdf reggina: sequestrati 300 kg di cocaina a Salonicco

    Operazione della Gdf reggina: sequestrati 300 kg di cocaina a Salonicco

    I finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Dda diretta da Giovanni Bombardieri, in collaborazione con le autorità greche, hanno sequestrato a Salonicco circa 300 kg di cocaina, suddivisa in 260 panetti. Sono stati, inoltre, arrestati 4 componenti un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti internazionale, di nazionalità inglese, di 38, 48, 45 e 52 anni.

    Operazione internazionale antidroga 

    Lo smantellamento del circuito è il risultato della cooperazione internazionale svolta, anche tramite il II Reparto del Comando generale della Guardia di Finanza e della Direzione centrale per i servizi antidroga, con gli agenti della Drug Enforcement Administration di Roma e Atene, della Polizia del Dipartimento degli Affari Generali della Sottodirezione delle Operazioni Speciali-Divisione Narcotici di Salonicco, dell’Ufficio Divisione Narcotici di Atene, del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia all’Ambasciata d’Italia ad Atene, dell’Ufficio Doganale di Salonicco e la Sottodirezione per le operazioni speciali di Salonicco/T.M.K.E.

    La coca avrebbe fruttato 10 milioni di euro

    Il sequestro è giunto a conclusione di indagini e analisi e riscontri effettuati su oltre 2mila contenitori provenienti dal continente sudamericano svolte dai militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro e alle investigazioni svolte parallelamente dalla polizia ellenica. La droga è stata trovata e sequestrata in una lussuosa villa nel Comune di Thermi (Salonicco). Oltre allo stupefacente sono state sequestrate una pistola con 9 cartucce, una scatola contenente 41 cartucce, 2 radio portatili, 2 interferometri di segnale, 2 dispositivi di posizionamento elettronici, 1mila euro derivanti dal traffico di droga, guanti da lavoro, nastri isolanti, tagliacarte in metallo e 11 telefoni cellulari utilizzati per le attività illecite. La cocaina sequestrata, secondo una stima, avrebbe potuto fruttare alla criminalità un introito di circa 10 milioni di euro.

  • Cirò Marina, il padel dei Farao finisce in Parlamento

    Cirò Marina, il padel dei Farao finisce in Parlamento

    Numerose testate giornalistiche hanno ripreso la notizia data da I Calabresi sulla licenza per il campo da padel che il Comune di Cirò Marina ha concesso alla società “Signor Padel srls” di Giuseppe Farao, condannato in primo grado per associazione mafiosa e figlio del boss dell’omonimo clan al centro del processo “Stige”. Ma ha avuto strascichi ulteriori, che rischiano di “inguaiare” l’amministrazione guidata dal presidente della Provincia di Crotone Sergio Ferrari.
    Già, perché  Francesco Sapia, deputato di Alternativa, ha proposto una formale interrogazione parlamentare sul caso alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese in cui invoca la commissione di accesso antimafia. Ma procediamo per gradi.

    Cirò Marina e il padel di Farao: la riunione di mezzanotte

    Nella tarda serata dello scorso primo giugno, subito dopo la pubblicazione dell’inchiesta de I Calabresi, sulla pagina Facebook “Sergio Ferrari – Sindaco” è comparso un post con l’hashtag #INDIRETTADALCOMUNE. Il primo cittadino specificava, anche a nome di tutta l’amministrazione, di aver «immediatamente convocato gli uffici». Così come di avere «richiesto delucidazioni in merito alla procedura ed all’istruttoria propedeutica al rilascio del permesso». Chiariva poi che «nell’immediatezza, nella sollecitata attività di riesame, l’Ufficio Tecnico ha ritenuto avviare procedimento di revoca in autotutela del già citato permesso, sospendendo nelle more ogni effetto». Affermava, infine, di voler «adottare ogni provvedimento necessario, nei confronti dell’Ufficio Area Urbanistica e del Responsabile, in assoluta aderenza alle linee di indirizzo, che sono valse sin dall’insediamento di questa Amministrazione».

    Il sindaco Sergio Ferrari è anche presidente della Provincia di Crotone

    Insomma, il sindaco ha prontamente annunciato con un post di mezzanotte la revoca della licenza edilizia concessa a Farao il giorno stesso. In effetti, come si legge nel permesso di costruire, il numero 18 del 1 giugno 2022, è in quella medesima data che è stata fatta l’ultima verifica (quella di regolarità tributaria) prima della concessione della licenza a firma del responsabile dello sportello unico per l’edilizia, Raffaele Cavallaro.

    La reazione dopo lo stop

    L’uscita di Ferrari ha indotto in escandescenza Giuseppe Farao, che ha replicato pubblicamente nell’immediatezza al post del Sindaco (dal profilo Facebook del fratello Vincenzo, ma a sua firma). Farao ha annunciato: «Denunceremo il tutto, compresi tutti i veri ‘abusi’ che ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti. Lei signor sindaco non può parlare pubblicamente di revoca (da guardare la normativa) solo per dimostrare qualcosa… Bisogna indagare se il tutto è fatto nella massima legalità prima di infamare, anche lei, perché in un qualche modo l’ha appena fatto. La legalità non è solo una semplice parola».

    Poi ha aggiunto in un secondo post: «Ci tengo a precisare che la licenza edilizia richiesta e concessami in data 1/6/22 è stata controllata e rivoltata come un calzino prima che mi venisse consegnata con tutta la documentazione prevista dalla legge a differenza di altre. Per quanto riguarda le misure adottate dal sindaco revocandomi la stessa, posso solo limitarmi a dire che se è giusto o meno si vedrà nelle sedi competenti in quanto tutto è stato nell’immediatezza denunciato alle autorità».

    Entrambi i post hanno ricevuto numerosi like da parte di concittadini di Farao e commenti solidali. Contattato direttamente da I Calabresi tramite il profilo Facebook da lui utilizzato per comunicare, ossia quello del fratello Vincenzo Farao, alla domanda se volesse chiarire meglio la sua posizione rispetto a quanto scritto al sindaco e rispetto a quanto scritto nella nostra inchiesta, Giuseppe Farao ha espressamente declinato l’invito.

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    Il permesso rilasciato dal Comune di Cirò marina alla Signor Padel Srls di Giuseppe Farao

    Il Comune di Cirò Marina revoca la licenza per il padel di Farao

    In effetti, il sindaco è stato (in parte) consequenziale. Con un provvedimento dell’Ufficio Area Urbanistica del Comune di Cirò Marina del 3 giugno scorso, firmato dall’architetto Raffaele Cavallaro, che questa volta si firma come “responsabile Area Tecnica”, lo stesso si autonominava responsabile del procedimento. Quindi inviava la comunicazione di avvio dell’iter di revoca del permesso di costruire alla Signor Padel Srls di Giuseppe Farao (concessa solo due giorni prima). Con che motivazione? Secondo «l’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del PRG, per la zona B non prevede la destinazione d’uso indicata nel progetto presentato di cui al permesso di costruire».

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    Gli impianti della “Signor Padel Srls” (foto dal sito aziendale)

    E questo è vero perché il terreno a Cirò Marina sul quale dovevano sorgere i campi da padel – di proprietà di Antonietta Garrubba, moglie di Giuseppe Farao e socia unica della Signor Padel Srls – risulta qualificato al catasto come “Uliveto”. Difficilmente una tale qualificazione urbanistica avrebbe potuto portare alla costruzione di una attività commerciale. Nonostante questo, il loro sito PadelCiromarina.it è stato aggiornato ed il progetto viene indicato come “in esecuzione”.

    Da aggiungere un particolare non di secondo rilievo. L’Ansa il 3 giugno riporta un virgolettato attribuito al Comune di Cirò Marina. Stando all’agenzia, «per mero errore materiale non è stato chiesto il Bdna (il certificato antimafia, ndr) così come previsto dalla normativa vigente». Invece, in un articolo de Il Quotidiano Del Sud del giorno successivo, si legge quest’altro virgolettato: «Il certificato antimafia? Lo avevamo dimenticato».

    In attesa che si calmino le acque

    Col decreto numero 14 del 3 giugno 2022 il sindaco Sergio Ferrari ha revocato un suo precedente decreto, il numero 9 che lo scorso 19 aprile aveva attribuito all’architetto Raffaele Cavallaro (firmatario del permesso di costruire a Farao) la titolarità della posizione organizzativa dell’Area Urbanistica. E lo revocava, si legge nel decreto pubblicato sull’Albo pretorio, per «accertate situazioni non in linea con gli obiettivi desumibili dal programma amministrativo del Sindaco e ravvisate particolari inadempienze amministrative».

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    Raffaele Cavallaro

    Il sindaco, però, non revocava il decreto numero 7, emanato sempre il 19 aprile, che conferiva all’architetto Raffaele Cavallaro l’incarico triennale di “Istruttore Direttivo Tecnico – cat. D, Pos. Econ. D1” ai sensi dell’articolo 110, comma 1 del Tuel. Un incarico, quindi, fiduciario, espressamente revocabile “per risultati inadeguati”.
    Pertanto, il funzionario comunale che – quale responsabile dello sportello unico dell’edilizia, dell’area tecnica e dell’area urbanistica – avrebbe dimenticato di chiedere il certificato antimafia ad un condannato per mafia del medesimo paese, è stato, di fatto, confermato nell’incarico che necessita della fiducia di Ferrari.

    Lo stesso Cavallaro, inoltre, benché privato della posizione organizzativa (e, quindi, del potere di firma quale responsabile), è rimasto nel medesimo ufficio ad occuparsi delle medesime incombenze. E rumors interni riportano come lui dichiari di aver ricevuto solo una mera sospensione temporanea «in attesa che si calmino le acque».

    Sapia porta il caso in Parlamento: l’interrogazione alla ministra Lamorgese

    Invece, la questione continua a tener banco, non reggendo la scusa della “carenza di organico”, essendo recentemente rientrata dalla maternità l’impiegata del settore Lavori pubblici Bina Fusaro.
    Da precisare, inoltre, che il precedente responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Cirò Marina, l’ingegnere Giuseppe Rocco Crispino di Monterosso Calabro, ha rassegnato le proprie dimissioni volontarie lo scorso aprile, due settimane prima della richiesta concessoria avanzata da Giuseppe Farao.
    «Nessun motivo particolare e nessuna pressione» ha dichiarato a I Calabresi l’ingegner Crispino, ora assunto a Sant’Eufemia D’Aspromonte.

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    Francesco Sapia (Alternativa)

    A volerci veder chiaro, però, è il deputato di Alternativa, Francesco Sapia, che con una interrogazione scritta alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese si chiede come sia stato possibile che l’Ufficio tecnico di Cirò Marina abbia “dimenticato” di chiedere il certificato antimafia ad un condannato per associazione mafiosa, congiunto del boss a capo di uno dei clan calabresi tra i più efferati secondo l’ultima relazione della Dia. Lo stesso Sapia chiede lumi sulla permanenza nell’ente comunale dell’architetto Raffaele Cavallaro. E chiede di sapere, altresì, se il Ministero e la Prefettura intendano promuovere l’accesso antimafia previsto dal Testo Unico sugli Enti Locali. Insomma, un nuovo macigno su un Comune già sciolto nel 2018 per infiltrazioni mafiose in cui si deve rilevare il totale silenzio dell’opposizione cittadina e dei rappresentanti regionali e nazionali del territorio. Attendiamo nuovi riscontri.

     

    **********

    La versione iniziale dell’articolo riportava tra i cofirmatari della concessione, oltre a Raffaele Cavallaro, la dipendente comunale Marina Ceraudo.
    Quest’ultima, però, ha siglato il provvedimento nella sola qualità di responsabile della pubblicazione degli atti, senza rivestire ulteriori ruoli durante l’iter amministrativo.
    Ci scusiamo con la diretta interessata e i lettori per le eventuali incomprensioni che il dettaglio potrebbe aver ingenerato.

  • Giustizia: tutti i referendum, quesito per quesito

    Giustizia: tutti i referendum, quesito per quesito

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    Per i radicali, in prima fila da sempre, i referendum sulla giustizia non sono proprio una novità.
    Tuttavia, ora c’è un elemento politico inedito: la convergenza della Lega, che ha sostenuto la raccolta delle firme per i quesiti,
    Ancora: rispetto agli anni ’80 l’opinione pubblica è mutata profondamente.
    Non c’è più l’effetto choc della vicenda di Enzo Tortora.

    Enzo Tortora, l’uomo simbolo dei referendum sulla giustizia

    In compenso, le recenti controversie sull’Ordine giudiziario hanno avuto una fortissima esposizione mediatica. Testimoniata, tra l’altro, dal successo dei libri dell’ex capo dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara e da Alessandro Sallusti, direttore di Libero.
    I cittadini dovranno votare i cinque quesiti sulla giustizia approvati dalla Corte Costituzionale lo scorso 22 febbraio.
    Cosa accadrà se vinceranno i sì?

    Referendum Giustizia vs riforma Cartabia

    Prima di procedere, occorre chiarire un passaggio: in caso di vittoria dei sì, il sistema della giustizia subirà comunque delle modifiche incisive.
    Tuttavia, il Parlamento e il governo sono già all’opera su un progetto di riforma complessiva della giustizia (la riforma Cartabia).
    Come si rapporta questo progetto coi quesiti referendari?

    La ministra della Giustizia Marta Cartabia, impegnata nella riforma della Giustizia

    In alcuni casi, la riforma ignora i problemi posti dai quesiti. In altri, li affronta ma con minore durezza e solo in uno replica la richiesta dei referendari.
    Vediamo come.

    Primo quesito: incandidabilità (scheda rossa)

    La scheda rossa affronta in maniera diretta i rapporti tra magistratura, politica e pubbliche amministrazioni.
    Il quesito mira all’abolizione delle norme che vietano di candidarsi o, se eletti, di restare in carica (o comunque continuare a ricoprire incarichi pubblici) ai condannati in via definitiva per gravi reati dolosi.
    Inoltre, si propone di abolire la sospensione dagli incarichi pubblici prevista nei confronti dei condannati in primo grado per i medesimi reati.
    Che succede se vince il sì?
    In questo caso, decadenza, incandidabilità e sospensione non avverrebbero più “in automatico”, ma sarebbero decise dal giudice caso per caso.

    Scheda del primo quesito referendario: l’incandidabilità

    I sostenitori del sì citano soprattutto i casi (a dire il vero non pochi) di amministratori locali condannati, quindi sospesi, in primo grado e poi prosciolti nei livelli successivi.
    I sostenitori del no, al contrario ventilano il pericolo che i condannati per gravi reati, soprattutto di mafia, continuino a fare politica.
    Il problema reale, forse, è dato dal “caso per caso”. Ovvero, dalla discrezionalità lasciata nelle mani del giudice.
    Comunque, in caso di vittoria del sì non resterebbe il vuoto perché il codice penale, prevede per vari reati l’interdizione dai pubblici uffici.
    Sull’argomento la riforma Cartabia non prevede niente.

    Secondo quesito: limiti alle misure cautelari (scheda arancione)

    La proposta incide sui rapporti tra magistratura e cittadini indagati.
    A questi le misure cautelari si applicano in tre casi, disciplinati dal Codice di procedura penale: pericolo di fuga, alterazione delle prove e ripetizione del reato.
    Se vince il sì, sarà eliminata l’ipotesi di ripetizione del reato.
    I referendari mirano, con il quesito, a eliminare gli abusi nell’applicazione delle misure cautelari, soprattutto della carcerazione preventiva.
    I sostenitori del no, invece, citano alcuni reati costituiti da comportamenti ripetuti: stalking ed estorsione, per esempio, o alcune forme di truffa.

     

    Scheda del secondo quesito: le misure cautelari

    Il tentativo di riforma, comunque, si legittima su un dato numerico forte: negli ultimi trent’anni circa trentamila cittadini sono stati sottoposti ingiustamente a misure cautelari. E tutt’oggi un terzo dei detenuti è tale perché in attesa di giudizio.
    Anche su quest’argomento la riforma Cartabia tace.

    Terzo quesito: separazione delle carriere (scheda gialla)

    La separazione delle carriere è un altro cavallo di battaglia dei radicali.
    Se vince il sì, i magistrati non potranno più passare dai ruoli inquirenti a quelli giudicanti. Dovranno scegliere all’inizio della carriera se fare i pm o i giudici.
    I sostenitori del quesito sostengono che la carriera bloccata in un ruolo sia una garanzia di imparzialità.
    I sostenitori del no temono, invece, che i pm finiscano sotto il controllo diretto del Ministero della Giustizia.
    Attualmente, un magistrato può cambiare ruolo fino a quattro volte nella propria carriera.
    La riforma Cartabia va nella stessa direzione del quesito ma è leggermente più morbida, perché consente un solo passaggio.

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    Scheda del terzo quesito: separazione delle carriere

    Quarto quesito: chi valuta i magistrati? (scheda grigia)

    La legge, attualmente, prevede che i magistrati siano valutati ogni quattro anni da consigli giudiziari costituiti presso tutte le corti di appello.
    I pareri dei consigli devono essere motivati ma non sono vincolanti.
    I consigli, inoltre, sono costituiti da tre categorie di giuristi: magistrati, avvocati e docenti universitari. Al momento, solo i magistrati possono valutare i loro colleghi.
    Se vince il sì, anche avvocati e accademici potranno valutare i magistrati.
    I difensori del sì considerano il quesito una misura anticasta.

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    Scheda del quarto quesito: valutazione dei magistrati

    I sostenitori del no, al contrario, temono che i membri laici, soprattutto gli avvocati, facciano pesare nelle valutazioni i propri pregiudizi professionali. O, peggio ancora, che i magistrati possano essere influenzati nel loro operato dal fatto di essere valutati da avvocati.
    Anche in questo caso, la riforma Cartabia va nella stessa direzione, ma un po’ meno: estende la valutazione ai soli avvocati.

    Quinto quesito: elezioni del Csm (scheda verde)

    Con questa proposta, i referendari vorrebbero limitare il potere delle correnti.
    La legge, al momento, prevede che i magistrati che vogliono candidarsi al Consiglio superiore della magistratura devono raccogliere almeno venticinque firme dei loro colleghi.
    Se vince il sì, quest’obbligo viene meno.

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    Scheda del quinto quesito: candidature al Csm

    I sostenitori del quesito sono convinti, in tal modo, di eliminare gli accordi politici e i negoziati che accompagnano, di solito, le candidature al Csm.
    I sostenitori del no reputano che il quinto quesito non cambi di molto la situazione o non considerano le correnti quel gran male.
    La riforma Cartabia prevede la stessa cosa.

  • Civismo addio: ora Voce se la fa con gli azzurri

    Civismo addio: ora Voce se la fa con gli azzurri

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    Dio è morto, Marx è morto e anche il civismo non si sente molto bene. Il riadattamento della celebre battuta aiuta a comprendere il declino del civismo calabrese.
    Il civismo è riesumato ad ogni campagna elettorale, comunale e regionale, come un “valore aggiunto”. Ma, alla prova dei fatti, quasi inesistente dato che nei momenti di bisogno (o di difficoltà) è proprio ai partiti che ci si appiglia.
    È il caso di Crotone, dove Vincenzo Voce, unico sindaco espressione del movimento Tesoro Calabria di Carlo Tansi, ha visto sgretolarsi tra le mani la maggioranza civica che lo ha portato alla vittoria poco più di un anno e mezzo fa. E che gli garantiva 21 voti sui 11 della minoranza.

    Vincenzo Voci in Consiglio comunale

    Crotone: collassa la maggioranza di Voce

    Nel settembre 2020 furono quattro le liste a sostegno di Voce: Tesoro Calabria, Crotone Cambia, Città Libera e Stanchi dei soliti. L’aspirante sindaco incassò anche il sostegno di Elisabetta Barbuto, la parlamentare più ricca della Calabria in quota M5S, e della collega senatrice Margherita Corrado. La cosa provocò una spaccatura tra i grillini, che si presentavano ufficialmente come rivali dei tansiani.
    Anche la coalizione civica scricchiolò da subito.

    La senatrice grillina Elisabetta Barbuto

    I tansiani si dividono: Tesoro Crotone resta con Voce

    Tesoro Calabria si scisse immediatamente formando un secondo gruppo: Tesoro Crotone. Al suo interno la consigliera Paola Liguori, a capitanarlo invece Dalila Venneri.

    Venneri si candidò alle scorse Regionali con Luigi De Magistris, facendo nascere in consiglio regionale a febbraio il monogruppo De Magistris Presidente, con tanto di benedizione dello stesso ex pm e del consigliere regionale Antonio Lo Schiavo. Entrambi i gruppi sono rimasti in maggioranza.

    La ex tansiana (poi demagistristiana) Dalila Venneri

    Spuntano i renziani

    La consigliera comunale Giada Vrenna, eletta con Crotone Cambia, invece, ha costituito il monogruppo di Italia Viva. «Manifesto il mio entusiasmo nell’aderire e costituire il gruppo di Italia viva in seno al Consiglio comunale della mia città. Ho visto nel partito di Matteo Renzi lo strumento migliore per mettere la persona al centro dell’azione politica»: così dichiarò Vrenna pochi mesi dopo le elezioni. Ma restò in maggioranza, tra lo sconcerto di colleghi reduci da una campagna elettorale giocata contro i partiti.

    Giada Vrenna, dal civismo alla corte di Renzi

    Ex tansiani all’opposizione

    Poi ci sono quattro eletti con Tesoro Calabria: Anna Maria Cantafora, Salvo Riga, Vincenzo Familiari e Nicola Corigliano. Questi hanno costituito il gruppo Un’altra Crotone due mesi fa. Nell’occasione hanno dichiarato: «Non è andata come pensavamo, non abbiamo saputo spenderci per la nostra città perché Tesoro Calabria è solo il gruppo autoreferenziale di Carlo Tansi».
    Non finisce qui: gli ex tansiani si son recentemente collocati all’opposizione assieme a Fabrizio Meo e Carmen Giancotti (che lo hanno fatto fin dalle prime sedute dell’assise pitagorica pur non cambiando gruppo). Il tutto con stoccate a mezzo stampa nei confronti del sindaco. L’ultima è quella di Cantafora. La quale, ha chiesto l’azzeramento della Giunta (dopo il mini rimpasto dello scorso febbraio col siluramento dell’ingegnere Ilario Sorgiovanni, vicino alla Barbuto) e ha provocato la risposta stizzita di Enzo Voce.

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    Anna Maria Cantafora, ex tansiana e ora oppositrice

    Voce s’arrabbia

    Voce ha replicato così: «Il sindaco, gentile consigliera Cantafora non accetta ultimatum, anzi penultimatum. Perchè di questo si tratta: un penultimatum per sondare il terreno, a discapito dell’interesse dei cittadini ma supportato solo da interessi di natura personali. Un penultimatum che non ha nessuna base politica. Il conto alla rovescia non è iniziato, gentile consigliera Cantafora. È già finito»

    Niente soccorso rosso…

    In vista delle Provinciali, Voce si era avvicinato al Partito democratico. Tant’è che si candidò alla presidenza della Provincia con la lista Per il Territorio, costituita tutta da dem (l’unico eletto di quella lista, il cirotano Giuseppe Dell’Aquila, ha infatti costituito il gruppo Pd nella provincia di Crotone). Peccato che proprio alcuni sindaci e amministratori di riferimento del Pd in quell’occasione votarono a destra, tentando il delitto (politico) perfetto nei confronti di Voce.
    Il sindaco, invece, è apparso rafforzato nel post-provinciali lo scorso dicembre. Ma ora, dopo la frattura definitiva con i quattro di Tesoro Calabria, Carlo Tansi, ha dichiarato sui social: «Se qualche traditore farà cadere il sindaco Enzo Voce, avrà la responsabilità di aver riconsegnato Crotone alla ’ndrangheta prima dell’arrivo della valanga di soldi PNRR».

    … Ma arriva quello azzurro

    Ora, però, è emerso sulla scena pitagorica l’ingresso in maggioranza di Forza Italia, con il placet del deputato Sergio Torromino e della consigliera regionale Valeria Fedele.

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    Sergio Torromino, il manovratore azzurro

    Stando a rumors insistenti e alla luce delle riunioni dirette da Mario Megna coordinatore cittadino di Forza Italia (e portaborse della Fedele), un gruppetto di consiglieri sarebbe pronto a fare da “stampella” a Voce. Va da sé, in maniera “organica”, cioè in cambio di poltrone.
    Megna ha trascorsi movimentati: ex vicesindaco del Pd ed ex consigliere cicontiano espressione di Svolta democratica (ancora prima dell’Idv e del Pdm), è oggi presidente della Commissione trasparenza del Comune.

    Totopoltrone e gettoni per Forza Italia

    Megna bramerebbe la poltrona di presidente del Consiglio. Mentre Fabiola Marrelli e Carmen Giancotti, si contenderebbero l’assessorato alle Politiche sociali al posto della traballante Filly Pollinzi.
    Se si tiene conto che l’indennità del presidente del Consiglio è passata da gennaio a 5.120 euro lordi, mentre quella di assessore a 4.096 euro lordi, si capisce che queste postazioni sono ambite.

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    Mario Megna

    Li seguirebbero anche Antonio Manica, fedelissimo di Torromino, e Andrea Tesoriere, vicino a Roberto Occhiuto (il padre, Ottavio Tesoriere, è stato candidato alle ultime regionali con Forza Azzurri), già protagonista di un documento di sfiducia a Voce naufragato mesi fa.

    Poche idee, ma confuse

    Piccolo particolare: Fabiola Marrelli aveva diramato giusto sei mesi fa una nota stampa in cui si indignava per gli «avvicinamenti per entrare in maggioranza». Più di recente, invece, la consigliera ha dichiarato in una intervista al Quotidiano Del Sud: «Oggi il Comune un commissariamento non se lo può permettere». Ma una settimana prima aveva firmato una nota in cui diceva: «Noi come forze di opposizione moderate, popolari e liberali non possiamo che essere consequenziali. La città merita un nuovo inizio». Insomma, molta confusione.

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    Fabiola Marrelli

    Tansi e De Magistris masticano amaro

    Luigi De Magistris e Carlo Tansi, che hanno i propri rappresentanti nel Consiglio di Crotone, faticano a “digerire” questa degenerazione del civismo.
    Tansi, interpellato da I Calabresi, alla richiesta di una dichiarazione sull’allargamento della maggioranza civica di Crotone a Forza Italia ha risposto: «Preferisco di no. La situazione è molto delicata». Più netto, il consigliere regionale di De Magistris Presidente ha risposto: «Meglio di no». Nessuna risposta da Luigi de Magistris. Il deputato forzista Sergio Torromino è pronto ad intestarsi politicamente il cambio di colore dell’amministrazione Voce. Con la più classica delle scuse: il «bene della città».

  • Processo Gotha: «Giorgio De Stefano non è un “invisibile” della ‘ndrangheta»

    Processo Gotha: «Giorgio De Stefano non è un “invisibile” della ‘ndrangheta»

    Sono perentorie le motivazioni scritte e depositate dalla Corte di Cassazione sul maxiprocesso “Gotha”. Un procedimento scaturito da un’inchiesta con cui la Dda di Reggio Calabria ha indagato e portato a processo la presunta componente occulta della ‘ndrangheta. Si tratta del troncone del procedimento celebrato con rito abbreviato e già approdato all’ultimo grado di giudizio. Il principale imputato era l’avvocato Giorgio De Stefano, considerato un’eminenza grigia della ‘ndrangheta, anello di congiunzione tra la componente militare e i livelli occulti della massoneria deviata.

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    La sede della Corte di Cassazione a Roma

    La posizione di Giorgio De Stefano

    E riguarda proprio la posizione dell’avvocato De Stefano il giudizio maggiormente critico degli Ermellini. Mentre si è ancora in attesa delle motivazioni di primo grado del troncone principale, celebrato con rito ordinario, l’avvocato De Stefano ha scelto di essere giudicato con l’abbreviato. La Cassazione fa sostanzialmente in coriandoli la sua condanna rimediata in appello a 15 anni e 4 mesi di carcere. 

    La Suprema Corte, con la sentenza del 10 marzo scorso, ha annullato senza rinvio in relazione a tutti i fatti avvenuti fino al 2005, ritenuti già “coperti” da precedenti pronunce giudiziarie. De Stefano, infatti, con un passato politico in riva allo Stretto, è stato già condannato definitivamente negli anni ’90 per concorso esterno in associazione mafiosa. E poi coinvolto nel cosiddetto “Caso Reggio” che, però, a Catanzaro non ebbe alcun esito.

    Per quanto concerne invece i fatti successivi al 2005, la Cassazione ha annullato la condanna nei confronti di De Stefano con il rinvio del caso alla Corte d’Appello per un nuovo processo.

    «Illogico»

    La Cassazione si sofferma sulla posizione sovraordinata di De Stefano in seno alla ‘ndrangheta, ipotizzata dagli inquirenti. Ed è qui che usa le parole più dure. Nel prospetto accusatorio, infatti, De Stefano sarebbe uno degli “invisibili”, quei soggetti, cioè, superiori all’ala militare della ‘ndrangheta. E quindi capaci di relazionarsi con la massoneria deviata, ma anche con i servizi segreti. Un alter ego di un altro avvocato ed ex politico, l’ex parlamentare Paolo Romeo, condannato in primo grado nel procedimento celebrato con rito ordinario.  

    Ma i giudici non ritengono provata tale circostanza, tutt’altro. «Se la struttura invisibile – si legge nella sentenza – deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndrangheta è sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità peraltro, di capo della cosca De Stefano».

    Visibili e invisibili

    L’ipotesi accusatoria della Dda reggina considera la ‘ndrangheta in due distinte componenti.  Una “visibile”, operante cioè attraverso metodi “classici” della criminalità organizzata mafiosa e uomini perfettamente “riconoscibili”.  Ed una “invisibile” o “riservata”, collocata al vertice dell’associazione con compiti di direzione e di individuazione delle scelte strategiche dell’associazione unitariamente intesa. Deputata a mantenere i rapporti con apparati istituzionali, imprenditoria e professionisti. Anche attraverso la partecipazione ad organizzazioni caratterizzate da segretezza del vincolo, come la massoneria. Tutto per conseguire l’infiltrazione in apparati istituzionali, con il fine ultimo di mantenere in vita l’associazione.

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    L’avvocato Paolo Romeo

    E i capi della componente “invisibile” sarebbero stati proprio Giorgio De Stefano e Paolo Romeo. Proprio con riferimento a una conversazione intercorsa tra De Stefano e Romeo, in cui i due parlavano delle elezioni regionali del 2010, la Cassazione mette nero su bianco: «Non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale» e «il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica». In diversi passaggi, i giudici della Cassazione definiscono «congetture» alcune delle conclusioni cui sarebbero giunti gli inquirenti prima e i giudici della Corte d’Appello poi.

    La vicenda dell’ex bar Malavenda

    Lo fa anche con riferimento alla vicenda riguardante l’ex bar Malavenda, ubicato alle porte del quartiere Santa Caterina, territorio storicamente controllato dalle cosche De Stefano e Tegano. Su quel bar si sarebbero concentrati appetiti di schieramenti ‘ndranghetistici avversi, che si sarebbero contrastati a suon di bombe e attentati. E, per dirimere la questione, uno dei litiganti, l’imprenditore Nucera si sarebbe rivolto proprio all’avvocato De Stefano, definito “il massimo”.

    Ma anche in questo caso, la Cassazione parla di illogicità: «Se la struttura invisibile deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndrangheta è sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano».

    Ma non solo. Se De Stefano è un “invisibile”, perché dovrebbe palesarsi? «Peraltro non si vede perché, stante la assoluta segretezza che avrebbe dovuto ammantare la partecipazione alla ‘ndrangheta di Giorgio De Stefano quale componente della struttura occulta, venendo questa celata anche agli appartenenti al sodalizio criminale, Giorgio De Stefano avrebbe dovuto rivelare tale sua qualità al Nucera, che non è un associato al sodalizio». scrivono i giudici.

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    La sede della Corte d’appello di Reggio Calabria

    Le date

    Per i giudici di Piazza Cavour, non è chiaro «in cosa si sarebbe concretamente sostanziato il contributo arrecato dal De Stefano quale componente della struttura invisibile della ‘Ndrangheta unitaria. Per affermare la sussistenza della componente occulta della ‘Ndrangheta i giudici di appello si sono basati anche su collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni risalgono ad un periodo anteriore al 2006».

    Essendo quindi De Stefano già condannato nel cosiddetto processo “Olimpia” per concorso esterno in associazione mafiosa, non può essere considerato colpevole fino al 1991. Scrive la Cassazione: «L’odierno ricorrente non può essere nuovamente processato per il reato di partecipazione alla medesima associazione commesso sino al 1991, essendo irrilevante che in questa sede si contesti al De Stefano la partecipazione alla ‘ndrangheta quale associazione unitaria e non quale partecipazione alla singola cosca, atteso che, stante la unitarietà della ‘ndrangheta, affermata anche nel presente processo, la partecipazione alla cosca vale anche quale partecipazione alla ‘ndrangheta unitariamente intesa, laddove si affermi che tale associazione è unitaria».

    Giudicato nel “Caso Reggio”

    E, inoltre, De Stefano è stato già giudicato, fino al 2005, nel cosiddetto “Caso Reggio”: un’inchiesta in cui si ipotizzava una sorta di complotto ai danni di alcuni magistrati del distretto reggino, con l’accusa di essere capace di “aggiustare” i processi. Un’inchiesta finita nel nulla. Ma la medesima “qualità” (quella di “aggiustare” i processi) è tra le accuse nel processo “Gotha” che porterebbero a considerare De Stefano uno degli elementi massimi della ‘ndrangheta. Per questo, quindi, l’annullamento senza rinvio della condanna: «Le condotte ed il contributo che sarebbe stato arrecato dal De Stefano alla associazione criminale non cambiano — e già si è detto che è irrilevante che tale contributo venga inteso in un processo come in favore della singola cosca o della associazione unitariamente intesa —, mentre muta la mera qualificazione giuridica di tali condotte» –  scrive la Cassazione.

    Le dichiarazioni dei pentiti

    Per la Cassazione, i giudici della Corte d’Appello hanno sbagliato a considerare De Stefano colpevole anche per il periodo successivo al 2005. Per farlo hanno utilizzato come riscontro le dichiarazioni dei pentiti che avevano iniziato il percorso di collaborazione prima del 2006: «La Corte di appello, ritenendo non operante la preclusione derivante dal giudicato per il periodo fino al 2005 compreso, ha utilizzato le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che hanno riferito su fatti collocati in detto periodo e, sulla base di tali dichiarazioni, ha concluso che già in tale periodo il De Stefano rivestiva un ruolo apicale in seno alla componente riservata della ‘ndrangheta».

    Ma questo, per gli Ermellini, è stato un abbaglio colossale: «Alla luce di tale conclusione, che si pone in netto contrasto con i precedenti giudicati, ha ritenuto provata la prosecuzione della medesima condotta anche per il periodo successivo; in particolare, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito di condotte successive al 2005 sono state ritenute riscontrate da quelle di coloro che avevano iniziato a collaborare con la giustizia prima del 2006».

  • Caos fitti: l’Asp di Cosenza prova a fermare il salasso

    Caos fitti: l’Asp di Cosenza prova a fermare il salasso

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    L’Asp di Cosenza è pronta a lasciare tutti gli immobili che prende in affitto sul territorio provinciale. Quella dei cosiddetti fitti passivi, d’altra parte, è questione che da tempo occupa le cronache locali. Nella sola Area Cosenza (una delle 5 accorpate dopo lo scioglimento delle vecchie Asl) stando agli ultimi dati disponibili l’Azienda sanitaria ha sborsato un milione e 660mila euro circa ogni anno. Solo tra Cosenza (21 immobili per oltre 820mila euro di spesa), Rende (8 immobili) e Castrolibero (2) nel 2020 si sfiorava il milione e mezzo di euro.

    Nella stessa conurbazione, l’Asp dava in affitto tre immobili incassando circa 260mila euro ogni dodici mesi. Le proporzioni tra uscite ed entrate non erano da meno in altre zone. A Rossano-Corigliano le prime ammontavano a circa 635mila euro, a fronte di 30mila euro in ingresso. A Castrovillari i 14mila euro incassati con l’affitto del bar nell’ospedale erano ben poca cosa rispetto ai circa 186.500 che l’Asp di Cosenza sborsa ogni anno per affittare 8 immobili.

    L’Asp di Cosenza e i fitti passivi: il dossier di Guccione

    Ma il problema dell’Asp con i fitti passivi, già evidente nei numeri, non si ferma qui. Era settembre del 2020 quando l’allora consigliere regionale Carlo Guccione rese pubblici con un dossier i risultati di una sua ispezione all’Ufficio Patrimonio. Nel documento del democrat c’era una formula che ricorreva sempre: «Dai documenti in atti non si rileva alcun dato riguardo ai “contratti di fitto” e, pertanto, nulla emerge circa la data di stipula, la data di scadenza, la clausola del rinnovo e l’adeguamento del canone». Con una piccola aggiunta nel caso si trattasse di terreni e non di fabbricati: «e la loro destinazione urbanistica».

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    L’ex consigliere e assessore regionale Carlo Guccione, autore del dossier sui fitti passivi

    La task force di La Regina

    Quella denuncia – Guccione inviò tutto anche alla Corte dei Conti – pare aver smosso le acque, seppur in ritardo. Nella primavera dello scorso anno il neo commissario dell’Asp di Cosenza, Vincenzo La Regina, istituì un gruppo di lavoro. Aveva un unico compito: cercare di sbrogliare la matassa dei fitti passivi con una ricognizione completa e razionalizzare la spesa. Compito non semplice, considerato che – al momento di fare un resoconto dopo otto mesi di attività – la mini task force ha risposto chiedendo rinforzi.

    Sicurezza non garantita e carenze strutturali

    Seppure in pochi, però, i controllori scelti da La Regina a una conclusione erano già arrivati: gli immobili sono «non utilizzati in maniera efficiente e conveniente sotto il profilo economico». Ma, ancor più grave, presentano «criticità in merito alla sicurezza e alla carenza dei requisiti minimi strutturali». Dulcis in fundo, permangono i problemi «in merito al contenuto dei contratti». Insomma, sono fuori legge, tant’è che tocca «ricondurre i contratti di locazione passiva in linea con la vigente normativa in materia».

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    Uno stralcio della delibera dell’Asp di Cosenza

    La soluzione? Rescinderli tutti. Subito dopo, andare alla ricerca di nuovi spazi, possibilmente di proprietà di altri Enti pubblici per risparmiare. O, in alternativa, sedersi con gli attuali locatori per ridiscutere dell’intera faccenda su basi differenti dal passato. Già, tutti quelli che in questi anni hanno incassato affittando immobili a condizioni misteriose avranno sei mesi di tempo dalla ricezione della comunicazione di recesso già approvata dal fresco erede di La Regina, Antonio Graziano, per convincere l’Asp a non andare via.

    Fitti passivi: l’ultimatum dell’Asp di Cosenza

    Per riuscire nell’impresa dovranno fornire entro 30 giorni le visure catastali e planimetriche degli immobili attualmente in locazione e una copia del contratto in corso che ne attesti l’avvenuta registrazione. In più, toccherà loro dirsi disponibili a uno sconto sul canone, adeguandolo ai valori medi di mercato ed escludendo la clausola di aggiornamento Istat da contratti che potranno avere una durata massima di sei anni (rinnovabili). Infine, soprattutto, adeguare le strutture alla normativa vigente. Senza impianti a norma, condizioni minime di sicurezza, corrispondenza delle destinazioni d’uso e conformità edilizia-urbanistica, addio al gruzzoletto garantito dall’Asp.

    Sei mesi dopo…

    L’Azienda sanitaria, così, almeno inizierà a risparmiare qualcosa. In fondo, prima o poi, dovrebbe arrivare la fantomatica e pluriannunciata Cittadella della Salute ad accorpare tutti gli uffici della Sanità locale nell’attuale Annunziata con la nascita dell’altrettanto pluriannunciato nuovo Ospedale. Dove si svolgeranno da qui a sei mesi le attività oggi ospitate negli immobili a rischio recesso, nel caso l’addio si concretizzi, resta invece un mistero.

  • Taser in azione, esordio a Reggio Calabria

    Taser in azione, esordio a Reggio Calabria

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    Esordio del taser a Reggio Calabria. Lo ha sperimentato un 24enne reggino, con alcuni precedenti alle spalle, finito in manette con l’accusa di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale.

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    Un primo piano del Taser X2

    Il giovane aveva chiamato gli operatori del 113, ai quali aveva dichiarato di aver ucciso la propria sorella.

    Taser a Reggio Calabria: incolume il giovane arrestato

    Una volta arrivati gli agenti nella sua abitazione, il ragazzo ha dato in escandescenze e ha provato ad aggredirli con un oggetto di vetro.
    I poliziotti lo hanno immobilizzato con la pistola a impulsi elettrici Taser X2 e lo hanno affidato alle cure di personale sanitario già presente in zona.
    Secondo gli agenti, l’uso del taser ha evitato conseguenze gravi per l’incolumità dell’uomo e loro stessi.

  • Brunello e Chianti? Origini calabresi per il Sangiovese secondo uno studio

    Brunello e Chianti? Origini calabresi per il Sangiovese secondo uno studio

    L’origine del Brunello di Montalcino e del Chianti? Se non è calabrese, poco ci manca. Per ora è solo un’ipotesi. Ma c’è chi ritiene, spiegandolo, che il Sangiovese abbia origini meridionali. Appunto tra il Pollino e lo Stretto.

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    Manna Crespan, ricercatrice del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

    Le parole delle dottoressa Manna Crespan, ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), giorni fa aveva avanzato questa ipotesi. E il parterre è stato il Concours mondial de Bruxelles, ospitato proprio in Calabria. La notizia non è sfuggita ai giornalisti di Repubblica.
    Quello della Crespan è uno studio genealogico della vite e dei vitigni. La ricercatrice – si legge sul pezzo di Repubblica.it – cita anche i nomi assunti dal Sangiovese anche in Calabria: Nerello a Savelli (Crotone); Nerello campotu a Motta San Giovanni (Reggio Calabria); Puttanella a Mandatoriccio (Cosenza); Corinto nero a Scalea (Cosenza).
    La Crespan poi continua: «In provincia di Arezzo il Sangiovese era conosciuto con l’appellativo di “Calabrese”».