La Reggina si lascia alle spalle le stagioni di luci e ombre targate Luca Gallo, da oggi il nuovo presidente è Felice Saladini. La notizia, nell’aria già da qualche giorno, è diventata ufficiale nel pomeriggio di oggi con una conferenza stampa nel centro sportivo Sant’Agata. Felice Saladini si è presentato con una sciarpa della squadra al collo e il sorriso delle occasioni migliori.
Le prime parole di Felice Saladini da presidente della Reggina
Il primo scoglio da affrontare per il nuovo patron della Reggina sarà l’iscrizione alla serie cadetta. Ma Felice Saladini ostenta ottimismo, sicuro di scacciare le paure seguite all’arresto del suo predecessore Luca Gallo «Stiamo già lavorando per ottemperare alle scadenze imminenti, quelle che permetteranno al club di iscriversi al prossimo campionato. La Reggina è un patrimonio di tutti e dobbiamo tutelarla, Reggio Calabria deve tornare a far sognare tutto il Paese e calcare palcoscenici importanti. Sono contento di poter essere il condottiero», le sue parole ai cronisti.
Ma il 38enne lametino, ex operatore di call center trasformatosi in imprenditore di successo, ha le idee chiare anche per il riassetto della società: «Questa società merita tanto e sto lavorando per un Cda importante, che sia garanzia di legalità e abbia competenza e passione sportiva. Da qui voglio fare ripartire la Reggina, questa é la mia strategia».
Non avrà inanellato grandi successi – pur difendendosi egregiamente con gli esoneri – in panchina finora, questo è certo. Ma Davide Dionigi un record può vantarlo (almeno per un po’): è l’unico giocatore di serie B ad aver vinto il Pallone d’Oro. Questo secondo la più nota delle enciclopedie online: Wikipedia. Qualche buontempone nel pomeriggio di oggi ha infatti messo mano alla voce relativa all’allenatore cheEugenio Guarascio ha voluto per guidare il Cosenza nella prossima stagione. I tifosi mugugnano per il curriculum da tecnico dell’ex bomber della Reggina? Un modo per farli ricredere prima che tocchi riuscirci ai risultati sul campo forse c’è.
La pagina di Wikipedia su Davide Dionigi
L’Italia da Pallone d’oro: dopo Cannavaro, Davide Dionigi
E così, con buona pace di France Football che assegna il premio ogni anno, l’ex attaccante amaranto si è ritrovato nella lista dei più grandi del calcio europeo. Dopo Rivera, Rossi, Baggio e Cannavaro l’Italia ha scoperto un Pallone d’oro in più tra i suoi campioni, Dionigi. L’unico calciatore, tra l’altro, ad aggiudicarselo militando in serie cadetta. Non ce l’aveva fatta nemmeno Gheorghe Hagi, il Maradona dei Carpazi, nel suo periodo bresciano tra una parentesi al Real Madrid e una al Barça.
Leo Messi e i suoi sette Palloni d’Oro, nessuno vinto giocando in squadre di serie B
L’altro neo rossoblù, il ds Gemmi, nel presentare gli obiettivi per la prossima stagione e l’erede di Bisoli, aveva appena detto in conferenza stampa che c’è voglia di stupire i tifosi. Nessuno avrebbe mai potuto aspettarsi che di lì a pochi minuti Davide Dionigi avrebbe vinto un Pallone d’Oro (alla carriera?). L’unica sorpresa maggiore per i tifosi potrebbe essere vedere il Cosenza in ritiro con una rosa già completa o quasi, a questo punto. Ma i bookmakers ritengono più probabile che torni prima alla normalità la voce di Wikipedia sul mister dei Lupi.
Sparita nel nulla. Senza un soldo in tasca, senza un cambio di abito, senza un bacio ai due figli. Nessuno ha più notizie di Barbara Corvi, allora trentacinquenne, dalla fine di ottobre del 2009.
Una sparizione improvvisa, da Amelia nel Ternano, poche ore dopo “l’ufficialità” in famiglia di una sua relazione extraconiugale. Da questa vicenda, è emerso il sospetto dell’ennesimo caso di lupara bianca.
E si teme che il lungo tempo trascorso possa avere reso vano l’intervento degli inquirenti che, a distanza di 12 anni dalla “sparizione” della giovane donna, avevano identificato il presunto colpevole nel marito, Roberto Lo Giudice.
Roberto Lo Giudice, marito di Barbara e suo presunto assassino
Barbara Corvi: un caso di lupara bianca?
Prima arrestato e poi scarcerato dal tribunale del riesame di Perugia, l’uomo attende di conoscere la data fissata per l’udienza preliminare, in cui il Gup deciderà se andare a processo o archiviare per la seconda volta. Cinquant’anni, nato a Reggio, un cognome “pesantissimo” sulle spalle (anche se fuori dagli affari criminali della famiglia), Roberto Lo Giudice è la persona su cui la Procura di Terni punta l’attenzione quando nell’aprile del 2019 riapre le indagini.
Per i magistrati, lui avrebbe ucciso, con l’aiuto del fratello Maurizio, Barbara nel pomeriggio del 27 ottobre 2009 e farne scomparire il corpo. La tragica, ultima pagina di un romanzo familiare di botte e umiliazioni.
Infedeltà e lupare: un vizio di famiglia?
La “colpa” di Barbara: avere intrecciato una relazione extraconiugale. Una storia tremenda che, nelle ipotesi dei magistrati umbri, sembra identica, nella sua mostruosità, a quella di Angela Costantino, la cognata di Barbara. Angela aveva sposato Pietro, il fratello di Roberto, ed era stata fatta sparire dalla sua casa di Reggio nel 1994, quando aveva appena 25 anni.
Anche per lei, stabilirà la magistratura nel 2013, l’unica colpa fu avere intrecciato una relazione extraconiugale durante un periodo di carcerazione del marito boss. Furono gli uomini del clan a prelevarla da casa e a farla sparire per sempre.
Una marcia di Libera per la memoria di Barbara Corvi
Nino il Nano e le altre gole profonde
Figlio dello storico capobastone Giuseppe – ammazzato da un commando armato nel giugno del ’90 ad Acilia in provincia di Roma, nell’ambito della seconda guerra di ‘ndrangheta – Lo Giudice è stato tirato in ballo da Nino, un altro suo fratello. Nino, ex mammasantissima della famiglia, è da anni collaboratore di giustizia.
Interrogato dai magistrati della Dda di Reggio, il pentito racconta di un incontro in Calabria, a circa un anno dalla scomparsa della donna, in cui il fratello Roberto gli avrebbe confermato, «con un cenno del capo», che a togliere di mezzo Barbara Corvi sarebbero stati lui e Maurizio.
Alle dichiarazioni di Nino “il Nano”, presto, seguono le parole di altri due pentiti.
Il primo, Consolato Villani, è un pezzo grosso del clan e racconta di come è venuto a sapere che «Barbara ha fatto la fine dell’altra».
Il secondo, Federico Greve, risponde alla ’ndrina alleata dei Rosmini e racconta agli inquirenti di come Lo Giudice lo avesse minacciato di «murare il figlio tossicodipendente come aveva fatto con la propria moglie». E poi le intercettazioni del figlio di Barbara, che in un’ambientale del 2020 descrive alla compagna la frustrazione e il timore che la madre possa essere «finita nell’acido, senza tracce».
Conti correnti e pc: le prove dell’accusa
E ancora i soldi, fatti rimbalzare da un conto a un altro ma rimasti sempre nella disponibilità dell’uomo, e le intrusioni sul pc privato della Corvi, fino alle finte cartoline spedite da Firenze per depistare le prime indagini.
Nino Lo Giudice, detto “il Nano”, il principale accusatore di Roberto
Questi elementi convincono la Procura ordinaria a richiedere l’arresto di quell’uomo violento che, sostengono i pm, si sarebbe “liberato” della moglie. Tutto questo prima di iniziare, pochi giorni dopo la denuncia di scomparsa, una nuova relazione con un’altra donna che da Reggio si trasferirà in Umbria, con un figlio al seguito, nella casa di proprietà di Barbara Corvi.
Una vicenda complessa, figlia del mondo al contrario delle coppole storte, e cucita sulla pelle di una giovane che non sopportava più la vita insieme al marito.
I dubbi dei giudici e la scarcerazione
A questa storia non hanno creduto fino in fondo i giudici del Riesame che, accogliendo le richieste dei legali di Lo Giudice, ne hanno disposto la scarcerazione in attesa della chiusura delle indagini.
Troppo tardive le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Ancora: troppo vago l’accenno del capo che confermerebbe la colpevolezza dell’indagato. Nessuna certezza assoluta, inoltre, che Barbara Corvi non si sia allontanata volontariamente. Troppo fragili, infine, le ricostruzioni sui tentativi di depistaggio operati dall’indagato per confondere le acque.
Così le conclusioni del Tribunale della libertà hanno in parte ridimensionato il carico accusatorio nei confronti di Roberto Lo Giudice ma non hanno “smontato” gli avvocati di Libera che affiancano i genitori della donna scomparsa nella loro ricerca di verità. Così come non hanno scoraggiato i tanti cittadini e le associazioni che da anni continuano a chiedere: «Dov’è Barbara»?
Una battaglia di verità per Barbara Corvi
Tenere alta l’attenzione, preservare la memoria, continuare a chiedere giustizia: l’Osservatorio sulle infiltrazioni mafiose e l’illegalità dell’Umbria ha preso molto sul serio l’impegno al fianco dei familiari di Barbara Corvi.
Acquasparta
Alviano
Arrone
Assisi
Collazzone
Deruta
Ferentllo
Giove
Gubbio
Montecastrilli
Montefranco
Monteleone d’Orvieto
Narni
Norcia
Penna in Tiberina
Perugia
Terni
Torgiano
Marce e manifestazioni e poi la gigantografia della giovane mamma esposta sui municipi dei tanti paesi che si sono uniti alla battaglia. Anche Libera ha voluto inserire il nome della ragazza tra le vittime innocenti di mafia anche se il suo corpo non è stato mai ritrovato. È la prima donna che figura nell’elenco dell’Umbria.
E ora, in occasione del prossimo compleanno di Barbara, una nuova spinta nella ricerca di quella verità raccontata dai pentiti e ipotizzata dai pm ma sempre negata da Lo Giudice. Secondo lui la moglie si sarebbe data volontariamente alla fuga, tagliando completamente i ponti col passato, figli e genitori compresi.
E allora ecco le testimonianze, i ricordi, i pensieri che verranno raccolti in lettere, una per ogni 27 dei prossimi mesi, da rendere pubbliche a cadenza regolare.
La scriveranno associazioni e pezzi delle istituzioni, personaggi famosi e semplici attivisti, tutti accumunati nella ricerca di verità e giustizia per l’ennesima vittima, in un elenco interminabile, di violenze maturate tra le mura di casa.
Cosa resta dei milioni annunciati per il rilancio dell’aeroporto di Reggio Calabria? O degli impegni presi per i tirocinanti calabresi? O, ancora, del travestimento alla Camera dei Deputati, con l’intervento con tanto di sciarpa della Reggina al collo? Poco, forse nulla. Le elezioni comunali in provincia di Reggio Calabria hanno segnato una clamorosa debacle per il deputato di Forza Italia, Francesco Cannizzaro. Tanto da spingerlo a una accorata (e, per qualcuno, patetica) lettera aperta in cui ha giustificato il proprio infruttuoso impegno.
Francesco Cannizzaro con la sciarpa della Reggina al collo
Cannizzaro annuncia cose
I più avvezzi all’uso dei social conosceranno le pagine satiriche “Forze dell’ordine che indicano…”, presenti tanto su Facebook, quanto su Instagram. Ebbene, qualche giovane nerd di buona volontà, potrebbe creare la pagina “Cannizzaro annuncia cose”.
Un continuo fluire verso le redazioni giornalistiche di comunicati stampa, note, interventi, in cui il deputato, che si è cucito addosso il ruolo di plenipotenziario di Forza Italia sul territorio reggino, comunica con toni trionfalistici di aver risolto questo o quel problema. Di aver fatto avere questo o quel finanziamento in tema di trasporti, di turismo, di welfare. Ma cosa resta?
Non proprio nulla. A quasi 40 anni, infatti, Cannizzaro può già vantare un curriculum politico lunghissimo. Oggi parlamentare della Repubblica Italiana, ha già rivestito il ruolo di consigliere regionale ed è oggi coordinatore provinciale di Forza Italia a Reggio Calabria. Nell’aprile 2021 viene anche nominato responsabile per il dipartimento Sud.
Chi è Francesco Cannizzaro?
Francesco Cannizzaro da Santo Stefano d’Aspromonte, è unanimemente riconosciuto come il figlioccio politico dell’ex senatore Antonio Caridi, arrestato con l’accusa di essere stato lo strumento attraverso cui la cupola massonica della ‘ndrangheta si sarebbe infiltrata nelle istituzioni, ma assolto in primo grado nell’ambito del processo “Gotha”. E questo nonostante la Dda di Reggio Calabria ne avesse chiesto la condanna a 20 anni di reclusione, considerandolo vicino tanto alle cosche della fascia tirrenica, Raso-Gullace-Albanese, quanto ai Pelle del mandamento jonico e alla famiglia reggina dei De Stefano.
Cannizzaro da anni è deputato di Forza Italia, avendo anche schivato qualche pericoloso dardo giudiziario. Proprio con Caridi verrà intercettato nell’ambito dell’inchiesta “Alchemia” in casa di soggetti che le inchieste (ma non le sentenze) indicavano vicini alle cosche. Indagato e poi archiviato su stessa richiesta della Dda reggina per presunti rapporti con le famiglie mafiose dell’area grecanica.
Da ultimo, i magistrati non hanno ravvisato niente di penalmente rilevante nemmeno nelle denunce effettuate dall’allora presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte, Giuseppe Bombino, circa presunte ingerenze politiche di Cannizzaro e altri soggetti sul Parco.
Antonio Caridi in Senato
Il bacino elettorale di Francesco Cannizzaro
Proprio dai comuni che scendono la Vallata dalla “sua” Santo Stefano e da quelli della Piana di Gioia Tauro, Cannizzaro ha avuto alcune delle delusioni politiche più cocenti nell’ultimo turno di elezioni comunali. A cominciare da Villa San Giovanni, dove la giornalista e avvocato, Giusy Caminiti, ha effettuato l’impresa, battendo il candidato Marco Santoro e diventando il primo sindaco donna della città dello Stretto. Lo ha fatto senza l’appoggio dei partiti tradizionali e, anzi, scontrandosi contro il centrodestra compatto, nel regno dell’altro parlamentare forzistaMarco Siclari. Tutti uniti e schierati al massimo della potenza al fianco di Santoro, ma sconfitti.
Giusy Caminiti
Stesso discorso a Palmi, dove l’uscente Giuseppe Ranuccio ha sconfitto nettamente l’ex primo cittadino Giovanni Barone, anch’egli sostenuto da Cannizzaro e da tutto il centrodestra. Caminiti e Ranuccio, entrambi di estrazione di centrosinistra, ma non sostenuti da liste del Partito Democratico, che si è materializzato solo quando era il tempo di intestarsi la vittoria. Vincente quando si nasconde. Qualche domanda bisognerebbe farsela anche da quell’altra parte.
Giuseppe Ranuccio
La lettera patetica
Chi non lascia, ma raddoppia, è proprio Cannizzaro. Travolto dalle critiche e dalle polemiche, alla fine ha dovuto rompere il silenzio e rivolgersi al suo elettorato, ma anche al suo partito, per tentare di salvare il salvabile di una tornata elettorale catastrofica: «Politica, per me, è metterci la faccia» ha esordito. Nel proprio intervento, il parlamentare forzista che pure (a Villa San Giovanni soprattutto) era convinto di riuscire a spuntarla ha cambiato ora versione: «Ci sono dei Comuni dove la sconfitta era quasi scontata. Chi fa politica da 20 anni lo percepisce. Eppure ci sono andato, ci siamo andati, consapevolmente, anche solo per un comizio, un saluto, una parola di sostegno».
Insomma, un modo per dire, neanche io che sono un fuoriclasse posso fare miracoli. Ma l’apice del pathos arriva con le domande retoriche rivolte al lettore: «E allora vi chiedo, con quale scusa mi sarei dovuto sottrarre alle chiamate di quei giovani che ancora credono nella politica e che magari hanno presentato una proposta costruendo una lista?! C’è chi avrebbe risposto che “un parlamentare, un dirigente nazionale, si espone solo laddove ha la certezza di vincere”… ho ricevuto questa risposta un paio di volte quando ero alle prime esperienze con la politica. E da quelle esperienze ho imparato a non essere come altri».
Francesco Cannizzaro e i sogni di sindacatura
La verità è che Cannizzaro, ora, deve giustificare con gli altri colonnelli, non solo di Forza Italia, ma anche del centrodestra, le scelte politiche. Soprattutto per lui che, in maniera neanche tanto nascosta, da più di qualche anno sogna di correre per la poltrona di sindaco di Reggio Calabria. Dopo aver tentato (invano) di posizionare la cugina Giusi Princi a Palazzo San Giorgio, si è “accontentato” di catapultarla alla vicepresidenza della Regione.
Cannizzaro e Princi
Ma questa mossa d’imperio potrebbe aver incrinato qualcosa nello scacchiere del centrodestra. E se anche i risultati (per di più con un trend generale che premia l’ala conservatrice) non arrivano, allora davvero qualcosa può essersi rotto negli equilibri fin qui tenuti dall’apparentemente uomo forte di Forza Italia in provincia di Reggio Calabria.
Una legge nazionale per Cosenza vecchia. A presentarla è la deputata pentastellata Anna Laura Orrico, firmataria insieme ai colleghi Alessandro Melicchio e Carmelo Massimo Misiti della proposta n° 3544, “Interventi per la tutela, il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana, sociale ed economica del centro storico della città di Cosenza”.
È noto che il quartiere da tanti anni versa in uno stato di abbandono e incuria. Questo degrado non è solo paesaggistico. Miete vittimenelle case e sulle strade. È una situazione che costituisce inoltre una minaccia per la pubblica incolumità.
Un angolo di Cosenza vecchia, tra antichi palazzi e crolli (foto C. Giuliani) – I Calabresi
La proposta di legge per Cosenza vecchia
Preso atto di questa immensa problematica e delle notevoli potenzialità che emergerebbero dalla sua risoluzione, il primo rigo della proposta di legge suona come un passionale squillo di tromba, un appello alle sensibilità. E contiene tutto lo spirito dell’iniziativa: «ONOREVOLI COLLEGHI! – Il centro storico di Cosenza rappresenta un patrimonio storico-culturale straordinario del nostro Paese».
Chiara la finalità dell’atto politico, enucleata nell’articolo 1: «La coesione e l’inclusione sociale, la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio storico e culturale del centro storico di Cosenza, favorendo il riuso di complessi edilizi e di edifici pubblici o privati, in stato di degrado, di abbandono, dismessi o inutilizzati, incentivandone la riqualificazione fisico-funzionale, la sostenibilità ambientale e il miglioramento del decoro urbano e architettonico complessivo».
Poteri al prefetto e 275 milioni in tre anni
Per il raggiungimento degli obiettivi, l’articolo 2 conferisce pieni poteri al prefetto e disegna anche la struttura organizzativa che avrà a disposizione, “composta dal commissario straordinario, dalla cabina di regia per il coordinamento istituzionale, dalla segreteria tecnica di supporto e dal tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”.
Interessante “il coinvolgimento e la partecipazione di soggetti pubblici, privati, del Terzo settore e della cittadinanza attiva nei processi di coprogettazione degli interventi”, previsti dall’articolo 3.
L’annosa questione degli edifici privati fatiscenti di Cosenza vecchia, sui quali l’amministrazione comunale non può o non vuole intervenire, è affrontata una volta per tutte all’articolo 10 della proposta di legge: «La struttura commissariale può procedere all’esproprio di beni immobili, fabbricati e terreni, situati all’interno ai sensi del comma 1 dell’articolo 6, che versano in stato di degrado, di abbandono o di rischio per la salute pubblica, quando, avvisati i proprietari, trascorsi inutilmente sessanta giorni dalla notifica, questi non comunicano l’intenzione di procedere al risanamento del bene. Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano anche nel caso in cui i proprietari non sono rintracciabili».
La Prefettura di Cosenza (foto C. Giuliani) – I Calabresi
Infine, il capitolo più delicato, relativo ai fondi pubblici da reperire e destinare alla maxiopera di risanamento e rilancio. È trattato nell’articolo 11: «È autorizzata la spesa di 150 milioni di euro per l’anno 2022, di 75 milioni di euro per l’anno 2023 e di 50 milioni di euro per l’anno 2024».
La bella addormentata
«Come mai tutti queste saracinesche sono abbassate?». Con teutonico accento e gli sguardi rivolti a corso Telesio, estasiate dalla bellezza della «Chìesa matre», appollaiate sul sagrato del duomo, due turiste tedesche interrogano Giulia, giovanissima studentessa calabrese di terza media, che con loro conversa in un perfetto inglese. La ragazza chiede supporto agli adulti: «Prof, questa non la so. Dimmi che cosa devo rispondere, così glielo traduco». Si rimane senza parole nel tentativo di spiegare ai forestieri com’è possibile che cotanta urbana bellezza sia appassita nel tempo.
Il duomo di Cosenza (foto A. Bombini) – I Calabresi
E ci si aggrappa a quel poco che rimane in piedi e resiste: lo storico caffè Renzelli, la bottega di articoli religiosi di Umile Trausi e quella del maestro pittore Giuseppe Filosa, il rinato Shiva Shop del mitico “Rico” Mazzei, il palazzo Tarsia restaurato su iniziativa dei vulcanici e mai domi linguisti Marta Maddalon e John Trumper. Su corso Telesio e nei dintorni, quel poco di vita sociale e culturale che rimane è stato generato dalla libera e spontanea iniziativa di associazioni e privati cittadini.
Ampie boccate d’ossigeno sono state originate dalle iniziative di Villa Rendano e dalla scuola estiva dell’Unical.
L’ingresso della Biblioteca civica in piazza XV marzo, sede dell’Accademia cosentina
Aleggia la convinzione che un serio intervento istituzionale sia imprescindibile. Lo invocano intellettuali e professionisti. Lo chiedono con dignità e rabbia le cosentine e i cosentini rimasti a vivere nell’antica città. Erano 10.028 nel censimento Istat 2011. Oggi pare siano ridotti a poco più della metà. Sanno bene che Cosenza vecchia non avrebbe nulla da invidiare a centri storici come quelli di Matera, Ragusa e Lecce. Se la proposta di legge per Cosenza vecchia presentata da Anna Laura Orrico e colleghi, in questa o nella prossima legislatura, trovasse perlomeno il sostegno degli altri parlamentari calabresi e meridionali, potrebbe contribuire a riaprire una finestra di speranza su uno dei luoghi più suggestivi del meridione.
È l’ennesimo atto che, negli anni, va a colpire la città di Reggio Calabria. Come una mano che tiene la testa sott’acqua e impedisce di risalire e respirare. Così, l’azione dei vandali, ciclicamente, interviene sulla città, ovunque vi sia bellezza e aggregazione. Come a voler frustrare qualsiasi tentativo di affrancamento dal brutto, dal degrado.
Motorino in fiamme tra le colonne di “Opera”
Non se n’è accorto nessuno. Almeno fin quando le immagini non sono diventate virali sui social. Ma come abbia fatto quel motorino ad arrivare lì e ad essere divorato dalle fiamme senza che nessuno potesse notare e impedire ciò che stava per succedere, è un mistero.
Incredibile come, in pieno centro, in un orario, quello serale, in cui la via Marina è gremita di persone tutto ciò sia potuto accadere ed essere scoperto (e pubblicato sui social) solo quando il danno era stato fatto. Danno d’immagine, soprattutto. Perché ancora una volta, a essere colpita è la bellezza cittadina.
«La settimana scorsa abbiamo letto con grande orgoglio sullo speciale living arte del Corriere della Sera che Opera di Tresoldi, è fra i 25 monumenti di arte pubblica più apprezzati in Italia. Stasera dimostriamo di essere primi in assoluto nella speciale classifica della stortìa, o di qualcos’altro… (questo ce lo dirà presto la Polizia che ha già avviato le indagini)», ha scritto non molto tempo fa in un post pubblicato sui social.
«Se si insegnasse la bellezza…»
«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà». È la frase più celebre tra quelle attribuite all’attivista antimafia siciliano, Peppino Impastato. Si attaglia perfettamente alla realtà reggina. Una città spesso indicata come la capitale della ‘ndrangheta, dove viene frustrato ogni tentativo di risalita dallo squallore.
La scuola d’infanzia del quartiere Arghillà dopo il passaggio dei vandali
Sono tanti, tantissimi, negli anni, gli atti vandalici che hanno colpito la città, in numerosi luoghi simbolici. Dalla Croce Rossa Italiana ai parchi giochi per bambini, persino scuole e asili. Soprattutto se in quartieri periferici e degradati, luoghi di frontiera, come Arghillà, dove nel novembre 2020 viene vandalizzata una scuola d’infanzia. Lì dove un asilo o una giostrina rappresentano un avamposto di cultura per togliere i più giovani dalla strada e, quindi, dalla delinquenza. Terra bruciata, materialmente e moralmente, che le realtà cittadine hanno tentato, già nelle ore successive, di far rifiorire, ripristinando e ricostruendo il luogo devastato.
Distruggere il futuro dei bambini
Nel novembre 2016, ignoti danno alle fiamme l’asilo di Santa Venere, prossimo all’inaugurazione. In un luogo periferico, collinare, difficile anche da raggiungere per via di strade mai completate. Pochi giorni prima, invece gli atti vandalici dell’asilo nido di Archi, il quartiere da cui provengono le famiglie più potenti della ‘ndrangheta.
L’emeroteca di via Palmi dopo il rogo di marzo 2018
Fiamme che devono estirpare ogni speranza di riappropriazione del territorio, di integrazione sociale. Come l’incendio all’ex emeroteca di via Palmi, destinata dall’amministrazione reggina alla creazione di un centro di supporto per le persone down e le loro famiglie. È il marzo 2018. Pochi mesi dopo viene devastato l’asilo comunale Federico Genoese, nella centrale via Aschenez.
“Quando la musica si spegne”
È stato ricostruito, con una partecipazione popolare unica, il Museo dello Strumento Musicale, totalmente distrutto da un incendio nel novembre 2013, in uno dei momenti più bui della storia della città, che un anno prima aveva subito l’ignominia dello scioglimento del Consiglio comunale per contiguità con la ‘ndrangheta, dopo gli anni del “Modello Reggio”.
L’incendio nel Museo dello Strumento musicale
“When the music’s over” cantavano i Doors. Duecento metri quadri di spazio espositivo ricavato nell’edificio dismesso dell’ex Stazione Lido della città, ubicata nella Pineta Zerbi, anche in questo caso, a pochi metri dal lungomare cittadino. Bruciata l’intera collezione di strumenti e libri antichi. Un segnale chiaro. Bruciare la magia che crea la musica, proprio come si bruciavano i libri nel distopico romanzo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.
E così, negli anni non si contano gli atti nei confronti delle strutture e dei luoghi che possono rappresentare cultura e aggregazione, soprattutto per i più giovani: l’incendio alla villetta di Spirito Santo, i vandali nella scuola di Salice, il Parco Botteghelle, le giostrine del Galluppi. E, ancora, i danneggiamenti alla piscina del Parco Caserta o l’incendio al centro sportivo del viale Messina. Strutture dove i giovani vanno ad allenarsi e dove si realizzano momenti di socialità e condivisione. Che evidentemente vanno frustrati sul nascere perché, sempre tornando a Impastato, «bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».
Crimini impuniti
Si colpisce tutto, in maniera indiscriminata. A poco più di un mese dall’inaugurazione avvenuta nel centro di Reggio Calabria, in piazza Sant’Agostino, a pochi passi dal Duomo e dalla stazione ferroviaria, alcuni mesi fa la piccola biblioteca internazionale “Umberto Zanotti Bianco” è stata danneggiata da ignoti.
Poco importa che sia “piccola”. A essere grande è il messaggio, che è un messaggio di mentalità mafiosa. Non vi sono elementi per ipotizzare la presenza della criminalità organizzata dietro tali eventi. In realtà, non vi sono elementi per ipotizzare alcunché. Perché la quasi totalità degli atti vandalici, degli incendi e delle devastazioni che hanno colpito alcuni luoghi simboli della città, è rimasta fin qui senza colpevoli. Ma il messaggio culturale è chiarissimo.
In Calabria, l’economia è cresciuta del 5,7%. Questo dato è in linea col resto del Mezzogiorno ma inferiore di circa un punto da quello nazionale.
Il territorio ha risentito dei contraccolpi delle vicende epocali succedutesi nell’ultimo biennio, a partire dal Covid a finire col conflitto russo-ucraino.
Bankitalia: crescita frena per colpa della guerra
Lo confermano le analisi del rapporto annuale della filiale regionale di Bankitalia, che delineano una sorta di ripartenza “frenata”.
I risultati della ricerca sono stati illustrati a Catanzaro dal direttore Sergio Magarelli e dai ricercatori Giuseppe Albanese (coordinatore), Antonio Covelli, Enza Maltese, Graziella Mendicino e Iconio Garrì.
Le conseguenze negative del conflitto in Ucraina – si apprende dal rapporto – si avvertono nei settori ad alta intensità energetica. Questi settori pesano per il 9,6 % del totale del valore aggiunto regionale (8,5 in Italia), in ragione delle oscillazioni tariffarie che hanno determinato forti rialzi dei costi di produzione.
La presentazione del rapporto di Bankitalia a Catanzaro
Le aziende prevedono, da questo punto di vista, solo un parziale assorbimento dello shock. Il quale dovrebbe avvenire attraverso una riduzione dei margini di profitto e incrementi dei prezzi di vendita. Ma tutto questo avrà conseguenze sul potere di acquisto delle famiglie in materia di elettricità, gas e prodotti alimentari.
In Calabria va meglio l’edilizia
Il settore industriale ha avuto il maggiore giovamento dalla ripresa, in particolar modo l’edilizia, grazie alla crescita di investimenti pubblici e incentivi (superbonus). Più graduale l’impatto positivo sui servizi. C’è stato comunque un recupero di redditività e liquidità delle imprese anche per l’ampio ricorso alle misure pubbliche con boom del ricorso a nuovi prestiti con garanzia dello Stato e aumento del grado di indebitamento. Gli spiragli positivi per il 2022, ha spiegato Magarelli, sono legati all’attuazione del Pnrr. Il Piano, infatti, prevede in Calabria investimenti su infrastrutture e servizi pubblici da sommare ad altri interventi con risorse nazionali ed europee, assolutamente da non perdere.
Le elezioni del capoluogo di Regione erano le più attese e le più discusse con un centrodestra diviso tra faide personali, giochi nazionali e uno sguardo alle imminenti politiche. E il centrosinistra? Piazze piene, urne non altrettanto.
Nicola Fiorita con l’ex presidente del Consiglio e adesso leader del M5S, Giuseppe Conte
Il ballottaggio
I risultati ci consegnano un capoluogo tendenzialmente di centrodestra, pur mandando al ballottaggio due docenti di centrosinistra e sinistra: Valerio Donato, che ha stracciato poco prima della competizione elettorale la tessera del Pd ma avrebbe certamente fatto il candidato sindaco dei dem; e Nicola Fiorita che non è mai stato iscritto al Pd ed in passato ne è stato avversario.
Quello che caratterizza Fiorita è la capacità di attrarre il voto disgiunto a suo favore, oltre sei punti percentuali (a fronte degli oltre dieci del 2017) rispetto alla coalizione che lo sostiene. Per lui l’impronta civica prevale nettamente. Le “sue” liste Cambiavento e Mo’ che toccano rispettivamente il 7,35% e il 7,23%, a fronte di un Pd che raggiunge il 5,8 (nonostante big e portaborse piazzati in lista per la battaglia elettorale) e un M5S che raggiunge il 2,77%.
Molto diversa la figura di Donato che ottiene otto punti percentuali in meno rispetto al risultato ottenuto dalle liste della sua coalizione. Una coalizione capitanata dal presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso, che si dimostra il più grande “tutore” politico di Valerio Donato. Ha messo a tacere i malumori leghisti (in due liste civiche oltre al simbolo mancano i militanti ”storici” del Carroccio), il deputato Domenico Furgiuele e lo stesso Matteo Salvini, che non si è fatto vedere per come desiderato dal candidato sindaco. Il risultato, però, si è palesato. La lista Alleanza Per Catanzaro ottiene il 7,56%, mentre Prima L’Italia il 6,38%.
Catanzaro: anatra zoppa in vista
Le dieci liste di Valerio Donato, però, avendo ottenuto il 52,3% hanno portato ad una situazione abbastanza atipica. Si chiama “lame duck” o “anatra zoppa”, praticamente non scatta il premio di maggioranza e, pertanto, spettano meno seggi alla coalizione donatiana che, se vincerà, si troverà ad avere una maggioranza risicata ma, qualora vincesse Nicola Fiorita al ballottaggio, sarebbe un sindaco di minoranza. Non un grande problema in una città dove regna politicamente il trasformismo e il trasversalismo più perverso.
Nel 2010 a Lamezia Terme il sindaco Gianni Speranza governò con una maggioranza di centrodestra. Nel 2018 ad Avellino il sindaco del Movimento 5 Stelle governò con una maggioranza di centrosinistra. Dal 2021 a Latina il sindaco di Pd-M5S governa con una maggioranza di Lega, Fi e Fdi. Anatra zoppa potrebbe realizzarsi ora a Molfetta che va anch’essa al ballottaggio.
Difficilmente, quindi, consiglieri comunali neo-eletti dopo una campagna elettorale estenuante, manderanno a casa un sindaco su due piedi, a prescindere da chi a Catanzaro la spunterà al ballottaggio. Una competizione che vede favorito Valerio Donato sui numeri (nonostante il segnale politico di “sfavore” arrivatogli dal voto disgiunto) ma, come ha ricordato sui social Antonello Talerico, nel 1994 Benito Gualtieri partì sfavorito con 9 punti in meno rispetto a Zunzio Lacquaniti, superandolo poi di 3500 voti al ballottaggio. La partita, quindi, è aperta.
Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico
E le altre destre?
Citando i risultati del 1994, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico, ha anche annunciato: «La storia si ripeterà, è già segnata», chiarendo già che sarebbe impossibile un suo appoggio alla coalizione sostenuta dalla sua nemesi politica, il senatore e coordinatore regionale di Forza Italia, Giuseppe Mangialavori. Insomma, una resa dei conti anche personale. Talerico, però, porta in dote un abbondante 13,1%, risultato rivendicato anche dal leader nazionale di Azione, Carlo Calenda (che elegge il segretario provinciale, Raffaele Serò, candidato in “Io Scelgo Catanzaro”), ma anche dal leader di Noi Con L’Italia, Mimmo Tallini. Un bottino certamente ambito e ricercato, che Nicola Fiorita dovrà riuscire a carpire con un valido accordo politico. «Vogliamo incidere sull’amministrazione» è il diktat di Talerico. Per quanto riguarda Wanda Ferro, invece, il risultato è stato certamente ragguardevole con un 9,16% (in linea con il risultato ottenuto a Catanzaro città alle regionali) a fronte del 4,82% della lista.
Wanda Ferro con la leader nazionale di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni
Certo, se i consiglieri comunali uscenti legati al consigliere regionale Antonio Montuoro – tra cui la sua portaborse Roberta Gallo e i parenti degli altri suoi portaborseAntonio Angotti, Emanuele Ciciarello, oltre che a Luigi Levato, candidati nella lista Progetto Catanzaro di Valerio Donato – , avessero “foraggiato” di consenso Fratelli D’Italia, quest’ultima lista avrebbe raddoppiato il risultato. Loro hanno ottenuto 2692, superando i 2777 raccolti dalla singola lista a sostegno di Wanda Ferro.
Giorgia Meloni risponde pubblicamente a Matteo Salvini dicendo che il centrodestra non è stato unito nei territori, tra cui Catanzaro, «per motivi locali». Wanda Ferro, invece, quasi fosse una partita di ping-pong, specifica che ad orientare Fratelli D’Italia al ballottaggio sarà il ragionamento complessivo fatto dai leader nazionali. Tutto fa pensare, però, che una manina a Valerio Donato arriverà a prescindere.
La restaurazione in consiglio comunale
Quello che non vedremo al secondo turno, però, sarà un surplus di impegno dei consiglieri comunali “in bilico”, essendo i giochi già fatti per quanto concerne i seggi. La composizione (potenziale, fino alla proclamazione) del nuovo consiglio comunale, però, è molto simile alla precedente per cui chi parla di “rinascita”, si troverà di fronte un’assise all’insegna della restaurazione.
Salvo errori, omissioni e potenziali ricorsi, la coalizione di Valerio Donato avrà 18 seggi, una maggioranza risicata, dove oltre a Donato stesso, entrerebbero per Alleanza per Catanzaro gli ex consiglieri di Svolta Democratica, oggi novelli pseudo leghisti, Eugenio Riccio e Manuel Laudadio (quest’ultimo è il figlio dell’ex consigliere e assessore regionale Franco Laudadio). Con loro ritorna in aula (dove è presente, al pari di Riccio, da oltre 15 anni), Rosario Mancuso.
Con l’altra lista leghista, Prima l’Italia, viene rieletto l’ex esponente di centrosinistra con Calabria in rete ed ex assessore comunale, Rosario Lostumbo, oltre alla new entry Giovanni Costa.
Con Progetto Catanzaro tornano in aula i già citati ex forzisti ora “montuoriani” Emanuele Ciciarello e Luigi Levato. A casa, invece, la portaborse Roberta Gallo e l’uscente Antonio Angotti. Flop per l’ex candidato regionale Gianluca Tassone, figlio del democristiano Mario.
Con Catanzaro Azzurra vince la coppia Marco Polimeni e Alessandra Lobello, che rientrano in consiglio comunale. Fuori, invece, gli amministratori uscenti Ezio Praticò, Danilo Russo e Concetta Carrozza.
Con la lista Riformisti Avanti, ispirata dai fratelli Fabio e Roberto Guerriero, con l’ottimo risultato del 5,56%, entrano l’ex candidato regionale di Forza Azzurri (ma sostenitore del centrosinistra nel 2017) Giorgio Arcuri, e l’ex esponente di Fare per Catanzaro, Stefano Veraldi.
La lista Cambiamo! di Giovanni Toti riporta in Consiglio l’ex talliniana Manuela Costanzo e l’ex portaborse ed ex assessora comunale Lea Concolino (ora vicina a Francesco De Nisi). La lista Fare per Catanzaro riporta in Consiglio il suo leader Sergio Costanzo, che rimane il più votato in città con 1195 preferenze. Silurata, invece, la sua ex compagna di viaggio, l’uscente Cristina Rotundo.
Rispetto alle liste dei partiti del centrodestra (e di quella di centrosinistra dei Guerriero), la lista del candidato sindaco, Rinascita si ferma al 4,93% portando in consiglio l’ex Presidente del CdA del Sant’Anna Hospital, Gianni Parisi. Fuori l’ex esponente Udc e consigliere uscente Giovanni Merante, l’ex segretario Pd Antonio Menniti e l’ex grillina Roberta Canino.
Italia al Centro piazza Francesco Scarpino, già consigliere comunale “abramiano” di due consiliature fa. Rientra con la lista Volare Alto, invece, il consigliere comunale uscente Antonio Corsi.
Sinistra amarcord
Più indietro il centrosinistra. Il campo largo è, per ora, solo decantato. La coalizione di Nicola Fiorita avrà 9 seggi incluso il suo. Ritorna in aula con la seconda elezione in Cambiavento, Gianmichele Bosco, già esponente di Potere al popolo e tra i fedelissimi del candidato sindaco. Con lui Vincenzo Capellupo, già consigliere comunale nel Pd dal 2012 al 2017. La new entry (una delle poche dell’assise) è la docente di diritto romano della Umg, Donatella Monteverdi.
Ritorna in aula con la lista Mò la docente Daniela Palaia e Tommaso Serraino, quest’ultimo sostenuto dall’ex consigliere comunale di centrodestra Roberto Rizza. Il Pd si ferma al 5,8%, ma riesce ad eleggere due consiglieri. Fa il botto di preferenze la ex candidata regionale e ora presidente regionale del Pd Giuseppina Iemma e segue il segretario cittadino Fabio Celia, già consigliere comunale di Fare per Catanzaro in una parte della scorsa consiliatura. Flop, invece, per l’ex coordinatore cittadino Salvatore Passafaro, che non viene eletto.
La presidente regionale del Pd, Giuseppina Iemma con il segretario regionale Nicola Irto
Con il 2,77% il Movimento 5 Stelle entra per la prima volta in consiglio comunale con l’ex consigliere dell’Italia dei Valori, Danilo Sergi, che porta a casa 434 preferenze, a fronte delle 236 del capolista Francesco Mardente. Da rilevare il ruolo di mero riempilista dell’ex coordinatore provinciale di Catanzaro (per la campagna elettorale regionale) Pietro Maria Barberio con 0 voti. Infine, la lista Catanzaro Fiorita con il 2,7% dovrebbe eleggere l’esponente socialista Gregorio Buccolieri.
Gli altri…
Determinante per i futuri assetti dell’assise sarà Antonello Talerico che, oltre a se stesso, e al già citato coordinatore di Azione, Raffaele Serò, riporta in consiglio comunale l’ex azzurra Giulia Procopi, ora con Noi con l’Italia. Dovrebbe entrare con Catanzaro al centro anche il giovane Antonio Barberio. Fuori l’ex capogruppo del Pd Lorenzo Costa, oggi leader del movimento di centrodestra Officine del sud che fa capo al notabile di centrodestra Claudio Parente. Flop per l’ex assessore comunale Mimmo Cavallaro, candidato nella stessa lista, fermo a 88 voti.
Con Fratelli D’Italia dovrebbe “scattare” solo il seggio a Wanda Ferro, che ritorna in consiglio comunale dopo 11 anni. Nella consiliatura iniziata nel 2006 governava il centrosinistra di Rosario Olivo, che la stessa Ferro votò al ballottaggio insieme a Michele Traversa contro l’ex Udc, Franco Cimino. Da segnalare che qualora la Ferro lasciasse il seggio comunale, le subentrerebbe Anna Chiara Verrengia, figlia di Emilio Verrengia, ex consigliere provinciale dell’Udc e poi di Forza Italia.
Insomma, una assise con ben poche sorprese, tra blocchi di consenso consolidato e nepotismo, tutto un grande minestrone di Consiglieri che si sono “piazzati” e sono certamente pronti a sostenere qualsiasi sindaco uscirà vincitore dal ballottaggio.
Beccato con 30 chilogrammi di hashish. La droga era nascosta in un’auto presa a noleggio. Erano le 4:30 di ieri, quando una pattuglia della polizia stradale, nel tratto aretino dell’A1, ha fermato per un controllo un’utilitaria. Alla guida un 46enne, calabrese residente da anni in Germania e noto alle forze dell’ordine, che all’alt dei poliziotti ha cercato una via di fuga attraverso il casello di Monte San Savino (Arezzo), in prossimità del quale è stato raggiunto e fermato. Nel corso della perquisizione dell’auto, dal bagagliaio, è spuntato un borsone pieno di buste e panetti di hashish per un peso di oltre 30 chili. Il 46enne è stato quindi arrestato e condotto in carcere. L’auto è stata sequestrata così come la droga e quattro telefoni cellulari dei quali l’uomo era in possesso.
Da un 13 giugno ad un altro. Dal traguardo della massima serie, allo spettro della scomparsa dal mondo del pallone. Ha del fascino (crudele) la casualità che fa coincidere la data del massimo risultato sportivo raggiunto dalla compagine amaranto, con il giorno che, in un modo o in un altro, potrebbe segnare la prossima ventura del calcio professionistico a Reggio Calabria.
Ma da quel 13 giugno del ’99, quando un destro sbilenco di Tonino Martino mandò in orbita una città intera, al 13 giugno del ’22, con il presidente Gallo ai domiciliari e la società amaranto sul filo della sopravvivenza, di cose ne sono cambiate molte. E, tutte, in peggio.
Il fallimento della storica Reggina Calcio nel 2015, la ripartenza dalla serie D con la famiglia Praticò al comando e il ripescaggio tra i prof, lo spettro del nuovo fallimento e l’arrivo tutto lustrini di Gallo con il sontuoso ritorno in serie B, fino alla guardia di finanza tra i campetti del Sant’Agata, con la Reggina trasformata in una banale “scatola cinese” attraverso cui il “presidente col catamarano” giocava con soldi, proprietà e sentimenti di una tifoseria intera.
Luca Gallo, presidente della Reggina
Sull’ottovolante
Da Foti a (forse) Saladini, passando per Praticò e Gallo: la storia recente della Reggina è come un gigantesco ottovolante a cui sono rimasti aggrappati tifosi, calciatori e semplici lavoratori. Un ottovolante che potrebbe smettere di correre se dovesse saltare la travagliatissima trattativa tra l’imprenditore lametino Felice Saladini e Fabio De Lillo, un passato in Campidoglio e alla Pisana e braccio operativo di Luca Gallo per nomina diretta dell’amministratore giudiziario Katiuscia Perna, terzo inevitabile invitato ad una tavola dove negli ultimi giorni (oltre al Gip del tribunale di Roma a cui spetterà comunque l’ultima parola), si sono aggiunti i molti che lamentano i «poi ndi virimu» con cui la società amaranto avrebbe saldato buona parte dei propri fornitori negli ultimi tre anni.
Una giostra che non si è fatta mancare proprio niente, neanche il presunto interessamento di una serie di imprenditori cinesi a cui, in tempi non sospetti, Antonio Morabito – reggino di nascita, per anni pezzo da novanta della Farnesina ed ex ambasciatore d’Italia nel principato di Monaco – avrebbe suggerito proprio la società amaranto per la loro personale “lista della spesa” sul mercato italiano delle offerte. Una storia di cui si è persa traccia e che è costata all’ex feluca una delle accuse che lo vedono sotto processo a Roma in questi giorni.
Walter Mazzarri e Lillo Foti, protagonisti delle pagine più belle della storia amaranto in A
E poi «il soggetto giuridico straniero» di cui ha parlato l’avvocato Giosuè Naso, legale di Gallo, che avrebbe dovuto rilevare la Reggina in seguito al sequestro preventivo che le società del patron amaranto avevano subito nel gennaio dello scorso anno, ed evaporato dietro i «non vendo» sogghignati dall’imprenditore romano in una conferenza stampa dai toni surreali, che a vederla adesso ricorda la «performance» della testata ne La grande bellezza.
Ultima chance
Il “toto mercato” indica in oggi, massimo domani, il termine ultimo per capire che sorte attende la Reggina. I tempi sono strettissimi, le procedure burocratiche che coinvolgono anche il Tribunale di Roma sono intricate, e il termine ultimo per l’iscrizione nel campionato cadetto incombe. Senza dimenticare che anche l’accordo per i debiti da spalmare con il fisco – poco più di una decina milioni – è ancora da mettere nero su bianco. Ma seppure risicati, i tempi ci sarebbero.
Archiviati i tardivi appelli dei sindaci facenti funzione, e riposte le bandiere della disperata e bellissima manifestazione dei tifosi per le vie del centro al grido «Salviamo la Reggina», la città ora è come sospesa tra scariche di ottimismo dirompente e baratri di «non c’è nenti». Anche le invettive a Luca Gallo si sono attenuate con il passare dei giorni: tutto in secondo piano, in attesa di passare la nottata. E se, almeno ufficialmente, nulla trapela della trattativa in corso, i segnali di un possibile esito positivo continuano a rimbalzare sui mezzi d’informazione cittadina. Reggina Tv esclusa, visto che per ordine del direttore, sono stati sospesi tutti i servizi curati dalla corposa redazione giornalistica che per anni ha gestito la comunicazione ufficiale del club, con metodi vicini a quelli della Pravda.
Alla ricerca del salvatore per la Reggina calcio
Nonostante le astruse ricerche di riservatezza avanzate da parte della società dello Stretto, il nome di Felice Saladini è spuntato presto come possibile nuovo acquirente della Reggina. Giovane, preparato, calabrese “di ritorno”, ambizioso: il trentottenne lametino è alla guida del gruppo “Meglio Questo” di cui è fondatore e Ceo. Un piccolo impero nella gestione dei clienti con una buona crescita di fatturato negli anni che ha consentito all’imprenditore “emigrato” da Milano, di scalare i vertici del mondo economico calabrese. E se il mondo degli affari sembra sorridere all’imprenditore che potrebbe salvare la Reggina, la vera fissazione di Saladini sembra essere proprio lo sport. All’inizio fu il basket, con l’impegno preso alla guida della Planet Catanzaro traghettata fino alla B2.
L’imprenditore lametino, Felice Saladino
Poi venne il calcio. Le cronache raccontano dell’interesse – siamo nell’agosto del 2020 – che Saladini avrebbe avanzato nei confronti dell’Arezzo, nobile decaduta di un calcio ormai sparito. Di quella trattativa restano però solo i rumors dei giornali. Discorso diverso invece il caso del Fc Lamezia, compagine creata proprio su input di Saladini che ha fuso le varie società cittadine e che nell’ultimo campionato di serie D si è piazzata al quarto posto. Ma il percorso è stato tutt’altro che semplice visto che gli ultras delle squadre interessate si sono messi di traverso all’intera operazione ingrassando i social di insulti e invettive e arrivando ad aggredire fisicamente il presidente della nuova società: proprio la sera della presentazione della squadra infatti, un gruppuscolo di esagitati raggiunse Saladini in un ristorante del centro e oltre alle parole quella volta, volò anche qualche schiaffone.
I tifosi della Reggina
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