Categoria: Fatti

  • Protesta in piazza e corse alle poltrone: Reggio, una città allo sbando

    Protesta in piazza e corse alle poltrone: Reggio, una città allo sbando

    La legge è uguale per tutti. Per alcuni è più uguale che per gli altri. È il paradosso che vive la città di Reggio Calabria. In trappola. Sospesa, proprio come la maggior parte dei suoi principali esponenti politici. In un momento cruciale, in cui servirebbero guide stabili, ma, soprattutto, una visione anche per la gestione dei fondi del PNRR.
    E, invece, l’amministrazione comunale galleggia, naviga a vista. E si rende protagonista di scelte quantomeno discutibili, costituendosi parte civile in alcuni processi contro gli amministratori e non in altri.

    I presunti brogli elettorali

    È accaduto appena pochi giorni fa anche nell’udienza preliminare che vede imputato il consigliere comunale e capogruppo del Partito Democratico a Palazzo San Giorgio, Antonino Castorina, accusato dalla Procura di presunti brogli elettorali nel corso delle elezioni del settembre 2020. In quell’occasione, nel raggiro che avrebbe architettato Castorina, risulterebbe anche il voto di un centinaio di anziani che in realtà non si erano mai recati al seggio. Persino persone decedute, secondo l’impostazione accusatoria sostenuta dai pm coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri.

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    Antonino Castorina

    Uomo forte del Pd, Castorina, con rapporti intensi anche con il partito romano. È considerato «promotore, organizzatore e capo indiscusso» di un’associazione per delinquere finalizzata a «commettere più delitti in materia elettorale» finalizzati ad ottenere l’elezione in consiglio dello stesso Castorina. Tra gli imputati c’è pure l’ex presidente del Consiglio comunale Demetrio Delfino (oggi assessore comunale), accusato, assieme al segretario dell’ufficio elettorale Antonio Covani, di abuso d’ufficio in relazione all’autonomina di Castorina a componente della commissione elettorale.

    Il caso Miramare

    La costituzione come parte civile di Palazzo San Giorgio contro chi avrebbe truccato le consultazioni appare il minimo sindacale. Allo stesso tempo rappresenta un paradosso politico e amministrativo il fatto che l’Ente non si sia costituito parte civile (come avrebbe dovuto fare altrettanto doverosamente) anche contro il suo sindaco, Giuseppe Falcomatà, anch’egli del Partito Democratico, condannato appena poche settimane fa anche in appello nell’ambito del cosiddetto “Caso Miramare”.
    Anche i giudici di secondo grado, infatti, hanno riconosciuto la colpevolezza di Falcomatà e della sua ex Giunta per l’affidamento di una parte dell’ex albergo Miramare, immobile di pregio della città, alla semisconosciuta associazione Il sottoscala, dell’amico imprenditore Paolo Zagarella.

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    Giuseppe Falcomatà

    In quel processo, scatenando le ire delle opposizioni, Palazzo San Giorgio non è stato così solerte come avvenuto nel processo contro Castorina. E oggi quella scelta stride ancora di più dopo la condanna in appello che ha fatto ripartire la sospensione nei confronti di Falcomatà, lasciando, nuovamente, in sella il facente funzioni Paolo Brunetti, nominato vicesindaco in fretta e furia poche ore prima della condanna di primo grado.
    Nei giorni successivi, la macchina propagandistica di Falcomatà ha lanciato la crociata contro la Legge Severino, un tempo sostenuta dal Pd. Dall’Ufficio Stampa della Città Metropolitana sono partite diverse mail con l’adesione di svariati sindaci dell’hinterland reggino, che chiedono l’abrogazione della legge che impone la sospensione in caso di condanne, anche non definitive. Qualcuno si è poi anche smarcato da tale manovra.

    Reggio in ostaggio, la protesta

    Per il medesimo caso, è stata invece assolta in appello l’ex assessore Angela Marcianò, unica a scegliere il rito abbreviato e grande accusatrice di Falcomatà.
    In città, quindi, è caos politico, con un’amministrazione che pare alla deriva, senza una rotta chiara su quasi alcun aspetto. Dalle opere, fino agli eventi e alle luminarie di Natale.

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    Reggio in ostaggio, un momento della protesta a corso Garibaldi

    Il malcontento cresce e appena pochi giorni fa corso Garibaldi, strada principale della città, è stato teatro di un corteo che ha avuto una riuscita che forse neanche gli stessi organizzatori si aspettavano. Ad animare la protesta, che chiedeva le dimissioni in blocco della maggioranza, il centrodestra. Ma per le strade del centro si sono ritrovati in circa 500, molti dei quali senza una tessera di partito. Segno evidente di uno scollamento che gli ultimi eventi hanno sancito tra la cittadinanza e la sua classe dirigente.

    La corsa alla poltrona

    Il vuoto politico è percepito dai cittadini. Ma è percepito anche da chi vuole tentare di formarsi o riformarsi un ruolo amministrativo. E così, negli ultimi giorni, fioccano le (auto)candidature, tra uomini nuovi (o presunti tali) ed esponenti che le istituzioni le hanno già animate. Con risultati altalenanti.

    Tra questi, l’imprenditore Pino Falduto, assai noto in città e già componente della maggioranza che sosteneva Italo Falcomatà negli anni ’90. Si propone ora (con un non meglio identificato dream team) come panacea dei mali di Reggio, per la sua resurrezione.

    A volte ritornano: Eduardo Lamberti Castronuovo

    Il suo annuncio segue di pochissimi giorni l’auto-candidatura del medico ed editore Eduardo Lamberti Castronuovo, già candidato nel 2007 e sconfitto malamente da Peppe Scopelliti. Nella sua carriera politica ha svolto anche il ruolo di assessore provinciale. E il suo nome compare (pur senza mai essere stato indagato) nelle conversazioni di Paolo Romeo, considerato un’eminenza grigia della masso-‘ndrangheta, che lo indicava (millantando o no, non è dato sapere) come suo uomo.

    Insomma, la girandola è iniziata. E Reggio Calabria guarda tutto ciò proprio come un ostaggio guarda quella piccola luce che filtra da dietro la porta della propria cella. Senza capire di cosa si tratti realmente.

  • Fosse che fosse la volta buona… per l’asfalto?

    Fosse che fosse la volta buona… per l’asfalto?

    La volta buona, diceva Nino Manfredi. In realtà era “fusse”, ma a me serve la parola fosse e il meraviglioso di Missoni vestito mi capirà. Provate a pronunciarla, la parola fosse, e fatelo ad alta voce. È l’emblema della leggiadria calabra unità all’asprezza dei Bruzi. Fosse ovunque, crateri divenuti ormai patrimonio comunale, che è già assai che chi lo abita per qualche secondo con la propria ruota di macchina non debba pagarci l’Imu. Con il freddo e le piogge non si può fare niente, dobbiamo tenercele, così ci dicono. Ce lo dice Caruso, ce lo dicevano Occhiuto, Catizone e persino l’icona Mancini.

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    Tra le fosse e Cosenza è amore

    Poi ti capita per caso di andare ad Oslo, a Berlino, ad Amsterdam. Città più piovose e più fredde delle nostre, e vedi asfalto perfetto, senza un centimetro di crepa. E pensi: ma allora a noi dicono bugie? E a questa domanda dai la risposta: sì, ci dicono bugie. Perché il problema non è il maltempo ma la qualità del materiale utilizzato. Semplice no? Se usassero materiale idoneo avremmo Piazza Loreto come Piazza Dam. Ma noi di europeo vogliamo solo Piazza Europa, sia ben chiaro! E aspetteremo sempre che un giorno arrivi in Comune un Van De Carusen e chissà che… Fosse che fosse la volta buona. Tanto Nino non potrà correggerci. S’i’ fosse foco arderei lo mondo, si Fosse assai sarei Viale Parco.

    Sergio Crocco

  • Economisti alla deriva nell’era del «Sì, ma…»

    Economisti alla deriva nell’era del «Sì, ma…»

    Sulla stampa economica internazionale, nell’ultima settimana, è apparsa una fortunata sintesi linguistica, la Yes, But Economy, per descrivere la sorprendente incongruenza delle tradizionali categorie interpretative di chi, per sfortuna o per scelta, si trova a svolgere il mestiere dell’economista.
    L’economia del “sì, ma”, giusto per tradurre alla meno peggio la fortunata formula coniata dalla stampa specialistica USA, è legata al crollo delle residue certezze degli economisti.

    Inflazione mai così alta in 40 anni? Si parte

    Qualche esempio anche italiano: gli economisti sono preoccupati dalla recessione legata all’energia? Sì, ma (appunto) nel frattempo il mercato del lavoro registra le migliori performance dell’ultimo decennio in materia di nuova occupazione creata.
    L’inflazione non è mai stata così alta negli ultimi 40 anni? Sì, ma (e sono due), solo per il Ponte dell’Immacolata, 12 milioni di italiani si sono messi in viaggio, incuranti del caro bollette e di Salvini al governo.

    Il divario tra Nord E Sud si allarga o no?

    La Svimez presenta l’ennesimo bollettino di guerra sullo stato di salute dell’economia meridionale dicendo che il divario con il Nord si allarga? Sì, ma (ancora?) esistono alcune filiere produttive meridionali (energie rinnovabili in primis) che possono fare per il Sud la differenza nei prossimi anni.
    Il triangolo debito pubblico, inflazione, guerra fa paura? Certo che sì, ma (e basta) ecco che l’Istat, per novembre 2022, stima un aumento sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 90,1 a 98,1) sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 104,7 a 106,4).

    Grande è la confusione sotto il cielo, specie per gli economisti

    Potrei continuare all’infinito. È chiaro o no che ormai sono saltati tutti i paradigmi dell’analisi economica tradizionale e che nessuno (e dico davvero nessuno) ha ormai nelle mani ragionevoli strumenti di previsione del cosa ci aspetti proprio dietro l’angolo?
    E per piacere non rispondetevi con un sì, ma…

  • Stessi diritti: Sud alla carica contro le oligarchie del Nord

    Stessi diritti: Sud alla carica contro le oligarchie del Nord

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    Ci risiamo: l’autonomia differenziata è tornata al centro del dibattito, dov’era entrata poco prima delle Politiche del 2018, su iniziativa degli allora tre governatorissimi del Centronord-che-conta: Luca Zaia, Roberto Maroni e Stefano Bonaccini.
    Il tutto con un inquietante trasversalismo (Bonaccini, è il caso di ricordare, è dem di estrazione Pci) che lascia mal sperare.
    L’allarme, allora, partì da Gianfranco Viesti, guru dell’economia, e fu accolto soprattutto da Roma in giù.
    E ora? Ha provveduto Massimo Villone, costituzionalista ed esponente della sinistra dura-e-pura, a rinfrescare la lotta con un ddl che prova a dare uno stop al cosiddetto neoautonomismo, iniziato più di venti anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione promossa da D’Alema.

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    Un momento del dibattito a Villa Rendano

    Se n’è parlato il 9 novembre a Cosenza, per la precisione a Villa Rendano, in Stessi diritti da Nord a Sud, un dibattito promosso dalla Fondazione Attilio e Elena Giuliani, che ha restituito gli umori e le preoccupazioni sulle autonomie.

    Falcone: il Sud alla Riscossa

    Il Sud alla riscossa? Sì. Ma stavolta non fa rivendicazioni inutili o gratuite. Lo ha chiarito Anna Falcone, giurista e portavoce di Democrazia Costituzionale, che sostiene il ddl Villone: «Il Coordinamento Democrazia Costituzionale non vuole demolire l’autonomia differenziata, che anzi per vari argomenti può essere utile».
    Piuttosto «miriamo a garantire i diritti fondamentali del cittadino attraverso l’uniformità normativa».
    In pillole: «Ci sono materie che non possono essere gestite direttamente dalle Regioni, neppure da quelle più ricche». E cioè: Sanità, Scuola e istruzione, Università e ricerca, Lavoro e Infrastrutture. «Questi settori», prosegue Falcone, «Devono essere disciplinati dalla legge dello Stato per garantire l’uniformità di trattamento di tutti i cittadini».

    Altrimenti, «L’Italia rischia di fare un percorso antistorico: un Paese già non grande di suo che si spezzetta in aree più piccole si indebolirebbe davanti all’Ue, che ha fatto il contrario». Ovvero, che «sta pian piano cementando la sua identità politica attraverso i fondi del Pnrr». Detto altrimenti: attraverso la solidarietà.

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    Anna Falcone

    Esposito: attenti al portafogli

    Non è del tutto vero che il Coordinamento Democrazia Costituzionale non abbia rivendicazioni. Lo ribadisce l’intervento di Marco Esposito, firma economica de Il Mattino di Napoli e autore di due libri chiave di un certo neomeridionalismo: Zero al Sud (Rubbettino, Soveria Mannelli 2018) e Fake Sud (Piemme, Milano 2020).
    «Il progetto dell’autonomia differenziata contiene un nuovo pericolo, dovuto al Pnrr». In pratica, alcune classi dirigenti del Nord, secondo Esposito, «mirano a egemonizzare questi fondi».
    Con un risultato paradossale: «L’Ue ha concesso i fondi all’Italia sulla base di tre parametri a rischio: popolazione, disoccupazione e reddito», che sono determinati (purtroppo) dalla situazione del Sud.
    Viceversa, se si fosse puntato sul Pil, che avrebbe avvantaggiato il Nord «il Paese avrebbe avuto le briciole».

    L’inghippo dell’autonomia differenziata

    Quindi, i problemi del Mezzogiorno consentono l’incasso dei fondi, che tuttavia il Nord vuole capitalizzare. Anche con un meccanismo non bello: la predisposizione di una “cassa” da cui le Regioni ricche potrebbero attingere i fondi che i “terroni” non sono in grado di impiegare.
    Ma la situazione è cambiata: «Il Sud non è solo, perché una parte dell’opinione pubblica settentrionale ha capito l’inghippo» ed è pronta a dare battaglia.

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    Marco Esposito

    Gambino: il Parlamento è impotente

    Silvio Gambino, costituzionalista e ordinario Unical, denuncia un’altra insidia: la marginalizzazione del Parlamento nell’attuazione delle autonomie differenziate.
    «La legge Calderoli, che attua il comma 3 dell’art. 16 della Costituzione, è bloccata. Tuttavia, è prevista un’intesa diretta tra governo e Regioni, che il Parlamento può solo accettare o respingere in blocco, senza possibilità di emendamenti».

    Una specie di plebiscito da aula, che non consente passi indietro, a meno che non vogliano farli le Regioni. «Tuttavia, perché una Regione dovrebbe rinunciare a ciò che la avvantaggia?».
    Ma la avvantaggia fino a un certo punto: «Se l’autonomia differenziata passasse», spiega ancora Gambino, «Ci troveremmo di fronte al paradosso per cui una Regione a Statuto ordinario come la Lombardia avrebbe più poteri di una Regione a Statuto speciale come la Sicilia, che a sua volta ne ha di più della Baviera, che non è una Regione, ma il più ricco Stato federato della Germania». Ogni altra considerazione è superflua.

    Paolini: che brutta la prepotenza delle oligarchie

    Più barricadero, Enzo Paolini di Avvocati Anti-Italicum. L’autonomia differenziata, argomenta Paolini, «è una delle due facce della stessa medaglia». L’altra è il Rosatellum.
    Già: «Il sistema elettorale attuale è prodotto dalla stessa cultura istituzionale che vuole riformare le autonomie». Cioè «una cultura irrispettosa del rapporto tra cittadini e rappresentanti e che vuole privilegiare solo le oligarchie».

    Giannola: silenzio, parla Svimez

    In chiusura del dibattito, il lungo intervento di Adriano Giannola, il presidente di Svimez. Più di quaranta minuti a braccio, densi di concetti e polemiche, gestiti con tono pacato ma parole ferme.
    Il ragionamento centrale di Giannola è semplice: il Sud è ridotto male, ma il Nord arretra. Morale della (brutta) favola: le tre Regioni che vogliono l’autonomia differenziata rischiano di  diventare le cenerentole dell’Europa settentrionale.
    Di questo pericolo ci sono le avvisaglie: «Il Piemonte è entrato nell’area di coesione e alcune Regioni del Centro (Marche e Umbria) sono in palese declino».

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    Adriano Giannola

    Quindi, o si cresce tutti assieme oppure il crollo sarà inesorabile: solo questione di tempo.
    La possibilità di ripresa passa attraverso la posizione geografica dell’Italia: «Il centro del Mediterraneo che guarda verso l’Africa, un continente problematico ma in forte crescita commerciale».
    Ma con la litigiosità interna e la scarsa intenzione del governo a gestire seriamente le opportunità, quasi non ci sono vie di uscita.
    I terroni, quando si arrabbiano, incutono qualche timore. Ma quando pensano fanno addirittura paura.

  • Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

    Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

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    Peppe Scopelliti, allora trionfante presidente della Calabria, quel giorno di settembre del 2010 solcava la folla adorante per entrare nel cinema Morelli come Mosè aveva aperto il Mar Rosso. Era venuto a Cosenza per annunciare la sua cura per salvare la malatissima sanità regionale: chiudere gli ospedali. Appena sotto il palco, in prima fila, l’allora deputato dell’Udc Roberto Occhiuto plaudiva sorridendo alla decisione. Il nome dato all’evento politico era “Meno sprechi, più qualità” e sappiamo com’è andata a finire: i calabresi sono rimasti senza cure, Scopelliti è finito in carcere (ma scontata la pena è riuscito a portare a casa una discreta somma da baby pensionato) e Roberto Occhiuto è diventato presidente della Regione. Quel pomeriggio non poteva certamente immaginare che la patata bollentissima della sanità sarebbe finita proprio nelle sue mani.

    Sanità in Calabria, non si salva nessuno

    Quella scelta, di chiudere ben 18 ospedali, non era una decisione di stampo tatcheriano, ispirata dalla cieca fiducia nel mercato del liberismo lacrime e sangue. La Destra italiana, infatti, non ha mai avuto quella drammatica statura. Fu invece una ricetta fatta in casa: abbiamo debiti? Chiudiamo gli ospedali. Il prezzo l’hanno pagato quelli che non hanno trovato strutture di prossimità, né qualità in quelle lontane. Non solo: la spesa non è diminuita, così come il debito mostruoso accumulato in decenni di politica bipartisan. Perché in questa storia triste non c’è chi si salvi, da Chiaravalloti a Loiero, da Scopelliti a Oliverio, fino alla breve parentesi di Santelli, passando per l’interregno di Spirlì.

    Emergenza e normalità

    Nel mezzo la Calabria ha dovuto affrontare la più grande pandemia del dopoguerra con strutture sanitarie inadeguate, pochi medici, risorse insufficienti. Era una emergenza, ma anche la normalità non è che andasse bene. Mesi per effettuare una ecografia, o qualunque esame diagnostico, una crepa dentro cui si è con profitto infilata la sanità privata facendo di fatto la differenza tra chi può pagare e curarsi e chi no, alla faccia di quanto scritto sulla Costituzione circa il diritto alla salute.

    Sanità, un anno dopo

    Oggi il deputato che sorrideva all’idea di mutilare la sanità calabrese ha ereditato, anche da se stesso, un fardello gravosissimo e in soccorso ha chiamato circa 500 medici cubani dei quali, annunci a parte, si è saputo poco o nulla. A Repubblica, nel febbraio 2022 dichiarava «Sono commissario alla Sanità da due mesi e ho trovato un disastro» e ottimisticamente aggiungeva: «ma datemi un anno». Febbraio 2023 è vicino, un anno passa in fretta.

  • C’era una volta la Sanità a Cariati [VIDEO]

    C’era una volta la Sanità a Cariati [VIDEO]

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    «Quando a Cariati hanno chiuso l’ospedale è stato come se avessero chiuso la Fiat». L’amarezza di Cataldo Curia, attivista del comitato Le Lampare Basso Jonio Cosentino, la dice tutta. Perché, oltre a garantire il diritto alla salute, il nosocomio del piccolo centro sulla SS 106 assicurava anche tanti posti di lavoro. Un presidio economico e sociale importante per molti medici, infermieri e personale sanitario della zona.

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    L’ingresso dell’ospedale di Cariati (foto Alfonso Bombini)

    Quando ha aperto, nel 1978, era una struttura così all’avanguardia che chi era già emigrato al nord decideva di tornare a Cariati per partorire “a casa”. «Mia madre abitava a Bolzano e decise di farmi nascere all’ospedale di Cariati perché all’epoca era una struttura all’avanguardia», rivendica emozionata una giovane donna, all’uscita dal cinema San Marco di Corigliano Rossano. È il 6 dicembre e ha appena visto la seconda anteprima nazionale del film documentario C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando, dei registi Federico Greco e Mirko Melchiorre, prodotto da Studio Zabalik.

    C’era una volta l’ospedale a Cariati

    I due film-maker romani hanno scelto di iniziare proprio dalla punta dello Stivale, con tappe a Reggio e Rossano, il tour di questo “western” sulla distruzione della sanità pubblica in Italia. Un richiamo a Sergio Leone in salsa calabra, a partire dalla chiusura dell’ospedale di Cariati con la «resistenza epica» dei cittadini che lo hanno occupato durante la pandemia per chiederne la riapertura.
    C’era una volta in Italia è a tutti gli effetti il sequel di PIIGS, del 2017, film narrato da Claudio Santamaria, che racconta gli effetti nefasti delle politiche di austerity sul caso specifico del lavoro della Cooperativa sociale Il Pungiglione di Monterotondo (Rm).

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    Federico Greco durante le riprese a Cariati

    Stavolta Federico Greco torna alle origini. «Mio padre era di Crotone – ricorda il regista – e ho riscoperto questa terra filmandola». Si trovavano proprio nel capoluogo pitagorico, con il collega Melchiorre, e stavano facendo riprese per Emergency all’ospedale dove era appena arrivato Gino Strada per gestire il reparto covid.
    Lì vengono a sapere dell’occupazione dell’ospedale di Cariati e vanno subito a capire cosa stesse accadendo. «Non ricordo altre occupazioni di un ospedale prima d’ora – spiega Melchiorre – e ci ha colpiti il coraggio e la tenacia di questi cittadini, giovani e anziani insieme, che sono andati avanti a testa alta e con pazienza per rivendicare il diritto alla salute».

    Così è successo che il film è diventato parte integrante dell’occupazione. «Abbiamo seguito – spiega Greco – la lotta delle Lampare per molto tempo. Infatti abbiamo narrato sia i momenti duri, tristi, sia quelli molto entusiasmanti». Come l’appello di Roger Waters, proprio durante la loro intervista. «Le sue parole, come avete visto, sono finite su tutti i telegiornali e l’ospedale di Cariati è diventata una questione internazionale».
    Proprio come il documentario che, nel solco di PIIGS, segue il doppio binario glocal.

    Come distruggere la sanità pubblica

    Si parte dalla storia di un piccolo territorio e gli effetti delle politiche globali su di esso. La privatizzazione della sanità e il Washington Consensus, le dieci raccomandazioni dell’economista inglese John Williamson al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e al Tesoro degli Stati Uniti, che puntavano alla liberalizzazione del commercio estero e del sistema finanziario, con l’obiettivo di attrarre capitali stranieri nei PVS (Paesi in Via di Sviluppo) per condizionare l’intervento statale nell’economia.
    Poi la riforma del Titolo V della Costituzione italiana, nel 2001, che di fatto trasforma il Sistema Sanitario Nazionale, in un sistema sanitario regionale, aggravando le grandi disparità economiche e sociali tra Nord e Sud Italia e la conseguente emigrazione sanitaria da quest’ultimo verso il centro-nord.

    Come risultato, documentato nel film, un’ambulanza privata della Misericordia, che si inerpica di corsa e a fatica sulle strade dissestate dell’entroterra jonico «che sembrano bombardate», fa notare Greco, per andare a prendere con la barella una persona nel paesino di Scala Coeli. «Abbiamo voluto mostrare, a chi calabrese non è, cosa significhi essere costretti a percorrere anche poche decine di chilometri dissestati in questi luoghi abbandonati, nella rincorsa al primo Pronto Soccorso vicino».

    Indonesia, Cile, Calabria: a ciascuno la sua Giacarta

    Il “metodo Giacarta” fu il massacro di comunisti nel genocidio in Indonesia deciso dal generale Suharto nell’ottobre 1965. Si replicò in Cile, quando per le strade di Santiago comparirono le scritte Ya viene Jacarta, un disegno mortale contro il presidente democratico Salvador Allende (e i suoi sostenitori), ucciso dal golpe militare di Pinochet l’11 novembre 1973.

    Giacarta, inteso come massacro dei diritti sociali, a partire dalla salute, è arrivata anche in Calabria. C’è una data precisa che lo testimonia e ringraziamo la collega giornalista Giulia Zanfino per averci concesso le immagini dell’intervista a Roberto Occhiuto, allora neoeletto deputato Udc, oggi presidente della Regione Calabria e commissario straordinario della Sanità calabrese.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Il 9 ottobre 2010 sedeva in prima fila nel gremito Teatro Morelli di Cosenza, dove l’ex presidente Scopelliti presentava il piano di rientro dal debito sanitario. Occhiuto rivendicava la riforma e i tagli: «Oggi spieghiamo ai cittadini e agli operatori del settore che la sanità non può più essere un baraccone per alimentare clientele». E ancora: «Si possono tagliare i posti letto per impedire i ricoveri impropri e investire, allo stesso tempo, nella medicina territoriale, perché la qualità dei livelli essenziali di assistenza sia garantita a tutti».

    Su la testa

    Ma Giacarta arriva e non perdona. Solo che, anche in un territorio spopolato e spolpato come la Calabria, c’è chi non ci sta e si mobilita. E richiama l’attenzione di chi calabrese non è, ma coglie l’importanza di certe storie e decide di raccontarle, «anche se rischiano di vendere poco», spiega Alessandro Pezza, di Studio Zabalik, produttore del film. «A noi – precisa – piace il cinema scelto dagli spettatori e non imposto dalle case di produzioni. Ci siamo innamorati di questa storia perché i ragazzi dell’ospedale di Cariati hanno alzato la testa contro le ingiustizie e sono un esempio da seguire. Con questo film speriamo di farci anche portavoce dei diritti dei calabresi. Del resto, ormai ci sentiamo un po’ calabresi anche noi».

    Nell’attesa che arrivino risposte certe sulla riapertura completa dell’ospedale, continuano le proiezioni del film con la lotta delle Lampare del Basso Jonio Cosentino contro Giacarta “mani di forbice”. Le prossime?  Il 12 dicembre al cinema San Nicola di Cosenza alle 20 e al Nuovo Olimpia di Roma alle 21. Il 13 dicembre, sempre a Roma, ore 21, cinema Giulio Cesare.

  • Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    In sede di rendicontazione generale della spesa regionale del 2021, ancora una volta, la Corte dei Conti ha sancito l’inadeguatezza della gestione del Servizio Sanitario Regionale della Calabria.  Tra i nodi cruciali, l’assoluta incertezza riguardo la modalità di impiego delle risorse e i risultati conseguiti dal servizio sanitario. La Regione infatti, negli anni non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato in aperta violazione dell’art. 32 del d.lgs 118/2011.

    La Sanità in Calabria? Piani di rientro e commissari

    Dal 2010, il Sistema Sanitario Regionale è soggetto al Piano di Rientro dai disavanzi sanitari regionali e al commissariamento. Il meccanismo contabile che obbliga una Regione alla sottoscrizione del Piano di Rientro si innesca quando il disavanzo sanitario supera il cinque per cento della somma delle entrate sanitarie regionali (finanziamento statale + ticket). Oppure quando il disavanzo non supera il cinque per cento, ma la Regione non è in grado di garantirne la copertura con i mezzi che ha a disposizione.

    Il Piano di Rientro ha potenzialmente due pilastri fondamentali: uno finanziario ed uno socio assistenziale. Da un lato si prevede l’ottenimento dell’equilibrio di bilancio e dall’altro si vigila al rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) costituzionalmente garantiti. Negli anni, il Governo ha nominato ben otto commissari ad acta per risanare la situazione, senza che mai nessuno ne sia venuto a capo.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    L’attuale commissario è il presidente della Regione Roberto Occhiuto, nominato quasi contestualmente alla sua elezione nel 2021. Il commissario ad acta è responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio consolidato, deve determinare il disavanzo e adottare i necessari provvedimenti per il suo ripiano. Questa figura estromette di fatto il Consiglio regionale dalla gestione e dalla legislazione in ambito sanitario.

    Mentre a Roma parlano, in Calabria gli ospedali chiudono

    Fin dalla sua elezione Occhiuto ha dichiarato: «Sulla sanità mi gioco tutto». Poi, però, ha fatto qualche passo indietro minacciando di non sedersi più al Tavolo Adduce (dal nome della dirigente governativa che presiede le riunioni sul Piano di Rientro). Il motivo? «La sanità della Calabria ha bisogno di strutture ministeriali che ci aiutino, non di atteggiamenti pignoleschi e ragionieristici da parte di funzionari dello Stato».

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    Striscioni di protesta davanti all’ospedale di Cariati (foto Alfonso Bombini)

    I dodici anni di Piano di Rientro hanno ridisegnato profondamente la geografia della sanità calabrese con una serie di tagli, dismissioni e riconversioni. In questo contesto, nel 2011, si è predisposto il taglio orizzontale di diciotto ospedali di medio-piccole dimensioni che reggevano le aree interne della Regione. Questa scelta non ha tenuto conto delle condizioni orografiche del territorio, del fabbisogno sanitario della popolazione e dei tempi di percorrenza verso gli ospedali principali, a loro volta sull’orlo del collasso vista la sempre crescente affluenza di pazienti.

    Deficit e blocco del turnover: così la Sanità in Calabria va a rotoli

    Gli indicatori finanziari disponibili – seppur non esaustivi né definitivi – continuano a delineare una assoluta invarianza della spesa sanitaria regionale. Il deficit è in continuo aumento. In altri termini, la chiusura degli ospedali non ha sortito alcun beneficio finanziario. E col blocco del turnover il personale sanitario ed amministrativo è diminuito del 19% in dieci anni. Una bolla che continua a gonfiarsi.

    Già nel 2020, la Corte dei Conti affermava che «l’analisi effettuata ha confermato, ancora una volta, come il deficit sanitario dichiarato sia totalmente inattendibile e probabilmente ampiamente sottostimato». Riguardo agli aspetti finanziari del Piano di Rientro risulta impossibile trarre giudizi positivi e definitivi. Si possono invece constatare le gravi criticità che pongono la Calabria abbondantemente al di sotto della soglia di adempienza dei LEA, con punteggi molto lontani rispetto alla media italiana.

    E i cittadini pagano

    Nel rilevamento 2019, il punteggio basso di 125 (la soglia è di 160), in peggioramento rispetto all’anno precedente, si deve soprattutto alle gravi carenze nell’area dell’assistenza sanitaria e all’insufficiente dotazione di posti letto. E così anche i cittadini, che già subiscono la privazione di un sistema sanitario adeguato, elargiscono di tasca loro sempre più risorse per curarsi. Le ragioni sono almeno tre: l’aumento forzato dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP nella misura massima; l’emigrazione sanitaria verso altre regioni; il ricorso forzato, infine, alla sanità privata ed alle visite intramoenia. La Calabria, infatti, è tra le regioni d’Italia con maggiori difficoltà di accesso alla diagnostica strumentale.

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    La Cittadella regionale

    La Calabria spende poco e male per la Sanità

    Uno dei problemi principali è che la Calabria spende poco e male. Delle tante risorse finanziarie (soprattutto comunitarie) destinate alla sanità, pochissime si trasformano in azioni concrete volte ad adeguare il sistema. Progetti come quello della Rete Case della Salute spesso migrano da una programmazione settennale alla successiva. E penalizzano il finanziamento di nuovi progetti.
    A tal riguardo, anche la Corte dei Conti sottolinea che è necessario dare impulso ed accelerare tutto il processo di spesa per scongiurare la perdita di importanti e significative risorse.

    Enrico Tricanico

  • Piccole e medie imprese: nuove frontiere della sostenibilità

    Piccole e medie imprese: nuove frontiere della sostenibilità

    Sostenibilità Esg per le piccole e medie imprese. È questo il titolo del convegno in programma lunedì 12 dicembre alle ore 17 nella sala De Cardona della Banca di Credito cooperativo Mediocrati a Rende.
    Il convegno è stato promosso da Eftlia in collaborazione proprio con la Bcc Mediocrati.
    Eftilia è presente anche in Calabria grazie allo studio del dottore commercialista Clemente Napoli.
    Lo scopo dell’evento è quello di diffondere la cultura della sostenibilità nelle comunità imprenditoriali, finanziarie ed amministrative del territorio ed assicurare la crescita di medio-lungo periodo delle PMI.
    L’iniziativa può contare sul patrocinio de il Sole24ore, di cui Eftilia è partner qualificato, e su quello di Confindustria Cosenza.
    Dopo i saluti di Nicola Paldino (presidente Bcc Mediocrati) e Fortunato Amarelli (presidente Unindustria Cosenza), interverranno: Paolo Sardo (presidente di Eftilìa); Mauro Pallini, presidente di Scuola Etica Leonardo; Annarita Trotta (docente Unical e amministratore delegato di BCC Mediocrati).
    Coordinerà i lavori del convegno Federico Bria, segretario generale Bcc Mediocrati.

  • Travolto da un pirata, giustizia dopo vent’anni

    Travolto da un pirata, giustizia dopo vent’anni

    Giustizia lumaca, pirata della strada, incidente e lesioni gravissime (e in parte permanenti), sofferenza, sacrifici, coraggio, perseveranza. Poi il lieto fine, seppur in enorme ritardo. Un giovane calabrese ha impiegato oltre vent’anni per avere il risarcimento che gli spettava. Ora, finalmente, la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che ha chiuso la fase di merito del contenzioso civile: oltre 500mila euro il risarcimento per lui e oltre 80mila quello per sua madre. Tutti per un terribile incidente stradale di cui era rimasto vittima per colpa di un pirata della strada nel lontano 2002.

    Un caso da record perfino per l’Italia

    A volte la giustizia è veramente lenta, specialmente quella civile. Secondo i dati Cepej del Consiglio d’Europa, nel 2019, quella italiana è stata la più lenta di tutti gli altri Paesi membri. L’andamento migliora, ma resta sempre ancora, mediamente, al di fuori della “legge Pinto”, sulla eccessiva lungaggine dei processi in Italia e per cui si può chiedere un risarcimento allo Stato. Quando si parla di processi civili, infatti, i dati riportano una durata media complessiva dell’intero giudizio pari a 2.655 giorni (più o meno sette anni e tre mesi). Non a caso la riforma della Giustizia in Italia è quasi sempre al centro del dibattito politico. Ma il caso di questo ragazzo di San Gregorio d’Ippona, nel Vibonese, batte tutti i record purtroppo.

    Il pirata della strada scappa via

    Il giovane nel 2002 si trovava a bordo del suo scooter, era spensierato come solo a 20 anni si può essere, e stava per rientrare a casa in una calda sera d’agosto. All’improvviso lo colpiva un’autovettura non identificata che stava procedendo, in fase di sorpasso, nello stesso senso di marcia a velocità sostenuta. Come emerge dalla sentenza pubblicata dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 30 novembre scorso, il suddetto veicolo nell’impegnare una curva a sinistra ha slittato. travolgendo lo scooter.

    Il violento impatto ha sbalzato dalla sella il giovane. facendolo cadere addirittura in un dirupo sottostante in località Carreri, sulla SS 182. Dopo i primi soccorsi da parte di alcuni automobilisti e di un pastore del luogo, il ragazzo è stato trasportato in auto al Pronto soccorso dell’ospedale di Vibo Valentia. Poi lo hanno trasferito d’urgenza nel reparto di neurologia dell’ospedale Annunziata di Cosenza. Lì i medici gli hanno diagnosticato una «tetraplegia c3 e c4 ed insufficienza respiratoria da trauma midollare».

    Odissea tra ospedale e tribunali

    Per tali lesioni il ragazzo è rimasto in ospedale 560 giorni di fila. Della macchina che lo aveva travolto, però, nessuna traccia. Chi guidava quell’auto è scappato via senza prestargli soccorso ed è tuttora ignoto. E qui all’odissea ospedaliera del ragazzo e sua madre si è aggiunta un’altra infinita battaglia contro la Giustizia, terminata solo nei giorni scorsi dopo oltre 20 anni.

    Il tribunale di Vibo in primo grado rigetta il ricorso contro il Fondo per le vittime della strada, a cui aveva richiesto il risarcimento per i danni subiti non conoscendo il nome di chi lo aveva investito stravolgendogli la vita. Era il 2019, la causa era iniziata nel 2012. Oltre al danno, la beffa. Ma il ragazzo, la madre e l’avvocato Francesco Damiano Muzzopappa non si sono arresi. E hanno proposto appello avverso quella sentenza, ritenendola assurda. Finalmente lo spiraglio di luce, per quanto tardivo, è arrivato nei giorni scorsi. Lapidari i giudici di secondo grado, Ferriero, Raschellà e Scalera. Si legge infatti in sentenza: «Il Tribunale di primo grado muove da premesse erronee e perviene a conclusioni altrettanto erronee».

    Il pirata della strada è sparito? Paga il Fondo

    Altri tre anni di udienze, perizie mediche e tecniche, testimonianze. Infine, le parole tanto attese: «La Corte d’Appello condanna l’assicurazione del Fondo di garanzia per le vittime della strada a pagare al ragazzo la somma totale di 530mila euro a titolo di danno biologico permanente e di 27mila euro a titolo di invalidità temporanea oltre interessi legali; condanna l’assicurazione al pagamento nei confronti della madre del ragazzo a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale della somma di 81mila euro oltre interessi». I giudici di secondo grado hanno anche condannato l’assicurazione al doppio delle spese legali e di giudizio, per circa 50mila euro.
    Meglio tardi che mai, ma è una magra consolazione.

  • Addio zona rossa: la Presila lascia Gagarin per Conte e Meloni

    Addio zona rossa: la Presila lascia Gagarin per Conte e Meloni

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    Addio compagno Gagarin. Adesso è il tempo di tovarišč Conte. Segno dei tempi e della turbopolitica. Macella, trita e inghiotte tutto: storie, appartenenze, colori. Nessuno, però, ha mai avuto il coraggio di rimuovere e cambiare il nome della piazza intitolata al cosmonauta russo. A Pedace, oggi frazione di Casali del Manco, una cosa del genere potrebbe ancora provocare una sollevazione popolare.

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    Fausto Gullo, antifascista e ministro (foto bibliotecagullo.it)

    Nel cuore della rossa Presila di Fausto Gullo e Cesare Curcio il colore dominante è il giallo. Nelle ultime elezioni politiche il Movimento 5 Stelle ha raggiunto il 46,1 % alla Camera. Il Pd si è fermato al 13,28 %, tallonato da Fratelli d’Italia con il 12,81%.
    Le destre sono pronte per la spallata alle prossime amministrative. Dove i grillini fanno sempre fatica a sfondare. Un copione già visto pure altrove quando si parla di crisi della sinistra.

    Presila zona rossa: Ingrao fuggiasco a Pratopiano di Pedace

    Pedace ha rappresentato per la sinistra calabrese un simbolo. Qui fu nascosto Pietro Ingrao, in fuga dai fascisti. Una storia di resistenza in un Sud dove non erano tanti ad opporsi al regime di Mussolini. Uno dei pochi fu Cesare Curcio, meccanico specializzato. Tenne con sé Ingrao, futuro presidente della Camera, nei boschi di castagne a Pratopiano. Oggi ha raccolto il suo testimone ideale il figlio Peppino, attivista e scrittore, raccoglitore di storie di briganti.

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    Pietro Ingrao a Pedace prima e dopo la caduta del regime fascista. In alcune foto compare Cesare Curcio

    È ancora lì la casa dove fu nascosto il dirigente del Partito comunista italiano. L’hanno trasformata in una suggestiva abitazione di montagna. Basta salire poche centinaia di metri e un’altra costruzione ospita un piccolo museo familiare. Con gli atti parlamentari del padre eletto parlamentare del Pci e poi morto troppo presto. Foto, carte, documenti. Uno dei piccoli tesori nascosti. Non lontano in linea d’aria da San Martino di Giove a Canale di Pietrafitta, dove morì Gioacchino da Fiore.

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    Peppino Curcio, storico e attivista (foto Alfonso Bombini)

    Il Pd governa con Fratelli d’Italia

    La memoria è un esercizio difficile. Consente di capire – o, almeno, provarci – perché sono cadute storiche roccaforti della sinistra. Sesto San Giovanni e Sant’Anna di Stazema su tutte. Passate a destra. Figuriamoci se questo non può succedere a Casali del Manco. Comune, tra l’altro, dove un primo cittadino del Pd governa con un assessore di Fratelli d’Italia.

    Sul punto Peppino Curcio, già candidato a sindaco del M5S, ha le idee chiare: «L’inciucio ha un suo peso». È un ritorno alle «politiche di prima, quelle del mettersi d’accordo per fini elettorali». Ne ha pure per il Movimento Presila Unita, a suo dire «rivelatosi una succursale del Partito democratico».

    Parole che Peppino Curcio pronuncia nella casa museo di Fausto Gullo a Macchia. Un condensato di storia e aneddotica: appunti del ministro dei contadini, ricordi catalogati di uno dei padri costituenti, carte del processo Valpreda (difeso dall’illustre giurista). Senza dimenticare quella lettera di Togliatti che ringrazia Gullo per il dono ricevuto: deliziosi fichi calabresi.

    I timori dell’ex segretario provinciale del Pd

    Persino Luigi Guglielmelli, ex segretario provinciale del Pd, ha il timore che l’assalto al fortino Presila possa andare a segno prima o poi: «Mi auguro che il prossimo primo cittadino di Casali del Manco non sia di centrodestra, ma non è scontato». I motivi? «C’è una grande frammentazione della sinistra e del M5S, non vedo in campo un percorso unitario».

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    Luigi Guglielmelli, ex segretario provinciale del Pd di Cosenza

    Non deve meravigliare più di tanto il fenomeno delle liste civiche «che racchiudono – puntualizza Guglielmelli, oggi nella direzione regionale del partito – tutto l’arco costituzionale, è molto diffuso dappertutto». Ultimo tabù ancora in piedi? «Anche nelle formazioni civiche con presenze di centrodestra il sindaco è sempre stato iscritto al Pd».

    I tempi sono maturi per il centrodestra

    Chi è convinta che Casali del Manco sia vicino ad essere conquistato dal centrodestra è Emma Staine, militante della Lega che, poco tempo dopo aver parlato con I Calabresi,  è diventata assessore regionale nella Giunta di Roberto Occhiuto: «I tempi sono maturi. Negli ultimi 5 anni ci siamo affermati scardinando determinati dogmi e luoghi comuni che volevano la Presila rossa». Ormai da quattro anni il partito di Salvini – spiega – «è stabile dall’8 al 10% raggiungendo picchi del 15 alle Europee affermandosi lo scorso anno a Celico come prima forza alle regionali».

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    Emma Staine, assessore regionale alle Politiche sociali e ai Trasporti

    Zona rossa e memoria corta

    Uno spostamento spiegato anche in termini di «perdita della memoria storica di un luogo». Fausto Gullo, Cesare Curcio e il sindaco Rita Pisano «purtroppo sono figure che interessano soprattutto gli studiosi». Francesco Scanni, ricercatore di Scienze Politiche all’Università di Teramo e attivista di Voci in Cammino, fa notare «la distanza fra queste personalità di grande valore e il ceto politico attuale». Perché «non basta avere avuto cittadini così illustri, resta un obbligo ricordarli, riconoscerne l’importanza e trasmettere l’insegnamento alle generazioni future».

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    Francesco Scanni, ricercatore universitario a Teramo e attivista di Voci in Cammino (foto Alfonso Bombini)

    L’antipasto del totonomi

    L’attuale maggioranza in consiglio comunale tenterà di restare in sella in vista delle amministrative del 2024. Probabilmente cambiando il candidato a sindaco. Che non dovrebbe essere l’attuale primo cittadino Nuccio Martire. Uno tra gli ex sindaci di Trenta e Casole Bruzio, Ippolito Morrone e Salvatore Iazzolino, potrebbe decidere di scendere in campo. Così come l’ex primo cittadino di Pedace, Marco Oliverio. Defilato ma attento si muove l’ex consigliere regionale, tornato nel Pd dopo la sbornia De Magistris, Giuseppe Giudiceandrea. Il centrodestra osserva con attenzione. Se le divisioni a sinistra resteranno ferite aperte, il tempo di conquistare l’ex roccaforte rossa è davvero arrivato. E Gagarin sarà costretto a farsene una ragione.