Categoria: Fatti

  • Aliva, salvare la Natura è un’arte

    Aliva, salvare la Natura è un’arte

    Si chiama Aliva perché produce oggetti di artigianato di design fatti in ferro e, appunto, legno degli scarti di potatura degli ulivi. Un nome semplice, per un progetto che semplice non è. Perché va ben oltre gli aspetti economici, cui pure ogni azienda – anche la più piccola – deve badare. Aliva si è data una missione: raccontare la storia dei territori proteggendone al contempo la natura. Come farlo? Realizzando prodotti con il legno di alberi secolari senza che uno solo di essi venga abbattuto. Di più, piantandone uno per ogni oggetto realizzato. E, con parte del ricavato, formando gratuitamente i contadini sulle migliori tecniche per proteggere le loro piante.

    Fare impresa e difendere l’ambiente è l’idea di quattro giovani calabresi; Antonio Centorrino, Vincenzo Fratea, Gabriel Gabriele e Marco Macrì. «In Aliva – ci racconta Antonio – sono quello che “fa il pr”, curo i rapporti con le aziende e ho disegnato la linea dei prodotti. Chi li ricrea è Vincenzo, artigiano e falegname a Dinami da 25 anni, ne ha 36. Gabriel è uno sviluppatore di Gimigliano e si occupa di tutta la “struttura” web e della sua evoluzione; Marco, di Catanzaro Lido, è il nostro esperto di comunicazione digitale, curerà la promozione e dei social.».

    Secoli in cenere

    Aliva l’hanno creata durante la pandemia, giorni di call, bozzetti, prove scartate. Ma il seme da cui è germogliato il progetto risale al giorno in cui uno di loro stava osservando il suocero accatastare i rami appena potati nel suo piccolo uliveto. Pezzi di alberi che erano là da secoli e di lì a poco sarebbero diventati cenere in qualche caminetto o stufa.
    Perché non farli ancora vivere in un’altra forma, magari una che raccontasse qualcosa del territorio in cui l’albero era cresciuto? La risposta è stata Aliva. Ossia prendere quella legna – ritenuta troppo fresca per usi diversi dal finire nel fuoco – e utilizzarla invece per creare complementi d’arredo. Oggetti, cioè, dalle dimensioni abbastanza contenute da non soffrire l’eccessiva “giovinezza” di una materia prima che, in pratica, non costa nulla.

    Storia e modernità

    «Siamo partiti con l’idea di utilizzare legna di cui ci sono milioni di tonnellate all’anno gratuite. Già ora abbiamo almeno 50 aziende agricole che ce la darebbero gratis, in quale altro ambito puoi avere tutta quella materia prima senza pagarla? Anche volendo comprarla, spenderemmo meno di dieci euro a quintale e con una quantità del genere facciamo centinaia di prodotti. Abbiamo studiato come potere utilizzare il legno più fresco in maniera funzionale».
    E così dai rami di un albero potato a Borgia è nato, ad esempio, Dinami, il primo oggetto prodotto da Aliva. Incarna a pieno lo spirito del progetto: è uno speaker passivo in legno secolare da utilizzare con gli smartphone. Storia, modernità e nessun albero tagliato.

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    Il primo esemplare di Dinami, lo speaker passivo realizzato da Aliva

    Aliva: dalla potatura all’artigianato di design

    Ne saranno realizzati soltanto mille esemplari al massimo, tutti su ordinazione, e di ognuno sarà tracciabile l’intera filiera. «Non siamo noi ad occuparci dell’albero che useremo, ma un potatore certificato da un ente nazionale. Ce ne sono quattro, noi ci affidiamo alla prestigiosa “Scuola Potatura Olivo” del dottor Pannelli. In Calabria sono solo cinque i potatori certificati da Pannelli, più altri 14 con attestati di altri enti. Non ci siamo autocertificati perché pensiamo che la collaborazione con un ente esterno autorevole aiuti anche a dar valore a quello che facciamo. Non vogliamo che qualcuno compri qualcosa che facciamo semplicemente per l’estetica. Il valore e il senso dei nostri prodotti è un altro».

    Si parte sempre solo e soltanto da scarti di potatura. Poi si trasformano in oggetti dal design minimalista legati a un personaggio, un luogo, un mito da ricordare o scoprire. La Torre dell’orologio nel caso di Dinami, piccolo centro di meno di mille anime nel Vibonese e sede dell’azienda, che ha ispirato l’omonimo speaker. Oppure Kaulon, il portachiavi a forma di tassello di mosaico; l’orologio Milone, simile ai cerchi delle Olimpiadi in cui trionfava il campione crotonese, e quello Demetra, richiamo a un’antica statuetta esposta al museo di Cirò Marina. E poi ci sono i vasi ornamentali Castore e Polluce, omaggio alle colonne dell’omonimo tempio perduto rimaste all’interno di Villa Cefaly a Curinga. Infine, la lampada da tavolo Amendolara, ispirata alle forme della Torre spaccata del paese ionico.

    Tre regioni per cominciare

    Una Calabria straordinaria eppure a basso costo, insomma, diametralmente opposta a quella tanto cara – in tutti i sensi – alla Regione di questi tempi. «Non sono le classiche icone tipo la Cattolica di Stilo o il monastero di Tropea. Pensiamo abbiano pari valore, ma siano meno stereotipate. Ne doneremo una copia alle comunità anche come stimolo: sarebbe bello se grazie ai vasi Castore e Polluce, ad esempio, qualcuno riprendesse le ricerche del tempio».

    Gli oggetti appena elencati compongono la collezione Kalavrìa e un esemplare di ognuno andrà in omaggio ai Comuni che li hanno “ispirati”. In arrivo anche la Trinacria e l’Apulia, così da dedicarne una a ciascuna delle tre regioni che insieme hanno l’86% degli uliveti italiani. «Il valore storico degli ulivi nelle altre regioni è inferiore, hanno poco da raccontare. Non c’è legame storico, ideologico, identitario. Per i pugliesi l’ulivo è un simbolo iconico, è nella loro bandiera».

    Un albero piantato per ogni oggetto venduto

    Ma è proprio in Puglia che si è consumata una vera e propria ecatombe di ulivi secolari, oltre venti milioni le vittime della Xylella. Aliva prova a dare il suo contributo anche qui. Grazie alla collaborazione con l’associazione pugliese OlivaMi, per ogni oggetto venduto dall’azienda calabrese si pianterà in Salento un nuovo ulivo. E sulla collaborazione, in generale, Antonio, Vincenzo, Gabriel e Marco puntano tantissimo, proprio alla luce di quanto accaduto in Puglia. Lì la Xylella ha fatto scempio degli alberi proprio perché i contadini non parlavano tra loro, spesso per vecchi asti tra confinanti, ed ognuno ha agito per sé con risultati nulli. È mancato il collante, ruolo di cui vorrebbe farsi carico, invece, Aliva in Calabria.

    L’unione fa la forza

    «Premessa: il nostro primo obiettivo è il profitto. Siamo micro ma pur sempre un’azienda e come tale senza profitto non possiamo sostenerci. Ma ci siamo detti “perché non legare tutto a un progetto ambientale-sociale?”, si potrebbe ottenere un risultato migliore. Se l’obiettivo fosse distribuire corsi di formazione guadagneremmo di più. Ma il nostro non è greenwashing,: non siamo un’azienda che ha sputtanato l’ambiente per 50 anni e poi trova un testimonial green per ripulirsi. Noi non dobbiamo pulirci nulla». Tant’è che i corsi di formazione, li offriranno loro gratis ai proprietari di uliveti con parte del ricavato delle vendite.

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    La prima potatura da cui è partita la produzione di Aliva

    A insediare gli alberi, infatti, non c’è solo la xylella, ma incendi, malattie, altri parassiti e incuria. E insegnare a occuparsi di prevenzione o affidare la potatura a personale qualificato è il modo migliore per preservare le piante. «Io vivo a Bovalino superiore, ma sono originario di Gioia Tauro. Zone piene di uliveti, ma non ho mai avuto la percezione che tra tutti quelli che hanno alberi ci fossero connessioni. Che ci costa provare a essere noi quel collante? Ai Comuni a cui doneremo i primi esemplari che produrremo chiediamo di collaborare alla creazione di un osservatorio sullo stato di salute degli ulivi nel territorio. Il progetto è ambizioso, si tratta di monitorare quasi in tempo reale lo stato di salute degli ulivi in Calabria, Sicilia e Puglia. Il nome del laboratorio lo abbiamo già: SalvOliva».

    La sfida comincia ora

    Nel frattempo, dopo le prime uscite ufficiali alla Fiera dell’Artigianato di Milano e a RaccontArti a Catanzaro, tocca affrontare un’altra sfida, quella del mercato. Con una confezione che più green non si può per ogni prodotto, ovviamente: cartone riciclato ed un letto di foglie di ulivo al suo interno.

  • Conservatori vaticani alla carica: Müller arriva a Paola

    Conservatori vaticani alla carica: Müller arriva a Paola

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    Il 2 dicembre del 2022 il cardinale Gherard Ludwig Müller ha presentato nel Convento di San Francesco di Paola il suo ultimo libro: Il Papa, Missione e Ministero.
    Accolto con tutti gli onori dai frati Minimi, l’alto prelato, dopo aver celebrato messa, ha ricevuto i calorosi saluti del correttore provinciale dell’Ordine, padre Francesco Trebisonda. L’appuntamento ha interessato un uditorio ristretto ma consapevole di partecipare ad un evento significativo.
    Non fosse altro per la caratura del big vaticano, che negli ultimi anni si è schierato in maniera aperta contro l’attuale pontefice Bergoglio, rappresentando l’ala intransigente della Chiesa.

    Dopo papa Ratzinger

    Questo episodio, in relazione alla morte del papa emerito Benedetto XVI, assume una nuova luce nel contesto di una guerra che si è riaperta tra le due fazioni, quella progressista e l’altra più tradizionale, all’ombra della cupola di San Pietro.
    Padre Georg, segretario particolare di Ratzinger, ha dato fuoco alle polveri: a salma ancora da inumare dell’ex pontefice, ha rilasciato dichiarazioni non certo tenere verso papa Francesco.

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    Padre Georg con Benedetto XVI

    Parole al veleno, le sue, con cui ha anticipato l’imminente uscita di un suo libro pieno di rivelazioni sconcertanti sulla convivenza dei due papi.

    Padre Georg alla carica

    Per quale motivo Georg Genswein ha rotto la pax vaticana, tra l’altro nel momento meno opportuno? Dietro quest’iniziativa forse c’è l’intenzione di aprire un’offensiva mirata a stabilire nuovi equilibri cardinalizi.
    Il tutto in vista di un Concilio, che seguirebbe le ventilate dimissioni di papa Francesco per motivi di salute.
    Infatti, scrive l’arcivescovo tedesco nel suo libro Nient’altro che la verità, di essere rimasto «scioccato e senza parole» quando Francesco gli comunicò: «Lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro».
    Secondo padre Georg, Benedetto commentò: «Penso che papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode».

    Satana contro Ratzinger e l’inquisitore silurato

    In una intervista rilasciata a Ezio Mauro, Genswein ha rivelato di aver scorto la «mano del diavolo» durante il pontificato di Ratzinger.
    In un’altra dichiarazione alla stampa, il prefetto della Casa Pontificia ha evidenziato che il provvedimento con cui papa Francesco ha ribaltato la liberalizzazione della messa in latino ha «spezzato il cuore» di Ratzinger.

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    Papa Benedetto XVI

    Con queste uscite, l’arcivescovo tedesco ha riacceso le polemiche innescate in precedenza dal cardinale Müller con le sue continue prese di distanza dalla visione di Bergoglio. Per questo motivo, il papa ha destituito Müller da capo della Congregazione per la Dottrina della Fede (cioè l’ex Sant’Uffizio).

    Müller alla riscossa

    Dopo questa decisione, il prelato tedesco ha deciso di non tornare a Ratisbona ma è rimasto a Roma per accrescere il fronte dei conservatori vaticani.
    In questo compito rientra anche il proselitismo, soprattutto nei più importanti centri religiosi e all’interno delle varie confraternite in Italia e nel mondo. Da qui la tappa al Santuario di San Francesco di Paola, dove Müller ha trovato porte aperte e orecchie pronte ad ascoltare le sue tesi radicali. Arricchite dagli spunti polemici, più volte esternati in altre sue pubblicazioni.
    La polemica di Müller colpisce le aperture di papa Francesco al riconoscimento dell’affettività omosessuale, le posizioni papali sul ruolo delle donne nella Chiesa e sui divorziati risposati.

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    La Cappella del Santuario di San Francesco di Paola

    L’ambigua diplomazia di un conservatore

    Ciononostante, lo stesso Müller ha in più circostanze tentato di non rimarcare troppo queste distanze. Anzi, ha messo in risalto la fedeltà al Papa, pur manifestando una linea a volte non coincidente con quella di Bergoglio.
    Tuttavia, non bisogna dimenticare che lo stesso ex inquisitore nel 2015 firmò la lettera dei tredici cardinali in cui si denunciavano irregolarità nello svolgimento del Sinodo sulla famiglia, che avrebbero favorito la prevalenza delle posizioni più avanzate. E c’è da dire che Müller intrattiene rapporti anche con uomini nella Chiesa di stampo progressista, come il peruviano Gustavo Gutiérrez, padre della teologia della liberazione, con cui ha scritto un libro intitolato Dalla parte dei poveri.

    Coppie gay: il no di Müller

    Dopo l’apertura di Papa Francesco alle unioni civili per le coppie omosessuali, Müller dice di aver ricevuto «centinaia di chiamate» di chi la pensa diversamente.
    Teologo e curatore dell’opera omnia di Ratzinger, nominato nel 2012 da Benedetto XVI prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e rimasto in carica fino al 2017, al Corriere della Sera ha spiegato la sua critica al pontefice: «L’ho sempre difeso contro protestanti e liberali, però il Papa non è al di sopra della Parola di Dio, che ha creato l’essere umano maschio e femmina».

    Papa Francesco

    Massoni? Alla larga

    In un’altra occasione ebbe a dire: «Non mi sono piaciute tutte quelle grandi lodi dei massoni al Papa. La loro fraternità non è la fraternità dei cristiani in Gesù Cristo, è molto di meno. Non possiamo prendere come misura della fraternità quello che viene dalla Rivoluzione francese, che è ideologia, come il comunismo. Una religione universale non esiste, esiste una religiosità universale, una dimensione religiosa che spinge ogni uomo verso il mistero. A volte si sentono idee assurde, come quella del Papa “capo di una religione universale”, ma è ridicolo. Pietro è Papa per la sua confessione o professione di fede: “Tu sei Il Cristo, il figlio del Dio vivo”. Questo è il Papa, non il capo dell’Onu».

    «Solo la Chiesa è universale»

    Ancora più netto è sul concetto della relativizzazione:
    «C’è una orizzontalizzazione del cristianesimo, lo si riduce in modo da piacere agli uomini d’oggi, invece così si inganna la gente. Quando ci si trova con persone di altre religioni non possiamo unirci in una fede generalizzata. Si riduce la fede a una fede filosofica, Dio a un essere trascendente, e poi diciamo che Allah o Dio padre di Gesù Cristo sono la stessa cosa. Così come il Dio del deismo non ha nulla a che vedere con il Dio dei cristiani. Ogni appello ad una “fratellanza universale” senza Gesù Cristo, l’unico e vero Salvatore dell’umanità, diventerebbe, dal punto di vista della Rivelazione e teologico, una corsa impazzita nella terra di nessuno».

    Gherard Ludwig Müller

    Caccia ai fedeli

    Questi concetti, esposti in maniera netta e intransigente, non lasciano intravedere una direzione comune con quella di Bergoglio, invece più aperto al dialogo interreligioso. Dopo la morte di Benedetto XVI è in gioco il futuro della Chiesa e la sua proiezione al di fuori dei confini vaticani. Perciò chi vuole riportare la dottrina cristiana in orizzonti più dogmatici, si sta organizzando per acquisire il consenso necessario a delimitare l’espansione di una visione più illuminista, che ha tuttora nel papa il più strenuo sostenitore. In questa ottica si inserisce l’attivismo del cardinal Müller, arrivato anche in Calabria in cerca di interlocutori.

    Alessandro Pagliaro

  • Campora contro Amantea: conto alla rovescia per il divorzio

    Campora contro Amantea: conto alla rovescia per il divorzio

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    La Befana ha portato un comizio agli abitanti di Campora San Giovanni, in vista del referendum previsto per il 22 gennaio.
    Sempreché, beninteso, il Consiglio di Stato, a cui il Comune di Amantea ha fatto ricorso il 19 dicembre scorso, non ci metta lo zampino.
    Infatti, dopo il secondo rigetto del Tar, la parola decisiva spetta a Roma. Toccherà ai magistrati amministrativi di Palazzo Spada decidere se il referendum si farà o meno.
    Intanto, le cose ad Amantea procedono come se nulla fosse.
    Ma andiamo con ordine.

    Graziano e Iacucci in piazza

    I consiglieri regionali Giuseppe Graziano e Franco Iacucci sono stati i mattatori del comizio indetto da Ritorno alle origini di Temesa, il comitato che gestisce la parte “politica” del divorzio tra Campora e Amantea e il conseguente matrimonio con Serra d’Aiello.
    Jonio e Tirreno, centrodestra e centrosinistra, ma core a core, i due hanno arringato il pubblico che ha riempito la piazza della chiesa di Campora.
    A prescindere dai mal di pancia, più o meno tardivi, della politica cittadina. Tra questi, le esternazioni del Pd amanteano, supportate da un tweet della ex deputata Enza Bruno Bossio.

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    Campora San Giovanni by night

    Le contraddizioni del referendum

    E Amantea? Tolta la lamentela dei Dem, per il resto non si batte quasi colpo. Forse si ipotizza un “contro comizio”, che tuttavia non si terrà a Campora, dove le eventuali opinioni contrarie alla “secessione” non sono rappresentate.
    E la partita sembra già chiusa: al referendum voteranno solo i camporesi più i residenti di Coreca e Marinella. E qui emerge una contraddizione non proprio irrilevante: in caso di scissione, le due frazioni resteranno con Amantea, tuttavia i loro elettori parteciperanno al referendum da cui è escluso il resto dei cittadini.
    L’inghippo si chiarisce subito: Campora non voterà solo come territorio (cioè dal fiume Oliva in giù) ma anche come collegio elettorale, che include gli altri due territori.
    Ma non è questa l’unica contraddizione.

    Amantea vs Campora: il ricorso in pillole

    Le altre contraddizioni sono evidenziate nel ricorso confezionato dagli avvocati Mariella Tripicchio e Andrea Reggio d’Aci, che si sono finora misurati davanti al Tar coi loro colleghi Gianclaudio Festa, Oreste Morcavallo e Giovanni Spataro. Cioè, i difensori, rispettivamente, della Regione, del Comune di Serra d’Aiello e di Ritorno alle origini di Temesa.
    Le elenchiamo sbrigativamente.

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    Amantea al tramonto (foto Giovanni Gigliotti)

    Non votano gli amanteani

    Il grosso della popolazione, è noto, non voterà. Per il Tar l’esclusione del resto di Amantea non è un problema.
    Anzi, come recita l’ultima ordinanza di rigetto, «non appare contraria alla legge».
    Ma, a prescindere dall’analisi giuridica, restano sul piatto problemi non proprio secondari.

    Il primo: alcune strutture importantiche servono tutta la città, il porto e il Pip, ricadono in Campora e andrebbero via con essa. Come sarà regolata la futura gestione?
    Secondo problema: il debito. Forse, più delle continue accuse di infiltrazioni mafiose, la vera debolezza della città è il buco nelle casse, stimato approssimativamente in quaranta milioni. Come saranno ripartiti? Resteranno tutti in pancia ad Amantea o Campora se ne porterà una parte pro quota? La legge regionale che istituisce il referendum non risolve il problema.
    Come si vede, si tratta di problemi comuni, su cui deciderà una parte.

    La furbata di Graziano

    La proposta di Graziano, c’è da dire, è piuttosto sofisticata a livello normativo. Infatti, l’idea di accorpare Campora e Serra in un nuovo Comune, Temesa, camuffa con abilità la sostanza dell’operazione: ovvero la secessione di Campora.
    Ma soprattutto elude alla grande l’articolo 15 del Tuel, secondo il quale non sono ammissibili scissioni che generino Comuni al di sotto dei 10mila abitanti e, più che le scissioni, sono incoraggiate le fusioni.

    L’eventuale nascita di Temesa sarebbe una fusione di territori, da cui comunque deriverebbe un Comune con una popolazione di poco maggiore a quella di Campora (in totale poco meno di quattromila abitanti). Amantea, al contrario, resterebbe con 10mila e rotti abitanti.
    Ma siamo sicuri che i numeri siano questi?

    Il consigliere regionale dell’Udc, Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Quanti sono gli amanteani?

    Sulla popolazione di Amantea, c’è un balletto di cifre. Il Tuel dà comunque un’indicazione precisa: i numeri devono derivare dall’ultimo censimento valido.
    Al riguardo, i difensori del Comune forniscono un dato, ovviamente quello che fa più comodo al municipio: 13.272 cittadini residenti. Tolti i 3mila e rotti di Campora, ci si avvicinerebbe alla parcellizzazione del territorio e il referendum sarebbe inammissibile.
    Tuttavia, gira un’altra cifra che supera i 14mila ma include gli stranieri residenti.
    Allora occorre specificare: cosa significa “cittadini”? I cittadini italiani o anche i non italiani iscritti all’anagrafe? Non è sovranismo né xenofobia, intendiamoci.
    Sull’interpretazione di questo punto può aprirsi un dibattito infinito con tante posizioni ciascuna di per sé giusta.

    Altri problemi

    Amantea dista da Campora circa dieci km, ma di strada costiera per percorrere i quali bastano dieci minuti.
    Serra d’Aiello, al contrario dista da Campora otto km, ma sono percorribili (si fa per dire) su una vecchia strada tutta curve. In pratica, sono territori non ancora integrati.
    Né sarebbero integrati, riferiscono i bene informati, gli altri territori che dovrebbero entrare in Temesa nel prossimo futuro: Aiello, dove Iacucci è stato sindaco per quarant’anni, e Cleto.
    Non tutti questi motivi hanno rilevanza giuridica, ma pesano a livello politico.

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    Franco Iacucci

    Di nuovo al voto?

    Resta un ultimo problema sul tappeto: il comma 2 dell’articolo 8 della legge 570 del 1962. Questa norma prevede che i consigli comunali si debbano rinnovare integralmente quando, in seguito a variazioni come quella in corso ad Amantea, i territori varino di un quarto della popolazione.
    Sarebbe così per Amantea, che comunque perderebbe un quarto della popolazione; sarebbe così per Serra d’Aiello, la cui popolazione aumenterebbe almeno di sette volte.
    La norma è stata abrogata o superata? Non risulta.

    Il problema è politico

    Iacucci ha ragione su una cosa: i camporesi si sono sentiti trascurati e hanno agito di conseguenza. Anche, si perdoni il bisticcio, senza guardare le conseguenze.
    Già: Serra è reduce da un dissesto esploso nel 2014 e potrebbe ricascarci assieme a Campora.
    Ancora: la pianta organica del futuro Comune di Temesa potrebbe risultare insufficiente per assumere il personale necessario a gestire il nuovo territorio.
    Sono cose che né il referendum né il riassetto burocratico potrebbero gestire.

    Reperti del Museo di Temesa

    I dolci avvelenati

    Non è solo un problema burocratico, quello che affronterà il Consiglio di Stato. Né lo risolverà il referendum.
    Tra Amantea e quella parte di Campora che vuole la secessione c’è una differenza: gli amanteani stanno trangugiando ora tutti i veleni possibili. Per i camporesi, invece, il veleno verrà dopo, ben nascosto nei dolci della conquistata autonomia.
    Il conto alla rovescia è iniziato e la partita ancora aperta.

  • La Calabria che frana e non vuol sapere perché

    La Calabria che frana e non vuol sapere perché

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    L’inizio della stagione invernale riporta alle cronache notizie legate a frane, alluvioni e erosione costiera… Aspettate, forse meglio ricominciare poiché registriamo eventi già in autunno.
    L’arrivo delle prime piogge riporta alle cronache… No, neanche così va bene poiché abbiamo avuto eventi alluvionali anche ad agosto.
    In qualsiasi periodo dell’anno (ora sì che funziona), la Calabria, come molte altre aree dello Stivale, registra eventi naturali che provocano nel peggiore dei casi la perdita di vite umane, nel migliore solo la distruzione di abitazioni e strade.

    In queste occasioni, la macchina della solidarietà si mette immediatamente in moto, le persone offrono aiuto fisico ed economico dimostrando vicinanza verso chi è stato meno fortunato. Contemporaneamente, i politici sfoderano (in modo proporzionale al livello dei danni registrati) il meglio della loro ars oratoria per promettere che tutto ciò non si ripeterà più (fino alla prossima dichiarata emergenza). Gli amministratori locali, spesso lasciati da soli a fronteggiare dinamiche e situazioni più grandi di loro, sbattono i pugni chiedendo fondi per ripristinare lo stato delle cose (fino al prossimo evento).

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    Lista di alcuni eventi naturali come alluvioni e frane avvenuti in Calabria negli ultimi anni

    Scarsa conoscenza e speculazioni

    Un piccolo esercizio di memoria aiuterebbe a comprendere che gli eventi naturali ed il cambiamento delle condizioni che noi definiamo “normali” rappresentano, in Italia come e più di altre aree geografiche, la norma e non l’eccezione. Questo perché la Terra è viva (se non lo fosse avremmo poche chance di sopravvivere), l’ambiente intorno a noi è dinamico. Processi come frane e alluvioni sono parte integrante e fondamentale del ciclo naturale.

    Da un punto di vista geologico l’Italia è una catena giovane e ancora in fase di assestamento, con il 94% dei Comuni sottoposti a rischi naturali. Se a questo aggiungiamo un uso del territorio, sia in tempi antichi che recenti, che per mancanza di conoscenze (prima) e/o speculazione (dopo) non ha tenuto e non tiene conto di questo dinamismo e delle peculiarità e vulnerabilità del territorio, è facile trovarsi a cadenze regolari nelle stesse situazioni.

    Un circolo vizioso

    In questo scenario, l’unico strumento che abbiamo a disposizione per prevenire il verificarsi di eventi potenzialmente avversi è quello di conoscere il territorio, la sua struttura, morfologia e predisposizione a determinati cambiamenti. Per fare ciò abbiamo bisogno di persone qualificate come i geologi, capaci di leggere ed interpretare in modo corretto il territorio, e di database come le carte geologiche aggiornati.

    Negli ultimi anni, politiche universitarie discutibili e progressivi tagli ai finanziamenti hanno portato alla scomparsa di molti dipartimenti di Geologia e Scienze della Terra, o nel migliore dei casi alla loro fusione con altri dipartimenti, riducendo di fatto la loro visibilità e ruolo di riferimento per gli studi del territorio. Questo, unito alla mancata attenzione e riconoscimento da parte sia della politica che della società civile della figura del geologo e delle sue capacità, ha contribuito alla riduzione del numero di iscritti di studenti nelle discipline di Scienze della Terra. Calo che porterà nei prossimi anni ad una progressiva riduzione di competenze sia a livello locale che nazionale in un circolo vizioso che, salvo investimenti sostanziali, potrà solo peggiorare.

    Centoquarant’anni e non sentirli

    Per quanto concerne le carte geologiche, pochi mesi dopo l’atto formale di unificazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861) veniva istituita una giunta consultiva che doveva “discutere i metodi e stabilire le norme per la formazione della Carta Geologica del Regno d’Italia” che porterà nel 1881 in occasione del 2° Congresso Internazionale di Geologia tenutosi a Bologna di pubblicare “per cura del Regio Ufficio geologico” la prima edizione della Carta geologica d’Italia in scala 1:1.000.000. Dopo 140 anni, ci troviamo oggi nella situazione in cui in Italia non abbiamo ancora una carta geologica aggiornata in grado di rappresentare tutto il territorio nazionale.

    regno-italia
    17 marzo 1861, nasce il Regno d’Italia

    Il programma di Cartografia Geologica nazionale CARG, lanciato alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, rischia di fermarsi nuovamente per la mancanza di finanziamenti dopo che nel 2020 aveva ripreso dopo 20 anni di inattività per carenza di fondi. I fogli CARG rappresentano una banca dati fondamentale per la conoscenza del territorio e del sottosuolo necessaria per mappare le aree a rischio e metterle in sicurezza e procedere con una idonea pianificazione urbanistica. Come recentemente annunciato dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), «quella a rischio è un’importante infrastruttura di ricerca strategica per la Nazione che oggi rappresenta lo strumento più completo per leggere il passato e il presente del nostro territorio».

    Per un pugno di euro

    Il tutto per una cifra tutt’altro che esorbitante (5 milioni l’anno) rispetto alle conoscenze e benefici che ne deriverebbero, sebbene questo dovrebbe essere una priorità per il Paese a prescindere dal costo. A titolo di esempio, Francia, Germania e Inghilterra hanno una carta geologica che copre tutto il territorio e la stessa viene aggiornata regolarmente.
    A livello nazionale, la copertura odierna della carta geologica CARG si attesta a poco più della metà del territorio: 348 carte geologiche su 636 totali.
    La Calabria è tra le regioni con minore copertura con solo 15 carte geologiche completate (incluse due a cavallo tra Calabria e Basilicata) e due in fase di realizzazione rispetto alle 42 necessarie a coprire il territorio regionale.

    Copertura regionale delle carte geologiche CARG in Calabria (Fonte Ispra)

    Il ruolo delle Scienze della Terra

    Solo conoscendo il territorio, la sua composizione e variabilità geologica è possibile una corretta pianificazione e gestione per proteggere la vita dei cittadini e anche le infrastrutture. Senza una pianificazione e sostegno finanziario e culturale, lavorando nel medio e lungo periodo per dotarsi degli strumenti e delle figure professionali necessarie per monitorare il territorio, i proclami post-evento hanno poca efficacia. Se non quella di rispondere, in emergenza, ad evento già avvenuto.
    Quello su cui si deve lavorare è sostenere e valorizzare gli studi delle Scienze della Terra. Allo stesso tempo permettere di realizzare gli strumenti necessari a prevenire gli effetti legati ad eventi naturali. Ad esempio, mettendo in sicurezza le aree a rischio o limitando le stesse nelle situazioni in cui è necessario convivere con i rischi perché impossibili da risolvere a meno di non evacuare la popolazione spostandola su altri siti.

    Lo sfasciume pendulo sul mare è ancora lì

    Nel lontano 1904, quando le prime carte geologiche d’Italia erano da poco state realizzate permettendo di colmare un divario con le altre nazioni e conoscere il territorio anche da un punto di vista geologico, Giustino Fortunato (politico e storico italiano) definì, a ragione, la Calabria come uno «sfasciume pendulo sul mare». A più di cento anni di distanza, lo sfasciume pendulo è ancora lì intento, nella sua lenta ma inarrestabile evoluzione geologica. Purtroppo, gli strumenti per conoscerlo e monitorarlo sono spesso ancora gli stessi consultati da Giustino Fortunato. Dire che da allora ad oggi si sarebbe potuto fare di più è retorica.

     

  • Grillini ma non troppo, ecco i 9 calabresi alle “Regionarie” del Lazio

    Grillini ma non troppo, ecco i 9 calabresi alle “Regionarie” del Lazio

    Oggi, 5 gennaio, dalle 10 alle 22 si vota alle “regionarie” del Movimento 5 Stelle, l’ormai nota selezione online delle candidature dei pentastellati in vista delle elezioni, in questo caso, regionali.
    Alcune esclusioni preventive stanno suscitando dibattito tra gli attivisti. Quella dell’avvocata Claudia Majolo, ad esempio, già fuori dalla lista definitiva per le elezioni politiche del M5S a causa di vecchi post in cui dichiarava il suo amore per il leader di Forza Italia, con tanto di hashtag #BerlusconiAmoreMio. Ma anche altri candidati, come vedremo, sono destinati a far discutere.

    Intanto c’è da rilevare che sono ben 9 i candidati alle “Regionarie” nel Lazio (tutti del collegio di Roma) calabresi o originari dalla Calabria che tentano il grande salto per correre al seguito della candidata Presidente (e capolista) Donatella Bianchi.

    La “carica” dei grillini calabresi

    Tra loro troviamo l’ingegnere e project manager di Catanzaro, Andrea Mungo che nel suo profilo sul sito del M5S rivendica l’esperienza giovanile nell’Udc del capoluogo calabrese.
    Presente anche il dottore cosentino Domenico Guarascio, che svolge un post-dottorato in neurobiologia a Roma. Nel suo profilo specifica di essere stato responsabile della comunicazione del M5s alle elezioni comunali di Cosenza nel 2016, quelle con candidato sindaco il “morriano” ex presidente del Rotary club, Gustavo Coscarelli (la lista arrivò ultima con il 2,36% e non elesse nessun consigliere).

    In lista anche il 49enne Giuseppe Fazzari, nato a Sellia Marina, impiegato a Roma presso una società fornitrice di energia elettrica, e Giovanni Brescia, docente di economia aziendale in istituti secondari a Roma, originario di Scandale e fratello di Gaspare Brescia, l’artista e scultore incaricato di realizzare la statua di Pitagora a Crotone.

    A volte ritornano

    Spazio anche all’avvocato Federico Amato, nato ad Amantea e già candidato alle elezioni comunali di Roma nel 2021 a sostegno di Virginia Raggi (ottenne 190 preferenze personali e non fu eletto), e a Pierpaolo Coluccia, dirigente sanitario del Policlinico Umberto I di Roma, originario di Cosenza, nominato dalla sindaca Raggi vicepresidente del Cda dell’azienda pubblica di servizi alla persona Iras di Roma Capitale. Coluccia vanta un passato tra le file dei giovani del PCI.

    «Credo che le competenze che ho maturato in questi anni possano essere utili ad una forza politica che ha sempre difeso il servizio sanitario pubblico contro i tentativi di privatizzarlo, tutto o in parte, della destra ed anche, purtroppo, della giunta Zingaretti», ha dichiarato sui social Coluccia, noncurante che in quella stessa Giunta regionale siede anche il M5S con due assessori (di cui una crotonese, Valentina Corrado).

    Ci ritenta Silvana Denicolò, nata a Vibo Valentia e già Consigliera regionale nel Lazio per il M5S dal 2013, eletta con 1.553 preferenze. Le 1.171 del 2018, invece, non le bastarono per il bis. È stata poi assessora comunale alla cultura nel municipio di Roma X (Ostia). E ora si ripresenta alla corsa regionale.

    Un candidato “Vero”

    La Calabria deve aver deluso l’ufficiale delle forze armate Nicola Vero, originario del catanzarese e già candidato alle elezioni regionali calabresi dell’ottobre 2021.
    «Scegli un Vero candidato consigliere, vota Nicola Vero (…) se ci credi aiutami a smuovere il sistema», scriveva l’ex componente della struttura del generale Figliuolo.
    Ottenne 750 preferenze personali. Il giorno dopo le elezioni scrisse su Facebook «non sapevo di essere quasi solo in questa esperienza sul territorio catanzarese, non immaginavo lo scarso senso di appartenenza ad una nazione da parte dei calabresi, non immaginavo lo scarso dovere civico dei calabresi». Ci riprova ora vagliando il “dovere civico” dei romani.

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    Un santino Vero per le regionali calabresi

    Maria Saladino e la candidite

    È stata candidata a tutto: elezioni europee, primarie per le comunali di Castrovillari, segreteria nazionale del Pd, elezioni regionali calabresi, elezioni politiche in Calabria.
    Ora ci riprova con le regionali del Lazio, tanto che un suo ex collega democrat ironizza «ha la candidite acuta».
    Lo scorso luglio, quando la Saladino lasciò il Pd per approdare nel M5S, venne accolta dall’allora coordinatore regionale Massimo Misiti (che ha recentemente abdicato al ruolo) con queste parole: «La sua esperienza politica a servizio del Movimento in Calabria sicuramente consentirà di aprire nuovi orizzonti in una terra che ha bisogno di sempre maggiore attenzione e di proposte di crescita e sviluppo».

    L’unico orizzonte che si aprì da lì a poco fu una candidatura (rivelatasi perdente) nell’uninominale nord del Senato alle politiche in Calabria. Nonostante questo, nel suo profilo sul sito del M5S, giudica quella candidatura una «battaglia epocale» in cui si attribuisce i 119mila voti ottenuti dal M5S in quel collegio.
    Ora ha scelto di «scendere in campo nella città in cui vivo e lavoro da oltre 20 anni, Roma, perché ritengo che sia questa ancora una tappa da vivere per contribuire ad affermare il verbo del Presidente Conte», si legge sul suo profilo Facebook e facendo storcere il naso a più di un attivista calabrese.

    Con Renzi tra gli ultimi

    Saladino molla il Pd nel 2022 puntando il dito sulla linea politica di Enrico Letta e Dario Franceschini: «Il Pd è lontano dagli ultimi».
    Nel Pd, però, la neo grillina ha tentato la scalata nel 2014 con una candidatura alle Europee che le portò ben 25.710 preferenze (arrivò terzultima nella lista del Pd nell’Italia meridionale, di molto distaccata dai cosentini Mario Pirillo, che ottenne 63.934 preferenze e Mario Maiolo, che ne ottenne 72.205, entrambi non eletti).
    Nel 2015 tentò la strada delle primarie per diventare candidata sindaca del Pd nella sua città, Castrovillari. Arrivò ultima e non si presentò come candidata consigliera. Sulla stampa si qualificava però come “delegata nazionale alle politiche per l’occupazione giovanile Labdem-Pd”.

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    Renzi e Saladino

    Nel 2016, in piena epoca di Pd renziano, Saladino lo abbraccia con fervore. «La passione per la bella Politica ed il rivedersi nella linea del Leader del proprio partito è un mix esplosivo di energia positiva» scriveva nel 2016.
    «A mio modo di vedere, il PD che oggi guida Matteo Renzi è lontano dagli aumma aumma, quello che alle Europee 2014 ha segnato percentuali uniche nella storia, proprio grazie al segnale di cambiamento anche nella classe politica esposta in prima linea, voluta da Matteo Renzi e dal PD», continuava nelle sue dissertazioni a favor di stampa.

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    Saladino referendaria

    La fede renziana che l’ha portata ad entrare nel coordinamento nazionale “Basta un SÌ Roma” a favore del referendum costituzionale Renzi-Boschi. «Quale componente del Coordinamento Nazionale dei Comitati del SÌ, dalle voci di notevole impegno territoriale che giungono da ogni parte di Italia, ritengo, inviare alle Regioni Meridionali, che ho rappresentato alle Europee 2014, ai tanti elettori che mi hanno sostenuta, alle tante realtà sociali con cui mi sono confrontata in questi anni, l’appello a votare un SÌ convinto alla Riforma Costituzionale, per non perdere questa grande occasione, garantirci futuro e prospettiva d’avvenire», scriveva Saladino in una lettera aperta.

    Una calabrese per Emiliano

    Nel 2017 Saladino consolida però il rapporto con il più anti renziano dei democrat: Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia ed ex sindaco di Bari.
    Tant’è che quando presentò alla Camera dei Deputati l’associazione politico-culturale Piazza Dem, da lei presieduta, al suo fianco c’era proprio Emiliano. La Saladino lo definì «indiscusso e forte riferimento del Mezzogiorno d’Italia».
    Pochi mesi dopo si tenne la “Cerimonia federativa tra Fronte Democratico di Michele Emiliano e Piazza Dem di Maria Saladino”.

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    Un selfie ricordo con lo smemorato Maurizio Martina

    Un amore spezzato in poco meno di un anno, il loro. Alle primarie nazionali del Pd la Saladino si candidò (ottenendo lo 0,9%), mentre Emiliano sostenne il favorito Nicola Zingaretti.
    Giova ricordare che nella sfida finale alle urne delle primarie tra Zingaretti e l’ex ministro dell’agricoltura Maurizio Martina la Saladino sostenne quest’ultimo. Che, però, pochi mesi prima aveva dichiarato a La7: «Mi sfugge il nome della sesta candidata alle primarie del Pd».

    Coerenza innanzitutto

    Nel 2020 Maria Saladino, che occupava la casella di componente dell’assemblea nazionale del Pd a seguito delle primarie, è stata capolista per il collegio di Cosenza alle elezioni regionali calabresi a sostegno di Pippo Callipo (e contro il M5S).
    A sostenerla c’era Nicola Oddati, coordinatore dell’iniziativa politica del Pd nazionale e plenipotenziario del segretario Nicola Zingaretti nel Mezzogiorno (e recentemente coinvolto in una inchiesta su un presunto scambio di favori a Pozzuoli). Arrivò ottava su nove candidati del Pd, con 1.572 preferenze personali.

    Pochi mesi dopo venne inserita dall’allora commissario regionale del Pd, Stefano Graziano, nel coordinamento regionale del Partito.
    «Meditate, compagne e compagni, mentre alcune esprimono, ancora, pretese e chiedono poltrone, c’è chi crede in questo PD, non per opportunismo e senza chiedere prebende (…) Ora è arrivato il momento di stringersi attorno al Partito ed al Segretario Nazionale Nicola Zingaretti, non di cavalcare le verdi praterie di chi ha, senza vergogna, portato il consenso elettorale del 2018, degli elettori democratici, alla corte della Lega. È giusto invece chiedere coerenza». Queste le parole di Saladino all’Ansa nel marzo del 2021, poco prima della folgorazione pentastellata.

    Un berlusconiano “nerazzurro”

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    Pasquale Saladino con Alessandra Mussolini – 2007

    Il padre della ex democrat, ora pentastellata, è stato assessore comunale a Castrovillari con il Psi e due volte candidato sindaco con Forza Italia.
    Nel 2002, da candidato perdente (ottenne il 12,4%) divenne consigliere comunale e capogruppo dei Berluscones. Due anni dopo non gli riuscì l’elezione alla provincia di Cosenza, sempre tra le fila degli azzurri. Nel 2007 non venne rieletto nemmeno consigliere. Ottenne il 5,8%, venendo sostenuto anche da Alternativa per la Calabria con candidata capolista Alessandra Mussolini.
    «Castrovillari ha bisogno di ritrovare il sorriso» disse la Mussolini a sostegno di Saladino, alla presenza anche del leader di Forza Nuova, Roberto Fiore.
    Insomma, tra il passato renziano di Maria Saladino e quello berlusconiano del padre, c’è materia per far discutere i grillini più ortodossi.

  • Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

    Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

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    L’Europa è grande e il Qatar è lontano, verrebbe da dire con una battuta.
    Che, tuttavia, non vale nella società globale, come dimostra il recente scandalone che ha colpito l’eurogruppo socialista.
    Riformuliamo: l’Europa è grande e il Qatar è più vicino di quanto non si pensi. E questa vicinanza lambisce anche la Calabria. Per fortuna, la lambisce soltanto.

    Un Cozzolino è per sempre

    Le ultime notizie sul Quatargate riguardano, com’è più che noto, il napoletano Andrea Cozzolino, rieletto per la terza volta all’Europarlamento nel 2019, con 81.328 preferenze.
    Il suo ruolo nello scandalo delle mazzette islamiche non è definito, stando a quanto trapela dalle cronache. E, per elementare garantismo, ci si augura che risulti estraneo ai fatti, che comunque lo sfiorano.
    Ma gli inquirenti belgi, pensano che sotto ci sia qualcos’altro. Altrimenti non avrebbero chiesto la revoca dell’immunità parlamentare, che tra l’altro il Pd è prontissimo a votare.

    Eva Kaili

    Il cerchio magico

    Cozzolino è finito nel tritacarne essenzialmente per il suo rapporto con Francesco Giorgi, uno dei principali indagati e compagno di Eva Kaili, la ex vicepresidente del Parlamento Europeo finita per prima nei guai.
    Giorgi vanta una lunga carriera nel sottobosco dorato dei portaborse europei: ha iniziato come segretario di Antonio Panseri, anche lui tra i principali indagati, ed è passato, dal 2019 in avanti, alla corte di Cozzolino col ruolo di assistente accreditato.
    Tradotto in parole povere: non come collaboratore del gruppo ma della persona.
    Resta legittima una domanda: basta una vicinanza a rendere sospetta una persona? Forse no. E, in effetti, il teorema per cui Cozzolino potrebbe essersi sporcato di fango solo perché datore di lavoro di chi il fango lo maneggiava regge male.
    Ma c’è da dire che l’inchiesta belga non è partita da una “normale” operazione di polizia, ma è la traduzione giudiziaria dei rapporti degli 007.

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    Francesco Giorgi, assistente di Cozzolino e compagno di Kalili, anche lui nei guai

    Cozzolino e la Calabria

    L’eventuale allargarsi dell’inchiesta su Cozzolino chiarirà i reali sospetti sull’eurodeputato.
    Dai dubbi giudiziari alle certezze della politica, sono invece palesi i rapporti tra Cozzolino e la vecchia dirigenza del Pd Calabrese, che nel 2019 è ancora un gruppo forte di potere.
    Lo provano anche i consensi ottenuti da Cozzolino in Calabria: 21.570, circa un quarto degli 81mila e rotti complessivi.
    Ancora: questi 21mila e rotti diventano più vistosi se paragonati a quelli ottenuti da Cozzolino in Campania: 37mila circa.
    Non occorre essere esperti in statistica per capire che il Pd calabrese si sia mobilitato alla grande in favore dell’eurodeputato napoletano.

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    Cozzolino durante una recente visita in Calabria

    I grandi elettori

    Parliamo del Pd calabrese del 2019, che ancora amministra e tiene ben saldi i cordoni della borsa.
    Tra i grandi sostenitori di Cozzolino figurano ex big del livello di Carlo Guccione e Nicola Adamo. E, sostengono i bene informati, anche Mario Oliverio avrebbe fatto la sua parte. A scorrere l’elenco, si ha l’impressione di un partito di fantasmi, perché il potere di allora è semplicemente evaporato.

    L’altro segretario

    La forza del rapporto tra Cozzolino e la Calabria, in particolare il vecchio zoccolo duro del Pd cosentino, emerge da un altro nome: Vittorio Pecoraro, l’attuale segretario provinciale dei Dem cosentini.
    Pecoraro, formatosi a Roma, inizia la sua carriera come renziano al seguito di Stefania Covello. Poi prende la via di Bruxelles. Manco a farlo apposta, sulle ginocchia di Cozzolino, con il medesimo ruolo di Giorgi. Cioè come segretario accreditato.
    Nel 2021, tuttavia, il giovane cosentino lascia la struttura europea e passa a Invitalia.
    Siccome Roma è più vicina a Cosenza di Bruxelles, Pecoraro si mette a disposizione del partito, che punta su di lui per mettere fine al commissariamento con un congresso travagliato (e un po’ bizzarro).

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    Vittorio Pecoraro

    Largo ai giovani

    Quella di Pecoraro non è una scelta della base. Ma è dovuta, in buona parte, all’esigenza politica di curare il legame con l’eurodeputato, che in proporzione agli elettori, ha preso più voti da noi che a casa sua.
    Infatti, i risultati elettorali del giovane segretario sono stati piuttosto deboli: i suoi 28mila e rotti consensi ottenuti alle ultime politiche grazie alla coalizione a quattro guidata dal Pd, lo hanno piazzato terzo dopo la grillina Anna Laura Orrico e l’azzurro, anzi gentiliano, Andrea Gentile. E c’è di peggio: Gentile jr non si è limitato a superare Pecoraro ma, addirittura, lo ha doppiato coi suoi 65mila e rotti voti.

    Il legame vacilla

    A questo punto è lecito chiedersi: che succederà, ora che Letta ha scaricato Cozzolino? A livello giudiziario, niente.
    A livello politico, invece, emerge un paradosso: un ex uomo di Cozzolino guida una segreteria importante di un partito pronto a considerarsi parte lesa anche dall’eurodeputato, se del caso.
    Non resta che aspettare, con una buona dose di garantismo e di scaramanzia gli sviluppi del pasticciaccio europeo. Che, forse, non travolgerà politicamente il Pd calabrese solo perché è già travolto di suo.

  • Sanità liquida in Calabria: dove i privati hanno il monopolio

    Sanità liquida in Calabria: dove i privati hanno il monopolio

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    Il concetto di “liquidità” che caratterizza la nostra epoca è stato brillantemente elaborato dal sociologo Zygmunt Bauman. Secondo Bauman, la contemporaneità offre ai cittadini sempre meno riferimenti e certezze, mentre anche i diritti fondamentali soccombono alle regole del libero mercato. La sanità pubblica in Calabria è un ottimo esempio di passaggio dallo stato solido allo stato liquido. Prima di altre Regioni, in Calabria si è avviato il processo di “alleggerimento” dell’intero comparto sanitario, anteponendo i principi contabili al diritto alla cura.

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    Zigmunt Bauman, sociologo e teorico della società liquida

    Il sistema sanitario calabrese, già lontano dall’eccellenza, è stato sottoposto ad una pesante cura dimagrante fatta di chiusure, tagli lineari, depotenziamenti e blocco delle assunzioni, che – tra l’altro – non ha affatto migliorato la situazione finanziaria. Tra gli effetti di questi processi, le strutture sanitarie, sempre più a corto di personale e macchinari efficienti, hanno visto crescere le liste d’attesa fino a negare la possibilità di curarsi tempestivamente. In un contesto di grande incertezza e smarrimento, un cambiamento (forse irreversibile) è avvenuto: la sanità privata ha monopolizzato il “mercato” degli esami diagnostici e delle visite specialistiche.

    Fare sistema o fregare il sistema?

    La favola del pubblico e del privato che in ambito sanitario “fanno sistema insieme” si fa sempre più fatica a raccontarla (ed ascoltarla). I massimalisti del neoliberismo vorrebbero addirittura un mercato concorrenziale tra sanità pubblica e sanità privata, delegando il potere di scelta ai pazienti-consumatori. Le ambiguità e le contraddizioni di un approccio di questo tipo sembrano evidenti: come può il diritto universale alla salute conciliarsi con le logiche del profitto e la volubilità del mercato? Nell’ultimo ventennio si è già assistito al perverso tentativo di aziendalizzare la sanità pubblica, creando un sistema ibrido che stimola la commercializzazione della salute e che restituisce dei risultati non proprio incoraggianti.

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    L’ex presidente della Regione e commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti

    La cura Scopelliti

    La cura Scopelliti, basata sullo smantellamento degli ospedali territoriali con la promessa (mai realizzata) di creare strutture assistenziali intermedie, ha aperto voragini nell’offerta dei servizi erogati dalla sanità regionale. Nelle strutture pubbliche, come soluzione alle conseguenti lunghe liste d’attesa, la prassi è divenuta re-indirizzare i pazienti verso la sanità privata convenzionata, che si è posizionata in maniera predominante sul mercato. Essendo parte integrante ed adottando la stessa tariffazione del Sistema sanitario regionale (comprese le esenzioni ticket), le organizzazioni della sanità privata non perdono occasione per ribadire il loro soccorso alla sanità pubblica, musica per le orecchie di quelli che “ben venga il privato, se il pubblico non funziona”.

    Sanità, Calabria nel gioco dei privati

    L’impatto con la realtà avviene quando le strutture private convenzionate raggiungono il tetto delle prestazioni annuali rimborsate dalla Regione ed allora, o chiedono al paziente di pagare il prezzo intero, o decidono di sospendere temporaneamente i servizi, alimentando così una sorta di circolo vizioso. La sanità privata convenzionata, tra l’altro, ha la facoltà di scegliere à la carte quali prestazioni erogare, pertanto, si concentra negli ambiti che richiedono un numero esiguo di personale qualificato ed un rimborso conveniente da parte della Regione. Tutte logiche che mal si conciliano con il principio universalistico del diritto alla cure.

    L’emorragia di personale sanitario

    Una delle principali motivazioni del collasso della sanità pubblica calabrese è sicuramente la penuria di personale: tra 2009 ed il 2020, il blocco delle assunzioni ha provocato una diminuzione del 18% del personale sanitario pubblico, che equivale a 2.674 operatori in meno. In aggiunta alla migrazione sanitaria dei pazienti, anche medici ed infermieri, stanchi di doppi turni e vessazioni, hanno avviato un esodo verso altre Regioni e verso la sanità privata convenzionata, che, nello stesso periodo, ha visto aumentare il personale sanitario del 15%.

    https://icalabresi.it/fatti/sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero/
    L’ex ministro della Salute, Roberto Speranza con Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria

    Il limite delle assunzioni

    Ai rigidi paletti fissati dal Piano di Rientro si è aggiunta la negligenza dei commissari ad acta, che non si sono preoccupati di assumere neanche quando i parametri statistici lo avrebbero permesso. Gli effetti a medio-lungo termine saranno forse irreversibili. Scarso appeal della Regione e concorsi che vanno “a vuoto” rappresentano il mantra del commissario Occhiuto, ma neppure una inversione di tendenza ed una maggiore attrattività permetterebbero alla Calabria di recuperare il terreno perso. Infatti, anche il nuovo ministro della Salute Orazio Schillaci ha confermato di non voler mettere mano al limite delle assunzioni che fissa il tetto massimo del personale sanitario ai livelli del 2018, prevedendo dal 2025 una riduzione della spesa sanitaria fino ai livelli pre-Covid.

    Il PNRR? Altro passo verso la privatizzazione

    Le misure finanziate dalla Missione 6 del PNRR non preannunciano alcun cambio di passo, la sanità pubblica sembra destinata ad essere travolta da una aggressiva privatizzazione dell’intero sistema. Infatti, gli investimenti sull’edilizia sanitaria e sull’acquisizione di apparecchiature, lasciano scoperto il nervo del capitale umano. Affinché il PNRR sortisca qualche effetto positivo bisognerà reclutare molte unità supplementari di personale sanitario, ma nulla si prevede in questo senso.

    In Calabria, la nuova geografia sanitaria prospettata dal Piano del commissario Occhiuto offre spunti per nuove incertezze: una programmazione nell’ottica di “portare a casa” risorse da iscrivere sui capitolati di bilancio, piuttosto che sull’analisi dei fabbisogni sanitari e dello status quo delle strutture esistenti.

    Sanità, la Calabria a conti fatti

    I numeri rendono difficile immaginare un funzionamento immediato ed a pieno regime delle nuove strutture assistenziali territoriali. 61 Case di Comunità e 20 Ospedali di Comunità da attivare entro il 31 dicembre 2026, traguardo assai improbabile se si pensa che, nella maggior parte dei casi, non esiste neppure uno studio di fattibilità preliminare per la realizzazione delle opere. La messa in funzione delle nuove strutture assistenziali richiederebbe inoltre diverse unità supplementari di personale: a conti fatti, (al netto del personale da integrare negli ospedali propriamente detti) bisognerebbe inquadrare almeno 350 infermieri e 120 operatori socio sanitari, senza contare medici, assistenti sociali e personale amministrativo.

    L’impossibilità di attivare i servizi con risorse proprie potrebbe spingere la Regione ad affidarsi ancora di più ai privati. Infatti, un particolare non trascurabile è che gli ospedali di comunità e le case di comunità sono modelli particolarmente affini ai settori che la sanità privata convenzionata predilige: riabilitazione, esami diagnostici e visite specialistiche. Ad altre latitudini già si osserva questa dinamica: la Regione si occupa dell’edilizia sanitaria ed i servizi vengono affidati a cooperative, medici a gettone e sanità privata convenzionata, una modalità ormai collaudata per “fare sistema insieme”, mentre l’accesso alle cure, sempre più liquido, inizia già ad evaporare.

    Enrico Tricanico

  • Guarascio, che batosta a Reggio: salta l’appalto da quasi 120 milioni

    Guarascio, che batosta a Reggio: salta l’appalto da quasi 120 milioni

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    Tempi duri per Eugenio Guarascio. A Cosenza, come presidente della locale squadra di calcio deve fare i conti con le contestazioni dei tifosi. A Reggio Calabria, invece, ha visto sfumare un appalto da quasi 120 milioni di euro potenziali che, soltanto pochi mesi fa, considerava ormai cosa sua. Ecologia Oggi Spa, l’azienda del patron rossoblu, non si occuperà infatti della raccolta dei rifiuti in riva allo Stretto, come pure la ditta dell’imprenditore lametino aveva dichiarato con una nota a fine ottobre. La gestione della spazzatura reggina resterà di competenza della piemontese Teknoservice, che se n’era già occupata negli ultimi tempi e continuerà a farlo per i prossimi 48 (che potranno diventare 60) mesi.

    L’appalto finisce in tribunale

    L’assegnazione a Teknoservice e non ad Ecologia Oggi del servizio è figlia di una lunga battaglia giudiziaria che ha visto pronunciarsi il Tar prima e il Consiglio di Stato poi. A scontrarsi, da un lato il Comune e l’azienda piemontese, dall’altro quella calabrese. Guarascio contava molto sull’aver fatto un’offerta migliore dal punto di vista economico. La cosa, però, non si era rivelata sufficiente perché da quello tecnico la proposta di Teknoservice risultava decisamente superiore a quella dei rivali. Il problema per i piemontesi, però, era che la commissione chiamata a valutare le offerte e aggiudicare l’appalto non era stata sufficientemente accurata nel motivare le proprie valutazioni. E così, di fatto, le aveva rese contestabili.

    Teknoservice già al lavoro

    L’aggiudicazione definitiva dell’appalto, pertanto, era rimasta sub iudice. Teknoservice aveva iniziato a lavorare solo grazie a un’ordinanza emanata dal Comune per tamponare l’accumulo di rifiuti che la mancata assegnazione del servizio avrebbe comportato. Poi, nelle scorse settimane, la sentenza del Consiglio di Stato sembrava aver riaperto i giochi per Ecologia Oggi. In realtà, le cose non stavano come Guarascio e i suoi avevano dichiarato. I giudici avevano sì respinto i ricorsi dei piemontesi e Reggio, ma anche chiesto al Comune di motivare meglio i perché della prima scelta pro Teknoservice. E le motivazioni sono arrivate: non c’erano difformità nell’offerta rispetto a quanto richiesto, come lamentava Ecologia Oggi.

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    Un mezzo della Teknoservice

    Il Comune conferma: l’offerta tecnica era regolare

    L’ulteriore istruttoria seguita alla sentenza ha consentito – si legge in una determina pubblicata a San Silvestro – di«affermare la validità dell’Offerta tecnica della Teknoservice srl, rispetto alle finalità prefissate dalla stazione appaltante, essendo stato dimostrato, in punto di equivalenza funzionale e di effettiva idoneità al conseguimento dei prefissati obiettivi di raccolta differenziata, che le modalità di raccolta ivi proposte soddisfano pienamente le indicazioni operative recate dalla lex specialis (che di per sé ammetteva varianti ed ottimizzazioni rispetto al progetto posto a base di gara, purché funzionali agli obiettivi dell’Amministrazione comunale».

    Costa meno, ma Ecologia Oggi è fuori

    Quanto proposto da Teknoservice, insomma, non sarà economico quanto il progetto di Ecologia Oggi (il ribasso rispetto alla base d’asta si ferma a un 1,08%) ma decisamente più efficace rispetto alla concorrenza per ottenere i risultati auspicati dell’amministrazione reggina. «Tant’è vero – si legge ancora nell’atto del Settore Ambiente – che la considerevole diversità quali-quantitativa delle due offerte tecniche si traduce in un forte distacco nei punteggi attribuiti ad esse (59,480 per Teknoservice Srl contro 46,218 per Ecologia Oggi Srl)».

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    Un estratto dell’atto che assegna l’appalto a Teknoservice

    Non esistono, quindi, motivi ostativi all’aggiudicazione della gara, i precedenti rilievi risultano sanati dall’istruttoria extra. A raccogliere i rifiuti per i prossimi 4 anni sarà dunque Teknoservice, in cambio di circa 93,5 milioni di euro, oneri di sicurezza inclusi. Ai quali si aggiungerà un’ulteriore ventina abbondante di milioni nel caso il contratto sia esteso a un quinto anno.

  • Corruzione: per il Viminale solo il Molise peggio della Calabria

    Corruzione: per il Viminale solo il Molise peggio della Calabria

    Reati corruttivi, la Calabria seconda regione in Italia per denunce e reati commessi secondo il report del Viminale relativo al 2022. Parlando del fenomeno sarebbe, ovviamente, riduttivo analizzare solo lo specifico delitto definito dal legislatore come “corruzione”. Come spiegano gli esperti del Viminale, meglio fare riferimento ad una pluralità di reati che vengono considerati come espressione di atti corruttivi o, comunque, rientranti nel concetto della corruzione.

    Non solo corruzione: le 4 categorie nel report

    Il dossier del ministero dell’Interno, a cura del Servizio analisi criminale, ha preso in considerazione dodici fattispecie di reato che ruotano intorno a 4 aree principali: corruzione, abuso d’ufficio, peculato e concussione.  Il Servizio analisi criminale elabora studi e ricerche sulle tecniche di analisi, sviluppa progetti integrati interforze. Utilizza inoltre gli archivi elettronici di polizia e li pone in correlazione con altre banche dati. Monitora, infine, i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle procedure di appalto di lavori attinenti la realizzazione di grandi opere, grandi eventi, attività di ricostruzione e riqualificazione del territorio.

    Corruzione et similia: la Calabria ai vertici nazionali

    L’analisi prende in considerazione un periodo di tempo ampio, che va dal 2004 al 2021. La media nazionale di reati corruttivi commessi ogni 100mila abitanti è pari a 10,03. La Calabria ne registra più del doppio – 23,32 – e nella classifica generale si piazza così al secondo posto. Peggio fa solo il Molise, mentre dal gradino più basso del podio in giù troviamo Basilicata, Lazio e Campania.

    Anche nelle sottoclassifiche la Calabria tiene purtroppo alto il suo nomignolo, risultando sempre ai primi posti (in negativo). Nel capitolo concussione (articoli 317, 319 quater del codice penale) la Calabria è terza, dietro a Basilicata e Campania. In quello che si riferisce alla corruzione (articoli 318, 319, 319 ter, 320, 321, 322, 346 bis, del codice penale) la Calabria risulta terza, dietro a Molise e Umbria. Per quanto riguarda il peculato (articoli 314, 316 del codice penale) la regione Calabria è quinta, dietro a Molise, Toscana, Sicilia e Lazio. E infine per l’abuso di ufficio (articolo 323 del codice penale) la Calabria è seconda, dietro alla Basilicata. I dati si riferiscono, come detto, a reati e denunce per ogni 100mila abitanti monitorati.

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    Numero di delitti commessi e segnalazioni riferite a persone denunciate e/o arrestate nella regione Calabria in violazione delle norme contro la Pubblica Amministrazione previste dal Codice Penale

    Qualcosa di positivo c’è

    Ci si può consolare, forse, con le conclusioni del report. Secondo lo studio del Viminale – salvo il peculato e l’abuso d’ufficio, sostanzialmente stabili da quasi vent’anni –  siamo di fronte a «una generale tendenza alla diminuzione della specifica delittuosità». Certo, «tali risultanze non possono essere considerate definitive», anche perché non si può sottovalutare la «indubbia rilevanza della parte sommersa del fenomeno». Ma resta comunque un «andamento tendenzialmente decrescente nel tempo per i vari indicatori».
    La strada verso tassi di legalità maggiori, in Calabria più che altrove, appare ancora lunga e complessa, insomma, ma qualche segnale positivo c’è.

  • Cardeto, quando vince il cibo dei resistenti

    Cardeto, quando vince il cibo dei resistenti

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    Capita sempre più spesso che a Cardeto arrivino turisti. Una volta chi parlava straniero era un emigrante che aveva quasi dimenticato la strada di casa, non i suoi profumi. Oggi succede di incrociare giapponesi, tedeschi: molto spesso si perdono al bivio che sta all’ingresso del paese. A sinistra si va verso l’Aspromonte, a destra si scende verso la sponda destra del torrente Sant’Agata, terra di cardi e di greco antico.

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    Giovanna, Marcello e Irene, la famiglia de Il tipico calabrese

    Un motivo per questo via-vai c’è, un piccolo ristorante a metri zero, perché l’orto è proprio accanto. Si chiama Il Tipico Calabrese, ed è gestito da Giovanna Quattrone e Marcello Manti. Lui faceva il graphic-designer nelle Marche e poi ha deciso di tornare. Lei è la grande custode delle tradizioni di famiglia.

    Cardeto su TasteAtlas

    Ora che il loro nome è apparso nelle classifiche mondiali di TasteAtlas, con un lusinghiero 4,8 su 5, forse è il caso di rileggere loro storia, esempio di Calabria resistente, attenta alla memoria e alla cultura contadina, con un piede nel futuro. Io l’ho raccontata nel libro A sud del Sud, ma ogni volta si arricchisce di nuovi capitoli.

    È Cardeto un paese di castagneti a filiera con pianori a nord e a sud, fagioli, grano e pere dai mille nomi. Solo Marcello vi spiega le differenze fra una e l’altra, e vengono in mente quei frutti che facevano il profumo nelle case dei contadini, buon augurio nel giorno del matrimonio. E del resto in lingua grecanica capra e albero si possono dire in decine di modi, qui servirebbe Gerhard Rohlfs, il glottologo tedesco che faceva da interprete fra i calabresi di valli diverse.

    Entrare al Tipico disorienta: potrebbe essere un Museo, una Biblioteca (Marcello ha una invidiabile collezione di libri sulla Calabria), una sala di musica dove gli strumenti antichi non sono impolverati ma usati spesso. La cucina? Lì Giovanna e Marcello vi tengono per mano stagione per stagione, la ‘nduja è l’unico prodotto non paesano, quei quaranta minuti che ci vogliono da Reggio non sono mai spesi male, anche per via del panorama. A poco a poco Il Tipico è entrato nelle guide di tendenza, premiato più volte da Slow Food. Ora, addirittura, TasteAtlas.

    I canti delle donne di Cardeto

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    Contadine calabresi (foto Alan Lomax)

    Resta una storia da ripetersi, fatevela raccontare da Marcello, perché ha una sua magia. Intorno al ‘53 arrivò a Cardeto dalla montagna uno scassato pullmino Volkswagen: a bordo c’erano Alan Lomax, l’antropologo che aveva scoperto Woody Guthrie, accompagnato dall’etno-musicologo Diego Carpitella.
    Avevano sentito parlare dei canti delle donne di Cardeto: loro ogni mattina per andare sui campi a lavorare ci mettevano due ore (quindi 4 a fine giornata). Lomax registrò quelle melodie per studiarle, offrendo dei soldi in cambio. Anche oggi c’è qualche vecchietta che dice: «Vu’ ricordati u’mericanu ch’ ‘ndi pavava m’ cantamu? Vi ricordate l’americano che ci pagava per cantare?».

    Il giro del mondo

    Poco prima della pandemia, nel gennaio 2020, Anna Lomax, figlia di Alan, anche lei antropologa, è tornata sulle tracce del padre, ha incontrato Marcello e gli ha consegnato i nastri originali. Ha detto: «Ora capisco perché mio padre tornava senza soldi in America». Dentro il ristorante c’è una targa, i canti di Cardeto – come quelli dei pescatori della tonnara di Vibo – sono così di nuovo a casa dopo aver fatto il giro del mondo.
    Grazie a quel 4,8, è il momento di fare un brindisi in musica.