Categoria: Fatti

  • Bianca, donna, cristiana: ma è Giorgia oppure la migrazione?

    Bianca, donna, cristiana: ma è Giorgia oppure la migrazione?

    «Ogni migrazione è un fenomeno che richiede risorse economiche, sociali e culturali, pertanto non tutti possono partire». Le parole di Maria Francesca D’Agostino, sociologa Unical che si occupa di migrazioni e cittadinanza globale, costringono a rivolgere uno sguardo più attento verso il fenomeno migratorio. Uno sforzo ancor più necessario adesso che il clamore mediatico ed emotivo riguardo la tragedia di Cutro si sta spegnendo, malgrado il mare continui a restituire corpi dei migranti naufragati.

    Una piccolissima parte di umanità

    «Chi riesce a partire – spiega Maria Francesca D’Agostino – rappresenta una piccolissima parte di quella umanità che avrebbe motivo di scappare». La domanda che l’Occidente e l’Italia devono porsi non deve riguardare il come gestire questi flussi. Ma, paradossalmente, perché siano così pochi quelli che arrivano, considerata la diffusione su scala globale di conflitti nuovi e vecchi e ingiustizia sociale.

    dagostino-maria-francesca-migrazione-unical
    Maria Francesca D’Agostino (Unical)

    «Se guardiamo le situazioni di conflitto – prosegue la studiosa – vediamo come questi non generino esodi, ma sfollamenti all’interno del paese in guerra. A poter scappare da luoghi di insicurezza sono generalmente appartenenti ai ceti medi, mentre i flussi migratori causati dalla povertà, spingono per esempio i contadini verso i margini delle megalopoli».

    La migrazione è una scommessa

    Va da sé che per scappare in quel modo si deve essere disperati. Tuttavia anche in questo emerge una sorta di stratificazione che marca le disuguaglianze.
    Per poter provare a sottrarsi all’orrore occorre avere le risorse necessarie, nel caso dei migranti di Cutro migliaia di euro.
    Perché mai attraversare il Mediterraneo affrontando tanti pericoli pur disponendo di adeguate risorse economiche allora? La risposta è da cercarsi nelle severe normative che sostanzialmente negano canali legali d’ingresso nel nostro Paese. La partenza è una crudele scommessa dove ci si gioca tutto quel che si ha, compresa la vita stessa, per provare a fuggire dal luogo dove non si può più stare.

    tragedia-cutro-diario-pellegrinaggio-laico
    Fiori sulla spiaggia della tragedia a Steccato di Cutro (foto Gianfranco Donadio)

    Migranti economici e rifugiati politici

    Ma da dove ha origine la chiusura sistematica che l’Occidente ha praticato verso i flussi migratori? Essenzialmente dalla distinzione, spesso arbitraria, tra migranti economici e rifugiati politici. L’ingresso dei primi ingresso era legato alle esigenze produttive dell’Europa; gli altri erano tutelati dalla Convenzione di Ginevra, che prevedeva l’obbligo di accoglierli.

     

    Conclusa la Guerra fredda, si è scelto di tenere lontani anche i richiedenti asilo. Che così sono finiti confinati in campi profughi nei pressi dei luoghi di conflitto, con l’alibi di dare priorità al loro teorico rimpatrio a conclusione dei conflitti. «In realtà non si è quasi mai stati capaci di garantire loro il ritorno a casa per via del perdurare di conflitti. Ci si è limitati a parcheggiare enormi numeri di persone in luoghi di confinamento umanitario e periferizzazione sociale in aree di degrado totale», racconta Maria Francesca D’Agostino.

    Il grande inganno: la migrazione bianca, donna e cristiana

    Attorno al fenomeno complesso delle migrazioni è stato costruito con meticolosa pazienza e notevole efficacia un grande inganno. La convergenza di diversi interessi ha dato vita a una sorta di distorsione cognitiva collettiva. E così si è generalmente persuasi che la fortezza Europa e la trincea Italia siano sotto assedio e minacciati da un imponente esodo proveniente dall’Africa sub sahariana. «Se guardiamo i flussi migratori – spiega D’Agostino –  scopriamo che solo una piccola parte è rappresentata da rifugiati politici provenienti a Paesi dilaniati da conflitti. La maggioranza viene dall’Est Europa».

    donne-est-migrazione
    Donne dell’Est in cerca di un impiego

    Insomma: la migrazione che guarda all’Italia è bianca, cristiana e femminile. Dovrebbe essere maggiormente rassicurante, rispetto allo spauracchio costruito attorno all’uomo nero. Invece le dinamiche di respingimento, pregiudizio e razzismo restano intatte. È sempre la sociologa dell’Unical a spiegare che si tratta di donne provenienti dall’Ucraina, dalla Romania, dalla Bulgaria. Devono affrontare situazioni analoghe ad altre forme di migrazioni, cioè sfruttamento lavorativo, disagio abitativo, impoverimento e marginalizzazione.

    Alla Piana dell’Est

    Condizioni che pure noi meridionali abbiamo conosciuto quando ad emigrare eravamo noi, «perché siamo tutti vittime di processi di sviluppo che producono disuguaglianze sociali. Anche sulle donne dell’Est Europa si riversa l’effetto delle politiche criminalizzanti che generano effetti di violenza razzista».

    Piana_Sant'Eufemia_-_Panorama
    La Piana di Sant’Eufemia vista da Sud

    In Calabria, nella Piana di Sant’Eufemia per esempio, l’intero settore agricolo si basa sulla presenza delle donne dell’Est. Non basta loro avere un documento di soggiorno in regola, oppure essere cittadine europee per non essere trattate come minoranze non nazionali e dunque per scampare a forme di razzismo. Perché agli occhi di troppi italiani lo straniero resta un invasore e un abusivo.

  • Sanità: c’è l’accordo tra ‘Ndrangheta e Regione

    Sanità: c’è l’accordo tra ‘Ndrangheta e Regione

    L’intesa era nell’aria e oggi, primo aprile, è arrivata l’ufficialità: sarà la ‘Ndrangheta a gestire per conto della Regione la Sanità in Calabria. Il lungo periodo in coabitazione non pare, infatti, aver risolto gli annosi problemi del settore. Il mondo della politica e quello della criminalità locale hanno studiato a lungo il deficit del sistema sanitario calabrese per arrivare, infine, alla più logica delle conclusioni: Azienda Zero ha concluso quanto Cotticelli finora e gli unici ad avere abbastanza denaro per tappare il buco nei conti degli ospedali pubblici da queste parti sono i clan.

    Sanità dalla Regione alla ‘ndrangheta: le prime reazioni in Calabria

    L’accordo ha la benedizione della Madonna di Polsi, per la gioia della Chiesa, e del Consiglio regionale, con le segreterie di tutti i partiti a inondare le redazioni di comunicati sul rafforzamento della storica partnership tra ‘ndrine e eletti calabresi. Laconico il commento della massoneria deviata: «A noi non cambia nulla».

    firma-sanita-ndrangheta-regione-calabria
    La sigla dello storico accordo

    Timori, al contrario, nel mondo della sanità privata: il nuovo ruolo di un concorrente esperto come la ‘Ndrangheta nel ramo delle doppie fatturazioni rischia di privare gli imprenditori del loro storico monopolio del settore. I contabili di cliniche e clan sono già al lavoro, comunque, per trovare un’intesa accettabile per il futuro.

    Previsto nei prossimi giorni un incontro in Cittadella tra rappresentanti della Santa e stakeholders. Fonti qualificate preannunciano l’apertura imminente di un tavolo tecnico e la firma di un protocollo di illegalità in un appartamento dei Servizi segreti.

    Più ‘ndrangheta, meno Regione: cosa cambia per la Sanità in Calabria

    Stando alle prime indiscrezioni, non dovrebbero registrarsi troppe novità amministrative: i concorsi resteranno truccati, si procederà a gran parte di assunzioni e promozioni sempre e solo per amicizia o clientela e il costo dei dispositivi medici manterrà un prezzo superiore a quello delle altre regioni italiane. Nella scelta dei professionisti su tutto il territorio, però, saranno i clan ad avere la precedenza sui politici, invertendo così il trend degli ultimi anni di commissariamento.tiratore

    Il fenomeno dell’emigrazione sanitaria, costato finora centinaia di milioni di euro all’anno, dovrebbe ridimensionarsi, invece, grazie all’utilizzo di cecchini appostati nelle vicinanze delle strutture extraregionali interessate, pronti ad abbattere i calabresi in trasferta prima del loro ingresso.

     

    Deficit e investimenti

    Serratissimo il cronoprogramma degli investimenti: il piano per la Sanità prevede che la ‘Ndrangheta versi una piccola parte degli introiti del narcotraffico per ripianare quei bilanci che la Regione fatica ad approvare alla luce del deficit accumulato nel tempo. Liquidato così il problema nel giro di una settimana, dalla successiva si partirà con la ristrutturazione degli immobili attraverso ditte di fiducia.

    Grazie al nuovo codice degli appalti approvato dal Governo, niente più lungaggini burocratiche: per i lavori di importo inferiore ai 150 milioni di euro basterà autocertificare di aver giurato fedeltà all’ente appaltante dando fuoco a un santino. Spazio, quindi, alla costruzione di 200 nuovi ospedali in punti a caso non ancora cementificati a sufficienza.

    massondrangheta

    Il Ponte può attendere

    Resta, invece, in bilico l’accordo per la costruzione del Ponte di Messina. Governo e Regioni premono per realizzarlo in fretta, ma la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra frenano: troppi gli uomini già impegnati altrove al momento per garantire personale, materiali e mezzi necessari anche per la maxi opera.

  • Questo rito non s’ha da fare? Il Comune, la Chiesa e il sangue del popolo

    Questo rito non s’ha da fare? Il Comune, la Chiesa e il sangue del popolo

    Quello che mai nessuna amministrazione eletta dai cittadini di Nocera Terinese aveva mai osato fare, è stato compiuto da una Commissione straordinaria.
    I commissari insediatisi dopo lo scioglimento del Consiglio comunale nel 2021, in un sussulto tardo illuminista hanno posto fine a una tradizione antichissima, quella dei Vattienti, le cui radici affondano nel ribollente calderone dei tempi, dove culture subalterne, fede religiosa e ritualità arcaiche si intrecciano e si sovrappongono in modo inestricabile. Prevedibilmente il malumore tra i noceresi è cresciuto rapidamente e a sostenere il disappunto popolare è Fernanda Gigliotti, ex sindaco di Nocera e avvocato.

    I Vattienti fuori da ogni giurisdizione?

    «Il rito dei Vattienti è da considerarsi fuori da ogni potere laico, sia amministrativo che giuridico, la disposizione del proprio corpo resta al di fuori della giurisdizione dei tribunali e degli enti di governo», sostiene l’ex sindachessa. Da legale, ha sconsigliato i Vattienti di ricorrere al Tar nel tentativo di annullare la decisione dei commissari amministrativi. «Ho spiegato loro che non conviene perché è nei poteri dei commissari assumere decisioni di questa natura, ma soprattutto perché rivolgersi al Tar avrebbe implicato riconoscere che il rito di cui sono protagonisti è subordinato all’autorità giudiziaria».

    In effetti la Gigliotti crede che i Vattienti non debbano dare conto nemmeno alla Chiesa, cui appunto non fanno parte. «Loro si autodeterminano e non hanno bisogno di autorizzazioni, anzi da cittadina io credo che debbano custodire il rito». L’invito dell’avvocato è quello di praticare la mortificazione della carne in forma privata, «esattamente come è avvenuto negli anni della pandemia, quando rispettando l’ordine di non uscire si sono flagellati in casa».

    «Nelle manifestazioni pasquali ancora oggi, nel Sud, si attuano una serie di modalità folkloriche che testimoniano la presenza di un cattolicesimo popolare con caratteristiche diverse dal cattolicesimo “ufficiale”», scriveva Luigi Maria Lombardi Satriani, spiegando come fede e tradizioni popolari trovassero una tacita coniugazione.

    vattienti-chiesa-non-ha-posizione-ufficiale
    Particolare dei Vattienti, i flagellanti di Nocera Terinese (foto Alfonso Bombini 2019)

    La Chiesa non ha una posizione ufficiale

    Eppure sul tema non pare esistere una posizione ufficiale della Chiesa, il cui sguardo su questi fenomeni è sempre stato paziente, senza però rinunciare all’impegno educativo. Un riscontro di questa posizione lo troviamo nelle parole di monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei e vescovo di Cassano, che spiega come pur mancando una posizione dogmatica, «non sono mai venuti meno attenzione e rispetto verso le tradizioni popolari e il loro modo di interpretare il rapporto tra uomo e Dio e specificatamente con la Passione di Cristo». Tuttavia subito dopo il vescovo azzarda una domanda che nella sua retoricità disvela quale deve essere la natura della relazione tra umanità e trascendenza. «Ma davvero Dio vuole che ci facciamo male nel rapporto con Lui? Davvero le mie gambe, il mio petto, devono sanguinare perché io possa mostrare la mia devozione?».

    vattienti-chiesa-non-ha-posizione-ufficiale
    Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei (foto Alfonso Bombini 2019)

    Monsignor Savino: il senso del dolore

    Va da sé che un cattolicesimo maturo risponderebbe di no a queste domande, che tuttavia meritano un approfondimento, perché come spiega don Savino esse pongono «il problema del senso del dolore, della fatica ineludibile del vivere, della fragilità del nostro corpo, cui non siamo chiamati ad aggiungere altra sofferenza».
    Si trasformino dunque i pezzi di sughero dentro cui i Vattienti piantano cocci di vetro per flagellarsi il corpo in consapevolezze capaci di esigere giustizia e solidarietà per tutti. «Dobbiamo convertire il nostro sguardo versi gli ultimi, le persone che soffrono, verso le vittime delle mafie, del lavoro nero, dello sfruttamento».

    È sempre Lombardi Satriani a rammentarci come i «rituali della flagellazione evochino un retroterra in cui lo spargimento di sangue proprio o altrui, è considerato un atto utile a placare lo sdegno divino e a suscitare un intervento misericordioso». Mentre è sempre monsignor Savino che con le parole del Papa Francesco sottolinea come si «debba restare coerenti col Vangelo». Come dire che il primo atto misericordioso deve partire da qui, tra gli uomini.

  • Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Roberto Occhiuto come Saverio Cotticelli? Tra il nuovo commissario alla Sanità (nonché presidente della Regione) e il vecchio qualcosa in comune sembrerebbe esserci: la memoria.

    Quella del generale dei Carabinieri era proverbiale e lo ha reso celebre in tutta Italia: aveva dimenticato di guidare lui la Sanità durante il Covid e di dovere, per questo, redigere un piano su come affrontare la pandemia. I primi, vaghi, ricordi erano riaffiorati soltanto in un’epica intervista della Rai, coprotagonista un fantomatico usciere mai inquadrato. Cose che capitano. Giorni dopo, sempre in tv, Cotticelli per giustificarsi avanzò un’ipotesi stupefacente: qualcuno poteva averlo drogato a sua insaputa per confondergli la mente. Promise anche di indagare su se stesso e pare che l’autoinchiesta si sia conclusa senza rinvii a giudizio.

    Saverio-Cotticelli
    Lo stupore di Saverio Cotticelli per il dettaglio dimenticato

    Occhiuto, favorito anche da un’età inferiore rispetto al predecessore, vuoti di memoria di tale portata ancora non ne ha avuti per fortuna. Né, siamo certi, chiamerebbe in causa misteriosi pusher invisibili come ninja per giustificare i suoi. L’ultimo è arrivato proprio nelle scorse ore. E dietro pare esserci, più che una sostanza psicotropa, un morbo che, prima o poi, colpisce chiunque in politica: l’annuncite.

    Occhiuto e il robot Da Vinci dell’Unical…

    Il presidente Occhiuto aveva lasciato la Cittadella per celebrare l’arrivo del robot Da Vinci all’Annunziata grazie anche alla neoistituita facoltà di Medicina dell’Università della Calabria. Giusto esserci, visto che si tratta di «un investimento realizzato dall’Unical, con risorse messe a disposizione dalla Regione». L’apparecchio, d’altra parte, permetterà senza dubbio di «qualificare l’offerta sanitaria della nostra Regione e abbiamo bisogno che i saperi delle università contaminino l’intero sistema sanitario».

    Ma è proprio quando il clima è di festa che il virus dell’annuncite si insinua nei corpi delle sue vittime prendendo il controllo dei loro ricordi e annebbiandoli. E l’entusiasmo intorno al Da Vinci non ha lasciato scampo ad Occhiuto. «L’installazione di questo robot – ha sottolineato ormai preda del morbo – dà la possibilità al sistema sanitario regionale di offrire gli stessi servizi garantiti in altre Regioni. Finora chi doveva subire un intervento alla prostata era costretto ad andare fuori dalla Calabria, proprio perché il nostro sistema sanitario era sprovvisto di questo robot che ormai è ordinariamente utilizzato sia per questo tipo di interventi ma anche per altri che riguardano, ad esempio, la chirurgia toracica, oncologica o ginecologica».

    Al Gom dal 2016

    Il robot Da Vinci, però, tutto è meno che una novità per la Sanità calabrese e Occhiuto dovrebbe saperlo. Esiste e lo usano da diversi anni con successo al GOM di Reggio Calabria. Si parla di una delle eccellenze del disastrato sistema sanitario della regione, abbastanza poche da non poter sfuggire a chi lo governa.

    In una lunga e interessante intervista del giugno 2018 su Strill.it l’urologo Pietro Cozzupoli raccontava quanto Da Vinci fosse stato utile all’ospedale da quando – a novembre del 2016 – era entrato in servizio. Funziona così bene che ad operarsi a Reggio arrivano anche da fuori della Calabria. Lo ha fatto tempo fa finanche il cardinale Robert Sarah, pur non mancando al Vaticano strutture verso cui indirizzarlo. E, proprio nei giorni scorsi, il Corriere della Calabria ha riportato la notizia di un intervento chirurgico in urologia robotica al Gom che ha salvato la vita di un paziente oncologico guineano arrivato fino a Reggio per operarsi con il Da Vinci.

    Pietro-Cozzupoli
    Pietro Cozzupoli (foto CityNow.it)

    «Nella nostra struttura – spiegava il dottor Cozzupoli cinque anni faesistono già due equipe formate da quattro, cinque urologi in grado di eseguire interventi robotici e una equipe infermieristica con competenze multidisciplinari. Non solo, esistono già due altre equipe chirurgiche, di chirurgia generale e di ginecologia, che operano con il robot da Vinci. Perché il nostro robot è multidisciplinare, lavora su varie specialità».
    Ma quando il virus dell’annuncite è entrato in un organismo, non c’è chirurgo o robot che possa rimuoverlo.

  • Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Bilanci falsificati e assunzioni clientelari all’Asp di Cosenza, riparte il processo. L’esistenza di un presunto “sistema” di corruttele nell’azienda sanitaria ha portato dirigenti, funzionari e commissari della sanità calabrese al banco degli imputati. Ad accendere i riflettori sulle presunte anomalie amministrative sono state le centinaia di segnalazioni (su delibere, determine, contenziosi, atti ingiuntivi, soccombenze, fatturazioni ai privati) partite dal collegio sindacale.

    L’organo di controllo dal 2015 al novembre 2018 era composto da: Sergio Tempo in rappresentanza della Regione Calabria; Santo Calabretta (Ministero dell’Economia e delle Finanze); Sergio De Marco (Ministero della Salute); Nicola Mastrota, responsabile Ufficio Bilancio dell’Asp Cosenza. Tempo, unico dei membri del collegio a non essere confermato nel suo incarico dalla Regione Calabria allora guidata da Mario Oliverio, in qualità di presidente aveva puntualmente trasmesso i verbali con relativi rilievi sulle problematiche contabili alla Regione, al Mef, al Ministero della Salute e alla direzione dell’Asp di Cosenza. Venne però ignorato.

    regione-calabria
    La cittadella regionale di Germaneto

    Asp Cosenza, i verbali del collegio dei revisori

    I revisori del collegio sindacale dell’Asp di Cosenza, nei loro rilievi, mostravano preoccupazione per i 575 milioni di euro di debiti (su un valore della produzione di 1 miliardo e 200 milioni di euro) con crediti per almeno 80 milioni di euro che non erano stati cancellati per «evitare un più consistente risultato economico negativo».
    Voci (falsamente) in attivo che nel 2016 lievitano fino a diventare 94 milioni di euro. Nel bocciare il bilancio 2015 il collegio sindacale allertò gli organi competenti che all’Asp di Cosenza «la perdita sistemica degli ultimi bilanci di esercizio, – si legge nelle conclusioni della relazione del 29 maggio 2017 – denota squilibri strutturali del bilancio, in grado di provocare nel tempo il dissesto finanziario, se l’Ente non sarà in grado di adottare le misure necessarie».

    Mesi dopo il collegio, nel verbale n. 5 del 20 aprile 2018 rileva la persistenza al 31/12/2015 dello squilibrio finanziario, già rilevato nell’esercizio 2014, «in contrasto con una sana e ordinata gestione, situazione del tutto inconciliabile rispetto agli obiettivi di rientro programmati dal piano sanitario regionale».
    L’allarme con le dimostrazioni «dell’esistenza di una crisi irreversibile di liquidità» è ribadito nella Relazione al Bilancio Consuntivo del 2016 sul quale esprime parere contrario all’approvazione.

    Allo stesso modo, rilevando al 31 dicembre 2017 gli stessi squilibri finanziari del passato, il collegio sindacale sollecita approfondimenti «al fine di scongiurare il rischio della duplicazione di pagamenti e/o pagamenti non dovuti». E denuncia come l’Asp di Cosenza non sia in grado «di identificare con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati». Un’incertezza che «espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo pagamento». E si ripercuote ancora oggi, inevitabilmente, sulle capacità di garantire ai cittadini prestazioni sanitarie adeguate.

    Indagati dirigenti di Regione Calabria e Asp Cosenza

    Nessuno però sembrò accorgersi di quanto stesse succedendo ai piani alti dell’Asp di Cosenza, «perché non erano state scaricate le mail» (è la tesi difensiva di uno degli imputati). Poi, però, gli approfondimenti investigativi della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Cosenza diedero uno scossone. Il 5 febbraio 2021 sei tra dirigenti e funzionari dell’Asp bruzia e della Regione Calabria si videro applicare la misura del divieto di dimora (3 in Calabria e 3 a Cosenza). Nove, invece, gli avvisi di fissazione dell’interrogatorio a seguito del quale il gip Manuela Gallo decise di interdire dai pubblici uffici 7 indagati per un anno e altri due per sei mesi.

    Al termine delle indagini, nel novembre 2021, gli iscritti nel registro degli indagati furono 18. Le accuse a vario titolo per loro erano: abuso d’ufficio, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per 15 è arrivato il rinvio a giudizio nel processo ancora in corso presso il Tribunale di Cosenza. La prossima udienza si terrà il 14 aprile.

    tribunale-cosenza
    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Tra gli imputati, con il trascorrere del tempo, qualcuno è andato in pensione. Altri continuano a lavorare tra l’Asp di Cosenza e la Regione Calabria, ricoprendo ruoli simili a quelli che li hanno condotti alla sbarra.
    In teoria, non si potrebbe agire diversamente. I dirigenti sotto processo possono solo essere cambiati di ruolo, ma non rimossi. Altrimenti, in caso di assoluzione, spetterebbe loro un risarcimento.

    Le assunzioni anomale all’Asp di Cosenza

    Fidanzate privilegiate. Le relazioni sentimentali intrattenute, secondo la Procura di Cosenza, avrebbero favorito due donne assunte a tempo indeterminato negli uffici dell’Asp con la qualifica di dirigente. Si tratta di Giovanna Borromeo e Cesira Ariani. La prima è la compagna dell’ingegnere dell’Asp di Cosenza Gennaro Sosto. La Procura aveva richiesto anche per lui la sospensione dai pubblici uffici. Il gip ha rifiutato e Sosto, in seguito, è risultato estraneo ai fatti oggetto d’inchiesta. Borromeo fu prelevata dalla graduatoria di Catanzaro e nominata dirigente amministrativo all’Asp di Cosenza.

    Ariani invece era la dolce metà dell’allora dirigente generale Raffaele Mauro. Questi avrebbe indotto la commissione esaminatrice, da lui stesso costituita, a  conferirle l’incarico di responsabile dell’UOS Risk Management e governo clinico su proposta di Remigio Magnelli (direttore delle Risorse Umane dell’Asp di Cosenza) e previa verifica da parte di Fabiola Rizzuto quale responsabile del procedimento. Il tutto, però, «individuando criteri di selezione indebitamente discriminatori».

    Alle loro discusse nomine si aggiunge quella di Maria Marano, che pur non essendo laureata in Medicina ha ricoperto l’incarico di responsabile dell’unità Ausili e Protesi. Un ruolo che le ha consentito di firmare (e far firmare) anche gli impegni di spesa e il rilascio delle autorizzazioni per la fornitura di pannoloni, cateteri, traverse, materassi antidecubito, letti ortopedici, ecc..

    I bilanci falsificati all’Asp di Cosenza

    Sui bilanci 2015–2016–2017 dell’Asp di Cosenza, secondo la Procura, il “Sistema” si sarebbe attivato per attestare «falsamente fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità». Tra questi appaiono gli accantonamenti nel fondo rischi e la situazione di cassa rilevabile dalla sezione Disponibilità liquide dello Stato patrimoniale.
    In più, per garantirsi l’impunità, gli imputati avrebbero alterato (o fatto alterare) alcune voci di bilancio. Avrebbero utilizzato una serie di giroconti eseguiti al solo scopo di alleggerire artatamente la voragine delle perdite. E trucchetti, se confermati, ai limiti del puerile: 7 milioni di euro in rosso trasformati in “denaro disponibile” cancellando il simbolo meno davanti alla cifra.

    falso-in-bilancio-asp-cosenza

    Il nodo dei bilanci dell’Asp di Cosenza

    Intanto la mancata approvazione dei bilanci consuntivi relativi agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021 pesa come un macigno sulla contabilità dell’Asp di Cosenza. Che è quella più vasta della Calabria, quindi influenza la rendicontazione finanziaria della sanità dell’intera regione. Un concetto, questo, cristallizzato anche nelle intercettazioni captate durante le indagini: in una conversazione tra indagati gli inquirenti registrano la frase «se sballa Cosenza, sballa tutto», quasi i due presagissero un’apocalisse contabile.

    Dal canto suo, il nuovo commissario Antonio Graziano, in sella da maggio 2022, lo scorso settembre ha affermato di aver stornato debiti fittizi e crediti fasulli riuscendo così ad approvare il bilancio di previsione 2023, con tanto di avanzo di gestione.
    I conti però non tornano ai revisori. L’attuale collegio sindacale nel verbale ricco di omissis del 21 dicembre 2022 «in riferimento al Bilancio di Previsione anno 2023, esprime parere non favorevole, per come già evidenziato per i precedenti bilanci dal precedente Collegio».

    antonio-graziano-asp-cosenza
    Il nuovo commissario dell’Asp di Cosenza, Antonio Graziano

    I revisori, nel verbale, ricordano che «l’Azienda risulta sprovvista dei Bilanci relativi agli esercizi 2018/2019/2020/2021». E che «l’adozione dei predetti Bilanci è inscindibilmente propedeutica e collegata alla sistemazione e/o rimodulazione di importanti poste di bilancio, in particolare quelle debitorie». Ergo, hanno bocciato il documento contabile «non ritenendo le previsioni attendibili, congrue e coerenti col Piano di attività 2023, con i finanziamenti regionali nonché con le direttive impartite dalle autorità regionali e centrali».

    Gli imputati del Sistema Cosenza

    Nel frattempo il commissario Graziano continua a rimpinguare l’Asp procedendo con le 450 assunzioni annunciate. Ironia della sorte, a firmare bilanci e assunzioni sono, in parte, gli stessi imputati del Sistema Cosenza. Nei loro confronti, riferendosi in particolare a Remigio Magnelli, Fabiola Rizzuto e Maria Marano, il commissario Graziano nutre estrema fiducia: «Sono validissimi professionisti che lavorano, se ci sarà una sentenza ne prenderemo atto. Siamo garantisti. Collaborano con l’Asp di Cosenza, non hanno ricevuto promozioni, sono nello staff, non abbiamo altre risorse».

    Degli indagati che operano ancora nell’Asp bruzia solo le posizioni di Elio Pasquale Bozzo (direttore del distretto sanitario Cosenza–Savuto) e Alfonso Luzzi (collaboratore amministrativo professionale del settore Risorse Umane del distretto di Rossano) sono state archiviate. L’unico per il quale, invece, non è stata accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Mariangela Farro è l’ex commissario ad acta della Sanità calabrese, il generale Saverio Cotticelli.

    cotticelli
    Il generale Cotticelli
    • Raffaele Mauro

      Nato a Cosenza, classe 1954. Medico specializzato in Medicina Legale e Psichiatria, direttore generale dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018, nonché nei primi mesi del 2019. Attualmente a processo con l’accusa di abuso d’ufficio per la vicenda che riguarda i falsi precari dell’Asp di Cosenza assunti pochi giorni prima delle elezioni regionali del 2014 che ha portato al rinvio a giudizio di 142 indagati.

      Posizione attuale: Raffaele Mauro è in pensione dall’aprile 2019. Attualmente lavora in qualità di libero professionista in Lombardia, come psichiatra, in strutture ospedaliere attraverso le cooperative. Come ex direttore generale dell’Asp di Cosenza, non potrebbe, infatti, per legge operare per almeno tre anni nelle strutture accreditate con la stessa azienda sanitaria.

    • Luigi Bruno

      Nato a Cosenza, classe 1961. Laureato in Economia e Commercio con master in Management dei servizi sanitari. È stato direttore del personale e Responsabile Dirigente dei Rapporti Istituzionali del Centro di Riabilitazione socio/sanitaria Fondazione “Istituto Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello fino al 2006 quando la clinica lager fu oggetto di un blitz della Guardia di Finanza che svelò le condizioni inumane nelle quali versavano gli ospiti a fronte di circa 100 milioni di euro scomparsi nel nulla.
      Direttore amministrativo dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018.

      Posizione attuale: Oggi Luigi Bruno lavora a Cirò Marina in una casa di cura privata.

    • Francesco Giudiceandrea

      Nato a Rossano, classe 1963. Medico specializzato in Medicina Legale, cugino dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, è stato direttore sanitario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza negli anni 2016-2017-2018.

      Posizione attuale: Dal 2018 Francesco Giudiceandrea è tornato a lavorare nella Medicina Legale ed è attualmente dirigente medico della struttura dipartimentale Medicina Legale ex ASL 3 Rossano.

    • Maria Marano

      Nata a San Gallo, in Svizzera, classe 1963. Ha conseguito il diploma di laurea in Giurisprudenza nel 1992 e dal gennaio 1994 lavora come collaboratore amministrativo all’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi, Maria Marano è responsabile amministrativo referente per il distretto Jonio Nord, responsabile dell’ufficio Risorse Umane di Trebisacce e lavora nella direzione generale dell’Asp di Cosenza in via Alimena. «È nel mio staff», afferma il commissario straordinario Antonio Graziano. «Si occupa – spiega – di problematiche legate al personale, alle procedure di affidamento di gare, fa il lavoro che ha sempre fatto, ma non fa più Ausili e Protesi».

    • Giovanni Francesco Lauricella

      Nato a Palermo, classe 1953. Direttore dell’U.O.C. Affari legali e contenzioso pro-tempore dell’Asp di Cosenza in carica fino all’agosto 2020. Avvocato noto alle cronache per l’inchiesta sulle “Parcelle d’oro” dell’Asp di Cosenza, nell’ambito della quale è stato assolto. Le indagini – dalle quali emersero oltre 400 incarichi esterni (in tre anni circa 800mila euro) affidati dall’Asp di Cosenza all’avvocato Nicola Gaetano, assolto in Appello – coinvolsero anche Andrea Gentile, figlio dell’ex senatore e sottosegretario Antonio Gentile nonché ex parlamentare in quota Forza Italia insediatosi alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Occhiuto per incompatibilità con il ruolo di presidente della Regione Calabria.

      Posizione attuale: Dal settembre 2020 è in pensione.

    • Antonio Scalzo

      Nato a Cosenza, classe 1962. Dermatologo, specializzato anche in Medicina Legale, è stato direttore sanitario dell’Asp di Cosenza dal 2005 al 2010. Per anni direttore dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Medicina Legale successivamente nominato direttore facente funzioni dell’UOC Cure primarie dei distretti Valle Crati e Cosenza. Dal 1993 al 2010 ha fatto parte e presieduto le commissioni per l’invalidità dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi è in pensione. Antonio Scalzo possiede il 95% della società Autismo Domani che gestisce nell’ex convento Ecce Homo di Dipignano di proprietà del Comune la “Casa di riposo San Pio” in subconcessione dalla società Villa San Pio della moglie Antonella Lorè. Quest’ultima nell’ottobre 2021 quando la struttura fu attenzionata per la morte di un anziano ospite caduto da una finestra sporse denuncia affermando che la firma sul contratto di affidamento fosse artefatta.

    • Carmela Cortese

      Nata a Castrovillari, classe 1956. Medico, specializzata in Medicina del Lavoro, Igiene e Sanità pubblica. Per circa 20 anni ha ricoperto la carica di direttrice del Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro del Pollino – Ionio ed è stata direttrice del dipartimento Prevenzione e Igiene pubblica dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Dal 2020 è in pensione. Appare nella lista dei medici consulenti tecnici d’ufficio del Tribunale di Castrovillari, ma senza alcun incarico attivo.

    • Remigio Magnelli

      Nato a San Pietro in Guarano, classe 1959. Laureato in Scienze economiche e sociali con master in Diritto del Lavoro e Pubblica Amministrazione. Torna ad essere direttore dell’Unità Operativa Complessa Gestione Risorse Umane dell’Asp di Cosenza a partire dal 2013 dopo aver ricoperto l’incarico negli anni precedenti. A causa di atti firmati nel 2008 in qualità di dirigente dell’UOC Risorse Umane dell’Asp di Cosenza ha subito una condanna a un anno di reclusione diventata definitiva nel 2019 per falso in atto pubblico. La vicenda riguardava l’assunzione all’Asp di Cosenza di Michele Fazzolari. Quest’ultimo ebbe l’incarico di stabilizzare circa 430 precari dell’azienda sanitaria bruzia, tra i quali anche se stesso, operazione dalla quale scaturì un’inchiesta della Procura di Cosenza che coinvolse anche Antonio Scalzo.

      Posizione attuale: Oggi è direttore del dipartimento amministrativo e direttore Affari Generali dell’Asp di Cosenza, nonché referente del commissario straordinario Graziano. Quest’ultimo lo definisce «una persona in gamba, un valido professionista, sta lavorando correttamente».

    • Fabiola Rizzuto

      Nata a Cosenza, classe 1961. Avvocato, dirigente amministrativo dell’Asp di Cosenza. Dal 2005 è stata responsabile dell’Unità Operativa Semplice Gestione Giuridica del Personale.

      Posizione attuale: Oggi è responsabile dell’area giuridico economica della Gestione Valorizzazione Sviluppo Formazione Risorse Umane del distretto Cosenza-Savuto. Di fatto sembrerebbe le sia stato affidato il ruolo del coimputato Remigio Magnelli e ricopra attualmente la carica di facente funzioni della UOC Gestione Risorse Umane. Il commissario straordinario dell’Asp di Cosenza Antonio Graziano afferma: «Fa il suo lavoro, con dignità ed onore».

    • Aurora De Ciancio

      Nata a Montalto Uffugo, classe 1955. Laureata in Scienze Politiche. Direttore dell’UOC Gestione Risorse Economiche Finanziarie dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza dal 2013. Ha ricoperto anche la carica di commissario Asp Cosenza per un breve periodo. Di recente la Procura di Cosenza, nell’ambito di un’altra inchiesta che riguarda i doppi pagamenti di fatture in favore di privati convenzionati con il sistema sanitario regionale, ne ha chiesto il rinvio a giudizio insieme al noto imprenditore cosentino Francesco Dodaro e alla moglie Valeria Greco per un credito da circa 450mila euro ritenuto fittizio vantato dalla Medical Analisi Cliniche di Cosenza.

      Posizione attuale: Da luglio 2022 è in pensione.

    • Nicola Mastrota

      Nato a Mormanno, classe 1975. Laureato in Economia Aziendale e Scienze Politiche. Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Bilancio e programmazione economica dell’ASP di Cosenza. Si è occupato: del Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza 2019 – 2021; di documenti e allegati del bilancio consuntivo; dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci consuntivi; di documenti e allegati del bilancio preventivo.

      Posizione attuale: È ancora in servizio all’Asp di Cosenza quale collaboratore amministrativo professionale, presta servizio in un ufficio amministrativo di Trebisacce.

    • Bruno Zito

      Nato a Catanzaro, classe 1964. Zito è un manager che è stato dirigente generale del dipartimento Organizzazione Risorse Umane della Regione Calabria e direttore generale reggente del dipartimento Salute della Regione. La prima nomina al dipartimento Tutela Salute arriva nel 2013 su proposta dell’allora assessore al Personale, Domenico Tallini. Per quest’ultimo la magistratura ha di recente richiesto la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Farmabusiness.

      Coinvolto nel caso Lo Presti (responsabile del Dipartimento Tutela Salute e del Servizio di Emergenza della Regione Calabria arrestato con l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), viene assolto perché il fatto non sussiste, dopo essere stato accusato di falso ideologico e abuso d’ufficio.
      Riporta invece una condanna della Corte dei Conti, per danno erariale, per aver autovalutato le proprie performance nel 2011 e nel 2013 attribuendosi punteggi altissimi. Grazie ad essi aveva conseguito la massima indennità di risultato incassando indebitamente oltre 30mila euro.

      Posizione attuale: Bruno Zito è oggi dirigente del settore 5 della Regione Calabria: Fitosanitario, Caccia, Pesca, Feamp (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura), Punti di entrata Porto di Gioia Tauro e Corigliano.
      Il settore che dirige è articolato in 5 unità operative: Affari generali e Gestione del personale, Fitosanitario e vivaismo, Patrimonio ittico e Pesca, Patrimonio Faunistico e Caccia, Porto di Gioia Tauro.

    • Vincenzo Ferrari

      Nato a Catanzaro, classe 1974. Commercialista e Revisore Contabile, dirigente della Regione Calabria dal 2008. Ha ricoperto tale incarico al dipartimento Tutela della Salute e Politiche sanitarie, settore area Economico – Finanziaria, servizio “Gestione FSR, Tavoli di monitoraggio”; al settore Programmazione Economica, servizio “Controllo dei Bilanci e delle aziende del SSR”.
      In forze al dipartimento Tutela Salute della Regione Calabria è stato inoltre dirigente dei settori “Gestione FSR, Bilanci aziendali, Contabilità”; “Controllo di Gestione, Monitoraggio Flussi Economici, Patrimonio, Beni e Servizi”.
      Inoltre nel dipartimento Organizzazione, Risorse Umane e Controlli della Regione Calabria è stato dirigente del settore Provveditorato Economato, Bollettino Ufficiale, Polizia Urbana.

      Le sue principali mansioni e responsabilità riguardavano: la gestione del Fondo Sanitario Regionale, controllo delle movimentazioni dei relativi capitoli di bilancio e verifica della copertura finanziaria della spesa sanitaria; trasferimento mensile delle risorse finanziarie alle aziende del SSR; verifica e controllo dei documenti contabili (bilanci preventivi e consuntivi) delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere; analisi sul controllo dei Collegi Sindacali; monitoraggio e controllo degli acquisti di Beni e Servizi effettuati dalle Aziende del SSR; valutazione dei fabbisogni di acquisto e determinazione delle tipologie di beni e servizi da sottoporre a gara centralizzata tramite la Stazione Unica Appaltante regionale; gestione del patrimonio immobiliare disponibile delle Aziende del Servizio sanitario regionale.

      Posizione attuale: La Giunta regionale all’unanimità, con deliberazione n. 507 della seduta del 22 novembre 2021, ha assegnato Vincenzo Ferrari al dipartimento Presidenza della Regione Calabria.

    • Massimo Scura

      Nato a Gallarate (VA), classe 1944. Ingegnere con master in Formazione per direttori generali e Managerialità integrata, ex direttore generale delle aziende sanitarie di Siena e di Livorno è stato commissario per il Piano di rientro dal debito sanitario della Calabria dal 2015 al 2018. Sindaco del Comune di Alfedena, in provincia dell’Aquila, quando è stato nominato commissario alla sanità calabrese, all’età di 71 anni, era già in pensione e sostituì il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi.

      Posizione attuale: In pensione.

    • Antonio Belcastro

      Nato a Cotronei, classe 1959. Laureato in Scienze Economiche e Sociali. Ex direttore generale del Dipartimento Salute della Regione Calabria, è stato dirigente regionale responsabile dell’emergenza Covid in Calabria.
      Negli anni ha ricoperto la carica di direttore generale, direttore amministrativo e commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro, di direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, di direttore generale e direttore amministrativo dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza.

      Nel corso della propria carriera ha insegnato Amministrazione dei Servizi socio-sanitari; Organizzazione e Programmazione sanitaria; Ordinamento Amministrativo e attività della Pubblica Amministrazione; Finanziamento dei sistemi sanitari all’Università Magna Graecia di Catanzaro e Programmazione e controllo delle Aziende Ospedaliere all’Università della Calabria.

      Posizione attuale: Oggi è alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, ma in aspettativa fino al 28 febbraio.

    Maria Teresa Improta

  • Vena di Maida, il paese delle porte arbëreshe

    Vena di Maida, il paese delle porte arbëreshe

    Da una quarantina d’anni si è diffuso in Calabria il costume di dipingere con monumentali affreschi le mura, gli esterni dei palazzi, i portoni dei paesi con l’auspicio di dare loro nuova linfa vitale. Non è un’operazione semplice, ma pare che l’idea, oramai ben radicata, stia dando i suoi frutti. Uno degli ultimi esempi è quello di Vena di Maida, frazione arbëreshe del comune di Maida fondata, affidandosi ad alcune fonti, nella seconda metà del Quattrocento, nell’ambito della diaspora albanese dai Balcani successiva alla conquista turca di Costantinopoli e alla morte dell’eroe Giorgio Castriota Scanderbeg, capo della rivolta contro gli Ottomani.

    Da qualche mese, Vena di Maida ospita un percorso artistico a cielo aperto che rimembra e magnifica le sue antiche tradizioni albanofone.
    Il murale – da non confondere col deturpante graffitismo – è un’opera d’arte pubblica offerta alla collettività. Ma è anche una forma di comunicazione che, ridando tono a strutture e angoli disabitati, interloquisce più direttamente con le classi rurali, coi ceti meno avvezzi agli incontri con l’arte, e che sovente si fonda su una chiara connotazione sociale e ideologica.

    In principio fu Diamante

    La vicenda dei murali – o murales – in Calabria cominciò già nel 1981 quando a Diamante, comune dell’Alto Tirreno Cosentino, partì la cosiddetta Operazione Murales su spinta del pittore Nani Razetti e col placet del sindaco di allora Evasio Pascale. Fu una scommessa vincente: oggi, con oltre trecento affreschi a illuminare i suoi vicoli, Diamante è una tra le cittadine più dipinte d’Italia e tra le località turistiche di maggiore notorietà della Calabria e dell’intero Meridione.
    Nel corso di questi ultimi quarant’anni, l’impresa adamantina ha registrato svariate repliche quasi sempre sul solco di quella onesta ottica di valorizzazione, salvaguardia e riqualificazione dei luoghi.

    Una delle opere nei vicoli di Diamante (foto “Diamante Murales 40”)

    Discorsi ben conosciuti e una terminologia che è stata adottata anche dalla politica e di cui, purtroppo, talvolta ci si riempie la bocca – e così diamo senso al precedente “quasi sempre” –, ma che eticamente, e forse pure fiabescamente, convergono verso quel desiderio comune di riabitabilità dei luoghi, di far sì che essi siano riguardati, nel duplice senso suggerito da Franco Cassano ne Il pensiero meridiano: di avere riguardo, cura dei posti e di tornare a guardarli veramente come luoghi vivi e non come presepi da percorrere un festivo all’anno; luoghi palpitanti che ancora potrebbero dare all’umanità che ospitano.

    Murales: arte e memoria alla portata di tutti

    Sia chiaro: consci che queste iniziative non debbano essere vissute col furore della apologia del “piccolo mondo antico” e che i nostri non sono né la sede né il tempo per confezionare un giudizio su un’operazione ancora nuova, possiamo sostenere senza tema di smentita che, anche tramite i moderni mezzi di comunicazione sociale, per il suo forte impatto e la sua carica popolare l’arte del murale permette a una platea sempre più vasta di conoscere luoghi mai sentiti prima e che fino a non troppi decenni fa soltanto una ridotta cerchia di eletti – studiosi, viaggiatori, persone fornite di una cultura specifica – poteva essere in condizione di conoscerli.

    vena-maida-murales
    Altre due porte coinvolte nel progetto a Vena di Maida

    In una visione di ampliamento, di omogeneità della conoscenza, perciò, questo è di certo uno strumento valido – non l’unico, non il principale, non il solo possibile da mettere in atto, seppur tra i più semplici e immediati – per non lasciare scivolare negli inghiottitoi della storia paesi spopolati e ruderi che un tempo hanno conosciuto “altra vita e altro calore”, per dirla con Cesare Pavese, e per impedire che essi possano entrare – e con ottime probabilità restare, sino alla perdita della memoria storica – nel lungo elenco dei paesi fantasma, termine tanto alla moda che piace ai fotografi della domenica che in quei luoghi abbandonati da Dio e dagli uomini non ci vivrebbero neppure per ventiquattro ore.

    paesi-fantasma-calabria-non-solo-emigrazione-calamita
    Liliana, l’ultima abitante di Cavallerizzo (foto Alfonso Bombini 2021)

    In buona sostanza, la sana e non propagandistica operazione di riqualificazione dei luoghi non può che avere un doppio obiettivo, uno a medio e uno a breve termine: quello di attrarre nuovi possibili abitatori e quello di fare restare i prodi, ultimi abitatori indigeni, ché «restare è un’arte, un’invenzione, un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali», come afferma l’antropologo Vito Teti nel suo Nostalgia (Marietti, Bologna 2020).

    Vena di Maida da Dumas padre ai murales

    E pure questa volta abbiamo divagato. Ritorniamo perciò a Vena di Maida, centro che oggi conta circa ottocento abitanti e che, sotto i Borbone, tra il 1831 e il 1839 fu comune a sé, breve parentesi entro la quale però a visitarla fu, nel suo fortuito passaggio a dorso di mulo in Calabria dell’autunno del 1835, da Alexandre Dumas padre che strabiliò dinanzi alla bellezza del costume tradizionale delle donne venote. Quella sosta oggi è ricordata con una targa affissa sull’antico caseggiato dirimpetto alla Chiesa arcipretale di Sant’Andrea Apostolo.

    murali-vena-di-maida (1)
    Una delle Porte d’artista a Vena di Maida

    Nell’estate del 2022 la piccola comunità arbëreshe – una delle trentatré tuttora presenti in Calabria –, grazie al patrocinio del Comune di Maida e alla direzione artistica di Massimo Sirelli – artista poliedrico, diplomato in Digital e Virtual Design all’Istituto Europeo di Design di Torino, autore di recente di una serie di murali a tema magnogreco tra Bivongi, Cinquefrondi, Locri e Monasterace per celebrare il cinquantenario del ritrovamento dei Bronzi di Riace –, è stata coinvolta in un progetto che ha visto undici artisti dipingere le porte del paese con linea guida la sua identità albanese.

    Le porte d’artista a Vena di Maida

    Porte d’artista è il nome del progetto che, sempre la scorsa estate, ha interessato altri due paesi del Catanzarese, Sersale e Uria (frazione di Sellia Marina), e che in questi giorni sta aggiungendo un’altra tappa: Marcellinara. Tra gli artisti, tutti calabresi, coinvolti nel progetto, oltre Massimo Sirelli: Antonio Burgello, Marco “Moz” Barberio, Claudio “Morne” Chiaravalloti, Vincenzo “Zeus” Costantino, Martina Forte, Andrea “Smoky” Giordano, Immacolata Manno, Alessia Moretti, Roberto Petruzza e Maria Soria.

    murali-vena-di-maida (6)
    Un’altra porta dipinta nella frazione albanofona di Maida

    Tra i murali freschi di tinteggiatura per le stradine di Vina (questo il toponimo arbëreshë di Vena di Maida) si riconoscono la veste tradizionale che piacque a Dumas, l’aquila nera a due teste della bandiera albanese, figlia diretta del sigillo di Scanderbeg, ma anche immagini contemporanee come quella che ricorda il glottologo di Cirò Marina Giuseppe Gangale.

    murali-vena-di-maida (5)
    Il ritratto di Giuseppe Gambale

    Dopo Verbicaro, Rogliano, Favelloni Piemonte, Plataci – comune del Pollino i cui affreschi sono improntati pure sulla sua cultura arbëreshë –, San Pietro Magisano, Sant’Agata del Biancodi recente dipinta con un magnifico ciclo murale dedicato a un suo figlio illustre, lo scrittore Saverio Strati –, un altro paesino calabrese gioca la carta dell’arte di strada per scongiurare il rischio che secoli di incontri, commistioni etniche e linguistiche e tradizioni uniche possano essere spazzati via e che il degrado originato dall’abbandonato fisico dei luoghi possa cancellarne la memoria.

  • Occhiuto grida alla secessione: «Sala fa il figo col Pnrr»

    Occhiuto grida alla secessione: «Sala fa il figo col Pnrr»

    «Facile fare il figo governando Milano, Sala dovrebbe provare a governare qualche mese in Calabria, in Sicilia o in Campania». Il giudizio di Roberto Occhiuto sull’ultima uscita del sindaco meneghino è lapidario. Giuseppe Sala aveva puntato il dito contro Meloni e i suoi dopo le parole del ministro Fitto sui ritardi dell’Italia con il Pnrr. «Un Governo saggio – le dichiarazioni del primo cittadino – li dà più alle realtà locali ed a quelle che hanno un ‘track record’ secondo cui possono investire. Io dico, allora, se ci sono dei residui, dateli a Milano. Sembro un provocatore ma non lo sono, perché ci sono una serie di progetti che ho nel cassetto e che, se mi fossimo finanziati, io ce la faccio entro il 2026. Le parole di Fitto di ieri “sui ritardi sul Piano” suonano un po’ come una resa. Ma siccome siamo ancora in tempo, estendiamo a tutti l’operazione verità e diamo i fondi a chi li sa investire».

    beppe-sala
    Il sindaco Sala

    Occhiuto contro Sala: la secessione coi soldi del Pnrr?

    Pronta la replica dalla Calabria, con Occhiuto che ai microfoni dell’Ansa boccia sonoramente l’approccio di Sala sul Pnrr paragonandolo a un tentativo di secessione. Una buona fetta degli oltre 190 miliardi che l’Ue ha destinato all’Italia, dichiara, arriverebbero proprio «perché il Sud del Paese è in difficoltà e merita, dunque, l’attenzione e i finanziamenti europei per potersi allineare alle Regioni del Nord». Il forzista non usa troppi giri di parole: «Senza il Mezzogiorno avremmo ricevuto molto, ma molto meno. Affermare “diamo i soldi a chi li sa spendere”, vuol dire lasciare indietro un pezzo di Paese, coloro appunto che sono in difficoltà che invece, proprio per questo loro deficit, andrebbero supportati di più dal Governo e da tutta la comunità nazionale. E allora io dico che questa sì che sarebbe una secessione».

  • Frank Gambale e  il grande jazz al Tau dell’Unical

    Frank Gambale e il grande jazz al Tau dell’Unical

    Ci sono un australiano, due francesi e un ungherese. Ma, soprattutto, c’è la grande musica in programma domenica 2 aprile alle 21 nel Tau dell’Unical. Il teatro dell’Università della Calabria ospiterà, infatti, il quartetto di Frank Gambale. Ossia un autentico mostro sacro del jazz contemporaneo.

    Frank Gambale e non solo: il resto del quartetto

    Non che i tre insieme a lui siano da meno. Ad accompagnare il chitarrista di Canberra ci saranno musicisti di indiscutibile talento e caratura internazionale. Primo tra tutti Hadrian Feraud, bassista francese che un genio come John McLaughin – col quale ha lavorato in passato – reputa una sorta di reincarnazione del mito di ogni bassista degno di questo nome: Jaco Pastorius. Detterà insieme a lui il ritmo un altro grandissimo: il batterista Gergo Borlai, che in carriera si è esibito, tra i tanti, con musicisti del calibro di Terry Bozzio, Scott Henderson e Al Di Meola. Dulcis in fundo, spazio alle tastiere per Jerry Lionide, uno che è salito per ben due volte – una sul gradino più alto – sul podio dei migliori pianisti del celeberrimo Montreal Jazz Festival.

    frank-gambale-quartet-tau-unical
    Il Frank Gambale Quartet

    Un modello per i più grandi

    La star del concerto al Tau, però, non può che essere Frank Gambale. Basterebbe citare quello che dicono di lui artisti come il compianto (e un po’ calabrese) Chick Corea: «Tutto ciò che tocca con la sua chitarra diventa oro, lo è sempre stato. Frank è il mio chitarrista preferito». Oppure l’opinione di divinità delle sei corde come Pat Metheny: «Mi piacerebbe prendermi un mese di pausa e studiare con Frank Gambale». L’australiano, infatti, ha letteralmente inventato e dato il suo nome a un nuovo modo di usare il plettro e suonare la chitarra: la Gambale Sweep Picking Technique. Una piccola grande rivoluzione che ne ha fatto un esempio da seguire anche per un figlio d’arte come Dweezil Zappa: «Studiare la tecnica Sweep Picking di Frank Gambale mi ha permesso di suonare le parti più difficili della musica di mio padre che lui stesso non suonò».

    Frank Gambale al Tau dell’Unical

    Dagli anni ’80 ad oggi Frank Gambale ha pubblicato oltre 300 canzoni e una ventina abbondante di album, tutti con quello stile che Rolling Stone – la bibbia del rock, più o meno – ha definito «feroce» per intensità. Nella sua musica hanno trovato spazio il jazz e il rock, con incursioni nel funk e il rythm&blues e contaminazioni che richiamano sonorità latine e brasiliane. Un artista a tutto tondo, insomma, che con i suoi virtuosismi alla chitarra ha scritto pagine importanti e portato un vento di freschezza nella scena jazz (e non solo) degli ultimi decenni.

    tau-unical
    L’interno del Tau

    Non capita tutti i giorni di ospitare musicisti di questo valore alle nostre latitudini. Un motivo in più per non perdere il suo concerto domenica 2 aprile al Tau dell’Unical e la rassegna JazzAmore che vedrà il Frank Gambale Quartet tra i protagonisti. Costo del biglietto: 20 euro.

  • Furto di due mezzi del Comune di Polistena, arrestati in tre

    Furto di due mezzi del Comune di Polistena, arrestati in tre

    Questa mattina, alle prime luci dell’alba, i Carabinieri della Compagnia di Taurianova, hanno arrestato tre soggetti, già noti alle forze dell’ordine, in esecuzione di un’ordinanza di misura cautelare emessa dal Tribunale di Palmi. L’accusa per loro è di furto e ricettazione di due camion per la raccolta dei rifiuti del Comune di Polistena, rubati nella notte del 20 agosto scorso.

    Il furto a Polistena

    A coordinare l’indagine sono stati il procuratore della Repubblica di Palmi, Emanuele Crescenti, e il sostituto procuratore Federico Moleti. Il loro impegno e quello dei militari coinvolti ha permesso di dare un nome a due dei presunti protagonisti del furto. Questi, dopo aver rotto i lucchetti del cancello principale del centro raccolta rifiuti comunale di Polistena, si erano impossessati di un furgone e una motrice con la gru e cassone scarrabile, utilizzati per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti. A causa del furto per diversi giorni era andato in tilt il servizio di nettezza urbana di Polistena. E l’amministrazione comunale aveva dovuto farsi carico, nell’immediatezza, delle spese previste per rimettere le cose a posto.

    Il terzo uomo: un mezzo nell’autocarrozzeria

    Ora è arrivata anche l’identificazione di un terzo soggetto, anche lui destinatario di una misura cautelare. Nel corso dell’attività di accertamento, nel novembre scorso i militari dell’Arma avevano ritrovato uno dei mezzi che erano stati rubati al Comune di Polistena all’interno dell’autocarrozzeria di cui era gestore. Nei confronti dell’uomo, che all’arrivo dei carabinieri aveva negato di conoscere la provenienza del furgone, l’ipotesi del reato è, dunque, quella di ricettazione.
    Il provvedimento emesso dal GIP di Palmi ha disposto per i tre soggetti la misura cautelare degli arresti domiciliari aggravata dal divieto di comunicazione con persone non conviventi.
    Trattandosi di provvedimento in fase di indagini preliminari, rimangono salve le successive determinazioni in fase dibattimentale.

  • Una villa romana fantasma nel cuore di Rende

    Una villa romana fantasma nel cuore di Rende

    Se nel lontano 1887 le autorità avessero proseguito la ricerca sui resti romani trovati a Rende, forse la storia della città del Campagnano sarebbe stata diversa.
    Quei resti appartenenti a un’antica villa, che risaliva al primo secolo dopo Cristo, si trovano a contrada Molicelle, grosso modo tra il Centro Polifunzionale dell’Università della Calabria e via Settimio Severo.
    Li avessero scavati allora, l’intera zona sarebbe stata musealizzata e forse l’Unical non sarebbe sorta (o sarebbe sorta altrove).
    Di questa villa “fantasma”, scoperta e dimenticata nel classico battito di ciglia, resta un’importante documentazione, conservata negli archivi di Stato di Roma e Cosenza. Vecchi fascicoli che hanno raccolto polvere per decenni, anch’essi a loro modo “rovine” della memoria collettiva.

    villa-romana-rende-fantasma-archeologia-contemporanea
    L’archeologa Rossella Schiavonea Scavello

    La riscoperta della villa romana di Rende

    Queste rovine le ha scavate un’archeologa, Rossella Schiavonea Scavello, fresca di dottorato presso l’Unical.
    La studiosa ha dato un primo resoconto della sua particolare ricerca, fatta con macchina fotografica e scanner anziché con pala e piccone, in La scoperta di una villa romana in contrada Molicelle, un saggio pubblicato nel 2015 nella raccolta Note di archeologia calabrese, edito da Pellegrini.
    Ma veniamo al racconto di questa vicenda archeologica a dir poco bizzarra.

    Il cavaliere, i contadini e le oche

    Oggi Magdalone è un toponimo, che indica una zona a cavallo tra Rende e Montalto Uffugo.
    Nel 1887 era un cognome importante: quello del cavalier Giovanni Magdalone.
    Nato nel 1833 e imparentato per parte di madre con Donato Morelli, patriota e supernotabile di Rogliano, il cavaliere possedeva praticamente tutta Arcavacata e una buona fetta del centro storico di Rende.
    I suoi contadini, diretti da un tale Francesco Pellegrini, menzionato come «custode delle oche», fecero la scoperta e la comunicarono a Magdalone, che a sua volta la comunicò al prefetto di Cosenza.

    La planimetria di contrada Molicelle a fine ‘800

    La villa romana fantasma

    Cos’avevano trovato, probabilmente per caso, i contadini di Magdalone? Innanzitutto i resti di un muro esterno, lungo 12 metri e largo 50 centimetri, che doveva essere l’edificio principale di questa struttura.
    Poi, vicinissimi, i residui di un colonnato e dei capitelli in stile jonico, più la prima chicca: un pavimento a mosaico fatto di tanti quadratini bianchi e neri.
    A tre metri di distanza, un trapetum, con due anfore interrate, simili a quelle ritrovate a Pompei. Infine, delle monete con l’effige di Augusto, delle statuine di marmo e un satiro in bronzo.
    Più una seconda chicca, che “apparenta” questa villa fantasma a quella di piazzetta Toscano, nel centro storico di Cosenza: dei tubi in ceramica con un marchio: Clemes Gauri, che probabilmente portavano l’acqua calda in un bagno termale.
    Questo logo d’epoca, secondo Scavello, potrebbe riferirsi a una famiglia importante di San Pietro in Guarano, che gestiva una fabbrica di materiali per l’edilizia. E quindi forniva tutti i ricchi intenzionati a costruire nel Cosentino.

    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall'attuale struttura
    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall’attuale struttura

    Villa o monastero?

    Il tutto, a cinquanta centimetri sotto terra. Per secoli ci si era coltivato sopra e nessuno si era accorto di nulla, o quasi.
    Fatto sta che Giovanni Magdalone, eccitato per la scoperta, si rivolge alle autorità. E queste affidano le ricerche a un big dell’archeologia dell’epoca: Luigi Viola, direttore del Museo di Taranto impegnato nello stesso negli scavi di Torre Mordillo a Spezzano Albanese.

    villa-romana-rende-fantasma-archeologia-contemporanea
    L’archeologo Luigi Viola

    Viola visita gli scavi di Molicelle assieme al prefetto il 16 giugno del 1887 e certifica che quei resti sono di età romana. In questo modo, mette la parola fine a un piccolo giallo, scatenato da Fedele Fonte, sacerdote e scrittore dell’epoca.
    Secondo Fonte, quelle rovine sarebbero appartenute al monastero dei Santissimi Pietro e Paolo, andato distrutto nel 1500. Questa notizia, riportata dai giornali dell’epoca, fa un certo scalpore. Soprattutto, attira a Molicelle torme di popolani convinti di assistere a un miracolo.
    In realtà, di questo monastero esistono tracce storiche che indicano una zona diversa: contrada Rocchi. Molto rumore per nulla, quindi.

    Una scoperta minore?

    Partita col botto, la scoperta di Magdalone si arena e, pian piano, perde d’interesse. Forse perché la Calabria di allora ha un altro scoop archeologico che attira tutte le attenzioni (e le risorse). Si tratta di Sibari, di cui in quegli stessi anni entrano nel vivo gli scavi.
    In fin dei conti, quella di Molicelle è “solo” una delle tante villae di cui si sospetta l’esistenza nel Cosentino. Alcune sono state più “fortunate”: ad esempio, quella di Muricelle, a Luzzi, scavata nel 1989, e quella di Squarcio, a Bisignano, scoperta nel 2014.
    Di Rende, invece, nessuna notizia. Tranne quelle trovate da Scavello che ha ricostruito con pazienza tutto il carteggio ottocentesco.
    Viola promette una relazione, almeno per consentire la pubblicazione della scoperta. Tuttavia, sollecitato dalle autorità nel 1894, fa un passo indietro: non ha il personale, si giustifica, che possa scriverla. E la storia finisce qui.

    villa-romana-rende-fantasma-archeologia-contemporanea
    La pianta della villa “fantasma”

    I reperti perduti della villa Romana di Rende

    E che fine hanno fatto le monete, i tubi di ceramica e le statue? Persi, o meglio privatizzati: sono finiti agli eredi del cavalier Magdalone.
    E cosa resta degli scavi? Quasi nulla: se li è ripresi la terra. Tutto da rifare.
    «Le uniche tracce provengono dalle riprese aeree dell’aeronautica militare contenute in Google Earth, nelle quali si notano ancora le planimetrie», spiega Rossella Scavello. Inoltre, ci sono «le testimonianze di alcuni anziani del luogo».

    Ma riprendere a scavare è un’altra cosa. Soprattutto, presenta altre difficoltà: «Con la nascita dell’Università, l’area si è parecchio urbanizzata, quindi occorrerebbe sapere dove scavare di preciso». Allo scopo, si dovrebbe iniziare «con metodi non invasivi: le riprese dei droni, il magnetometro e il georadar».
    Nulla di infattibile o di troppo costoso. Certo, servirebbe la classica buona volontà. Ma questa è un’altra storia…