Categoria: Fatti

  • Grande Cosenza: quanto fa paura la città unica?

    Grande Cosenza: quanto fa paura la città unica?

    Iniziamo dall’ultimo capitolo del dibattito sulla Grande Cosenza. Per la precisione, dal convegno, intitolato senza troppa fantasia Fusione dei Comuni, svoltosi a Rende il 31 maggio. Cioè nella città che più teme di confluire nel Comune unico assieme a Cosenza e Castrolibero perché considera la fusione un’annessione tout court al capoluogo.
    E forse e così e i timori non sono infondati. Tuttavia, nel dibattito, promosso dai gruppi di opposizione, non è emerso un no secco. Ma il classico “ni”: un disegno di legge regionale alternativo a quello proposto da Pierluigi Caputo e approvato a Palazzo Campanella il 23 maggio.
    Ni, in questo caso non è “sì ma”, bensì un altro modo per dire no. Infatti, il ddl, elaborato dal demagistrisiano Andrea Maria Lo Schiavo e dal grillino Davide Tavernise, rimette dalla finestra ciò che la legge Omnibus aveva cacciato dalla porta: il ruolo centrale (ovvero il potere decisionale) dei Comuni e, soprattutto, dei cittadini. Che possono dire sì o no alle fusioni anche a discapito delle delibere dei loro municipi.
    Tutto il contrario di quel che prevede la recente, criticatissima, normativa della Regione, che invece bypassa Consigli e Giunte e dà un valore consultivo ai referendum popolari.

    Pierluigi Caputo, il primo firmatario della legge Omnibus

    Grande Cosenza: c’è chi dice nì

    Facciamo una carrellata del tavolo rendese: tolti i due consiglieri regionali, che non hanno rapporti diretti con l’area urbana, sono tutti protagonisti di primo piano della politica Rendese. A partire da Sandro Principe, che incarna la memoria storica della città, a finire a Massimiliano De Rose. Passando per l’evergreen Mimmo Talarico.
    Nessuno di loro può dire no all’idea della grande Cosenza. Soprattutto per un motivo: il progetto fu lanciato negli anni ’80, in piena golden age del socialismo rendese, dall’allora sindaca Antonietta Feola. E, per quel che riguarda Principe, è doveroso ricordare i dibattiti (e i bracci di ferro) col vecchio Giacomo Mancini sull’area urbana e, in prospettiva, sulla città unica.
    Durante il dibattito rendese le associazioni hanno dichiarato guerra e si preparano alle carte bollate per stoppare il referendum. Parrebbe, così ha confermato il docente Unical Walter Nocito, con buone possibilità di successo.
    Ma il problema reale non è giuridico né tecnico (anche se diritto e amministrazione hanno un peso non proprio secondario): è politico.

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    Sandro Principe

    Le leggi? Pesano ma…

    Il dibattito sulla fusione, variamente definita “a freddo” o autoritaria, si può dividere in due fasi: prima e dopo il 22 maggio, giorno della contestata approvazione della legge Omnibus.
    Nel prima, si sono sentiti tutti in dovere di impartire lezioni di Diritto costituzionale. Sulle quali non è il caso di impegnarsi troppo. Giusto una battuta per dire che la legge Omnibus è costituzionale solo perché il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2000, è piuttosto ambiguo e permette queste e altre soluzioni. Meglio ancora: la fusione a freddo è legittima come lo è l’autonomia differenziata.
    Il dato più importante della legge per la città unica è la deadline: 1 febbraio 2025. Venti mesi in cui organizzare i referendum (di cui la Regione può non tener conto), predisporre il nuovo organigrammi amministrativi. E, infine, andare al voto in un quadro mutato del tutto, con aggregazioni politiche diverse e leadership storiche che saltano. Mettiamo da parte (per ora) le dietrologie e andiamo al succo: i numeri.

    Il grande massacro a Cosenza

    Per Cosenza, sulla carta, non cambia nulla. Quindi cambia tutto. Il Consiglio comunale della nuova città avrà 32 componenti. Gli stessi dell’attuale capoluogo.
    Ma questi consiglieri saranno spalmati su 109.149 abitanti, in pratica la somma delle anagrafi dei tre Comuni in fusione.
    Caliamo questi numeri nella realtà politica delle tre città. Franz Caruso è diventato sindaco di Cosenza nel 2021 con 14.413 voti. Cioè col 57,6% dei votanti.
    A questo punto calcoliamo in maniera ipotetica gli aventi diritto al voto della città unica, che con una certa prudenza sarebbero il 75% degli abitanti. Cioè 81mila e rotti. Quindi, per diventare sindaco della città unica Caruso dovrebbe prendere 48mila voti e rotti. Più di tre volte tanto.

    Franz Caruso (foto Alfonso Bombini)

    Manna è stato confermato sindaco di Rende nel 2019 con 9.217 voti, ovvero il 57,13% dei votanti. Nella nuova città dovrebbe prenderne più o meno come Caruso. Ma per lui lo sforzo sarebbe enorme: sei volte tanto i voti del 2019.
    La situazione più estrema è quella di Orlandino Greco, tornato sindaco di Castrolibero alcuni giorni fa con 4.143 voti, ovvero il 77,7% dei votanti. Proiettare il suo dato sulla città unica è una cattiveria inutile…
    Ma il vero gioco al massacro riguarderebbe i consiglieri. Sui quali si può fare un calcolo grossolano, astratto ma semplice: la divisione degli aventi diritto per 32. In parole povere, ci vorrebbero 2.531 elettori per fare un consigliere.
    Questa soglia, grossolana e astratta metterebbe in serie difficoltà tutti i mattatori del voto delle tre città, a partire da Francesco Spadafora, il consigliere cosentino più votato. O, sempre per restare a Cosenza, un altro big delle urne come l’immarcescibile Antonio Ruffolo, alias Mmasciata, alias Lampadina.

    Una strana legge

    I sostenitori della legge Omnibus hanno quindi ragione su un punto: chi contesta lo fa anche per il timore di perdere la poltrona. Comprensibile in chi è sindaco da poco e gestisce una situazione finanziaria pesante (Caruso) o in chi è tornato primo cittadino da pochissimo, con tante voglie di rivalsa (Greco),
    Anche i critici hanno la loro buona fetta di ragioni: il meccanismo della legge Omnibus non è quel modello di democrazia. A dirla tutta, innesca un processo senz’altro dirigista (direbbero quelli bravi), che funziona davvero dall’alto verso il basso e dà alla Regione (o meglio, a chi ne controlla la sala dei bottoni) un potere di impulso notevole, praticamente inedito in Italia.
    Per di più, questo meccanismo sarebbe replicabile su tutto il territorio, con i dovuti adattamenti, se l’esperimento cosentino andasse bene. E ciò scatena le critiche più tardive, ad esempio quella di Fausto Orsomarso, che ha steccato nel coro del centrodestra all’ultimo momento utile.

    Rende non è come Gomorra: assolto Principe, ora sono lacrime e paradossi
    Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    I maligni (e bene informati) sussurrano due cose. La prima riguarda il rapporto tra il senatore di Fdi e Orlandino: quest’ultimo avrebbe sostenuto il Faustone di Calabria nella corsa a Palazzo Madama e SuperFausto si sarebbe “disobbligato”. La seconda tocca, invece, i rapporti tra il senatore meloniano e vari sindaci di Comuni bonsai, che potrebbero cessare di esistere in seguito a fusioni più o meno “coatte”. I soliti maligni riferiscono di solidi legami, maturati durante gli assessorati regionali di SuperFausto.
    Ovviamente nessuno ce l’ha con Orsomarso: il suo, se confermato, è solo un esempio ripetibile sulla totalità dei consiglieri regionali attuali. In pratica, le fusioni biturbo potrebbero devastare la cinghia di trasmissione del potere e dei relativi consensi dal Pollino allo Stretto. Di più: potrebbero diventare uno strumento particolarmente acuminato e low cost in mano ai vari inquilini dei piani alti di Germaneto per disegnare il territorio regionale a proprio uso e consumo.

    Fausto Orsomarso (foto Alfonso Bombini)

    Cosenza, grande ma zoppa (e artritica)

    Torniamo al presente più immediato. L’area urbana che si appresta a diventare città è una zona in crisi grave. Politica, amministrativa e di leadership.
    Andiamo con ordine. Il dissesto di Cosenza è più che noto. E sono altrettanto note le attuali difficoltà finanziarie del capoluogo, che proprio non riesce a smaltire il suo passivo. Detto questo, Rende sta meglio ma non troppo: nonostante gli annunci dell’attuale amministrazione, la città del Campagnano non è ancora fuori dal predissesto. Nei fatti, la situazione è uguale a quella cosentina (sebbene con prospettive meno gravi): tasse a palla.
    Passiamo al livello politico. Al momento, il Comune più stabile è Cosenza. Rende, al contrario, è decapitata a livello politico e decimata a livello amministrativo dalle inchieste della magistratura. E la situazione potrebbe peggiorare: i soliti maligni, che coincidono coi bene informati, considerano prossimo lo scioglimento per mafia.
    Dalle vicissitudini giudiziarie emergono i problemi di leadership. Sotto quest’aspetto, l’unico a non avere guai è Franz Caruso. Il quale, tuttavia, a dispetto di una lunga militanza nell’area socialista, non ha il peso necessario per guidare l’eventuale amalgama tra le tre città.

    Sindaci nei guai

    Sul caso di Marcello Manna, che da sindaco alla fine del secondo mandato (quindi non ricandidabile a Rende), avrebbe potuto coltivare altre ambizioni, sono necessarie considerazioni più complesse. È vero che Manna, “nato” col centrodestra, ha goduto in realtà di un appoggio bipartisan. Tuttavia, i suoi incidenti giudiziari (per i quali è doveroso il massimo garantismo) azzoppano non poco ogni ipotesi, reale o virtuale.

    Orlandino Greco

    Più sfumato il discorso su Orlandino Greco (per il quale vale il medesimo garantismo). Il neo ri-sindaco di Castrolibero affronterà entro la fine dell’estate alle porte l’ultima udienza del processo di primo grado in cui è imputato per presunti fatti di mafia. È un primo cittadino sub iudice, le cui vicende potrebbero condizionare non poco, nell’ipotesi peggiore, la stabilità amministrativa del suo Comune.
    Discorso simile, ma non troppo, per il convitato di pietra del dibattito furioso che ha accompagnato l’approvazione della legge Omnibus: Mario Occhiuto. Secondo molti, l’ex sindaco di Cosenza è il potenziale primo-cittadino “ombra” della città unica. Tuttavia, la recente condanna in primo grado, frena le ambizioni, che il diretto interessato non ha confermato (ma neppure smentito in pubblico).

    Rende l’anello debole della grande Cosenza

    In tutto questo, come già detto, l’anello debole è Rende, di cui ancora non è certa l’uscita dal predissesto ed è invece probabile, così dicono i malevoli, lo scioglimento per presunte infiltrazioni mafiose.
    Se ciò avvenisse, Rende arriverebbe alla fusione senza alcuna guida politica, neppure quella supplente dell’attuale facente funzioni Marta Petrusewicz. Ma, anche a prescindere dai terremoti giudiziari, la città del Campagnano rischierebbe di perdere non poco del proprio peso socio-economico. Vediamo come.
    Innanzitutto, perché diventerebbe la periferia est della nuova città unica, che nella versione attuale non include Montalto Uffugo. In seconda battuta, perché rischierebbe di perdere non pochi servizi, che finirebbero inghiottiti dal dissesto del capoluogo. Infine perché la mancata inclusione di Montalto esaspererebbe la competizione, già in corso, tra i due territori ad est dell’area urbana.

    Marta Petrusewicz

    Montalto contro Rende?

    Questa competizione, in primo luogo è fiscale: le zone industriali di Rende e Montalto hanno una perfetta continuità geografica. Ma Montalto costa meno a livello di tasse e ciò, nel recente passato, ha provocato l’“emigrazione” di varie attività da Rende.
    A questo si deve aggiungere l’attrattiva delle nuove infrastrutture, progettate nel territorio montaltese: la stazione ferroviaria per l’alta velocità e il nuovo svincolo dell’autostrada. Tutto ciò potrebbe trasformare la concorrenza, già aggressiva, in dumping vero e proprio. Fuori dalla città unica, Montalto continuerebbe a crescere a danno di Rende.

    La mappa politica della città unica (senza Montalto)

    Inizia la battaglia

    I tre sindaci interessati dalla fusione promettono guerra. E le associazioni iniziano a muoversi con una certa cattiveria.
    Tutti i pronostici, al momento, sono prematuri. Giusto una considerazione per chiudere: da oggetto del desiderio, la grande Cosenza è diventata motivo di discussioni infinite. Che però non spostano di una virgola la portata del problema: l’anomalia di una delle province più grandi d’Italia che fa capo a una città sempre più piccola e frazionata in 150 Comuni, di cui solo 14 superano i 10mila abitanti. Qualcuno, prima o poi, dovrà metterci mano. O no?

  • Poveri a San Giovanni in Fiore, schiavi in Brasile: l’Opera Sila e i negrieri di Pedrinhas

    Poveri a San Giovanni in Fiore, schiavi in Brasile: l’Opera Sila e i negrieri di Pedrinhas

    Avevano promesso loro un pezzo di terra nel cuore della Sila, dov’erano nati e cresciuti. E quella terra la ottennero. Solo che a migliaia di chilometri di distanza. Dall’altro capo dell’oceano. In mezzo al nulla.
    È una storia di menzogne e sfruttamento, sacrifici e sogni infranti, quella delle famiglie che l’Opera per la valorizzazione della Sila (Ovs), all’inizio degli anni ’50, inviò da San Giovanni in Fiore in Brasile per fondare una città, Pedrinhas. E ha i tipici ingredienti delle storie di fallimenti targati Italia: interessi politici, poveracci fregati, annunci distanti anni luce dalla realtà.

    La riforma agraria, l’Opera Sila e Pedrinhas

    opera-sila-pedrinhasIl Ventennio fascista si è concluso da poco, lasciando in eredità macerie e povertà. Nonché un ente, l’Icle (l’Istituto nazionale di credito per il lavoro italiano all’estero) che ha creato Mussolini e fino a quel momento ha gestito con scarsi risultati e parecchi denari i flussi migratori dalla Penisola al resto del mondo. Nella neonata Repubblica parte la riforma agraria, una battaglia contro il latifondo per una più equa distribuzione delle terre ai contadini. Ma in Calabria, più che altrove, le cose vanno a rilento.
    La legge Sila, che prevede gli espropri ai ricchi possidenti locali, è del ’51. A San Giovanni in Fiore l’Ovs, nata quattro anni prima, prende possesso di quasi 3.300 ettari di terreno. Diciotto anni dopo quelli ridistribuiti saranno ancora poco più della metà, circa 1.800. E il malumore nella “capitale della Sila”, dove il rosso è il colore politico più in voga, inizia presto a farsi largo.

    La soluzione arriva da un accordo che il nostro governo e quello carioca hanno siglato nel ’47: l’Italia invierà manodopera in Brasile, in cambio di forniture varie. Sembra il modo di prendere due piccioni con una fava: i contadini avranno la terra che spetta loro, seppur in un altro continente, e, con la scusa di aiutarli, ci si libererà pure di qualche rompiscatole di troppo spedendolo all’altro capo del mondo. L’Opera Sila, a forte trazione democristiana, non si lascia sfuggire l’occasione e lancia l’operazione Pedrinhas.

    Dal manifesto a… l’Unità

    E così sui muri dei paesi silani, nel dicembre del ’51, appare un manifesto che inizia così: «La terrà è poca e non basta a soddisfare le esigenze di vita e di lavoro di tante famiglie di contadini della Sila. Per superare queste difficoltà, l’Opera per la valorizzazione della Sila ha concordato con la I.C.L.E., in uno spirito di cordiale collaborazione, un programma di emigrazione organizzata che inizia la sua attuazione il 2 dicembre. In tal giorno alcune famiglie partiranno da San Giovanni in Fiore dirette verso il Brasile, generoso ed ospitale, ove riceveranno una terra ed una casa. L’atto di solidarietà nazionale, che ispira la riforma, trova così un’eco nel gesto di solidarietà del Paese amico che accoglie i nostri lavoratori».

    Quel 2 dicembre non è una data casuale: è il giorno in cui arriva in Sila l’onorevole Luigi Gui, sottosegretario all’Agricoltura, insieme al presidente dell’Ovs Vincenzo Caglioti per una cerimonia in cui è la propaganda a farla da padrona. Sono 52 le famiglie, spiegano i due, che partiranno dalle montagne calabresi verso il Brasile. «Riformatori o negrieri?», titolerà L’Unità a distanza di qualche giorno.

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    Giacomo Mancini in una foto d’epoca

    Pedrinhas e l’Opera Sila in Parlamento

    Giacomo Mancini ricorderà quella giornata pochi mesi dopo alla Camera, definendo l’operazione Pedrinhas «un’indegna farsa» per celare «l’attività negriera» dell’Opera Sila. In effetti, la terra da distribuire in Sila all’epoca era più che sufficiente per non costringere ad emigrare proprio nessuno. Dello stesso avviso il comunista di Acri Francesco Spezzano, che dal suo scranno in Senato tuona contro l’Ovs: «Da Opera di applicazione della riforma fondiaria, da Ente esecutivo della riforma fondiaria, si è trasformato in ente di organizzazione dell’espatrio in massa dei contadini. Potrei dire anzi, che, per diminuire la pressione dei contadini, da ente di riforma si è trasformato in ente di vendita di carne italiana».

    Brasil…a: dal latifondo al deserto rosso

    A 550 km dalla capitale São Paulo, a 50 dalla città più vicina, in una sconfinata distesa di terra rossissima, fertile ma in gran parte ancora da bonificare, arrivano i primi italiani. Sono 143 famiglie provenienti da 16 regioni diverse, nove arrivano dalla provincia di Cosenza. Ma la parte del leone della nascente colonia l’avranno i veneti, in particolare quelli che arrivano da San Dona’ di Piave.
    Guida, spirituale e non solo, di Pedrinhas sarà infatti Ernesto Montagner, prelato partito insieme ai sui parrocchiani verso quel remoto angolo di Brasile. E “l’atto di nascita” della cittadina italo-brasiliana è proprio la posa della prima pietra della chiesa di San Donato nel bel mezzo del minuscolo paese a settembre del ’52, anche se il primo nucleo di operai italiani è lì già da dodici mesi. I sangiovannesi arrivano il 23 dicembre dello stesso anno.

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    I primi italiani ad arrivare in Brasile per la fondazione della città

    Le speranze di un futuro migliore lasciano presto il posto alla durissima realtà. Il clima torrido è un inferno per i silani e la vita brasiliana è ancora peggio di quella tra i monti calabresi.
    A raccontare la delusione è Virgilio Lilli, inviato sul posto dal Corriere della Sera nel ’54. «Quando le famiglie trasportate sulle belle navi giunsero a Pedrignas (confini Stato Paranà-Stato San Paolo), trovatesi di fronte alla terra rossa incolta, alle case ancora deserte, al silenzio della terra tropicale (malgrado l’altezza), scoppiarono in pianto. Anche le donne di quelli che resistettero piansero sei mesi di fila, tutte le notti; poiché avevano intravisto il lusso, il conforto, la felicità, in mare, ed ora si scontrarono con la dura vita degli inizi. Quanto ai deboli, arrivarono gridando che volevano tornare a casa e ottennero un giorno di tornare a casa».

    «Tutto quello che ci hanno fatto lo devono pagare»

    È ancora Mancini a far conoscere al Parlamento le condizioni dei coloni, leggendo alcune loro lettere inviate ai familiari in Calabria dal Brasile.
    «Cara madre, ti scrivo con un po’ di ritardo, causa che ho voluto prima vedere la situazione. Qui tutto male. Ci hanno imbrogliato bene, a cominciare dalla paga che non basta solo a me per il sapone e per qualche pacchetto di sigarette, perché qui è un caldo che non si resiste. Ci danno 35 cruzeiros che ammontano a mille lire italiane; 500 se le trattengono al giorno per la mensa e le altre se ne vanno così: sapone prima base, perché qui è una terra rossa che siamo diventati tutti rossi. Quindi questo anno ci debbo stare, perché c’è il contratto che ognuno di noi ci dobbiamo fare un anno di lavoro; appena finisco sono con voi. Un anno di sacrifici, ma tutto quello che ci hanno fatto a noi i signori lo devono pagare».

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    Contadini al lavoro nella neonata Pedrinhas

    «Fuori dalla civiltà umana»

    Un altro colono sangiovannese si rivolge così al marito di sua sorella: «Caro cognato, in quanto mi dite che avete inoltrato domanda per venire in Brasile ti prego di rinunciare subito. Le nostre condizioni sono molto tristi in quanto non abbiamo niente di buono. L’acqua viene tirata dai pozzi; è filtrata, un’aria tropicale e un caldo insopportabile. Come paga non abbiamo niente; come vi ho già scritto che abbiamo 35 cruzeiros, 15 di mensa, 10 se li trattengono per il viaggio, e possiamo mandare il quaranta per cento del guadagno ma non dobbiamo fare nient’altro né fumare, né bere una birra né sapone; fatevi voi il conto se possiamo mandare soldi a casa; e non possiamo neanche scrivere a nostro piacere: per i francobolli ci vogliono 6 cruzeiros. Caro cognato qua si vive fuori dalla civiltà umana, non c’è distinzione di giorni, né domeniche, né feste, sono tutti i giorni uguali. Sono andato alla direzione della nostra compagnia e ci ho detto che ci rimpatria subito così sono io che vi devo raggiungere».

    Fuga dalla schiavitù

    I contadini silani a Pedrinhas sono tra i primi a ribellarsi. Minacciano di dare fuoco alle case appena costruite e nel giro di un anno si ritrovano praticamente tutti al porto di Santos per tornarsene in Sila. Le fughe dalla colonia sono solo all’inizio. A settembre del 1953 oltre 150 coloni italiani scappati da Pedrinhas sono a São Paulo in attesa di rimpatrio. Le famiglie vanno via in piena notte, incuranti di aver abbandonato casa, attrezzi, bestiame.
    Un anno dopo 170 coloni già ingaggiati con contratti capestro lasciano Pedrinhas, denunciando di aver subito un trattamento da schiavi. Restano per mesi nella Hospedaria de Imigrantes di São Paulo dove li trattano «peggio dei prigionieri», abbandonati da tutti. Rosario Belcastro, futuro dirigente della DC e della Cisl calabrese, pur di farsi rimpatriare preferisce spacciarsi per comunista agli occhi della polizia brasiliana, finché questa non lo accompagna alla frontiera e lo rispedisce in Sila.

    Basta Pedrinhas: l’Opera Sila e i passaporti strappati

    I calabresi a restare a Pedrinhas sono pochissimi, come ricostruisce Pantaleone Sergi in un articolo per il Giornale di Storia Contemporanea del 2016 che ripercorre il progetto brasiliano dell’Opera Sila. Ci sono Biagio Talarico, che è arrivato lì con altri familiari presto rientrati tra i monti calabresi, e il sarto Francesco Mascaro. Entrambi, però, si trasferiscono dopo pochi anni in città più grandi. E c’è Francesco Romano, che resiste invece in mezzo a quella terra roxa «che penetra ovunque, si respira nell’aria, s’attacca ai panni e alla pelle, colora di rosso ogni cosa, segnando tutto col suo marchio inconfondibile».pedrinhas-paulista-06-1-opera-sila

    Poco tempo dopo lo raggiungerà anche un fratello, ultimo dei “bra-silani” di quel poco riuscito tentativo di emigrazione programmata. E gli altri lavoratori ingaggiati in Calabria? Niente più Pedrinhas per loro, riferirà ancora Mancini in Parlamento: si sarebbero presentati negli uffici dell’Opera Sila per poi stracciare il passaporto in faccia ai funzionari dell’ente «che, per incoscienza o per cinismo», si erano dati da fare «per fornire altra carne di lavoratori di San Giovanni in Fiore al Brasile generoso e ospitale di Caglioti».

    Pedrinhas Paulista, 2023

    Settantuno anni dopo la sua fondazione, Pedrinhas Paulista è una cittadina di circa 3.000 anime, il doppio rispetto agli anni ’50, in buona parte di origini italiane. Le stradine si incrociano con Avenida Brazil e Avenida Italia, arterie principali del paese, e pare si viva anche bene da quelle parti. Di certo, meglio che agli inizi. Ci sono statue di centurioni e della Lupa capitolina che allatta Romolo e Remo. Una targa ricorda i nomi dei primi coloni e i loro sacrifici per tirare su il villaggio. Accanto alla chiesa di San Donato c’è il Memorial do Imigrante. Un grande arco, un colonnato e gli stemmi dei posti da cui arrivarono i “padri fondatori”, Regione Calabria inclusa.

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    Il Memorial do Imigrante: sotto l’arco, secondo da sinistra, si intravede lo stemma della Calabria
  • Sparrow, 10 anni corsari a Rende

    Sparrow, 10 anni corsari a Rende

    Qualche anno fa si sarebbe scritto okkupato con quella “k” d’ordinanza sulle pareti. Oggi l’ossatura dei centri sociali è profondamente cambiata. Mutata nei linguaggi e nei codici, non nello spirito e nell’impegno di luoghi come Sparrow a Rende. Spa sta per spazio precario autogestito, arrow in inglese è la freccia. Ma non può sfuggire il riferimento al pirata dei Caraibi più famoso del cinema. Interpretato da Johnny Depp.

    cresce e resiste, gli accenti sono sempre quelli delle tante Calabrie di stanza all’Unical. Studenti, precari, creativi, sindacati di base come i Cobas con una sede fino a poco tempo fa proprio nel centro sociale.
    L’ingresso del centro sociale occupato Sparrow a Rende (foto Alfonso Bombini)

    Da Zenith a Sparrow

    Federico è uno degli attivisti della prima ora. Sparrow nasce con gente come lui, allora studente di Scienze politiche all’Università della Calabria: «La lotta sociale autogestita aveva come base il Polifunzionale, il nostro collettivo si chiamava Assalto». Anni di impegno politico, quelli dell’Onda, per questi ragazzi con l’Aula Zenith diventata catalizzatore di esperienze antagoniste.

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    Federico, uno dei fondatori dello Sparrow (foto Alfonso Bombini 2023)

    «Occupata durante la Riforma Moratti, poi rioccupata – ricorda – con le mobilitazioni contro la Gelmini». Cambiano i Governi, resta il solito vizio tutto italiano di mettere mano, provocando danni, alla pubblica istruzione.
    Sparrow cresce e resiste, gli accenti sono sempre quelli delle tante Calabrie di stanza all’Unical. Studenti, precari, creativi, sindacati di base come i Cobas con una sede fino a poco tempo fa proprio nel centro sociale. Pochi giorni fa Sparrow ha compiuto dieci anni. Cifra tonda, da farci una festa di due giorni. E così è stato. Nonostante le insidie di una pioggia fuori stagione.

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    Antonino Campennì, insegna Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università della Calabria (foto Alfonso Bombini)

    Difendere spazi di libertà

    Antonino Campennì, professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Unical, spiega perché un presidio così va difeso: «Negli ultimi anni i motivi per vivere un centro sociale sono aumentati. Dalla crisi del 2008 tante cose sono cambiate. Gli spazi di libertà si sono ridotti ulteriormente», complice anche «il lockdown e lo Stato autoritario». Il prof lo dice da «vaccinato». Chiama in causa uno dei problemi centrali delle nostre vite: il capitalismo securitario e quello della sorveglianza.
    Oggi la sfida è salvaguardare un perimetro che sia «inattaccabile dai condizionamenti esterni, dalle logiche del mercato, dove- aggiunge Campennì – puoi comprare una birra e ascoltare un concerto con pochi euro».
    L’ex succursale abbandonata del liceo Pitagora «poteva essere demolita e capitalizzata, gettata nel calderone delle speculazioni immobiliari ed edilizie, comunque sottratta ai cittadini. Noi siamo qui da dieci anni e lo abbiamo impedito».

    Uno dei numerosi live allo Sparrow (foto Alessandro Aiello)

    Punk e metal a via Panagulis

    Quel che resta del movimento Punk, Skin, Hardcore e Metal dell’area urbana ha subito trovato spazio e ospitalità nell’occupazione di Via Panagulis. Mario, adesso vive e lavora in Spagna, ci racconta la musica che gira intorno allo Sparrow: «In dieci anni sono state centinaia le band underground nazionali e internazionali passate da noi (Hobophobic, Hexis, The Devils, Stormo, Bull Brigade, Arsenico, Plakkaggio, Bunker 66 solo per citarne alcuni). E molte sono partite dalla sala prove autogestita per suonare poi in tutta Italia come Shameless, Eterae, Across e recentemente i Guasto».
    Tra il 2014 e il 2015 matura l’idea di una sala prove autogestita, pensata soprattutto per quei gruppi con poca o nessuna dotazione economica. Il diritto alla musica fuori dalla logica del mercato.

    Creativi e resistenti

    Sparrow è un fortino di resistenti dove hanno radici una serie di esperienze diverse. Dal 2017 prova e mette in scena spettacoli il Kollettivo Kontrora. La pandemia ha un po’ limitato, come era prevedibile, tutte le attività negli anni precedenti organizzate nel centro sociale. Il cinema ha ripreso il suo corso con le ultime proiezioni di una retrospettiva dedicata a David Lynch. Sudore e fatica sono i protagonisti nelle stanze adibite a palestra con un piccolo ring. Qui Carlo allena i suoi ragazzi alla nobile arte. Boxare per resistere. Intanto il negozio gratis continua ad essere uno dei fiori all’occhiello di Sparrow. Un altro pezzo di sharing economy in città. Migranti, studenti, pensionati, famiglie in difficoltà e appassionati del vintage trovano qualcosa da donare o prendere per sé. Non è cosa da poco. Combattere la crisi con la condivisione, percorrendo strade poco battute. Come ha fatto Sparrow in questi primi 10 anni.

     

  • Acque pulite in Calabria? Solo retorica: per l’Ue siamo i peggiori

    Acque pulite in Calabria? Solo retorica: per l’Ue siamo i peggiori

    La primavera si è vista poco ma prima o poi arriverà l’estate, quindi ferie e week end al mare. Vogliamo scommettere che, anche quest’anno terranno banco, in Calabria, la depurazione e i suoi problemi?
    Gli ultimi dati regionali ufficiali si trovano nell’annuario di Arpacal sull’ambiente.
    Lo scorso marzo il governatore Occhiuto ha dichiarato l’inizio della tolleranza zero su quest’argomento, che inevitabilmente tocca i cittadini e, va da sé, i turisti.

    Sos depurazione in Calabria: la regione “avvisa” i sindaci

    Alla dichiarazione è seguito il classico colpo d’avvertimento. In questo caso, una nota del 23 marzo, con cui, Salvatore Siviglia, il direttore generale del Dipartimento regionale territorio e tutela dell’ambiente, si rivolgeva ai sindaci. Ecco il testo: «Al fine di migliorare il grado conoscitivo degli impianti di depurazione presenti nella Regione Calabria con la presente si chiede ai signori sindaci in indirizzo di provvedere, con l’ausilio dei propri uffici tecnici, alla compilazione di un apposito form».
    Questa discovery non è proprio immotivata. Si pensi che nell’ultimo dossier di Arpacal del 2022 su 102 depuratori controllati 36 erano risultati irregolari, 25 non conformi per parametri chimici non regolari e 29 non conformi per presenza fuori quota di escherichia coli.
    Arpacal, si legge nell’annuario ambientale (che potrebbe e dovrebbe essere molto più chiaro e specifico), ha trovato nei depuratori incriminati tracce irregolari di sostanze chimiche, soprattutto derivate da concimi e fertilizzanti, e tensioattivi di origine organica.

    depurazione-calabria-prepara-allarme-occhiuto-tolleranza-zero
    Le infrazioni europee nel trattamento delle acque

    Depurazione in Calabria: tutte le strutture irregolari

    In provincia di Catanzaro sono risultati irregolari 5 depuratori, a Cosenza 11, a Crotone 6, a Reggio Calabria 6 e a Vibo 8. Totale: 36 depuratori non regolari per diversi motivi. La balneazione, al momento, è messa bene. Almeno sulla carta. Basterebbe confrontare i dati del 2022 con quelli dell’anno precedente. Da questo paragone si ricava che le acque di balneazione nel 2022 sono state ritenute “eccellenti” per l’88,47%; “buone” per il 6,81%, “sufficienti” per il 2,31%, mentre restano “scarse” il 2,41% delle acque esaminate.
    Il podio va alla costa catanzarese, che si estende per circa 102 km, con acque che Arpacal considera “eccellenti” al 100%. Ma lievi miglioramenti si sono registrati tra i dati del 2021 e quelli del 2022, sulle coste del vibonese (87,82%) e del cosentino (81,14). Sostanzialmente stabili invece le condizioni delle acque balneabili nel reggino (84,44%) e nel crotonese (99,09).

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    La mappa dei controlli dell’Arpacal

    Calabria maglia nera nella depurazione

    Ma in Calabria ancora troppe zone sono sotto procedura d’infrazione europea. Per rendersi conto, basta un’occhiata al sito del Commissario straordinario unico per la depurazione, dove risultano ancora 155 procedure aperte contro la Calabria, che fa a gare con la Sicilia per il numero maggiore di infrazioni.
    Inoltre, interi agglomerati urbani non sono collettati alla rete e scaricano a cielo aperto. Perciò, in alcuni tratti il mare resta ancora inquinato. Non finisce qui: mancano alla conta le zone interne.
    Saremo pure in leggero miglioramento, ma c’è ancora troppo da fare.
    Se ne sono accorti ai piani alti di Germaneto, visto che la Giunta regionale ha stanziato gli scorsi giorni 18,5 milioni di euro.
    «Tra depuratori da sostituire o ammodernare», si legge in una nota della Regione, «per accogliere anche le acque di scarico dei Comuni che ne sono privi, saranno oltre 500 gli interventi programmati, quasi tutti sulla fascia Tirrenica, la più danneggiata dalla mala depurazione, ma anche la più frequentata dai turisti grazie all’alta velocità, l’aeroporto e l’autostrada che la collegano al resto d’Europa». Questo con buona pace delle vecchie polemiche di Fausto Orsomarso.

    Il bastone e la carota: Occhiuto annuncia tolleranza zero

    Occhiuto e la depurazione: si accettano scommesse

    Roberto Occhiuto la settimana scorsa ha ripreso la “croce” della depurazione. E, al di là del consueto ottimismo, non ha nascosto i guai: «In Calabria abbiamo 539 depuratori, sono molti di più in rapporto agli abitanti equivalenti netti di altre regioni e poi abbiamo un sistema depurativo che non funziona. Evidentemente su, questo settore, per decenni in Calabria, non si è governato come era necessario».
    La domanda, a questo punto, è scontata: la nuova legge su Arpacal e gli interventi programmati da Occhiuto e soci basteranno a togliere alla Calabria la maglia nera sulla depurazione o se ne serviranno altri? Solo il tempo darà una risposta. Ora vediamo quel che accadrà nella stagione balneare tra poco alle porte.
    Per il resto, si accettano scommesse.

  • L’emendamento ad Gentilem che fa infuriare i Cinque stelle

    L’emendamento ad Gentilem che fa infuriare i Cinque stelle

    Hai perso la partita? Puoi sempre tentare di capovolgere il risultato cambiando le regole del gioco. È quello che potrebbe accadere martedì prossimo nella Giunta elettorale della Camera dei Deputati. In quell’occasione la maggioranza di destra, forte dei suoi numeri, quasi certamente riuscirà ad approvare un emendamento che cambierebbe i destini di alcuni candidati.

    Gentile vs Orrico

    Tutto nasce da un ricorso presentato da Andrea Gentile, erede fin qui mancato di una lunga storia politica, contro la pentastellata Anna Laura Orrico. Il successo della Orrico, di soli 482 voti, apparve al tempo come la classica e imprevista vittoria di Davide contro Golia. Il gigante in questo caso era la famiglia Gentile, che per decenni è stata rappresentata nelle stanze del potere, fino alla carica di sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Renzi ricoperta da Antonio Gentile, che di Andrea è il padre.poltrona-orrico-gentile-parlamento

    Il favor voti

    Anna Laura Orrico non va per il sottile e subito dichiara che la proposta della destra ha lo scopo di aprire le porte del parlamento allo sconfitto Gentile. «L’emendamento prevede che le schede dove l’elettore ha segnato due simboli invece che uno solo, e che per questo sono state annullate, risultino valide», spiega la parlamentare.
    Il criterio su cui la destra vorrebbe fondare questa proposta si basa sul favor voti. È l’idea secondo cui l’elettore, pur avendo sbagliato a votare, abbia comunque espresso chiaramente una intenzione di voto.

    Orrico: «Emendamento cucito apposta per Gentile»

    Senonché questa idea va contro ogni legge elettorale in uso finora. «Non è prevista nel Rosatellum, né lo era nel Porcellum o nel Mattarellum perché snaturerebbe il senso dell’uninominale. Renderebbe riconoscibile il voto ed è contro il vademecum scritto dal Viminale per le elezioni», continua la Orrico. A suo avviso l’emendamento avanzato sembra «cucito apposta per Gentile, essendo proposto esclusivamente per l’uninominale». Ossia dove il candidato di Forza Italia ha trovato la sconfitta.

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    Palazzo del Viminale, sede del Ministero dell’Interno

    Tra i due litiganti il terzo va fuori?

    A riguardo abbiamo ripetutamente cercato di metterci in contatto con Andrea Gentile, le cui dichiarazioni sarebbero ovviamente state assai utili per meglio comprendere gli accadimenti. Tuttavia non è stato possibile conversare con lui.
    Nello specifico martedì prossimo la destra si prepara a cambiare le regole di una partita già giocata per potere cambiare il risultato. Se alla luce delle nuove regole Gentile dovesse subentrare ad Anna Laura Orrico, questa manterrebbe comunque il seggio, risultando vincitrice nel plurinominale. Per l’effetto domino a uscire di scena sarebbe Elisa Scutellà.

  • Un altro Stretto è possibile: ecco le alternative (a costi inferiori) dei NoPonte

    Un altro Stretto è possibile: ecco le alternative (a costi inferiori) dei NoPonte

    Mentre l’Italia è flagellata da fenomeni atmosferici eccezionali, figli del cambiamento climatico, certo, ma anche dalla mancanza di cura del territorio, in Parlamento va avanti spedito il cammino del Ponte sullo Stretto di Messina con l’approvazione anche in Senato del relativo decreto legge. Nel frattempo, a Villa San Giovanni il movimento NoPonte ha organizzato un illuminante incontro. A relazionare, il professore Domenico Gattuso, ordinario di Pianificazione dei trasporti presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Chiari e puntuali i rilievi sul progetto del Governo. Con un elemento decisivo in più: le proposte alternative, credibili e circostanziate, per un collegamento efficace tra le sponde dello Stretto. In conclusione, anche un’idea per coinvolgere nella scelta i cittadini delle comunità interessate.

    Sono quattro i punti focali delle conclusioni di Gattuso riguardo il Ponte sullo Stretto:

    1. l’idea è debole perché presenta diverse criticità dal punto di vista strutturale, ambientale, di sostenibilità finanziaria;
    2. non accorcia i tempi di percorrenza del braccio di mare;
    3. la spesa da affrontare non rende vantaggioso per l’utenza il passaggio tra le due sponde;
    4. sarebbe invece molto più efficace, per i tempi e i costi di implementazione, rafforzare e arricchire il transito via mare.

    Ponte sullo Stretto: i rilievi di Gattuso

    Partiamo dai rilievi. Il progetto è vecchio (del 2011) e infatti non risponde alla normativa europea in termini di valutazioni di impatto economico, finanziario ed ambientale. Né è dimostrata la sostenibilità dell’opera in relazione alla valutazione degli impatti dettata dall’UE di recente sul PNRR.
    Per quanto concerne l’investimento da effettuare, si quantificava nel 2021 in 6 miliardi di euro, nel DEF appena approvato lievita a 14,6 miliardi (13,5 + 1,1 per le opere ferroviarie annesse). Costi per i quali, si specifica nel documento, non sono stanziati fondi e neanche il PNRR prevede nulla.

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    Il professor Domenico Gattuso

    Il professor Gattuso sottolinea che i paragoni tra il Ponte sullo Stretto e altre opere simili già realizzate sono improponibili. È necessario, infatti, considerare alcune variabili fondamentali:

    • a) lunghezza;
    • b) larghezza e struttura dell’impalcato;
    • c) dimensioni e distanza tra i piloni;
    • d) profondità dei fondali;
    • e) presenza di rischi geologici, azioni del vento e di sismi, ecc.

    Le dimensioni contano

    I ponti a campata unica (come quello sullo Stretto) più lunghi al mondo sono il Çanakkale Bridge, in Turchia, di 2.023 metri e terminato nel 2022, e l’Akashi Kaikyō , in Giappone, di 1.991 metri e finito nel 1998. Ma c’è di più: quello ipotizzato in Italia prevede passaggio di traffico in gomma e ferroviario. Uno simile sta in Cina, il Tsing Ma, ed è lungo 1 km e 400 metri, non 3 km e 300 metri come il Ponte sullo Stretto.

    Altri problemi sono legati al progetto stesso, che non è adeguato alle nuove norme europee venute dopo il 2010. Quello definitivo, poi, manca del tutto.
    Restano numerose incognite da chiarire. Concernono forma e dimensione dell’impalcato, nonché l’altezza dal mare, prevista in 65 metri. Sarà sufficiente per il passaggio di navi da crociera e porta container o dovranno circumnavigare la Sicilia? Con quali costi? L’attracco a Gioia Tauro sarà ancora conveniente?ponte-stretto-gattuso

    Per i piloni si prevede un’altezza di 400 metri, mai vista prima, e strutture di ancoraggio gigantesche. Piazzare i giganteschi piloni richiederà un enorme movimento terra. Dove la collocheranno? In fondo al mare, devastando uno dei fondali più belli e ricchi di biodiversità al mondo?
    C’è un altro dettaglio che i cittadini di tutta l’area dovrebbero considerare, perché forse pensano di salire sul treno a Reggio, Villa o Messina e in un baleno essere dall’altra parte. Per raggiungere i 70 metri di altezza del Ponte sullo Stretto occorrono almeno 25 km per la ferrovia, spiega Gattuso, perché è prevista una pendenza massima del 3/1000. Quindi, raccordi a 25 km, non sotto casa.

    L’impatto ambientale e le novità del PNRR

    Veniamo all’impatto ambientale e alla sua valutazione. Le norme approvate per il PNRR prevedono 6 nuovi criteri, oltre a quelli in vigore in precedenza (teniamo presente che il vecchio progetto non ha mai superato la verifica d’impatto ambientale).
    Ecco i 6 criteri inseriti di recente:

    1. Investimenti volti alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
    2. Interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici;
    3. Interventi a favore di un uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine;
    4. Transizione verso l’economia circolare, con riferimento anche alla riduzione dei rifiuti;
    5. Azioni per la prevenzione e riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo;
    6. Azioni per la prevenzione e ripristino della biodiversità e della salute degli ecosistemi.

    Il traffico sullo Stretto e il no di Gattuso al ponte

    Se consideriamo invece l’efficacia dell’opera, per il trasporto di persone vediamo quali sono i flussi di attraversamento.
    Quindici anni fa, il grado di saturazione del trasporto era appena del 15-20% nelle ore di punta. Probabilmente oggi sarebbe ancora peggio, dato il trend decrescente di traffico sullo Stretto. Tra il 1995 (fonte MIMS) ed oggi, si sono persi 3,4 milioni di passeggeri all’anno (-25%: da 13,4 a 10,0 Mn) e 1 di veicoli (-35,7%; da 2,8 a 1,8 Mn), soprattutto a beneficio degli aeroporti siciliani, passati nel decennio 2009-2019 da 11,3 a 18,0 milioni all’anno. Anche il traffico merci è in calo: meno 100mila camion (-11,1% dal 1995; da 900 mila a 800 mila), mentre è cresciuto molto il traffico via mare (con navi Ro-Ro): +23,4% su Palermo e +13,1% su Catania, solo negli ultimi cinque anni.

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    La Alf Pollack

    In sostanza, una componente significativa di traffico merci ha preferito il mare al percorso “stradale” passante per lo Stretto. Gli stessi operatori privati hanno attivato servizi marittimi sulla direttrice Sicilia-Campania, più vantaggiosi sia per le imprese che per gli autotrasportatori.
    E sono entrate in gioco navi a media e lunga percorrenza (Sicilia – Centro-Nord): la Superspeed 1, costruita in Danimarca, la Passenger/Ro-Ro, infine la Alf Pollak, nuova nave Ro-Ro – la più grande del Mediterraneo, costruita in Germania e consegnata al gruppo armatoriale italiano Onorato – con una capacità di trasporto di oltre 4.200 metri lineari.

    Pendolari e pedaggi

    Come andranno invece le cose per i pendolari Reggio-Villa verso Messina e viceversa? In termini di tempo non si avrebbe alcun beneficio: dal centro di Reggio a quello di Messina 45 minuti, non dissimile da quello con gli attuali catamarani. In più, evidenzia Gattuso, attraversare il Ponte sullo Stretto non sarebbe gratuito. Il pedaggio sarebbe almeno pari a quello attuale in nave: 40-50 € per un’auto, 160- 180 € per un pullman, 70-150 € per un camion, 460-750 € per un mezzo infiammabile.
    Gattuso sottolinea inoltre il rischio che il ponte possa allontanare le città dello Stretto dai traffici nazionali, agendo da tangenziale per i traffici di attraversamento con la marginalizzazione di Reggio e Messina.

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    Imbarcaderi a Messina

    Veniamo agli aspetti economico-finanziari. Il costo del ponte è oggi di 14,6 miliardi di euro, e non si sa nulla, tra l’altro, dei futuri costi di manutenzione. Non esiste project financing. L’investimento è a carico della collettività, con ricavi gestiti da privati in concessione. Bisognerebbe attualizzare gli indicatori economico-finanziari in termini di dati di ingresso (flussi decrescenti e costi crescenti). Atteso un peggioramento degli indici che già erano inconsistenti nel 2012. Le valutazioni dovrebbero seguire le procedure attualizzate dal Manuale UE che la Commissione ha elaborato nel 2014.
    Ai privati interesserebbero la gestione per il profitto che può determinarsi solo con pedaggi elevatissimi, altrimenti tutto cadrà sulle spalle dei cittadini italiani.

    Infrastrutture, crescita, ambiente e sicurezza

    E la vulgata secondo cui il ponte sullo Stretto «rappresenta un volano di crescita economica e sociale per la Sicilia e la Calabria»? Gattuso afferma che la più recente letteratura economica è pressoché concorde nel sostenere come non vi sia un nesso causale tra investimenti in infrastrutture di trasporto e crescita. Ciò non è avvenuto con l’alta velocità e uno studio della Banca d’Italia ha certificato che la Salerno–Reggio Calabria non ha avuto effetti sul PIL della Calabria.

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    La facciata di Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia

    Per quanto concerne i costi esterni, la Via del mare è preferibile alla strada. ALIS, in uno studio del 2001, ha stimato che grazie ai servizi Ro-Ro e alle Autostrade del mare, sono stati eliminati dalle strade, in Italia, circa 1,7 milioni di mezzi pesanti. Quindi 47,2 milioni di merci sono state spostate sulle rotte marittime, abbattendo 2 milioni di tonnellate di CO₂. Il vantaggio economico per l’ambiente è stato stimato in 1,5 Md €. A questo si aggiunge una riduzione dell’incidentalità su strada, del rumore da traffico e del carburante consumato. Inoltre, le navi in costruzione oggi sono assai meno inquinanti rispetto al passato.

    Notevoli i rischi per il ponte se si parla di safety & security. Numerosi i problemi di safety: la circolazione dei veicoli in una carreggiata a 6 corsie in rettifilo, con scarso traffico, produrrà velocità elevate; intensità del vento e spinta laterale; oscillazioni possibili date le dimensioni di sezione trasversale; azioni sismiche imprevedibili; eruzioni vulcaniche e polveri; esplosione di veicoli con merci pericolose (vedi Bologna, 2018); omessa manutenzione (vedi ponte Morandi, 2018). Quanto alla security, sussisterebbero rischi di attentati (vedi Crimea nel 2022).

    L’alternativa di Gattuso al Ponte sullo Stretto

    Ecco invece l’alternativa di Gattuso al Ponte sullo Stretto, in poche mosse, in tempi rapidi e a costi di gran lunga inferiori.
    Innanzitutto, serve una flotta navale ben strutturata e dimensionata. Un traghetto a doppio portellone (come quelli attualmente in servizio) costa circa 50-60 milioni di euro, un catamarano da 250 posti circa 8-10. Inoltre su un traghetto dotato di binari può trovare posto un intero treno regionale senza necessità di scomporlo. Per una flotta di 20 traghetti e 10 catamarani sono necessari 1,2 miliardi di euro.

    Poi, il riassetto dei servizi marittimi sullo Stretto. Con un utilizzo combinato nave-treno per servizi locali-regionali avremmo traghetti catamarani per servizi passeggeri a maggiore frequenza.
    Infine, l’integrazione dei servizi di trasporto pubblico sulle due sponde. Da Messina Centro a Reggio Calabria Centro, con approdi adeguati e potenziati e stazioni marittime distribuite sulle due coste, in tutta l’Area metropolitana dello Stretto.aliscafo-ponte-strettp-gattuso

    Per ottimizzare l’impiego delle risorse bisogna raffrontare i costi, che fanno pendere nettamente la bilancia per il trasporto pubblico mediante treno, metropolitana, autobus, navi di ultima generazione. Solo per avere un’idea, 1 km di TAV costa 40-50 milioni di euro, 1 km di ferrovia a doppio binario elettrificato10-15 milioni. Un km di ponte sullo Stretto? 3 miliardi di euro!
    Per le tariffe per gli utenti serve considerare la distanza tra le due sponde e la necessità di instaurare una vera continuità territoriale, che non è effettiva se il costo del pedaggio, di qualsiasi genere, è quello attuale. Occorre quindi calcolare le tariffe da applicare come quelle dell’autostrada, cioè a 20 centesimi al km. E quindi: 2 € a persona, 4 € ad auto, 15 € a camion.

    Prima il dibattito (vero), poi il referendum

    La domanda finale che pone Gattuso richiede un cambio di prospettiva: «Serve una sola grande opera costosa e di dubbia utilità e fattibilità o è preferibile un insieme diffuso di opere e servizi abbordabili, utili e fattibili?».
    Una domanda retorica, per chi non ha pregiudiziali o interessi di altro genere. E a rispondere dovrebbero essere i cittadini interessati delle due sponde con un referendum, come reclama il professore.
    Una consultazione cui deve precedere un dibattito vero e diffuso. Approfondito, basato sui dati, sulle informazioni, non sul tifo da stadio o sull’ideologia.

  • Cosa fa la gente tutto il giorno? Intanto ascolta e legge Cameron a Cosenza

    Cosa fa la gente tutto il giorno? Intanto ascolta e legge Cameron a Cosenza

    Ma dove sta la differenza tra un racconto e un romanzo? Risponde a questa domanda Peter Cameron con la sua consueta asciuttezza: «Nel primo caso il lettore arriva subito nella scena, nel secondo ci sistemiamo, ci accomodiamo e prendiamo qualcosa». Da bere. Il sottinteso era davvero facile da capire.
    Lo scrittore americano ha parlato del suo ultimo libro (Cosa fa la gente tutto il giorno?), ospite del Premio Sila ‘49 di scena ieri a Palazzo Arnone, sede della Galleria Nazionale di Cosenza. Un “colpaccio” letterario internazionale per un premio che rappresenta uno dei punti di riferimento per la scena culturale calabrese. E del resto il nome di Cameron è lì a testimoniarlo.

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    Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila

    Saluti di Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila. Poi subito l’intervista al narratore che si divide tra New York («energia di chi crea») e il Vermont. Caos e pace. Un po’ la sintesi della scrittura.
    Intervistato dall’agente letterario Marco Vigevani, ha sentenziato: «Non ci sono personaggi banali, dipende sempre dalla prospettiva con la quale li guardi».

    Un racconto a Cosenza?

    Non poteva mancare una domanda tutta cosentina di Vigevani. «Come ambienterei un racconto a Cosenza? In realtà – risponde lo scrittore – per me è davvero molto difficile rispondere a questo interrogativo, d’altronde io non scrivo in maniera consapevole: devo aspettare che qualcosa in me sedimenti, che le immagini diventino storie. Tuttavia – conclude – adesso che ho avuto modo di ascoltare le mie parole in italiano, grazie alle letture dei miei libri, capisco perché a queste latitudini io piaccia molto: i miei romanzi e i miei racconti sono molto più belli nella vostra lingua».

    È così, dunque, che il Premio Sila ’49 apre alla letteratura straniera, con un incontro che inorgoglisce ed entusiasma tutti. Compresi la direttrice del Premio Gemma Cestari e il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini che chiudono con queste parole: «Peter Cameron ci ha dimostrato amicizia, siamo molto contenti che sia qui. Le storie che scrive a New York e in Vermont abitano nei nostri cuori, potrebbero essere state scritte a Cosenza, sono universali. Non le dimenticheremo, così come non dimenticheremo questo momento, il primo, con uno scrittore di fama internazionale, di una lunga serie».

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    Pubblico numeroso a Palazzo Arnone per Peter Cameron

    Tra i suoi libri, compaiono testi come Anno bisestile, Il weekend, Andorra, Un giorno questo dolore ti sarà utile, In un modo o nell’altro. Autore molto amato in Italia. E il grande successo di pubblico dell’evento organizzato dalla Fondazione Premio Sila ne è prova. Così come il lunghissimo firma copie prima di lasciare Palazzo Arnone. Goodbye mister Cameron.

  • Sanità in rosso? La Lega lancia le “palestre della salute”

    Sanità in rosso? La Lega lancia le “palestre della salute”

    La Lega calabrese come il Padre Gabrielli di Boris? Il sospetto, almeno per i fanatici della celebre serie TV, potrebbe anche venire spulciando il sito del Consiglio regionale della Calabria. Può capitare, infatti, di imbattersi in una nuova proposta di legge che porta la firma di quattro esponenti locali del Carroccio: Giuseppe Gelardi, Pietro Raso, Pietro Molinaro e il presidente dell’Aula Fortugno, Filippo Mancuso. La sanità dalle nostre parti, si sa, ha problemi di bilancio (e non solo) enormi, ma un modo per ridurli c’è. Ed è il segreto della vita che Corrado Guzzanti rivelava all’elettricista Biascica: la palestra.

    Sport, Sanità e conti in rosso

    I quattro salviniani di Calabria, ispirati dai (ma meno accurati dei) colleghi veneti, non hanno dubbi a riguardo e lo mettono nero su bianco nella loro proposta di legge. Dopo attenti studi non hanno potuto che rilevare come risulti «fatto notorio che il benessere psicofisico sia uno dei fattori fondamentali per l’abbassamento del rischio di contrazione di diverse malattie». Qualora non fosse chiaro, lo ribadiscono: «Uno stato di forma ottimale della popolazione porterebbe ad una minor insorgenza di malattie».

    Appurato che di solito mantenersi in forma fa ammalare di meno, è arrivata l’illuminazione: meno malati si tradurrebbero in una minor spesa per il sistema sanitario. Non solo avremmo «una popolazione più sana, e quindi più attiva e più felice». Ci sarebbero pure ricadute positive «in relazione ad alcuni segmenti del bilancio regionale e di quello nazionale».

    Non solo Calabria: la Lega e le palestre della salute

    Ed ecco come la Calabria potrebbe salvare il SSN: mettendo un cartello “Palestre della salute” nelle palestre che esistono già. La legge targata Lega si compone infatti di quattro, scarni articoli. Il primo dice che nel 2023 la Regione riconosce che per realizzare il diritto alla salute fare attività fisica serve, come già legiferato nel 2010. Nel secondo si chiarisce che secondo i nostri governanti le «palestre della salute» – e non, per esempio, le macellerie o i negozi di ferramenta – sarebbero «luogo privilegiato» per la suddetta attività.

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    La Lega di Zaia ha istituito le palestre della salute in Veneto, i salviniani di Calabria vogliono imitarla

    Ma che sono le palestre della salute? Palestre dove – lo certificherà la Regione, spiega l’art. 3 – si faranno attività che fanno bene alla salute con attrezzature a norma. Si prospettano tempi duri, dunque, per quelle dove si va per ammalarsi o farsi male, la Cittadella non avrà pietà per loro. Il quarto articolo, infine, rassicura tutti: non ci saranno costi in più per il bilancio regionale. Il cartello, insomma, se lo pagheranno i gestori.
    La nuova legge deve ancora passare l’esame di due commissioni (la Sesta e la Seconda) e  ottenere l’ok del Consiglio, ma la strada per una Sanità coi conti in ordine sembra già più in discesa.

  • I villaggi della Riforma agraria in Sila

    I villaggi della Riforma agraria in Sila

    “I villaggi della riforma agraria in Sila”. È il titolo dello studio che sarà presentato mercoledì 24 maggio, alle ore 9,00,  nel Centro Sperimentale Dimostrativo ARSAC di Molarotta, a Camigliatello Silano, nel comune di Spezzano della Sila.

    Il lavoro, realizzato da un team di studiosi composto da Antonella Veltri, Sonia Vivona e Nelide Romeo dell’ISAFoM-CNR di Rende (CS), da Enzo Valente dell’IRPI-CNR di Rende (CS) e da Massimo Veltri, già professore ordinario Unical, offre una retrospettiva sugli interventi che hanno trasformato l’assetto sociale e ambientale dell’altopiano silano a partire dal dopoguerra, e sul ruolo svolto dall’Opera per la Valorizzazione della Sila, ponendo poi l’accento sull’opportunità di un rilancio agro-turistico delle strutture esistenti, anche alla luce delle normative e delle direttive europee tese a dare impulso a politiche economiche incentrate sul binomio ambiente/salute.

    Interventi multipli settoriali sul patrimonio della Riforma agraria in Sila all’interno di una strategia di sviluppo complessa ed articolata, avvalendosi anche delle risorse “offerte” dal PNRR. In questo senso, lo studio costituisce anche una sfida rivolta ai decisori politici. In una terra, la Calabria, piegata da una forte crisi demografica, con le sue aree interne soggette a spopolamento, che si allontana sempre più, dal punto di vista economico, dal resto del Paese.

    Il programma dell’incontro prevede gli interventi di Sonia Vivona, Antonella Veltri e Massimo Veltri, co-autrici e co-autore dello studio, di Franco Curcio, Presidente del Parco Nazionale della Sila, di Silvano Fares, Direttore del CNR-ISAFoM, di Gianluca Gallo, assessore all’agricoltura della Regione Calabria, di Bruno Maiolo, Direttore Generale ARSAC, di Paolo Palma, Presidente ICASIC, di Michele Santaniello, Presidente ODAF Cosenza e di Pietro Tarasi, Presidente del Consorzio patata della Sila IGP. I lavori saranno moderati dal giornalista Luigi Pandolfi.

  • Riciclare per vivere: il rifiuto diventa arte

    Riciclare per vivere: il rifiuto diventa arte

    Cosenza è la città dei Bruzi, dei sette colli, dell’imponente castello normanno, della stauroteca donata da Federico II di Svevia, dei natali del filosofo naturalista Bernardino Telesio. È un centro di interesse storico-culturale in una regione a vocazione turistica che nel suo corredo naturale vanta meravigliosi altopiani e coste marine a perdita d’occhio.

    Cosenza, però, è anche una città che ancora combatte contro i sacchi di immondizia abbandonati negli angoli delle strade. Un banale gesto di inciviltà che, nel quadro del più complesso tema della riduzione dei rifiuti, è tra le sfide che uniscono in battaglia un gruppo di attivisti provenienti da varie associazioni della città che, non a caso, è anche la capitale italiana 2023 del volontariato.

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    Rifiuti abbandonati nella parte vecchia della città di Cosenza (foto Francesco Bozzo)

    “Munnizza social club”

    Rifiuti è proprio il titolo di una recente mostra, voluta da un collettivo di associazioni e cooperative, denominato Munnizza social club, in collaborazione con GAIA (Galleria Arte Indipendente Autogestita), un suggestivo spazio dedicato all’arte, a pochi passi dal duomo romanico-bizantino, nel cuore della città vecchia. L’iniziativa presenta il lavoro di cinque artisti (Federico Scoponi Morresi, Antonio Spadafora, Nando Segreti, Francesco Bozzo e Rosanna Maiolino) interpreti, ognuno a suo modo, con fotografie, sculture e istallazioni, dei rifiuti, come parte residuale dello sfrenato consumismo da cui siamo costantemente corrotti”, ma anche come “negazione del margine e della periferia”. Il fotografo Francesco Bozzo, ad esempio, realizza un reportage dedicato ai cumuli di immondizia stipati negli angoli più disparati della città, forse dove un tempo c’erano i bidoni di conferimento del residuo urbano, ormai scomparsi con la raccolta differenziata.

    La differenziata dal basso

    Nonostante il nome informale e canzonatorio, Munnizza social club esordisce sul territorio bruzio presentando, nel giugno 2022, un documento dal titolo Proposte ed idee per il capitolato speciale d’appalto del bando per l’affidamento del servizio integrato di igiene urbana della città di Cosenza, rivolto all’amministrazione comunale e sottoscritto da numerose associazioni cittadine. Il documento contiene otto proposte concrete, dal piano di comunicazione alle modalità di conferimento nelle isole ecologiche, per migliorare il sistema di raccolta differenziata cittadino – specie nei quartieri periferici, lasciati, secondo i firmatari, in uno stato di abbandono – e per avviare attività di recupero e riuso dei materiali, in ottica circolare.

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    Un cartello non basta a fermare gli incivili (foto Francesco Bozzo)

    Il R-party entra nei quartieri

    Da allora, il club, anche se l’interlocuzione con l’amministrazione si è fermata alle parole, ha proseguito la sua azione sul territorio, con eventi dimostrativi e di sensibilizzazione sul tema della riduzione dei rifiuti e della cultura del riuso e della riparazione. Non a caso, la mostra Rifiuti, cornice di eventi a tema, come dibattiti e presentazioni di libri, ha chiuso in bellezza, il 7 maggio, con un R-party, che ha portato in piazza numerose realtà cittadine al motto di “ridurre riusare, riciclare”. Le associazioni radunate in piazza Piccola sono molte e varie. C’è chi si batte per la difesa dell’ambiente, ma anche per l’inclusione sociale, i diritti delle donne, la sicurezza alimentare, contro le discriminazioni e gli sprechi. Le attività vanno dai laboratori per bambini alla ciclofficina, senza tralasciare spazio per il cibo, la socialità e il divertimento.

     L’anima creativa dei bruzi

    La città ha una speciale vocazione alla creatività e alla contaminazione. Tra le originali iniziative dei R-Party trova spazio un mercatino Sbarattino, dove chiunque porta qualcosa che non usa più, ma che è ancora in buone condizioni, per essere barattato con qualcos’altro o venduto a prezzi popolari. Poi sono presenti le associazioni, tra queste, la Terra di Piero e Verde Binario. La Terra di Piero, impegnata tra le tante cose in attività umanitarie in Africa, propone la costruzione di un telaio artigianale per cucire una coperta gigante che andrà a coprire interamente piazza Bilotti, come atto dimostrativo contro l’infibulazione femminile. Verde Binario, realtà attiva già dal 2002, porta in piazza la pratica del “trashware”: in risposta all’obsolescenza programmata, vecchi computer vengono riparati e rimessi in funzione grazie all’utilizzo di software libero, salvandoli dal cassonetto.

    Conzalab: riparare vuol dire partecipare

    Tra le realtà che animano l’appuntamento R-Party, alla sua quarta edizione dal 2022, troviamo il ConzaLab, un laboratorio che promuove espressamente il valore della riparazione (conza vuol dire in cosentino “aggiusta”). ConzaLab è uno spazio, aperto al pubblico ogni sabato mattina dove, con la collaborazione di ex riparatori di professione e volontari, si può portare ad aggiustare di tutto, dal frullatore allo smartphone. Il laboratorio, alla stregue dei vari repair café in voga in molte città europee così come a New York, punta sulle potenzialità dello scambio di conoscenze e della partecipazione sociale, legate all’atto del riparare, in contrapposizione al solipsistico consumo usa e getta. Oltre al ConzaLab per riparare gli oggetti elettronici ed elettrici di uso comune e di piccole dimensioni, è presente anche il CuciLab per rattoppare e rammentare vestiti e tessuti ancora servibili.

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    Volontari di Plastic free impegnati a Cosenza (foto Francesco Bozzo)

    Plastic Free: i cittadini puliscono la città

    Ai party cosentini, spesso organizzati nei quartieri periferici, è abbinato anche un evento clean up di raccolta dei rifiuti organizzato dalla rete Plastic Free. Si tratta di un’associazione di volontariato nazionale, animata da responsabili locali, attiva dal 2019 con lo scopo di informare e sensibilizzare sulla pericolosità dell’inquinamento da plastica.

    I referenti cittadini riescono a  organizzare, tra i comuni di Cosenza e Rende, una decina di raccolte all’anno, oltre a realizzare giornate di sensibilizzazione nelle scuole con materiale messo a disposizione dall’associazione. L’ultimo evento cittadino si è svolto lo scorso 23 aprile lungo le rive del Crati nel centro storico della città, a pochi passi dalla confluenza dei due fiumi (Crati e Busento), dove la leggenda vuole sia seppellito Alarico e il suo tesoro. Al re dei Goti è dedicata in questo luogo anche una statua dell’artista Paolo Grassino. I volontari in questa occasione hanno rimosso dalla riva ben 55 sacchi di rifiuti e 10 pneumatici.

    Prossimi passi della rete dal basso

    La rete dal basso cosentina non vuole fermarsi, tuttavia, agli atti dimostrativi. Il dialogo con l’amministrazione comunale continua, specie sul tema del diritto alla riparazione e del riuso. L’ambizione è mettere insieme tutte le realtà attive sul territorio, incluse le istituzioni, per progettare un centro del riuso diffuso. A dimostrazione che si fa sul serio, a novembre del 2022 una delegazione del Munnizza Social Club è stata a Capannori (Lucca), per visitare il centro Daccapo, una dei primi esempi, in Italia, di organizzazione strutturata di un vero e proprio villaggio del riuso. La collaborazione per soluzioni innovative tra amministrazione comunale, società civile e gestore dei servizi di raccolta ha fatto di Capannori il primo comune “rifiuti zero” in Italia.

    Dai cumuli di immondizia ai “rifiuti zero” la strada è lunga, ma creatività, partecipazione e lotta, a Cosenza, non mancano.

    Nicoletta Fascetti Leon