Categoria: Fatti

  • Pnrr e Por: i quattrini ci sono, sbrighiamoci

    Pnrr e Por: i quattrini ci sono, sbrighiamoci

    Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), avviato dopo la pandemia, ha stimolato molte aspettative nel nostro Paese.
    Ad esso sono state legate in parte le prospettive di crescita economica, che dipendono anche dalla capacità di realizzare la transizione ecologica e quella digitale, le principali missioni del piano.
    Al Pnrr si è guardato, poi, come a uno strumento per ridurre le disuguaglianze territoriali che storicamente caratterizzano l’Italia. Le risorse, come si sa, sono ingenti. Ammontano a 191,5 miliardi (di cui, è bene ricordarlo, 122,6 sono prestiti), cui se ne aggiungono altri 30 del “fondo complementare”, per un totale di 222 miliardi da impiegare entro il 2026.

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    La storica sede di Bankitalia a Reggio Calabria

    I dubbi sul Pnrr

    Oggi, l’enfasi che ha accompagnato l’approvazione del Pnrr comincia a lasciare spazio ai dubbi. Sarà in grado l’Italia di spendere, nei tempi previsti e secondo gli obiettivi stabiliti, le risorse disponibili?
    I primi dati mostrano come questi dubbi non siano infondati. L’attuazione del piano procede a rilento: molti sono gli ostacoli normativi, burocratici, organizzativi da superare.
    Per quanto riguarda la Calabria, il rapporto annuale sull’economia regionale, redatto dalla Banca d’Italia, contiene utili dati sullo stato di avanzamento del Pnrr, ma anche dei programmi finanziati dai fondi europei.

    Il Pnrr in Calabria

    Secondo il rapporto, a maggio, risultavano assegnati ai soggetti pubblici calabresi (Regione, Comuni, altri enti e imprese nazionali partecipate dallo Stato come Anas e Ferrovie, Rfi) circa 5 miliardi di euro.
    In rapporto alla popolazione calabrese, si tratta di 2.265 euro per abitante (a fronte dei 1.911 euro della media nazionale). La quota principale dei fondi, il 31 per cento, è assegnata ai Comuni, mentre il 27 per cento a operatori nazionali (enti e società partecipate).
    Qual è lo stato di attuazione? Ad aprile di quest’anno (ultimo dato disponibile), i bandi di gara delle amministrazioni locali calabresi ammontavano a 764 milioni di euro, pari al 26 per cento degli importi che queste dovranno utilizzare.

    La cittadella regionale di Germaneto

    Pnrr e Calabria: ritardi nella media

    Nel quadro generale dei ritardi che caratterizzano l’attuazione del Pnrr, il dato dei Comuni calabresi, pur modesto, è sostanzialmente in linea con quello nazionale. Ciò significa che, come le altre amministrazioni locali italiane, anche quelle calabresi sono tenute ad accelerare le procedure indispensabili per attuare i progetti nei tempi previsti. Secondo le stime della Banca d’Italia, da qui al 2026, i comuni calabresi dovrebbero incrementare la capacità di spesa tra il 94 e il 125 per cento, pena il sottoutilizzo delle risorse.

    Allarme Por: diamoci una mossa

    Se per il Pnrr è necessaria un’accelerazione delle procedure, più critica risulta l’attuazione dei progetti finanziati con fondi europei. Ci riferiamo al Programma operativo regionale (Por) 2014-2020 gestito dalla Regione. Alla fine del 2022, risultava speso solo il 60 per cento dei 2,3 miliardi di euro messi a disposizione della Calabria; una percentuale inferiore a quella delle regioni italiane meno sviluppate (oltre alla Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia). In base alle normative europee, la spesa dovrà essere completata entro il 2023, per evitare il disimpegno automatico delle risorse non utilizzate. Pochi mesi, dunque, per recuperare ritardi accumulati negli anni.pnrr-calabria-ritardi-nella-media-pericolo-vero-sono-fondi-por

    I soldi? Ci sono: usiamoli

    Si consideri che, per il ciclo di programmazione 2021-27, la Calabria ha già ottenuto 3,2 miliardi di euro: un importo maggiore di quello del ciclo precedente che pure si fatica a utilizzare.
    A fronte dei problemi e delle strutturali carenze (anche infrastrutturali) che caratterizzano la regione, l’incapacità a utilizzare pienamente i fondi disponibili sarebbe difficile da comprendere. Si perderebbe non solo la possibilità di realizzare investimenti, si darebbero anche argomenti a quanti sostengono che, in Calabria, il problema non stia tanto nella disponibilità di risorse, quanto nella capacità di utilizzarle in maniera efficace per creare opportunità di sviluppo.

    Vittorio Daniele
    professore ordinario di Politica economica
    Università Magna Graecia

  • Monongah: l’apocalisse dimenticata dei calabresi in West Virginia

    Monongah: l’apocalisse dimenticata dei calabresi in West Virginia

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    Tra i monti Appalachi esiste un posto che prende il nome da una parola in uso tra le tribù locali di nativi americani: Monongah. In italiano si traduce lupo. Quella stessa parola, seppure un po’ storpiata, si usa anche da un’altra parte nel mondo, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza. In Calabria, a San Giovanni in Fiore, sui monti della Sila, terra di lupi. Lì però vuol dire un’altra cosa. Indica un luogo oscuro e pericoloso e se qualcuno ti augura di jire a minonga (o mironga), beh, non è che ti voglia troppo bene in quel momento.
    Ma cosa c’è dietro questa specie di miracolo linguistico e una traduzione così dissonante? Centinaia di morti – decine di calabresi – nel più grande disastro mai accaduto in una miniera statunitense. Una storia chiusa in un cassetto il più in fretta possibile e rimasta lì dentro per oltre un secolo.

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    La folla radunatasi all’ingresso della miniera 8 dopo l’esplosione

    Monongah, un silenzio lungo oltre un secolo

    Perché l’Italia si ricordasse dell’ecatombe dei suoi emigrati tra le viscere di quel paesino in West Virginia, infatti, c’è stato parecchio da attendere: 106 anni. Era il 2003, giusto vent’anni fa, e fu l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in viaggio istituzionale negli States a interrompere il lunghissimo silenzio dello Stato su Monongah e i suoi caduti. Dal 6 dicembre del 1907 a quel momento non lo aveva fatto praticamente nessuno. Nonostante in quel lontano giorno siano morte oltre 360 persone, la metà delle quali emigrati dal Bel Paese. E nonostante quel bilancio sia la migliore delle ipotesi, perché nelle stime più pessimistiche – e, purtroppo, più attendibili – il numero delle vittime sale. Sempre. Anche fino ad arrivare quasi a 1.000.
    Uomini, ragazzi, bambini. Bruciati in pochi istanti. Spappolati dalle rocce. Coriandoli di carne neri come il carbone che li ha uccisi, sparsi da un’esplosione a centinaia di metri di distanza.

    Un villaggio di vedove e orfani

    Ai primi del ‘900 l’America cresce e ha un incessante bisogno di carbone per le sue industrie rampanti. Monongah è una company town, una baraccopoli simil villaggio piena di minatori, tirata su nei pressi di qualche ricco giacimento dalle grandi compagnie d’estrazione, in questo caso la Fairmont Coil Company. Ci vivono circa tremila persone, ma dopo quel 6 dicembre in paese ci saranno circa 250 vedove e un migliaio di orfani.
    Gli immigrati sono tanti, polacchi e italiani soprattutto. Sono arrivati fin lì per una paga che può arrivare fino a 75 cents al giorno per dieci ore di duro lavoro, soldi che poi spendono nei negozi di proprietà della compagnia stessa.

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    Gli abitanti di Monongah in disperata attesa di buone notizie sui loro cari

    Canarini in miniera

    Quei 3/4 di dollaro sembrano pochi spiccioli, ma per chi arriva da un posto come la Calabria di inizio ‘900 rappresentano un tesoro. Equivalgono a 3,75 lire al giorno, che sono quasi il decuplo della paga media nel Meridione per un bracciante agricolo. Uno stagionale in Calabria può svolgere al massimo 100 giorni di lavoro, guadagnando così 40 lire. In miniera non ci sono limiti di questo genere e se il fisico te lo consente in dodici mesi americani arrivi ad accumulare l’equivalente di vent’anni di guadagni italiani.
    Devi sgobbare come un mulo, però, e la tua vita è in mano a… un canarino. Per capire se l’ossigeno nei cunicoli è sufficiente i minatori si portano appresso una gabbietta con dentro quell’uccellino: quando il canarino ha problemi a respirare bisogna scappare. E farlo in fretta.

    Il grisù

    Non è tanto questione di non asfissiare, il pericolo numero uno nelle miniere di carbone si chiama grisù. Niente a che vedere col draghetto dei cartoni animati: è una gas inodore, più leggero dell’aria, che si forma nelle gallerie minerarie depositandosi in sacche sui soffitti. Quando la percentuale di grisù nell’aria supera il 2% il gas diventa infiammabile, dal 5,3% in poi esplosivo. Se poi va oltre il 15% e non è ancora esploso conduce all’asfissia, che paradossalmente, diventa l’ultimo dei problemi.
    Anche una piccola scintilla se c’è del grisù di troppo in giro può provocare una catastrofe. È per questo che nelle miniere sono in funzione enormi impianti di ventilazione, tengono la quantità di gas sotto controllo. Ma il 5 dicembre 1907 a Monongah è un giorno di riposo, si festeggia in anticipo la festa di San Nicola, in miniera non va nessuno. E – stando ad alcune testimonianze – qualcuno per risparmiare ha pensato di tenere quegli impianti a mezzo servizio.

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    I resti dell’impianto di ventilazione dopo l’esplosione della miniera 8

    Di chi è la colpa?

    Sarà quella la causa dell’esplosione il giorno dopo? Oppure, come sostiene la Fairmont Coil Company, una scintilla provocata da un errore umano di qualche sprovveduto? Nella miniera di Monongah si va avanti col cosiddetto buddy sistem: ogni minatore può portare con sé un aiutante, spesso il figlio o comunque qualcuno più giovane, per dargli una mano, poi divideranno la paga di giornata. E i buddies non conoscono tutti i segreti del mestiere, né si annotano nel registro delle presenze. Nelle viscere di Monongah con ogni probabilità ci sono centinaia di corpi senza nome. E quasi 120 anni dopo una risposta ufficiale al perché di quella tragedia ancora non c’è.

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    I soccorritori fanno una pausa all’esterno della galleria durante le ricerche degli eventuali sopravvissuti

    Terremoto a Monongah

    Di certo c’è solo che quando le gallerie 6 e 8 esplodono la terra trema fino a oltre 10 km di distanza e appare subito evidente che per chi era là sotto le speranze sono infinitesimali. I minatori non di turno cominciano a scavare alla ricerca dei compagni, altri ne arrivano da miniere nelle vicinanze. Non è semplice, l’ossigeno è poco pure per le squadre di soccorritori che si alternano rischiando la pelle a propria volta. Ma si va avanti per giorni, con donne e bambini intorno ai pozzi densi di fumo nero a piangere e sperare.

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    Nel cimitero cattolico del villaggio si scava per far posto agli italiani e ai polacchi morti nelle miniere saltate in aria

    Dalle gallerie sono riusciti a scappare solo in 4. Tutti gli altri escono cadaveri. A centinaia, spesso irriconoscibili perché bruciati o mutilati. Lungo la strada principale di Monongah si accumulano le bare, occuperanno un’intera collina nel cimitero cattolico del Calvario. È il destino dei più fortunati, i resti di tanti loro compagni di sventura finiranno semplicemente in una fossa comune.

    Centinaia di vittime, decine i calabresi

    Tre mesi dopo la tragedia, con le indagini ancora in corso, una corrispondenza da Washington parlerà di 956 vittime, 596 in più dei 361 riportati nelle stime ufficiali. Analisi successive calcoleranno circa 500 decessi complessivi nell’esplosione delle due miniere. Gli italiani estratti dalle gallerie di Monongah risultano 171, il tributo più pesante lo paga il Molise con i suoi 87 morti. E poi c’è la Calabria. Nelle miniere 6 e 8 hanno perso la vita decine di nostri corregionali. I comuni che ebbero delle vittime furono:

    • Caccuri: Francesco Loria;
    • Castrovillari: Francesco Abate, Carlo Abate, Giuseppe Abate;
    • Falerna: Domenico Cimino;
    • Gioiosa Jonica: Pasquale Agostino, Tommaso Borzonia;
    • Guardia Piemontese: Francesco Contino;
    • Morano Calabro: Francesco Gaetani;
    • San Nicola dell’Alto: Domenico Guerra, Carmine La Rosa, Francesco La Rosa, Michele Rizzo;
    • Strongoli: Francesco Todaro.

    Un Natale di lacrime a San Giovanni in Fiore

    Storia a sé fa San Giovanni in Fiore, capitale della Sila ma anche dell’emigrazione calabrese di quegli anni. Non ci fu Natale nel 1907 a Monongah, scrisse un giornale del West Virginia, ma non ci fu nemmeno nel paese dell’abate Gioacchino. C’erano 32 compaesani morti in miniera in America da piangere:

    • Francesco Abbruzzino
    • Francesco Antonio Basile
    • Giovanni Basile
    • Salvatore Basile
    • Saverio Basile
    • Giuseppe Belcastro
    • Serafino Belcastro
    • Antonio Bitonti
    • Pasquale Bitonti
    • Rosario Bitonti
    • Giovanni Bonacci
    • Giovanni Bonasso
    • Giuseppe Covello
    • Luigi De Marco
    • Antonio De Vito
    • Giuseppe Ferrari
    • Antonio Foglia
    • Antonio Gallo
    • Raffaele Giramonte
    • Francesco Antonio Guarascio
    • Francesco Saverio Iaconis
    • Giovanni Iaconis
    • Pasquale Lavigna
    • Givanbattista Leonetti
    • Salvatore Lopez
    • Salvatore Marra
    • Giovanni Oliverio
    • Antonio Olivito
    • Domenico Perri
    • Tommaso Perri
    • Francesco Saverio Pignanelli
    • Pietro Provenzale
    • Luigi Scalise
    • Antonio Silletta
    • Francesco Urso
    • Gennaro Urso
    • Antonio Veglia
    • Leonardo Veltri
    • Leonardo Giuseppe Veltri

    I risarcimenti

    La Fairmont fece di tutto per non assumersi la responsabilità del disastro e le autorità statunitensi si lavarono le mani altrettanto volentieri dell’intera questione dopo poco tempo. Alcuni governi europei che avevano perso loro cittadini a Monongah chiesero risarcimenti, ma non l’Italia.
    Una raccolta fondi per le vittime servì a racimolare in tutto 150mila dollari, poco più di un decimo messo dalla compagnia d’estrazione. Gran parte di quei soldi non si sa che fine abbia fatto. Qualche vedova ha ricevuto 200 dollari; qualche figlio rimasto orfano prima di compiere 16 anni pochi dollari in meno; il resto chi lo sa.

    Padre Briggs e il ricordo di Monongah

    Di Monongah nessuno ha più parlato per quasi un secolo. Solo il prete del paese, padre Everett Francis Briggs, ha provato a tener vita la memoria dei minatori morti negli USA col supporto della rivista Gente d’Italia. È grazie a lui e al viaggio di Ciampi che quell’ecatombe di nostri connazionali è tornata alla ribalta anche da noi, seppur con 106 anni di ritardo.

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    A Monongah oggi c’è un ponte intitolato a padre Briggs

    Negli anni seguenti a San Giovanni in Fiore hanno realizzato una scultura in ricordo dei propri caduti e stretto un gemellaggio con Clarksburg, la città attualmente più vicina al luogo del disastro. La Regione Molise ha donato una campana e la Calabria ha dato una mano alla realizzazione di un monumento tra le poche case che restano oggi a Monongah. Stando a Wikipedia il comune di Falerna ha contribuito con 150 euro.

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    Il monumento all’Eroina di Monongah realizzato nel 2007 col contributo della Regione Calabria

    Il monumento in questione è dedicato all’Eroina di Monongah e, nonostante la targa non lo riporti, è probabile che ad ispirarlo sia stata Caterina Davia. Secondo un articolo di qualche anno fa su Little Italy, altra rivista per italoamericani, era la vedova di un minatore scomparso nel disastro. Suo marito è rimasto lì sotto per sempre e lei ogni giorno è andata all’ingresso della miniera a raccogliere un pugno di terra per poi depositarlo davanti casa. Per ventinove anni di fila.

  • Cosenza Wine District: la Villa Vecchia si trasforma in cittadella del vino

    Cosenza Wine District: la Villa Vecchia si trasforma in cittadella del vino

    Torna venerdì 30 giugno alla Villa Vecchia il Cosenza Wine District, una grande festa del vino calabrese nel centro storico del capoluogo bruzio. Spazio dunque agli incontri tra consumatori, winelovers e produttori, con oltre quaranta cantine del panorama regionale  presenti all’appuntamento. A organizzare la manifestazione sono Saturnalia aps e Feed It, col supporto di due partner istituzionali: il Comune di Cosenza e la Regione Calabria – Dipartimento Agricoltura.

    Cosenza Wine District, una cittadella del vino calabrese

    Cosenza Wine District è nato lo scorso anno come evento collaterale in occasione del Concours Mondial de Bruxelles che ha fatto tappa in Calabria.  Nel giro di pochi mesi è diventato un grande momento di confronto e valorizzazione del vino calabrese, capace di focalizzare l’attenzione anche sul segmento dell’enoturismo. Un filone di sviluppo importante, quest’ultimo, capace di attrarre tanti appassionati verso le esperienze da vivere nelle cantine o attraverso i consorzi della rete regionale del vino.

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    Il pubblico nell’edizione dello scorso anno

    La Villa Vecchia di Cosenza dunque si trasformerà ancora una volta in una cittadella del vino calabrese. Lungo i suoi viali sarà possibile scoprire la ricchezza e la varietà interpretativa dei vitigni autoctoni della Calabria. Produzioni che ormai hanno saputo conquistare i mercati, ma anche le giurie dei più importanti concorsi nazionali e internazionali.

    Non solo vino per nuove collaborazioni

    Ma l’appuntamento al Cosenza Wine District sarà anche con l’arte. In programma esibizioni di musicisti – grazie alla joint venture con il festival Alterazioni – e performance di arte di strada per una serata evento unica nel suo genere. Il tutto accompagnato dal migliore street food della regione.

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    Alcuni stand della passata edizione del Cosenza Wine District

    La manifestazione vuole focalizzare l’attenzione degli appassionati di tutto il Sud attorno alle potenzialità del vino calabrese. Si pone come spazio multiforme per far dialogare i protagonisti della scena enologica con i settori affini come il food, l’intrattenimento e le arti in genere, generando cosi forme nuove di collaborazione per realizzare sviluppo sui territori.

    Cosenza Wine District: le rivendite per partecipare

    Per partecipare all’evento è necessario acquistare un ticket che dà diritto all’ingresso e alla degustazione di sei vini a scelta libera. È già partita la prevendita su eventbrite o presso i rivenditori ufficiali nel territorio cosentino:

    • Fresco foodbar
    • Cheers
    • Tennis Club Cosenza,
    • Quipò più di un bar (Mendicino),
    • Pane storto lab,
    • Chiappetta sport village,
    • Bar Tabacchi Nani 11,
    • Cinque Sensi Store (Rende),
    • Tre cipolle sul comò
  • Cibo e benessere, appuntamento a Villa Rendano

    Cibo e benessere, appuntamento a Villa Rendano

    Secondo appuntamento, oggi pomeriggio alle 17.30 a Villa Rendano, con il ciclo di incontri dal titolo Giugno, il mese del benessere. A promuovere l’iniziativa è il Comune di Cosenza, con il coordinamento dell’assessore alla salute, Maria Teresa De Marco, e la collaborazione della Fondazione Attilio e Elena Giuliani, presieduta da Walter Pellegrini. Si parlerà di “Intolleranze e allergie alimentari”.

    A Villa Rendano per parlare di benessere: i relatori

    Dopo i saluti istituzionali del sindaco Franz Caruso e dell’assessore De Marco, nella storica dimora del pianista calabrese si alterneranno al tavolo dei lavori alcuni apprezzati professionisti come l’allergologo Saverio Daniele e lo specialista in pediatria Salvatore Chiappetta.
    Interverranno, inoltre, la biologa nutrizionista Antonella De Luca, la testimonial Rossana Del Santo, la psicologa e psicoterapeuta Anna Scaglione e il docente dell’Istituto d’istruzione superiore “Mancini-Tommasi”, Carmelo Fabbricatore. A moderare i lavori, Anna Laura Mattesini.

    La città della prevenzione

    Anche stavolta a Villa Rendano l’obiettivo di Giugno, il mese del benessere sarà quello di aprire, con il contributo dei qualificati relatori presenti, un’importante riflessione su una delle problematiche sanitarie più attuali e diffuse e sulle quali è imprenscindibile avviare un percorso di tempestiva ed attenta prevenzione. L’amministrazione comunale mira a fare di Cosenza la città della prevenzione e del benessere, individuale e collettivo, attraverso la promozione di corretti ed equilibrati stili di vita.

  • Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di casa. Non cedete alla pena, gli orfani in questione non sono esattamente diseredati. Al contrario, detengono il potere di decidere dei destini della Calabria attraverso le proprie scelte amministrative. Parliamo di chi ha mostrato di saper costruire e controllare il consenso elettorale e che in passato – ma ancor di più recentemente – ha rappresentato la forza del partito di Berlusconi.

    Adesso però, dopo la morte del fondatore, Forza Italia è in disfacimento. I  players politici nostrani devono ricollocarsi e presto, perché è vero che i voti locali sono di loro proprietà, ma senza un riferimento nazionale che li inquadri nel contesto politico generale e successivamente europeo, non vanno da nessuna parte. Di qui l’urgenza, quando ancora il lavoro delle prefiche è in corso, di guardarsi attorno e negoziare passaggi che garantiscano posti di prima classe.

    Gli orfani di Silvio a Cosenza e provincia

    Nella provincia di Cosenza i giocatori ancora in lutto, ma già in posizione di partenza, sono Gianluca Gallo, potente e votatissimo assessore regionale, i fratelli Occhiuto e anche i Gentile. A rappresentare questi ultimi al momento c’è solo Katya, figlia di Pino, nell’assemblea regionale. Tra poco, però, la famiglia potrebbe ritrovare una proiezione nazionale grazie alla decisione della Giunta per le elezioni della Camera dei deputati di cambiare le regole a partita finita e validare tutte le schede dichiarate nulle. Ciò consentirebbe al figlio di Tonino, Andrea, di sedere in parlamento pur essendo stato bocciato dall’elettorato.

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    Silvio Berlusconi e Roberto Occhiuto in una foto di due anni fa

    «Troppo moderati per Fratelli d’Italia»

    Per tutti loro oggi è necessario trovarsi un altro vascello. E considerando la storia, la cultura di provenienza, la fluidità che sempre li ha caratterizzati, pare difficile che Gallo e gli Occhiuto si imbarchino con la Meloni. «Troppo moderati – spiega ridendo Water Nocito, docente di Diritto – per andare con Fratelli d’Italia, è più naturale che cerchino una sponda centrista, o meglio, terzopolista». Insomma una casa nuova che c’è solo sulla carta, ma che potrebbe prendere corpo grazie alla ben nota abilità manovriera di Renzi.

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    Matteo Renzi e Carlo Calenda

    «È inevitabile che Gallo e gli Occhiuto guardino verso Renzi. È lui, più che Calenda cui credo sia destinato il ruolo di follower, a saper dare le carte e giocare poi la delicata partita con la maggioranza di governo».
    Perché è chiaro che tutti i passaggi che si concretizzeranno, avverranno dopo aver valutato il “prezzo”: da una parte il valore di chi porta consistenti pacchetti di voti, dall’altra quello di chi accoglie fornendo identità nazionale ai singoli politici senza casa.

    Tutti insieme è difficile

    Per il docente Unical «nulla è ancora deciso, ma ogni cosa è già in movimento e il valore politico dei partecipanti giocherà un ruolo determinante. Per esempio, Roberto Occhiuto ha dimostrato che nella Regione nulla si muove senza il suo consenso. D’altra parte Gallo potrebbe aver potenziato la sua già solida base elettorale» e questo potrebbe metterli in competizione all’interno della nuova casa politica comune.
    Discorso forse differente per i Gentile. Anche a causa della potenziale competizione interna al nascente terzo polo in cui confluirebbero gli ex azzurri, potrebbero tentare di capitalizzare la loro posizione approdando verso Fratelli d’Italia.

    Gli orfani di Silvio nel resto della Calabria

    Tutto in alto mare invece negli altri territori. A Vibo i forzisti erano vicini alla Ronzulli e dunque occorrerà attendere la scelta della parlamentare europea, che comunque squagliandosi Forza Italia, negozierà anche lei qualche passaggio altrove.
    Nel catanzarese invece i forzisti sono messi maluccio a causa della perdita di molte figure di spicco e «la capacità attrattiva di Wanda Ferro giocherà un ruolo importante».

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    Mangialavori, Occhiuto e Ronzulli a Vibo nell’ultima campagna elettorale per le Regionali

    A Reggio invece lo sguardo è puntato verso Francesco Cannizzaro, dominus sullo Stretto nel partito che fu di Berlusconi. In caso le mura azzurre dovessero venire giù dopo la scomparsa del leader fondatore, è probabile che Cannizzaro non abbandoni la sua anima centrista, figlia di una sedimentata cultura di destra, ma saldamente democristiana, quindi dovrebbe restare immune da tentazioni meloniane e o di tipo leghista.
    Quanto a Crotone, dove le forze politiche hanno tutte lasciato perdite sul campo, l’uomo forte in grado di orientare le scelte resta Roberto Occhiuto.

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    Berlusconi e Cannizzaro

    Popolari e conservatori

    Il più prossimo banco di prova di questi nuovi nascenti equilibri, che dovrebbero trovare concretezza nel corso dell’imminente estate, saranno le elezioni europee del prossimo maggio. «In quella occasione Meloni cercherà di scomporre il quadro politico unificando Popolari e Conservatori. Se l’operazione le riuscisse, diventerebbe la protagonista della scena politica, avendo colto un traguardo che nemmeno la Merkel aveva toccato» spiega Nocito guardando oltre i confini di casa nostra.

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    Un primo piano di Giorgia Meloni

    Se invece questa strategia non dovesse riuscire e Fratelli d’Italia restasse con i Conservatori, il peso politico di un Terzo polo renziano, con dentro quanto resta di Forza Italia sarebbe maggiormente significativo.
    Insomma, per gli orfani di Silvio in questa danza che sta per cominciare, il rischio è di sbagliare passo e pagarla cara.

  • Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Certamente non aveva letto Gramsci, figuriamoci, ma Silvio Berlusconi il messaggio del comunista sardo l’aveva intuito bene. Aveva capito che la conquista del potere per essere duratura ed efficace, deve essere preceduta dalla conquista dell’egemonia culturale. E quella battaglia il Cavaliere l’aveva vinta piano piano. Modificando la società italiana, forgiando letteralmente un Paese nuovo, costruito sul desiderio di un benessere privato. Una grande operazione di distrazione collettiva, di ottimismo infondato, che rifuggiva ogni forma di impegno.

    Una rivoluzione senza spargere sangue

    Le sue armate erano le sue televisioni, che entravano ogni giorno nelle case di tutti e atomizzavano la società, risultando mille volte più efficaci. Una rivoluzione senza sangue, fatta con le tette prominenti delle ballerine di Drive In, di programmi ridanciani, costruiti su battute facili e un po’ sguaiate, mille miglia lontane dall’eleganza vigilata dei programmi della vecchia Rai. Il potere politico è venuto dopo, quando fu necessario capitalizzare la mutazione antropologica imposta da anni di dominio televisivo. Ma anche il quel caso lo strumento televisivo, in vario modo determinò la nascita e il trionfo del berlusconismo. Come quando nel ’94 il Cavaliere asfaltò Achille Occhetto nel confronto televisivo.

    Pier Silvio Berlusconi e le ragazze di Drive In durante una puntata della trasmissione

    Berlusconi vs Occhetto: la modernità conquista la politica

    Ad arbitrare quella partita che divenne la Waterloo di Occhetto c’era un giovanissimo Mentana. Il leader della sinistra era vestito tristemente di marrone, come un qualunque funzionario di partito, pronto ad argomentare con ragionamenti lunghi e complessi. Ma dall’altra parte c’era un nuovo mostro, con il doppio petto blu di alta sartoria e la cravatta di Marinella che costavano quanto tutto il guardaroba del segretario post comunista.
    Non era solo una questione d’immagine, anche se questa svolse un ruolo fondamentale, ma pure di parole: lunghe e complicate quelle del leader della sinistra, brevi come slogan pubblicitari quelle di Berlusconi.
    E se hai plasmato la testa di milioni di persone avendoli trasformati da cittadini in massa e da elettori in pubblico, allora stravinci.
    Era la modernità che si impadroniva della politica.

    Berlusconi, Occhiuto e i Gentile: Forza Italia arriva in Calabria

    Ancora oggi quel confronto televisivo viene analizzato nelle aule dove si studia comunicazione di massa, esattamente come si rivede il confronto tra Nixon e Kennedy. Ma quel trionfo fu solo la battaglia finale. La guerra era cominciata prima, quando Berlusconi aveva piegato la grande struttura di Publitalia alle esigenze politiche, facendola diventare un partito. Ogni ufficio dell’agenzia di raccolta pubblicitaria divenne una sezione della nascente Forza Italia. E ogni figura di vertice di quella struttura si trasformò in coordinatore per investitura imperiale.

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    Pino e Tonino Gentile

    Fu così che in Calabria Giovambattista Caligiuri, Gegè per gli amici, uomo di punta di Publitalia, costruì dal nulla un partito la cui forza elettorale venne presa in prestito dai fratelli Gentile, allora potentissimi. Così potenti da scacciare un giovane ma già rampante Roberto Occhiuto, che pure tra gli Azzurri avrebbe voluto stare.
    L’ingresso dei Gentile non fu indolore. I militanti (che però non si chiamavano così) occuparono la sede di Corso Mazzini con i soffitti affrescati. Si opponevano all’ingresso dei potenti fratelli, che a loro sembravano il vecchio.
    La rivolta durò fino a quando da Berlusconi in persona giunse l’ordine di sgombrarli. Perché è vero che quelli erano i Club della libertà, ma i Gentile servivano per vincere.

    Berlusconi e la Calabria tra Regione e Parlamento

    E infatti anche in Calabria i berlusconiani stravinsero a lungo, governando la Regione, ma anche mandando in Parlamento parecchi calabresi. Per esempio Jole Santelli, che divenne pure sottosegretario in un paio di governi Berlusconi. Parecchio tempo dopo il centrodestra la candidò alla guida della Calabria proprio su decisione del Cavaliere. Berlusconi però ebbe a lamentarsi, con la consueta tendenza alla volgarità scambiata per simpatia, del fatto che lei «in 26 anni non gliela aveva mai data».

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    Il comizio di Berlusconi con la celebre battutaccia su Jole Santelli

    In Calabria Berlusconi venne pure a prendersi una laurea honoris causa, diventando ingegnere. Quel simbolico titolo accademico acquisito nel ’91, però, dovette sembrare troppo poco ai suoi adoratori calabresi. E infatti fu Tonino Gentile a proporne – senza percepire il rischio dell’esagerazione –  la candidatura al premio Nobel.
    Del resto la fedeltà può andare oltre ogni limite. E non furono pochi i calabresi eletti in Forza Italia che votarono nel 2011 assieme a mezzo Parlamento asserendo che davvero Berlusconi credeva che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak.

    L’eredità di Berlusconi e il berlusconismo in Calabria

    Oggi, a dispetto della canzoncina cantata a squarciagola a margine dei comizi, Silvio non c’è più. Quel che Berlusconi lascia è un Paese mutato per sempre, deluso dalla impossibilità di inseguire un benessere ingannevole come una pubblicità, ma più povero moralmente e culturalmente.
    La sua eredità è una destra nazionale muscolare che si è nutrita di quel populismo di cui il Cavaliere era stato fautore, ma che lo aveva prontamente sepolto ancora da vivo.
    In Calabria Berlusconi ci lascia la politica delle promesse, degli annunci trionfanti, dei larghi sorrisi. Perché il berlusconismo sopravvive al suo creatore.

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    Silvio Berlusconi con Roberto Occhiuto

  • Silvio Berlusconi è morto stamane a Milano

    Silvio Berlusconi è morto stamane a Milano

    Silvio Berlusconi è morto stamane all’ospedale San Raffaele di Milano dove era ricoverato da venerdì scorso. Aveva 86 anni. Imprenditore, editore, presidente del Milan, fondatore di Forza Italia e tre volte presidente del Consiglio.

  • Miss Italia Calabria, finale a Oriolo il 26 agosto con la Gregoraci

    Miss Italia Calabria, finale a Oriolo il 26 agosto con la Gregoraci

    La finalissima di Miss Italia Calabria 2023 è in programma il 26 agosto a Oriolo, in provincia di Cosenza. Madrina d’eccezione sarà Elisabetta Gregoraci. La notizia è stata diffusa durante la conferenza stampa di presentazione del concorso di bellezza.

    «Siamo orgogliosi ed emozionati di iniziare un altro anno all’insegna della bellezza, dell’arte e dei costumi attraverso l’uso dei dialetti che rappresentano il cuore della nostra cultura e che quest’anno si inseriranno nelle peculiarità del concorso. Anche nella stagione in corso punteremo tanto sulla valorizzazione dei territori e delle nostre ragazze che attraverso le loro esibizioni dovranno condividere la loro personalità e il loro talento. Ringraziamo come sempre la nostra patron Patrizia Mirigliani e tutto lo staff nazionale. Un particolare ringraziamento alla presidente della Provincia di Cosenza Rosaria Succurro, a Francesco Pascuzzi e al suo meraviglioso staff per l’accoglienza ricevuta, e a tutti i partner che accompagnano la grande macchina di Miss Italia».

    È quanto affermano Linda Suriano e Carmelo Ambrogio, titolari della CarliFashionAgency, agenzia esclusivista del concorso Miss Italia per la Calabria al suo nono anno consecutivo.

    Per iscriversi al concorso è possibile contattare l’agenzia sul sito www.missitaliacalabria.it. Oppure tramite email, scrivendo all’indirizzo info@missitaliacalabria.it.

  • Giacomo “Big Jim” Colosimo: il re lenone

    Giacomo “Big Jim” Colosimo: il re lenone

    Si chiamava Colosimo, Giacomo Colosimo, e a Chicago era arrivato da… Colosimi, piccolo centro del Savuto cosentino al confine con la provincia di Catanzaro. Ma lì in Illinois avevano cominciato presto a conoscerlo con altri due nomi. Il primo era Big Jim, per la stazza non indifferente. Il secondo, Diamond Jim: adorava ostentare pietre preziose sul pomo del bastone, il fermacravatta, la cintura, il bavero di giacche e cappotti, persino le ghette.
    Ma come aveva fatto quel giovane calabrese emigrato negli States in cerca di fortuna a trasformarsi in Diamond Jim? La risposta sta in due parole: Chicago Outfit.
    La moda, però, con questa storia non c’entra nulla. L’Outfit di Big Jim Colosimo è la mafia di Chicago. La chiamano così, comanda nella Windy City da oltre un secolo. E l’ha creata proprio lui.

    Hinky Dink e Bathouse: Big Jim Colosimo si prende il Leeve di Chicago

    Giacomo arriva a Chicago con papà Luigi e mamma Giuseppina nel 1885 e all’inizio ci prova pure a guadagnarsi il pane onestamente. Consegna giornali, fa lo sciuscià, lavora alle ferrovie. Ma per arrotondare passa presto a furti ed estorsioni mentre, sulla carta, fa lo spazzino. È con quest’ultimo lavoro che conquista i favori di due dei politici più corrotti che Chicago abbia mai avuto: Michael Hinky Dink Kenna e John Bathouse Coughlin.
    Sono loro a comandare nel Levee, il distretto del vizio della viziosissima Chicago, e Big Jim Colosimo gli procura un bel po’ di voti oltre a raccogliere per i due aldermen il pizzo nel quartiere.

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    “Hinky Dink” Kenna e “Bathouse” Coughlin

    Il re lenone e la regina Victoria

    Il calabrese ha carisma da vendere e pochi scrupoli. Gli piacciono tre cose: i soldi, le donne, l’Opera. Grazie alle prime due scopre la sua vera “vocazione” criminale: fare il magnaccia.
    È così che comincia a farsi un nome in certi ambienti e conosce Victoria Moresco. Lei è la tenutaria di due bordelli a Levee. È obesa, più anziana ed è pazza di lui. Jim fiuta l’occasione e nel giro di una settimana la sposa, diventando il gestore delle sua attività. Per ogni cliente che paga 2 dollari “a consumazione”, lui ne incassa 1,20. E i clienti sono tanti. Sempre di più.

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    Victoria (prima a sinistra) e sua sorella con Jim e famiglia

    Circa dodici mesi dopo le nozze, le case del piacere a Levee sotto il controllo di Big Jim Colosimo sono diventate trentacinque. In pochi anni se ne aggiungeranno centinaia, non solo in città. I bordelli più famosi sono il Saratoga e il Victoria, lo chiama così in onore della sua signora. E poi ci sono bische, scommesse, bar e saloon a rimpinguare ulteriormente le casse. I giornali locali lo chiamano vice lord, il Signore del vizio.

    La tratta delle bianche

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    Big Jim Colosimo, il re del vizio a Chicago

    Big Jim e le sue ragazze soddisfano le esigenze di qualsiasi cliente, da quelli che possono spendere pochi spiccioli ai più ricchi e perversi. Nel 1908 buona parte dell’underworld della città è nelle sue mani e anche la “Chicago bene” è di casa nei suoi locali.
    Il suo impero si fonda soprattutto sulla prostituzione, settore che nella metropoli nordamericana degli anni ’10 muove un giro d’affari stimato in 16 milioni di dollari dell’epoca e “impiega” oltre 5.000 persone.
    Per un business del genere servono continuamente forze fresche. Così tra il 1904 e il 1909 Big Jim Colosimo si dedica alla tratta delle bianche tra Chicago, St. Louis, Milwaukee e New York insieme a Maurice e Julia Van Bever, una coppia proprietaria di due bordelli vicini ai suoi.

    La Mano Nera

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    Il fac simile di una tipica lettera della Mano Nera negli States ai primi del ‘900

    Si stima che i tre facciano arrivare in quegli anni oltre 6.000 ragazze, quasi sempre minorenni, nel Levee. Le rapiscono, le drogano, le fanno stuprare dai loro uomini. Poi le mettono a lavorare in qualche casa chiusa o le vendono a qualche altro pappone per farle prostituire in strada. Per Big Jim è un affare da 600mila dollari all’anno, una cifra monstre ai primi del ‘900.
    Tutto quel denaro lo trasforma in Diamond Jim e, come spesso accade negli ambienti malavitosi, quell’ascesa irresistibile si rivelerà fatale per lui.
    A Colosimo nel 1909 arriva una lettera. C’è scritto che deve pagare 5.000 dollari se non vuole guai. E in fondo al foglio c’è una firma che può dare problemi anche a uno come lui che ha sul proprio libro paga gran parte della polizia e della politica locale: una mano nera.

    La Mano Nera è un insieme tanto eterogeneo quanto temibile di criminali italiani che vessano i propri connazionali in America. Nella sola Chicago, tra il 1895 e il 1905, ha ucciso oltre 400 persone che hanno rifiutato di piegarsi alle sue richieste. Colpisce anche fuori dagli Usa se necessario e i calabresi lo sanno bene.
    Big Jim Colosimo stesso ha lavorato per la Mano Nera nei suoi primi anni a Chicago. È del mestiere, insomma, e sa che se acconsente a pagare gli arriveranno presto nuove lettere e richieste di somme sempre più alte. Decide di sborsare il denaro la prima volta, ma azzecca la previsione e la Mano Nera non tarda a rifarsi viva. Stavolta di dollari ne vuole 50mila, il decuplo, e ne vorrà ancora di più se il re dei bordelli accetterà nuovamente di pagare.

    Big Jim Colosimo e l’arrivo di Johnny Torrio a Chicago

    Così Big Jim ne parla con Victoria e lei lo mette in contatto con suo nipote a New York: Giovanni “Johnny” Torrio. Ha già fatto parecchia strada nella malavita della Big Apple, lo chiamano The Fox, la volpe, o Papa Johnny per la sua capacità di mediare tra capi. Le arti diplomatiche di Johnny a Chicago però non balzano subito all’occhio, anzi.

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    Johnny Torrio

    Organizza un incontro con tre emissari della Mano Nera, ma ad aspettarli ci sono i sicari di Torrio che li freddano sotto un ponte. Un anno dopo fa eliminare un altro rompiscatole, Sunny Jim Cusmano. E sorte simile attende anche una prostituta-schiava scappata da un bordello di Colosimo che vuole testimoniare contro di lui in tribunale. È nascosta a Bridgeport, Connecticut, in attesa del processo quando alla sua porta bussano alcuni uomini. Si presentano come agenti federali, la fanno salire su una macchina, le scaricano dodici pallottole in corpo.
    Processo sulla tratta delle bianche chiuso.

    Il Colosimo’s e Dale Winter

    La serenità ritrovata non è l’unico beneficio dell’arrivo di Johnny. Big Jim si dedica sempre di più al locale dei suoi sogni, il Colosimo’s, che ha aperto nel 1910 al 2126-28 di South Wabash Avenue, il miglior ristorante di tutta Chicago. Ci puoi trovare seduto il grande Enrico Caruso e al tavolo accanto un gangster sanguinario o un membro del Congresso. E dal 1913 ci canta lei: Dale Winter.

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    L’interno del Colosimo’s, il ristorante di Big Jim

    A Colosimo l’ha fatta scoprire un giornalista che l’ha ascoltata cantare nel coro di una chiesa metodista da quelle parti. Viene dall’Ohio, ha una ventina d’anni, sogna di esibirsi all’Opera ed è molto carina. Big Jim se ne innamora. La porta nel suo locale e ne fa la stella, le paga lezioni di canto coi migliori insegnanti. E Dale, a sua volta, lo trasforma: il re lenone ora indossa abiti meno sgargianti, mette da parte i gioielli e i modi bruschi, studia meglio l’inglese che non ha mai davvero imparato. E a Chicago qualcuno inizia a chiedersi: Big Jim Colosimo si è rammollito?

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    1917, la pubblicità di una serata al Colosimo’s con Dale Winter protagonista

    Big Jim Colosimo e il Chicago Outfit

    Rammollito o meno, gli affari proseguono alla grande però. A occuparsi di tutto è Johnny Torrio, ormai braccio destro dello zio, dal suo ufficio nel Four Deuces, un bordello da pochi soldi con annesse bisca e sala torture che ha aperto poco distante dal Colosimo’s. Johnny non beve, non fuma, non va a donne e ogni sera, se può, la passa con sua moglie a casa. Non ama sporcarsi le mani e ha sempre l’idea giusta.

    Quando il sindaco democratico nella prima metà degli anni ’10 prende di mira il Levee e manda la Buoncostume a chiudere i bordelli, lui dissemina le ragazze in migliaia di appartamenti sparsi per il quartiere. E a poco a poco gli altri “imprenditori del settore” si mettono sotto l’ala protettrice di Big Jim Colosimo e Johnny Torrio: è nato il Chicago Outfit.

    I due iniziano ad aprire nuovi casini fuori città, lungo il confine con l’Indiana. Sono autentiche roadhouse del piacere da cui clienti e prostitute – si alternano 90 ragazze al giorno – possono varcare in un attimo la frontiera in caso arrivi la polizia e schivare l’arresto. Ad avvisare Johnny e i suoi di eventuali pericoli sono i benzinai lungo la strada, che fanno affari d’oro con tutte quelle macchine da quelle parti.

    1919: «We’ll stay with the whores, Johnny»

    L’anno della svolta è il 1919. Con l’elezione del nuovo sindaco repubblicano William Hale Thompson nel 1915, il Chicago Outfit ha di nuovo chi gli consente di spadroneggiare in città da qualche anno. Ma nel ’19 entra in vigore il Volstead Act, la legge che dà il via al Proibizionismo. E nello stesso tempo Big Jim decide di lasciare sua moglie Victoria, la zia di Johnny, per sposare Dale.
    «È quella giusta», dice al socio per spiegarli la scelta, quello commenta: «Sarà il tuo funerale».

    Una manifestazione contro il Proibizionismo nell’America degli Anni ’20: «Vogliamo la birra»

    Non va meglio quando parlano di alcolici. Secondo Johnny Torrio il Volstead Act è il più grande regalo che lo Stato potesse far loro: quelli che bevevano – e sono tanti – vorranno bere ancora di più ora che è vietato e a dissetarli di nascosto e a caro prezzo saranno proprio lui e Big Jim. Con la polizia locale già al loro servizio e gli immobili che hanno, si prospettano affari d’oro. Ma stavolta a gelare l’altro è Big Jim: «We’ll stay with the whores, Johnny», continuiamo con le puttane.

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    Una retata della polizia durante il Proibizionismo

    Il Proibizionismo prima o poi passerà, prostituzione e gioco d’azzardo ci saranno sempre, spiega il boss al suo vice. Sono già milionari così e non ha senso rischiare problemi con i federali per fare altri soldi, insiste. Ma non lo convince. Per quanto Johnny voglia bene allo zio Jim, gli affari sono affari. Big Jim Colosimo è disposto a investire poche migliaia di dollari in una distilleria clandestina, ma nulla più, quel business non è roba per il Chicago Outfit.

    Un nuovo ragazzo in città

    Ad affiancare Torrio in quei giorni c’è un nuovo ragazzo. Gli guarda le spalle perché la precedente guardia del corpo ha provato a ucciderlo ma restarci secca è toccato a lei. Arriva da New York, dove The Fox gli ha fatto da “maestro” di strada prima di trasferirsi a Chicago. Lo manda Frankie Yale, al secolo Francesco Iuele, calabrese di Longobucco a cui il nipote di Victoria Moresco ha affidato i suoi affari nella Grande Mela al momento di partire per l’Illinois. Di nome fa Alphonse Gabriel, ma tutti lo chiamano Al o Scarface, lo sfregiato, perché un coltello gli ha lasciato un ricordino sul volto. Il cognome? Capone. Anche lui, la storia è piuttosto nota, pensa che contrabbandare alcolici non sia un affare a cui rinunciare.

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    Al “Scarface” Capone

    A marzo del 1920 Big Jim divorzia da Victoria e le versa 50mila dollari affinché non abbia più nulla da pretendere. Pochi giorni dopo sposa Dale Winter in Indiana e se ne va in luna di miele. Torrio, nel frattempo, fa il Papa Johnny: parla col resto della mala di Chicago e coi suoi ex capi newyorkesi. Quando vengono a sapere che Colosimo ha di nuovo pagato la Mano Nera per paura che qualcuno facesse del male a Dale concordano tutti: si è rammollito. E non sarà certo un debole come l’ex Diamond Jim a tenerli fuori dall’affare del secolo. Johnny ha l’ok per farlo fuori.

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    Jim e Dale poco dopo il matrimonio

    Delitto al ristorante italiano

    La mattina dell’11 maggio 1920 a casa Colosimo squilla il telefono. È Torrio, dice a Jim che nel pomeriggio alle 4 sono in arrivo due carichi di whiskey per il suo amato ristorante, ma lui non potrà esserci. Tocca a Colosimo aspettare i corrieri. Ci va smadonnando in italiano per tutto il viaggio, racconterà il suo chauffeur alla polizia. Al Colosimo’s di quella consegna nessuno sa nulla, però. Jim aspetta fino alle 4:25 e si avvia verso l’uscita. Spunta un uomo dal guardaroba, gli ficca un proiettile dietro l’orecchio e sparisce per sempre.

    Pochi giorni dopo una bara da migliaia di dollari, tutta in bronzo, attraversa Chicago tra una folla oceanica. Ci sono migliaia di fiori ad accompagnarla, due bande musicali, nove aldermen, due membri del Congresso, un senatore, membri dell’ufficio del governatore, il direttore dell’Opera. Il funerale non è stato in Chiesa, però, e non c’è spazio per la salma nel cimitero cattolico. Il divieto arriva dall’arcivescovo George Mundelein in persona, ma solo perché il defunto è un divorziato.
    Big Jim Colosimo finisce in una cappella tutta per lui nel cimitero di Oak Woods a Chicago. Sulla lapide la data di morte è sbagliata (o forse, in fondo, non troppo): 1919.

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    La folla di fronte al Colosimo’s durante i funerali di Big Jim

    Chi ha ucciso Big Jim?

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    Frankie Yale

    Lascia dietro di sé due grandi misteri. Il primo è quello su chi lo abbia materialmente ucciso. Capone anni dopo racconterà a Charles MacArthur di essersene occupato di persona. Eppure il sospettato principale di quel delitto ancora oggi senza colpevoli ufficiali resta Frankie Yale. Era a Chicago quel giorno, lo hanno beccato alla stazione mentre prendeva un treno per New York. E l’unico testimone del delitto, un cameriere del Colosimo’s, ha dato una descrizione dell’assassino che pare combaciare perfettamente con lui. In giro si dice che Torrio abbia promesso a Frankie 10mila dollari in cambio di quel favore.

    Era Yale il tizio che, dopo aver mangiato un gelato e bevuto un drink all’albicocca, ha lasciato scritto dietro lo scontrino un misterioso saluto «So long Vampire, so long Lefty» ed è riapparso dal guardaroba con un revolver in mano prima di dileguarsi? Il cameriere si rifiuterà di confermarlo in aula. Quanto a Frankie, torna a New York e resta lì fino al 1937, quando una raffica di mitragliatrice Thompson consegna all’oblio eterno la sua versione dei fatti.

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    Il coroner simula per i giurati la dinamica del delitto Colosimo nel suo ristorante

    Dove sono i soldi?

    L’altro grande mistero è che fine abbia fatto l’immenso patrimonio di Diamond Jim. Dopo l’omicidio i suoi avvocati trovano solo 67.500 dollari in contanti e titoli e poco meno di 9.000 in gioielli nelle proprietà di Colosimo. Pensavano che solo a casa ci fosse a dir poco mezzo milione. Nessuno scoprirà mai dove sia il resto del malloppo.
    Dale Winter prova a chiedere l’eredità, invano: una legge dell’Illinois vieta a chi divorzia di risposarsi prima di un anno, il suo matrimonio con Big Jim è nullo. La famiglia Colosimo le dà 60mila dollari in titoli e diamanti e altri 12mila li consegna a Victoria, tagliando ogni ponte con le due donne.

    Chicago e l’eredità di Big Jim Colosimo

    Torrio controllerà Chicago fino al 1925, prima di cedere al suo alunno migliore il comando dopo aver subito un attentato dagli irlandesi nel North Side. Qualche anno dopo passerà il tempo a dare consigli a un altro suo allievo di gioventù newyorkese, Lucky Luciano. Morirà nel 1957 su una sedia da barbiere, d’infarto però.
    Capone, sempre più violento anche per la sifilide contratta in uno dei bordelli di Big Jim, diventa presto il pericolo pubblico numero uno per la stampa statunitense e l’FBI di Hoover. In galera ci finirà qualche anno dopo, nel 1932, ma per evasione fiscale. Libero ma ormai demente per la malattia, si spegnerà nel 1947.
    Il Chicago Outfit, invece, è più vivo che mai ancora oggi.

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    La tomba del gangster calabrese
  • Operazione Chiacchiera: i 16 mesi che non cambiarono la Sanità calabrese

    Operazione Chiacchiera: i 16 mesi che non cambiarono la Sanità calabrese

    Qualche giorno fa Roberto Occhiuto ha presentato alla stampa l’Operazione verità sulla sanità in Calabria. Il presidente e commissario alla Sanità ha comunicato che negli ultimi 16 mesi si è proceduto all’assunzione di 2.191 unità di personale: 1.450 a tempo indeterminato e 741 precari stabilizzati, ai quali bisogna aggiungere 1.080 lavoratori a tempo determinato. I dati sono stati presentati sotto forma aggregata per il periodo Gennaio 2022-Aprile 2023.
    La dichiarazione che ha accompagnato le cifre è stata: «Non c’è mai stata una attività tanto imponente in tutti gli anni di commissariamento».

    Se da un lato è apprezzabile che finalmente anche in Calabria si affrontino le questioni politiche e sociali partendo dall’evidenza dei dati, dall’altro sarebbe più giudizioso presentarli in una forma facilmente verificabile. Ad esempio, la pratica corrente nelle rilevazioni statistiche è raggruppare i dati su base annuale, o trimestrale, al fine di facilitare la comparazione e la proiezione immediata con i dati storici esistenti. Dover analizzare un periodo di 16 mesi risulta più complesso, ma con gli strumenti giusti si può.

    Sedici mesi alla prova del nove

    Per verificare l’andamento del reclutamento del personale in ambito sanitario, ed in generale della PA, si può accedere al sito della Ragioneria dello Stato denominato OpenBDAP. Questa piattaforma offre un panorama dettagliato su assunzioni, cessazioni, lavoro flessibile, con dettagli per ogni ente. I dati sono aggiornati solo quando sono definitivi e consolidati, pertanto al momento si fermano al 2021. Ciò è tuttavia sufficiente per costituire uno storico delle assunzioni nelle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Calabria. In generale si osserva che dal 2015 in poi si sono assunte annualmente circa un migliaio di unità di personale, con un debole ma costante aumento. Più di recente, nel 2019 si sono registrate 1.246 assunzioni, nel 2020 1.349 assunzioni e nel 2021 1.525 assunzioni.

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    La sede della Ragioneria Generale dello Stato

    Al fine di verificare se si tratti effettivamente di numeri “straordinari” prendiamo come riferimento di calcolo il 2021. Come accennato sopra, si sono realizzate 1.525 assunzioni che suddivise in 12 mesi corrispondono a 127 assunzioni mensili. Moltiplichiamo per 16, ovvero il numero di mesi a cui ci si è riferiti con l’operazione verità, il risultato è 2.033. Ça va sans dire, le 2.191 assunzioni effettuate tra gennaio 2022 ed aprile 2023 sono assolutamente in linea con l’andamento del recente passato.

    Calabria, la Sanità di Occhiuto: straordinaria ordinarietà

    Comunicare la straordinarietà di un risultato ordinario può rivelarsi assolutamente controproducente. In realtà, ci sarebbe bisogno di chiedere ai “tavoli romani” un piano straordinario per le assunzioni, al fine di allineare il personale del SSR calabrese alla media del resto d’Italia ed in tal modo compensare gli squilibri causati dal Piano di Rientro. La carenza di professionisti è sicuramente tra le criticità principali che ostacola l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza ai cittadini calabresi. Ad oggi, non c’è struttura sanitaria operante sul territorio regionale che non sia sottodimensionata in rapporto al proprio fabbisogno di personale.

    Tempi per le assunzioni da umanizzare

    La narrazione della Calabria Straordinaria deve fare i conti anche con la realtà di altri dati, come le tempistiche necessarie per finalizzare le procedure concorsuali: negli ultimi 3 anni l’ASP di Cosenza ha impiegato in media quasi mille giorni dalla pubblicazione del bando alle graduatorie finali. Senza trascurare il fatto che la maggior parte delle procedure avviate tra il 2021 ed il 2023 sono completamente ferme.

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    L’ingresso dell’Asp di Cosenza – I Calabresi (foto C. Giuliani)

    A ciò si aggiungono le sfide del PNRR: si dovrà creare – a partire da zero – la rete dell’assistenza territoriale. La Calabria ha previsto 100 nuove strutture tra Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali, il loro funzionamento richiederà quasi un migliaio di nuove unità di personale tra infermieri, medici, OSS e personale amministrativo, tutte da reclutare.

    Occhiuto e la Sanità in Calabria: operazione chiacchiera?

    Occhiuto non ha certamente la bacchetta magica per risolvere problemi decennali della Sanità in Calabria. Ma ha sicuramente poteri decisionali che nessuno dei suoi predecessori ha avuto, oltre al sostegno del Governo. Difficilmente chi frequenta o lavora negli ospedali calabresi ha percepito la boccata di ossigeno celebrata dalla maggioranza che sostiene Occhiuto. Iniziative come Azienda Zero, Sanibook e Rilevatori dell’Umanizzazione sembrano creare nuovi problemi anziché risolvere i vecchi.
    “Operazioni verità” e tabaccherie ‘e lignamme ‘o Banco ‘e Napole nun ne ‘mpegna.

    Enrico Tricanico