South Italy Fashion Week approda alla settima edizione e lancia un programma ricco di incontri con professionisti del settore, approfondimenti, performance di moda, masterclass e fashion party con corner di make-up live. Quest’anno, al centro del progetto una visione local-glocal: la cultura come strumento di promozione territoriale in tutte le sue forme. Arte, moda e tradizioni con focus sulle peculiarità linguistiche e culturali come patrimonio da valorizzare per una nuova narrazione del marchio Calabria.
La direzione artistica e organizzativa del South Italy Fashion Week è di Giada Falcone, l’evento è prodotto dalla Moema Academy di Cosenza, ente di formazione per i settori fashion, design, make-up e arte. Il calendario dell’evento, che si svolgerà a Cosenza da 3 al 7 luglio 2023, sarà presentato domani, 3 luglio alle 11:30 nel Salone degli Specchi del Palazzo della Provincia (piazza XV Marzo, 5).
Saranno presenti: Confartigianato, partner dell’evento e i rappresentanti del Comune di Cosenza, della Provincia e della Regione, enti che patrocinano la manifestazione. Alla conferenza stampa ha assicurato la sua presenza Giuseppe Fata, stilista calabrese, ambasciatore del Made in Italy e Head sculpture design, noto alla moda internazionale per le sue “teste sculture”.
Sarà allarme venerdì prossimo, 7 luglio, a mezzogiorno. Ma niente paura, è solo un test. La Regione Calabria è, infatti, capofila insieme a Sicilia, Toscana, Sardegna ed Emilia-Romagna, in una sperimentazione del dipartimento nazionale di Protezione Civile: It-alert, un nuovo sistema di allarme pubblico. Servirà ad avvertire la popolazione di una determinata area geografica di un’emergenza climatica in arrivo o una catastrofe naturale in corso.
It-alert sarà operativo dal 2024 sull’intero territorio nazionale, una volta chiusa la fase di test in tutte le regioni italiane. Dopo quelli del 28 giugno in Toscana, del 30 in Sardegna, e del 5 luglio in Sicilia toccherà dunque alla Calabria, venerdì 7 luglio alle ore 12.
A mezzogiorno sui telefoni cellulari di tutte le persone che si trovano, anche in transito, sul territorio calabrese apparirà il seguente testo: «Questo è un messaggio di test del sistema di allarme pubblico italiano. Una volta operativo ti avviserà in caso di grave emergenza. Per informazioni vai sul sito www.it-alert.it e compila il questionario». Che è un form, accessibile dall’home page del sito It-alert, per raccogliere i feedback dei cittadini utili a implementare il sistema.
Un messaggio per due milioni di persone
Secondo le stime, a ricevere il messaggio in contemporanea saranno circa due milioni di utenze. Con tutti i problemi del caso. Si legge in una nota della Protezione civile calabrese: «Risulterà molto impattante sia sul piano visivo che sonoro e potrebbe comportare, per un breve lasso di tempo, il blocco delle attività e delle funzionalità degli smartphone». Volendo, «è comunque possibile disattivare precedentemente, a seconda della tipologia degli smartphone, le notifiche relative a It-alert seguendo alcuni passaggi indicati nelle impostazioni del telefono cellulare». E, com’è ovvio, «il messaggio potrebbe non arrivare nel caso in cui sia impostata la suoneria silenziosa o se i telefoni sono spenti o privi di campo».
Le funzioni di It-alert
A cosa serve It-alert? Ridurre i rischi singoli e collettivi in una situazione di emergenza, favorendo l’adozione dei comportamenti adatti. Col nuovo sistema si potranno diffondere tempestivamente allarmi pubblici attraverso i cellulari, raggiungendo praticamente chiunque.
È ancora la Protezione civile a spiegare che «ogni dispositivo mobile connesso alle celle delle reti degli operatori di telefonia mobile può ricevere un messaggio “It-alert”. Grazie alla tecnologia Cell-broadcast (letteralmente, trasmissione di cella) i messaggi It-alert possono essere inviati all’interno di un gruppo di celle telefoniche geograficamente vicine, capaci di delimitare un’area il più possibile corrispondente a quella interessata dall’emergenza».
It-Alert e la Protezione Civile in Calabria: il precedente
In realtà per qualche calabrese il test di venerdì 7 luglio non sarà una novità assoluta. «La Calabria – ha dichiarato il direttore generale della Protezione civile, Domenico Costarella – è stata la prima Regione che si è resa protagonista in ambito nazionale della sperimentazione del test di It-alert in occasione dell’esercitazione Sisma dello Stretto 2022 che si è svolta – dal 4 al 6 novembre 2022- tra Calabria e Sicilia».
In quell’occasione ci fu la simulazione di un terremoto di magnitudo 6 con un significativo livello di impatto su abitazioni e popolazione. Oltre mezzo milione le persone coinvolte in quell’occasione nell’area dello Stretto, la più grande esercitazione antisismica della storia italiana.
Ci sono volti e voci che non si dimenticano. Come quella di Emanuele Giacoia, giornalista della Rai che ha saputo raccontare la complessità di una regione come la Calabria e quella di uno sport come il calcio che non è mai stato e mai sarà solo un gioco.
La Fondazione “Attilio e Elena Giuliani” in collaborazione con il comune di Cosenza ha organizzato venerdì scorso, nella parte esterna di Villa Rendano, un ricordo del cronista di razza. “Ciao Emanuele”, questo è stato il titolo di una serata giocata sul filo della memoria. Con testimonianze e ricordi, l’incontro è stato animato dalle domande del giornalista Mario Tursi Prato. Ha partecipato anche Patrizia Giancotti, antropologa, autrice e conduttrice di RaiRadio3.
Da sinistra il presidente della Fondazione “Attilio e Elena Giuliani”, Walter Pellegrini; il sindaco di Cosenza, Franz Caruso e il giornalista Mario Tursi Prato
Il presidente della Fondazione “Attilio e Elena Giuliani”, Walter Pellegrini, ha sottolineato lo spessore umano e professionale di Emanuele Giacoia: «Un grande uomo e un grande giornalista che manca tanto a questa città e questa regione». E «come se – ha detto il sindaco di Cosenza, Franz Caruso – l’avessimo conosciuto tutti. Ha accompagnato le nostre vite in radio e in televisione».
Da sinistra il caporedattore del Tgr Calabria, Pasqualino Pandullo; il giornalista Mario Tursi Prato e il direttore della sede Rai, Massimo Fedele
Sono state molteplici le testimonianze dei colleghi. Per il caporedattore del Tgr Calabria, Pasqualino Pandullo, un «tratto distintivo della leggerezza di calviniana memoria» animava Giacoia. Massimo Fedele, direttore della sede Rai Calabria, non dimentica un episodio: «Il primo giorno che parlai con il mio ex direttore, mi disse di cercare sempre in me l’empatia di Emanuele Giacoia». Tra i contributi video spunta quello di Bruno Vespa: «Giacoia aveva una voce rotonda e sensuale. Riusciva a far vivere gli eventi. Un grande collega». Un «attentissimo cronista immerso nella realtà» sostiene Bruno Pizzul. Ecco l’amarcord di Vincenzo Mollica: «Primo giornalista che ho visto nella mia vita. Un grande narratore della terra di Calabria e della terra del calcio. Era straordinario».
Da sinistra i giornalisti della Rai, Tonino Raffa e Francesco Repice
Francesco Repice rammenta le parole di Giacoia: «Ricordati che siamo Servizio pubblico, mi diceva sempre. Emanuele mi ha dato grandi insegnamenti, era un patrimonio per noi».
«Oggi Celebriamo la vita di Emanuele. Voce degna del miglior doppiatore di Hollywood», sostiene Tonino Raffa. «Un giornalista di grande carisma, pronto a spendersi per gli altri» – dice Santi Trimboli. «Ho passato 30 anni con Emanuele – ricorda Enzo Arcuri -. Collega con il quale non si poteva litigare, di smisurata umanità e generosità». Giacoia «seduceva uomini e donne con quella voce» – dice Annarosa Macrì-. Era un fuoriclasse. Era il paolo Conte del giornalismo radiotelevisivo italiano».
Emanuele Giacoia è stato pure direttore responsabile dell’allora Quotidiano della Calabria, oggi Quotidiano del Sud. L’editore Francesco Dodaro ricorda «l’impegno e la passione di un direttore che apparteneva ai lettori».
Non poteva mancare il messaggio video di Massimo Palanca, fantasista di quel Catanzaro che conquistò e difese la serie A: «Mi stimava molto e io pure. Solidarietà tra baffuti».
Restano gli insegnamenti e i servizi giornalistici di Giacoia a testimoniarne valore, eleganza e tanto, tanto mestiere.
Il pubblico che ha partecipato al ricordo di Giacoia a Villa Rendano
Quello dedicato a Emanuele Giacoia è il primo di una serie di eventi che la Fondazione “Attilio e Elena Giuliani”, di concerto con l’amministrazione comunale di Cosenza, ha deciso di dedicare a figure del giornalismo e della cultura purtroppo scomparse, che si sono distinte per la loro attività e per il contributo che hanno assicurato alla conoscenza e alla valorizzazione della realtà calabrese nei suoi aspetti culturali, artistici e sociali.
A partire dalle prossime settimane saranno ricordati, tra gli altri, il poeta Franco Dionesalvi, l’attore e regista teatrale Antonello Antonante, e i giornalisti Raffaele Nigro, caporedattore della sede cosentina del quotidiano “Gazzetta del Sud”, ed Enzo Costabile, collaboratore della stessa testata, capo ufficio stampa della Provincia di Cosenza e autore di numerosi testi.
Carceri calabresi: in pole position c’è l’emergenza sanitaria. Ma i guai non si fermano qui.
Questo infatti è solo il dato principale del dossier 2023 (il settimo, per la precisione) del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Questo dossier è parte integrante della relazione al Parlamento.
Il report nella parte relativa alla Calabria ha ad oggetto i primi cinque mesi di attività dell’ufficio calabrese, ricoperto dall’avvocato cosentino Luca Muglia a partire dal 25 ottobre scorso.
Carceri calabresi: il quadro generale
Sulla carta, non ci sarebbero motivi d’allarme, almeno non troppi: gli istituti penitenziari calabresi sono 12, inclusi l’Istituto penale minorile di Catanzaro e le due Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) e i detenuti non superano le 3mila unità.
Tuttavia, l’ufficio regionale del Garante ha riscontrato alcune criticità evidenti da analizzare, affrontare e, si spera, risolvere.
Nell’ordine il dossier segnala: «Le eccessive lacune della sanità in ambito penitenziario, le condizioni strutturali di alcuni Istituti, datati nel tempo e privi di manutenzione, l’inadeguatezza di molte camere detentive (alcune prive di doccia), la mancanza di offerte scolastiche o formative adeguate, l’assenza di progetti di inclusione stabili, la carenza di organici e di personale della Polizia penitenziaria e dei Funzionari giuridico-pedagogici, la scarsa presenza di mediatori linguistico-culturali».
Luca Muglia, il garante dei detenuti calabresi
Carceri calabresi: l’analisi del Garante
Le difficoltà per il Garante regionale sono da ricondurre a molteplici fattori.
Alcuni sono interni all’Amministrazione penitenziaria, altri derivano dalla mancata o insufficiente cooperazione degli Enti locali. I detenuti, a loro volta lamentano problematiche riguardanti questioni processuali o necessità legate ai colloqui coi familiari, ai trasferimenti, al lavoro o alle cure mediche.
Invece, quanto alle Rems, «le esperienze di Santa Sofia d’Epiro e di Girifalco appaiono valide. La prima, pur con limiti strutturali, ha consolidato buone prassi terapeutiche. La seconda, aperta nel 2022, è una struttura di assoluta eccellenza».
L’appello del Garante
L’11 novembre scorso, quindi a pochi giorni dal suo insediamento, il Garante calabrese dei detenuti ha firmato e condiviso l’appello sottoscritto da numerose personalità. Argomento: l’elevato numero di suicidi registrati nelle carceri il 2022.
L’appello ha obiettivi precisi. «Ricorrere al carcere come extrema ratio, garantire spazi e contesti umani che rispettino la dignità e i diritti, moltiplicare le pene alternative, garantire al cittadino detenuto la possibilità di un reale percorso di inclusione».
Tra i contenuti individuati dal Garante regionale nei primi mesi di lavoro, figurano:
• difficoltà dell’esecuzione penale, la nuova disciplina delle pene sostitutive e delle misure alternative;
• giustizia riparativa;
• formazione professionale e l’inclusione sociale;
• tutela nei procedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale;
• condizione delle donne detenute;
• esigenze dei giovani dell’Istituto penale minorile.
Si legge ancora nel dossier: «A tali fini sono state coinvolte tutte le amministrazioni interessate, da quella giudiziaria a quella penitenziaria, dagli organi amministrativi a quelli politici. Il Garante ha promosso, inoltre, un dialogo costante con il Dipartimento regionale di tutela della salute, l’Osservatorio sulla sanità penitenziaria e l’ufficio scolastico regionale volto alla risoluzione di problematiche specifiche. Ha attivato una importante interlocuzione con la Conferenza episcopale calabra, i Poli universitari penitenziari e l’associazione Antigone. Ottimo il rapporto di fattiva collaborazione instaurato con i garanti territoriali di Reggio Calabria, Crotone e Catanzaro».
Il Garante regionale, infine, ha promosso una campagna di sensibilizzazione finalizzata al superamento dei pregiudizi culturali e delle etichette sociali che colpiscono i detenuti. Il tutto condito da uno slogan efficace: “Per un linguaggio non ostile dentro e fuori il carcere”.
Uno sguardo ai migranti
Il dossier termina con un passaggio sui Centri di accoglienza: «Il Garante regionale, su delega del Garante nazionale (in base alla normativa approvata nel 2020), ha effettuato pure una visita al Centro governativo di accoglienza di Sant’Anna, Isola Capo Rizzuto. La delegazione era composta anche da Elena Adamoli e Alessandro Albano (ufficio del Garante nazionale) e da Nicola Cocco (esperto del Garante nazionale). La visita aveva come focus originario la situazione dei minori stranieri non accompagnati (Msna) che fanno ingresso nel Centro e l’utilizzo della struttura quale hotspot. Gli elementi di osservazione acquisiti relativamente alle condizioni materiali dei luoghi ispezionati hanno imposto, tuttavia, una responsabilità di analisi complessiva a tutela della dignità e dei diritti fondamentali di tutti gli ospiti della struttura. L’esperienza congiunta è stata estremamente positiva, il rapporto è in corso di elaborazione».
Il sistema carcerario in Calabria può e deve funzionare meglio. Si vedrà
Rende è commissariata. Ed è il caso di dire, senza troppi “forse”: finalmente.
E non perché si ritiene lo scioglimento per mafia una salvezza. Al contrario, la città del Campagnano subirà quel che di solito subiscono i Comuni in situazioni simili: la paralisi.
Tuttavia, lo scioglimento ha un pregio politico non proprio trascurabile: cala il sipario su un’esperienza amministrativa finita almeno da un anno, travolta dai problemi giudiziari personali dell’ex sindaco Marcello Manna e dalle inchieste, antimafia e non.
Le quali hanno colpito non solo i vertici politici, ma hanno danneggiato in profondità anche l’amministrazione.
I problemi non finiscono qui: Rende non è una città piccola né secondaria. E il suo scioglimento rischia di avere conseguenze oltre i confini municipali.
Ma andiamo con ordine.
La Prefettura di Cosenza (foto C. Giuliani) – I Calabresi
Scioglimento di Rende: come vola la notizia
Il tam tam è iniziato dopo le 22 del 27 giugno: prima sono volati gli screenshot del sito del Ministero dell’Interno (o della Presidenza del Consiglio), via What’s App o social. A bomba, è arrivato qualche articolo, arronzato alla meno peggio o preimpostato come i “coccodrilli” più classici: segno che varie redazioni attendevano lo scioglimento.
In realtà, l’annuncio è stato meno spettacolare è più mesto: un comunicato del governo affogato tra varie note, dedicate agli argomenti più disparati, tra cui le nuove regole del Codice stradale, l’abolizione di normative ottocentesche e un altro commissariamento, stavolta a Castellamare di Stabia. Anche questo è un segno: fuori dalla Calabria, Rende è una cittadina che pesa solo i suoi 35mila abitanti. In Calabria, le cose vanno altrimenti: silenzi imbarazzati dai vertici regionali, dichiarazioni più o meno di circostanza. Più qualche posa giustizialista e l’annuncio, fatto da quel che resta dell’attuale ex amministrazione, di un ricorso al Tar.
Fin qui siamo negli atti dovuti e nelle ipotesi. Torniamo al presente.
L’ex sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)
Il collasso della città unica
C’è poco da essere garantisti sullo scioglimento per mafia. Questa procedura segue criteri di pubblica sicurezza, anche sganciati dagli esiti dei procedimenti giudiziari.
Un esempio lampante è il recente scioglimento per mafia di Amantea, operato in assenza di inchieste della magistratura. Rende, oggetto di inchieste tuttora in corso ma non concluse, non fa eccezione, anzi.
Finora hanno fatto tutti più o meno a gara a ricordare quell’autentico mostro, a metà tra il vespaio e il labirinto, che è Reset, l’operazione della Dda da cui è partito tutto.
E qualcun altro, anche correttamente, ha raccontato che questa non è la prima volta che Rende è finita nel mirino di una commissione d’accesso. Oltre dodici anni fa era toccato alla vecchia guardia riformista. Ma Rende aveva evitato il commissariamento e il vecchio nucleo dirigente, che pure aveva passato qualche guaio, è uscito finora intero dalle attenzioni della Dda.
Con Manna le cose cambiano: la città è sotto torchio e rischia di travolgere il processo politico-amministrativo predisposto dalla Regione, da cui dovrebbe nascere la Grande Cosenza. Vediamo come.
L’aula bunker di Lamezia, dove si svolge Reset
Ordinaria amministrazione
Sappiamo alcune cose. Innanzitutto, i nomi dei commissari che gestiranno Rende per i prossimi diciotto mesi: il prefetto a riposo Santi Gioffrè, la viceprefetta di Cosenza Rosa Correale e Michele Albertini, dirigente di seconda fascia della prefettura di Brindisi.
Questa terna avrà due compiti: certificare la presenza mafiosa nel Comune di Rende e quindi metterla in condizioni di non nuocere; gestire l’ordinaria amministrazione.
E qui casca l’asino.
Riavvolgiamo il nastro: il disegno di legge regionale da cui dovrebbe derivare la fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero in un Comune unico, prevede due passaggi e un termine finale.
I passaggi, ricordiamo, sono: referendum consultivo tra i residenti delle tre città e gestione guidata da un commissario che dovrebbe portare la nuova città alle sue prime elezioni. La deadline è prevista a febbraio 2025. In pratica alla scadenza più o meno secca dei diciotto mesi di commissariamento di Rende.
Andiamo di nuovo con ordine. Per il referendum consultivo, che dovrebbe tenersi a breve, non ci sarebbero troppi problemi: il voto sarebbe legato all’area urbana e non ai singoli municipi. Quindi la terna di commissari rendesi dovrebbe preoccuparsi, al massimo, dei seggi e della loro sicurezza.
Il problema è lo step successivo.
La sede del Comune di Rende
Scioglimento di Rende: mostri in arrivo
Si è già detto: nel secondo passaggio, un commissario dovrebbe guidare i sindaci di Cosenza, Rende e Castrolibero alle elezioni della nuova città, dopo aver fuso gli uffici dei tre Comuni ed elaborato le linee guida urbanistiche, finanziarie e politiche.
Per Cosenza e Castrolibero non ci sarebbero problemi perché, si scusi il bisticcio, ci sono i sindaci. Recalcitranti ma ci sono. Per Rende c’è il problemone: i commissari antimafia potrebbero gestire l’autoscioglimento di un Comune in un ente più grande?
Quasi di sicuro no. Anzi, in tutto questo c’è una cosa certa: lo scioglimento totale di un Comune non è un atto di ordinaria amministrazione. Altrettanto sicuri sarebbero i mostri giuridici che uscirebbero da questa situazione. Primo mostro: la coesistenza tra due commissari, quello della città unica e quello antimafia, che dovrebbe sciogliere del tutto un Comune “inquinato”. Secondo mostro: la fusione tra un Comune sciolto per mafia, ancora in predissesto, e uno in dissesto spinto.
Sandro Principe, ex sindaco di Rende e leader dell’opposizione (foto Alfonso Bombini)
La tempesta perfetta
Si può far finta di non capire i problemi che nasceranno dall’attuale situazione di Rende e, quindi, si può andare avanti verso la città unica. Lo hanno fatto, ad esempio, alcune associazioni nel corso di un dibattito all’Unical. Le opposizioni di Rende, nel frattempo, vanno alla carica e accusano Manna: lo scioglimento è colpa sua, recitano varie note stampa, perché non si è dimesso.
Su tutto, resta un rebus difficile da interpretare: lo scioglimento toglie dall’imbarazzo il Pd, che pure aveva sostenuto l’ex sindaco e forse riporta numeri nell’area riformista, che ha finora fatto opposizione in Consiglio comunale e si prepara a opporsi, praticamente da sola, al progetto di città unica.
Rende non è l’unica città importante di Cosenza ad aver subito il commissariamento per mafia: prima di lei è toccato (come già detto) ad Amantea. Ma anche a Cassano e, prima ancora a Corigliano Calabro.
Ma nessuno di questi centri ha il peso economico e culturale della città del Campagnano. Soprattutto, nessuno ha il suo ruolo geografico di tassello importante per la città unica. Che ora traballa vistosamente.
La tempesta è alle porte. E i primi lampi fanno capire che non sarà un acquazzone estivo: si annuncia perfetta.
Lo scioglimento del Consiglio comunale di Rende per mafia è una pagina nera per uno dei municipi più importanti della Calabria.
Rende, infatti, è sede universitaria e ha una popolazione composita e aperta anche per l’afflusso e lo stabilirsi di tanti studenti e docenti. In più, vanta un reddito medio tra i migliori della regione. Viste le dimensioni e la centralità culturale, economica e politica della città, lo scioglimento turba tutta la provincia di Cosenza e la Calabria.
Rende e mafia: un’inutile caccia al colpevole
Facile persino indicare le responsabilità dirette e indirette di questa situazione amara.
Ciò che però ha colpito negli anni, soprattutto nei mesi scorsi, è stata la completa mancanza del senso del limite e del ridicolo negli attori politici coinvolti in questa faccenda.
Davvero nessuno può dirsi esente da uno spregio continuo del comune senso del pudore. Di quel senso comune rappresentato dall’opinione pubblica, già nel Settecento definita come “tribunale” dei potenti.
La sede del Comune di Rende
Mafia a Rende: un potere spregiudicato
A Rende il potere ha agito senza la minima considerazione della grammatica istituzionale e politica democratica. La quale prevede un confronto costante con la società civile, con le sue rimostranze, le sue titubanze, le sue critiche.
Paradossale che si siano sottratti a questo confronto, in primo luogo, una giunta e un sindaco che hanno oltrepassato gli steccati ideologici in nome di un civismo trasversale che ha messo insieme Forza Italia, Partito Democratico e altre forze di tutto l’arco costituzionale.
Per rimanere all’ultimo anno (e mentre le inchieste e i provvedimenti giudiziari si susseguivano) si sono alternati, in nome di un malinteso garantismo, ben quattro sindaci. Negli ultimi mesi, il sindaco, più volte oggetto di provvedimenti, si è persino riproposto alla guida dell’Anci Calabria, a cui inopinatamente era stato indicato quale elemento non divisivo.
Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)
Niente remore: governiamo e basta
Nelle ultime settimane si sono dimessi consiglieri di maggioranza e sono cambiati assessori per arrivare all’approvazione di Psc e Bilancio. Insomma, nessuna remora nell’azione di potere, anche di fronte a una società civile esterrefatta per le continue notizie di abusi e delusa per il livello dei servizi amministrativi peggiorato negli anni.
Insomma, il potere ha mostrato quell’arroganza che Alberto Sordi ha reso nel personaggio del Marchese del Grillo.
Lo stesso dicasi per le forze politiche maggiori. Forza Italia, il cui capogruppo in Provincia è elemento di punta dell’amministrazione rendese, pare essersi dissolta rispetto alle dinamiche locali.
Non una manifestazione per la città. Non una dichiarazione del pur assai loquace presidente regionale Occhiuto. Guardare dall’altra parte è stato evidentemente il mantra suggerito da qualche rubicondo spin doctor.
Mafia a Rende: anche il Pd ha le sue colpe
Il Pd regionale non è riuscito a nominare un commissario di un circolo il cui segretario è stato prima incompatibile e poi è finito ai domiciliari. Anche da questa parte, piuttosto, silenzio.
Anzi, il segretario provinciale e il suo factotum, responsabile degli enti locali, hanno sfondato qualche limite quando hanno deciso di incontrare le stesse aree politiche di cui i loro ispiratori sono stati i principali carnefici: hanno cucito la coalizione civica ora sciolta per mafia e l’hanno fatta votare e sostenuta sino all’ultimo.
Del resto, lo stesso segretario provinciale, in quanto reggente del circolo, è atteso dagli iscritti da mesi per un confronto che sveli come e perché i due candidati alla segreteria locale, assessori della giunta appena sciolta, sono stati sui decisi sostenitori.
Ricucire la fiducia
Insomma, anche le forze politiche nazionali hanno pensato che governare Rende fosse tutto e qualsiasi tentativo di lettura della società rendese uno sforzo inutile, persino dannoso. Il governismo si rivela ancora una volta malattia mortale per la credibilità della Politica.
Della triste vicenda rendese si parlerà a lungo e diciotto mesi di commissariamento non basteranno a ricucire la fiducia tra Politica e Società.
Tuttavia è necessario provarci, senza nostalgie ma con una presenza costante nei quartieri della città. Soprattutto, con una capacità di studiare e proporre soluzioni ai diversi problemi dei cittadini e una accanita volontà di dispiegare orizzonti di sviluppo. Dopo le pagine buie, la storia continua e, con impegno, si possono ancora scrivere capitoli interi di buon governo.
Ogni vicenda giudiziaria è fatta di storie umane, alcune più complesse di altre.
La storia di F.A., un 49enne di origini pugliesi, è un caleidoscopio di avvenimenti contraddittori, che oscilla dalla tragedia alla redenzione. Il tutto nel carcere di Rossano.
Questa storia la racconta una recente ordinanza della Cassazione, che ispira sensazioni contrastanti in chi l’approfondisce: riprovazione (e ribrezzo) per il crimine, compassione e solidarietà per la riabilitazione.
L’uomo scontava a Brindisi un cumulo di pena per vari reati, (circa 20 anni di reclusione in tutto). Ma nell’ottobre del 2013 riceve in carcere un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio aggravato dal metodo mafioso.
Il carcere di Rossano
In carcere a Rossano per omicidio di mafia
La Dda pugliese accusa F.A. di aver ucciso A.M. nella notte del 29 maggio del 1998. Il cadavere di quest’ultimo era stato trovato l’’8 ottobre dello stesso anno nelle campagne di Ostuni, nel Barese. La vittima era un affiliato al clan dei Mesagnesi della Sacra corona unita ed era considerato un confidente della polizia. Perciò, per le regole mafiose, era il classico morto che cammina.
Proprio F.A. sarebbe stato incaricato di mettere a tacere la “gola profonda”.
Per l’omicidio, il 49enne prende 30 anni di reclusione. E sin da subito è trasferito da Brindisi al carcere di massima sicurezza di Rossano: in attesa degli esiti processuali diventa un detenuto “speciale”, quindi non può più restare in cella con i detenuti comuni.
La conversione nel carcere di Rossano
Tuttavia, al 49enne accade in carcere qualcosa che lo cambia definitivamente, nonostante le pesanti condanne che nel frattempo vari tribunali gli comminano e la sua pesante storia personale. Forse è merito di un incontro col cappellano del carcere o di altri detenuti. O forse influiscono entrambe le cose. Fatto sta che F.A. prende la via della fede e cambia vita.
Insieme a un ergastolano decide di riprendere gli studi. Nel 2017 si laurea all’Unical in Scienze del servizio sociale e sociologia presso l’aula Caldora. Ottiene 106 su 110, con una tesi su “La sfera pubblica: Il carcere come progetto sociale”. Alla cerimonia hanno partecipato i familiari, il cappellano della casa di reclusione di Rossano e alcuni esponenti dei Radicali italiani.
Questa svolta personale offre speranza anche a tutte le persone che si trovano nella stessa condizione di F.A., passato oscuro incluso.
Il Tribunale di sorveglianza diffida: niente messa
Nel 2022 F.A. chiede al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro di poter seguire alcune funzioni in Chiesa per le feste più importanti, (Natale e di Pasqua), ma i giudici non gli concedono il beneficio.
Il Tribunale ha rilevato la sussistenza di «sicuri indici di un percorso carcerario esemplare, posto che dalla relazione di sintesi del carcere emergeva la partecipazione alle attività trattamentali più varie, un serio percorso di istruzione, e una profonda revisione critica del proprio passato con adesione convinta ai principi religiosi cattolici».
Inoltre, dalle note della Dda, della Polizia di Stato e della Guardia di finanza risulta «l’assenza di elementi successivi alla carcerazione, di tipo socio familiare, patrimoniale o giudiziario, sintomatici di un persistente legame con l’organizzazione criminale di appartenenza». Tuttavia, il Tribunale di Catanzaro nega il consenso affermando che tutto questo non basta a dimostrare «la recisione dei legami associativi e l’esistenza delle condizioni che escludano in radice la ripresa della relazione con il gruppo criminale».
La Cassazione dice sì
A questo punto F.A. ricorre in Cassazione contro le decisioni del Tds e stavolta le cose vanno diversamente. Gli ermellini annullano l’ordinanza e rinviano gli atti a Catanzaro per una differente decisione.
Per i giudici di Piazza Cavour i colleghi di Catanzaro hanno «compiuto un giudizio astratto e avulso dalla realtà».
Certo, non ci può essere nessuna certezza matematica di una riabilitazione assoluta, ma le “prove” della rieducazione e del percorso personale del detenuto sono incontrovertibili. Quindi i requisiti per l’accettazione delle sue richieste ci sono tutti. Da queste premesse il giudizio finale è positivo: «Il giudice del rinvio, senza avere vincoli sul merito del giudizio, è tenuto a riesaminare la richiesta di parte, senza ripetere i censurati vizi della motivazione». Prossimamente F.A. potrà partecipare a funzioni religiose nella cattedrale Maria Santissima Achiropita di Rossano.
Il principio alla base della scelta della Cassazione resta sempre l’articolo 27 comma 3 della Costituzione: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Il caso è chiuso.
Qual è l’animale (uomo escluso) che uccide più persone ogni anno sul nostro pianeta? Non pensate a feroci predatori: è la zanzara. Il primato era ancora più indiscusso fino a qualche decennio fa, quando la malaria imperversava anche dalle nostre parti. Non c’era ancora il DDT, le aree paludose da bonificare erano tante e per curare le febbri trasmesse dall’insetto il chinino non era abbastanza per tutti.
Nell’Italia post unitaria, a cavallo tra ‘800 e ‘900, la poverissima e incolta Calabria era tra le regioni più colpite. Così si decise di curare in una colonia la malaria con… l’aria della Sila. E centinaia di bambini si salvarono. Succedeva traCamigliatello e Moccone, in un posto splendido e abbandonato da anni: la Colonia Silana Federici.
La nascita del sanatorio
Siamo a fine giugno del 1910 quando la Colonia apre i battenti, il terreno – tre ettari – su cui sorge l’ha donato il Comune di Cosenza, che aggiunge anche le spese per arredi e trasferimento, personale sanitario e un contributo annuo di 3.000 lire. Nonostante gli aiuti, però, le cose non sono semplicissime all’inizio. Come ricostruisce Francesca Canino in un articolo di qualche anno fa, la farmacia più vicina dista 20 km, mancano illuminazione e riscaldamento e per avere l’acqua tocca rifornirsi alle fontanelle disseminate nella zona. Ma quelli che hanno dato vita alla colonia non demordono e le cose presto migliorano. Proprio a Federici negli anni ’40 arriveranno i primi termosifoni di tutta la Sila.
A mandare avanti le cose ci sono cosentini come il dottor Domenico Migliori, cui per un periodo sarà intitolata la Colonia Silana Federici, ma un ruolo di assoluto rilievo lo hanno i piemontesi: Bartolomeo Gosio, luminare della lotta alla malaria, che ha voluto quel centro in Sila e, soprattutto, Virginia Angiola Borrino e Giuseppina Le Maire.
Borrino è una pediatra, prima donna titolare di una cattedra universitaria di Medicina, che Gosio ha voluto sull’altopiano calabro per occuparsi dei bambini malarici messi peggio. Le Maire, invece, un’educatrice e attivista che collaborerà a lungo con Umberto Zanotti Bianco per il riscatto del Sud Italia e della Calabria. Giuseppina, fonderà anni dopo anche una scuola rurale a Cetraro, e a Camigliatello insegnerà ai bambini le elementari regole d’igiene a loro ignote.
La malaria in Calabria e la colonia in Sila
In Sila, insomma, la malaria si sconfigge anche attraverso l’educazione dei più piccoli e, di riflesso, dei loro familiari. Fino a quegli anni, infatti, i principali rimedi contro le febbri si richiamavano alla medicina tradizionale, se non alla magia. Barbieri e magare praticavano salassi, ai malati si davano da bere infusi di vario genere. Qualcuno beveva gusci di noce tritati e bolliti nel vino con limone e bergamotto. Altri mettevano fichi d’India vicino al focolare o facevano pipì al mattino sui cucuzzielli acriesti maturi, pensando di trasferire alle piante la malattia. A Castrovillari i devoti si rivolgevano così alla Madonna d’Itria in cambio della guarigione: «Madonna mia ‘i l’Itria, chi stai ‘nganna a’sta jumara fammi passà ‘sta freva ‘i quartana c’u jurnu tuju non vugghiu mangia’ panu».
I metodi della Colonia Silana Federici non tardarono a mostrarsi più efficaci. E la struttura crebbe di anno in anno, grazie alle donazioni che arrivarono. Ci furono contributi dalla regina Elena in persona, così come dalla Croce Rossa, dalla Fondazione Carnegie, dal Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, dall’Associazione Donne di Cremona, dalla marchesa Lucifero di Crotone. Il marchese Berlingieri offrì un padiglione, un altro lo regalò l’ingegnere Barrese. Le Maire donò una campana e la contessa Adorno fece erigere una chiesetta in legno per ricordare suo figlio Enrico, aviatore morto nel corso di un’esercitazione.
Malaria o tubercolosi, si va in colonia in Sila
La Colonia Silana Federici nel frattempo era diventata un ente morale e il fascismo aveva sostituito l’intestazione a Domenico Migliori con una al quadrunviro Michele Bianchi. I bambini guarirono a centinaia e si andò avanti così anche dopo la guerra, quando nella struttura iniziarono a occuparsi anche di tubercolosi. La malaria, in Sila come nel resto d’Italia, era ormai praticamente scomparsa. Salvo rari casi isolati di viaggiatori di ritorno da qualche paese africano, l’abbiamo debellata definitivamente nel 1970.
Sarà forse per questo che proprio in quel decennio a Camigliatello la struttura ha iniziato lentamente a andare in malora. Per un po’ ci ha tenuto corsi di formazione la Regione, poi si è dibattuto a lungo su chi fosse il vero proprietario della struttura. Vandali e scorrere del tempo nel frattempo hanno fatto il loro mestiere, con la colonia sempre più malridotta.
Sindaci hanno dato vita a petizioni online, giornalisti e associazioni hanno sollevato periodicamente il problema del deterioramento progressivo degli immobili. Che hanno un valore notevole, non solo dal punto di vista storico e sociale. Per anni però non si è mosso nulla.
Una nuova vita, ma senza fretta
Poi, a inizio 2021, sulle pagine web dell’Ente Parco e di vari quotidiani locali arriva l’annuncio: il ministero dell’Ambiente ha stanziato oltre 3 milioni di euro per il recupero della struttura. Che è del Comune di Spezzano, ma ad occuparsene, sarà, appunto il Parco. Nuova vita per l’ex colonia? Le premesse non mancherebbero. A Federici, si legge nei comunicati di due anni e mezzo fa, dovrebbe nascere «una Scuola di formazione della montagna, destinata alla specializzazione degli operatori, ma pure allo studio e al monitoraggio del bosco, al fine di completare l’Inventario Forestale del Parco Nazionale della Sila». Il tutto condito da efficientamento energetico, foresteria, un centro cultura.
«Siamo pronti – assicurò il Parco per l’occasione – a iniziare questa sfida bellissima, l’ufficio tecnico è già al lavoro sulla progettazione». Trenta mesi dopo, però, a Federici non c’è traccia di cantieri, se non una rete di protezione che col recupero della struttura non ha nulla a che vedere. I soldi, ci hanno assicurato dal Parco, non sono a rischio, il finanziamento è confermato ma è arrivato solo di recente. La progettazione va invece per le lunghe. Il ritardo di Roma nell’erogazione dei fondi ha impedito di fare granché finora. E le parole di gennaio 2021? «Annunci», appunto, ci confessano con un certo candore. Sperando che i fatti li seguano presto.
Alfabeto minimo per capire (e sopravvivere) agli Esami di Maturità.
Afasia
“Incapacità di esprimersi mediante la parola o la scrittura o di comprendere il significato delle parole dette o scritte da altri, dovuta ad alterazione dei centri e delle vie nervose superiori”. Spesso prende alcuni studenti davanti alla prima domanda nel corso delle prove orali agli esami di maturità: restano lì immobili con lo sguardo fisso come davanti a una visione Mariana. Per farli ripartire generalmente basta scuoterli un poco.
Bocciati
Agli esami di maturità in genere non si boccia nessuno, una volta che sei arrivato lì, pur di farti superare la linea del traguardo la commissione è disposta a spingerti a mano. Statisticamente solo i privatisti corrono qualche rischio, per esempio se provi a fare in un colpo solo tutti gli anni del liceo. Cose che nemmeno alla Cepu considerano possibile.
Colloquio (d’esame)
Ci si aspetta che il candidato esponga con disinvoltura un percorso multidisciplinare, passando disinvoltamente da una materia all’altra, cogliendone i collegamenti, esprimendo anche un pensiero critico e personale sulle vicende di maggior rilievo proposte nel corso della prova orale. Tutto il contrario delle prove Invalsi, che infatti sono una bufala e non servono a niente, però costano un botto.
Praticamente durante l’anno chiediamo ai ragazzi un sapere buono per i quiz e poi agli esami ci aspettiamo una cosa diversa. Geniale.
Commissione
Gruppo di prof che deve esaminare gli studenti. Una volta era tutta esterna, cioè fatta da docenti provenienti da altre scuole, anzi da altre città, con un solo membro interno, in genere il più sfigato del Consiglio di classe. Gesualdo Bufalino, che insegnava in un Magistrale, disse che gli esami di maturità erano una occasione per i prof (generalmente piuttosto poveri) di viaggiare e godere delle bellezze del Paese che altrimenti non avrebbero mai visto. Infatti si poteva fare domanda per fare esami in città magnifiche, come Firenze, Roma, Venezia e il Ministero copriva le spese. Qualcuno pensò che fosse una manna e se ne approfittò.
Oggi le commissioni sono miste, metà docenti della classe, metà esterni e i soldi che si guadagnano sono molti meno rispetto ai tempi di cui parlava Bufalino.
Gesualdo Bufalino
Commissione web
Piattaforma digitale che semplifica la vita dei membri delle commissioni. I verbali sono prestampati e basta compilare i vari format. Peccato che nel corso delle riunioni preliminari, quelle durante le quali si scrivono moltissimi verbali, la piattaforma si sia bloccata pare in tutta Italia e si sia dovuto procedere a mano, come una volta.
La rivincita del mondo antico sulla presunzione della modernità.
Copiare/1
Una volta c’erano le cartucciere, quelle cinture portate sotto gli abiti, dove i vari temi erano meticolosamente infilati come provvidenziali proiettili. Era un lavoro da pazienti amanuensi: era necessario scrivere a penna gli argomenti, riempiendo con grafia piccolissima lunghe strisce di carta che poi andavano sapientemente arrotolate. Sul lato destro trovavano posto quelli di Storia, dalla Prima guerra mondiale a Hiroshima, dall’altra i temi di Italiano, da Leopardi a Pasolini.
Ma quello era un metodo da boomers, che come generazione gli esami di maturità dovrebbero averli fatti da un pezzo. Oggi è soppiantato da forme di “suggerimenti digitali”, come ChatGpt, che potrebbe farti passare per un novello Salinger, oppure farti scrivere cose assolutamente ridicole.
Copiare/2
Sia che si venga beccati con il classico foglio col compito già scritto conservato nel panino, oppure con un telefonino collegato alla rete, oltre ad essere espulsi dall’aula, resta pure la figura tremenda di finire quasi certamente sulle locandine dei giornali locali.
Copiare/3
Molti decenni fa in una classe del Telesioc’era uno studente che aveva un talento: sapeva passare le copie. La versione di Greco o Latino non la faceva mica lui, lui aveva il compito di far arrivare la copia a tutti i compagni. E poiché non tutti erano bravi, ecco che lui si ingegnava nel farcire le versioni di errori, non sia mai che uno che aveva sempre preso un cinque stentato facesse una versione perfetta… la credibilità ne avrebbe patito. Un artista della copiatura collettiva.
Dizionario/1
È il solo strumento che il candidato può portare all’esame. Dentro ci sono tutte le parole. Ma per la generazione digitale, avvezza ad usare i telefonini, potrebbe sembrare un oggetto arcaico.
Dizionario/2
Il numero delle parole padroneggiate dai giovani pare si sia ridotto, anche a causa dell’egemonia culturale di certi programmi televisivi contro cui nessuna scuola può nulla. Per qualche candidato il solo modo teorico per tentare di parlare la lingua madre senza torturarla è mangiare il dizionario.
Documento (di classe)
Malloppo sia cartaceo che digitale in cui un docente, particolarmente sventurato, ha dovuto raccontare tutta la storia della classe, da quando gli studenti sono venuti al mondo fino all’ammissione agli esami. Dentro ci trovate qualunque cosa: programmi, metodi, verifiche, schede e tabelle, valutazioni e analisi psico educative.
Se scriverlo è cosa noiosissima, per essere disposti a leggerlo bisogna essere minacciati di morte.
Fujutina (non amorosa)
Urgente ma assolutamente mistificatorio bisogno di qualche studente di recarsi al bagno non per espletare una impellente minzione, ma per consultare al volo il foglietto con gli appunti celato tra le mutande. La variante digitale prevede che al posto del foglietto ci sia un cellulare sfuggito al controllo dei commissari. Roba da agente segreto in missione in territorio nemico.
Greco (o Latino)
Il latino lo fanno in molti licei, il Greco solo al Classico. Il Castiglione e Mariotti e il Rocci pesano ognuno circa tre chili e sono stati portati fino a scuola in occasione di ogni compito in classe per cinque anni. Generazioni di studenti sono venuti su con la scoliosi senza però essere diventati grecisti o latinisti. Ancora oggi agli esami la lingua che fu di Lisia o Platone rappresenta un incubo, quella di Cicerone o Cesare una passeggiata.
Ispettori
Figure mitologiche che pare il Ministero mandi durante gli esami di maturità nei licei per vedere se tutto va bene. Quando arrivano seminano il panico. Certe volte invece arrivano, ma non se ne accorge nessuno.
La sede del Ministero dell’Istruzione in viale Trastevere a Roma
Mamme
Sono quelle donne che conoscono benissimo il Materialismo storico e sanno con chi Montale ha «sceso almeno un milione di scale», visto che hanno seguito le ripetizioni del figliolo fino allo sfinimento. Potrebbero affrontare l’esame meglio del maturando, ma si limitano a preparargli una colazione adeguata alla fatica della prova che si annuncia: caffellatte molto zuccherato, biscotti da inzuppare mentre il povero ragazzo è costretto a ripetere lo Zibaldone.
Preparano lo zaino per la prova scritta: dizionario, tre penne, fazzolettini, bottiglia di thè freddo, bottiglia d’acqua. Poi salutano il figlio dicendogli: vai bello di mamma, ti aspetto qui. In realtà si precipitano sotto la scuola in attesa che l’esame finisca.
Maturità (esami di)
Nei Paesi occidentali ed opulenti rappresentano l’ultimo rito di iniziazione alla vita adulta. Una volta per i maschi c’era la Leva e solo chi non l’ha fatta ne può avere nostalgia. I riti di iniziazione sono sempre dolorosi, portano la fatica del mutamento, della trasformazione. Il cambiamento è difficile, sempre, gli Esami di maturità molto meno.
Merito
Non è solo il nuovo nome del Ministero dell’Istruzione, è un inganno. Evidentemente a viale Trastevere 76/A, dove lavora Valditara, non hanno mai letto il fanta-saggio del sociologo Michael Young, L’avvento della meritocrazia. Nel libro l’autore inventa, appunto, il concetto di meritocrazia e immagina una società in cui ognuno merita ciò che ha, il ricco la propria opulenza, il povero la propria vita miserabile e nessuno cerca di cambiare lo stato delle cose.
Il merito è una bugia perché come già avvisava don Milani, la cosa più ingiusta è «fare parti uguali tra disuguali».
Il ministro Giuseppe Valditara
Ognuno fa i conti con il proprio “capitale sociale”, che nella definizione di Bourdieu è «la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento», vale a dire la base della disuguaglianza sociale.
E non si può parlare di meritocrazia senza intervenire sulle disuguaglianze.
Notte (prima degli esami)
L’ultima spiaggia di una adolescenza dura a morire, in realtà dopo gli esami non cambia nulla. Qualcuno la passa sui libri perché ha scoperto di non ricordare nulla, per altri sarà insonne pensando a qualche amore, per molti sarà una notte da ricordare a lungo come il primo bacio. Tutti ci sono passati, ma solo Venditti ci ha fatto un sacco di soldi.
Orario (di accesso alle aule per le prove scritte)
Momento pericolosissimo durante il quale orde di studenti si precipitano verso le aule per occupare gli ultimi posti, quelli che si immaginano più adatti alla copiatura del compito.
Presidenti
Sono uomini o donne sulle cui spalle grava il peso del corretto svolgimento degli esami. Sono come notai, ma pagati molto meno. Li vedi camminare nei corridoi e subito li distingui dai commissari: sono quelli con la faccia preoccupata. Qualcuno è preso dalla “sindrome del caporale”, crede cioè di comandare, poi scopre che non è vero.
Promossi
Rassegniamoci, la scuola che promuove tutti è una menzogna “democratica”, un’ipocrisia. Ci si è convinti che promuovere tutti sia l’abolizione della disuguaglianza. In realtà la scuola ha smesso di bocciare, ma non salva i ragazzi dalla spietatezza della selezione che avviene fuori dalle aule in base al “capitale sociale” di ciascuno. Per questo non c’è più la professoressa classista contro si arrabbiava don Milani, semplicemente non serve.
Scientifiche (Materie)
Pare che per gli studenti italiani siano le più difficili, c’è gente che si è rifugiata al Classico perché c’era poca Matematica. Siamo il Paese con meno propensione verso le Stem, d’altra parte siamo un Paese di navigatori, santi e poeti, mica matematici (ai navigatori però la matematica serve eccome). Come attenuante possiamo dire che secondo Martha Nussbaum «a salvare le democrazie non saranno gli ingegneri, ma gli umanisti»
Silenzio
Imbarazzante assenza di parole che aleggia nell’aula quando lo studente ha esaurito assai anzitempo le cose da dire e la commissione lo guarda pregando che ritrovi una scintilla di vita per ripartire.
Sintesi
Capacità dello studente di chiudere efficacemente un ragionamento, mostrando al contempo padronanza nell’eloquio. Se è eccesiva sconfina nella dimostrazione di non sapere cosa dire (vedi silenzio)
Tesina
Una volta c’era la tesina. Era un lavoro multidisciplinare che serviva a valutare quanto lo studente fosse in grado di cucire le materie tra loro in modo organico ed efficace.
Aveva titoli altisonanti come La morte dell’Io nella prima metà del Novecento. Alla fine del liceo l’Io moriva sempre. Poi dal Ministero si sono inventati il tirare a sorte una frase o una immagine e tessere attorno a quella lo svolgimento dell’esame. Oggi si è tornati al “percorso”, non una tesina, ma nemmeno un argomento a piacere.
Verbali
In passato, prima dell’era digitale, si dovevano redigere tre copie di verbali, a mano, assolutamente uguali. Dentro ci potevate trovare tutto quello che era accaduto nel corso degli esami. Una volta un vecchio prof prossimo alla pensione ci mise dentro dei versi di Dante. Nessuno lo chiamò mai per chiedergli perché mai lo avesse fatto.
Voto
È espresso in centesimi, oltre il cento c’è la Lode, per fortuna nessun bacio accademico. Il voto è il prodotto dell’inesorabile misurino fatto di crediti, voti di ammissione, voti presi nelle prove d’esame. Un calcolo precisissimo che commette sempre l’errore di ridurre una persona a un numero.
Vacanze (la voce dovrebbe essere posizionata più in alto, ma le vacanze chiudono gli esami, forse)
Tempo che comincia appena lo studente ha finito gli esami e che il povero illuso immagina fatto di spiagge, discoteche, lunghissime dormite. In realtà per molti le prove per le selezioni necessarie per accedere alle facoltà universitarie sono già dietro l’angolo. Perché gli esami, come si sa, non finiscono mai.
Ps: la prova d’esame finisce davvero quando il candidato sente rivolgersi dal presidente la consueta domanda: «Che farai dopo?». Ecco, a quel punto un sorriso si allarga sul suo volto, perché sa che a quella domanda non c’è una risposta giusta o sbagliata. Eppure quella domanda è la più importante. Ebbene, qualunque cosa vogliate fare dopo, buona fortuna.
’Ndrangheta spa torna sul podio. E riconquista lo scettro di organizzazione criminale top nel traffico di stupefacenti, cocaina e marijuana in particolare.
Infatti, la maggior parte dei sequestri di “neve” ed “erba” del 2022 è avvenuta nel porto di Gioia Tauro, tornato anch’esso ai vecchi “allori”.
Questo dopo un paio di anni di delocalizzazione nei porti di Livorno, La Spezia, Genova, e del litorale laziale.
Sono i primi risultati del corposo dossier annuale della Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga) del Viminale. Il dossier attesta la ripresa del narcotraffico ai livelli pre pandemia, con particolare incremento della cocaina.
Un cane antidroga della Guardia di finanza
Il narcotraffico dopo il Covid
Il progressivo rientro alla normalità e il sostanziale superamento dei limiti alla mobilità di persone e merci ha riattivato i business mafiosi. Cala il numero delle tonnellate totali sequestrate dalle forze dell’ordine tranne per la cocaina.
Si legge infatti nel report: «Il volume totale dei sequestri di droga è passato dalle 92,79 tonnellate, rinvenute nel 2021, alle 75,01 tonnellate del 2022, con un decremento percentuale del 19,17%; si può osservare, però, nei risultati, suddivisi per tipo di sostanza, una sensibile crescita dei sequestri di cocaina. Il risultato complessivo, comunque, è il sesto più alto nella serie decennale; se si esclude il quinquennio 2014-2018 e lo scorso 2021, periodi segnati da particolari e contingenti elementi di caratterizzazione, non era mai stato raggiunto un livello di sequestri così consistente, negli ultimi 40 anni».
’Ndrangheta Über Alles
Sulla leadership delle ’ndrine non ci sono dubbi. Infatti, prosegue il dossier: «In questo complesso scenario, si rafforza il ruolo egemone della ‘ndrangheta calabrese, che continua a rappresentare l’organizzazione mafiosa italiana più insidiosa e pervasiva, caratterizzata da una pronunciata tendenza all’espansione sia su scala nazionale che internazionale ed una delle più potenti e pericolose organizzazioni criminali al mondo».
Grazie alla presenza di propri esponenti e broker operativi nei luoghi di produzione e di stoccaggio temporaneo delle droghe, la mafia calabrese è l’organizzazione più influente nel traffico della cocaina sudamericana.
La disponibilità di ingenti capitali illeciti e una spiccata capacità di gestione dei diversi segmenti del traffico le hanno permesso, nel tempo, di consolidare un ruolo rilevante nel narcotraffico internazionale.
I sequestri di droga regione per regione secondo la Dcsa
Calabria e droga: un primato in cifre
Consideriamo le quantità sequestrate e rapportiamole sulle macroaree. Nel 2022, Sud e Isole sono in testa con il 56,87% del totale. Seguono il Nord con il 25,88% e il Centro con il 17,25%. La Calabria, con 19.459,72 kg di droga, emerge in assoluto nel Paese. Ciò grazie ai sequestri di cocaina a Gioia Tauro per 16.110,38 kg. Subito dopo, in classifica, Sardegna, Lazio, Lombardia, Campania, Emilia Romagna, Liguria e Toscana.
Per quel che riguarda le macroaree, i sequestri di cocaina risultano distribuiti per il 69,99% al Sud e Isole, per il 16,20% al Centro e per il 13,81% al Nord. Le regioni in cui si è sequestrata più coca sono Calabria, Lazio, Campania, Liguria, Friuli, Toscana, Veneto, e Lombardia. La frontiera marittima, con 20.050,38 kg, si conferma lo scenario operativo caratterizzato dai maggiori sequestri. In questo caso, il decremento dell’incidenza rispetto al totale degli ambiti frontalieri è minimo: dal 98,88% del 2021 al 98,15% del 2022. Vince Gioia Tauro, che incide per l’80,35% (16.110,38 kg). Lo seguono a distanza Civitavecchia (1.187,19 kg) e Trieste (730 kg).
Goia Tauro: il porto della droga in Calabria
Il porto di Gioia Tauro appare ben 260 volte nel dossier annuale della Dcsa del Viminale. Nella parte finale del rapporto c’è un capitolo a parte tra i grandi approdi marittimi internazionali che ne parla diffusamente. A Gioia Tauro, nel 2022 è stata sequestrata la più alta quantità di cocaina, 16.110,38 kg, pari all’80,35% dei quantitativi rinvenuti presso la frontiera marittima (20.050,38), al 78,86% del totale della cocaina rinvenuta presso tutte le frontiere (20.429,31 kg) e al 61,73% della coca sequestrata a livello nazionale (26.099,36 kg). Seguono i porti di Civitavecchia (1.187,19 kg) e di Trieste (730 kg). Lo stesso andamento si osserva anche negli anni precedenti.
nel porto di Gioia Tauro. Nel 2020, su 10.479 kg di cocaina sequestrati alla frontiera marittima, 6.186 kg sono stati rinvenuti a Gioia Tauro (pari al 59%).
Le banchine del porto di Gioia Tauro
Sniffare in Calabria
Se si analizzano i dati in possesso della Direzione, a partire dal 2017, il porto di Gioia Tauro è quello in cui sono stati sequestrati i maggiori quantitativi di cocaina, fatta eccezione per il 2018 e 2019 (anni in cui viene superato, rispettivamente, dal Porto di Livorno e Genova nel 2018 e dal solo Porto di Genova nel 2019). Nel 2022, è confermato il trend che, negli ultimi 5 anni, evidenzia una crescita costante dei quantitativi di cocaina sequestrati nel porto di Gioia Tauro (si passa dai 217,78 kg del 2018 ai 16.110,38 kg del 2022). La coca arriva in Calabria soprattutto da Ecuador e Brasile. Sono dati chiari, da analizzare a fondo, insieme a tutta l’altra enorme mole del dettagliato report governativo. La cocaina torna in Calabria.
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