La Moltitudine esiste e nei giorni scorsi ha scelto come luogo di raduno il Centro storico di Cosenza. Giovani e vecchi, studenti e professori, bambini e famiglie, ultras e volontari, hanno dato vita alla terza edizione della Summer school dell’Unical che si è svolta tra le antiche pietre della città. La scelta è ovviamente assai più che simbolica, esprime per intero una idea differente di abitare gli spazi urbani, un progetto che “insorge” direttamente dal basso, essendo la politica istituzionale rimasta a guardare e forse nemmeno a fare quello. Ne è uscita una foto senza ritocchi, in cui la bellezza che resta fa i conti con la minaccia sempre più reale del degrado.
Alunni del quartiere storico Spirito Santo
Il centro storico dunque è stato scelto come luogo d’incontro tra la città e l’Università, che come avvisa Mariafrancesca D’Agostino, sociologa dell’Unical «rischia un atteggiamento autoreferenziale, mentre deve riscoprire il suo ruolo di promozione di saperi critici, diffusi e condivisi». Abitare il centro storico, riempirlo di contenuti, parole, dibattiti e progetti «rappresenta uno sforzo per battere una visione rassegnata, che non sembra immaginare salvezza per la città vecchia», spiega cui guardare la sociologa. In realtà la prospettiva da cui guardare deve essere assai più ampia, perché il destino della parte antica della città, non può essere separata da quella della città intera e perfino dell’area urbana, «perché pensare all’uso degli spazi urbani, alla loro fruizione, alla loro valorizzazione attraverso la presenza reale delle persone, vuol dire immaginare uno sviluppo sostenibile in grado di dare futuro alla città».
La sociologa dell’Unical, Mariafrancesca D’Agostino (a sinistra)
Il Comune grande assente
Alla costruzione di questa esperienza fatta di confronto politico e allegria c’è stato un grande assente: il Comune di Cosenza. «Prima della vittoria del centro sinistra – dice la D’Agostino – al comune avevamo una giunta che pensava in termini di grandi opere, una visione che era incompatibile con la nostra idea di sviluppo», L’arrivo di Franz Caruso a Palazzo dei Bruzi poteva cambiare le cose e invece no. Uno dei motivi della mancata interlocuzione è lo scontro che mesi fa si è consumato tra Massimo Ciglio, preside dell’Istituto comprensivo dello Spirito Santo, che dell’esperienza della Summer school è stato protagonista e lo stesso sindaco. Lo scontro riguardò l’uso dello slargo su via Roma, chiuso da Occhiuto al traffico e poi riaperto alle macchine da Caruso. In quella occasione il preside manifestò contro la decisione dell’attuale sindaco e da questi fu denunciato. «Date queste premesse – racconta la sociologa dell’Unical – era difficile immaginare una interlocuzione con l’amministrazione che aveva criminalizzato uno dei protagonisti dell’esperienza della Summer school».
Un altro momento della Summer school
Contro la marginalizzazione
In realtà il mancato confronto potrebbe avere ragioni più profonde, visto che è Stefano Catanzariti a spiegare come sembri che a «Palazzo dei Bruzi manchi qualunque forma di visione riguardo il centro storico e la città intera»
Il centro storico, da questo punto di vista appare come lo specchio del resto della città, «perché il suo abbandono è il segno più evidente di una assenza di idee da parte di governa Cosenza».
Un vuoto di idee che pesa, per esempio, ancora sui famosi 90 milioni, per i quali, ricorda ancora Catanzariti, all’inizio era partita una forma di interlocuzione con le realtà del territorio riguardo al loro uso mentre adesso manca ogni forma di progetto partecipato e condiviso. Separare il destino delle antiche pietre, dei palazzi storici, da quello delle persone, crea processi di gentrificazione, ma prima ancora di spopolamento, marginalizzazione, degrado sociale e urbano, «mentre dovremmo avviare percorsi politici per creare le condizioni per restare, dare motivi alle nuove generazioni per non andare via dal centro storico e più in generale dalla città, arginare con buone pratiche lo spopolamento». Oggi per la politica istituzionale il progetto più urgente e attuale sembra quello di dare vita all’idea della grande città dell’area urbana senza tenere conto del rischio che questa super città nasca vuota.
Sono centinaia le persone che da qualche giorno a San Giovanni in Fiore sono riunite chiedendo un lavoro. Sono donne e uomini di età diversa, che affrontano la fatica di una crisi che morde, particolarmente i più deboli, quelli cui è stato sottratto il sostegno del reddito di cittadinanza e si trovano ad affrontare l’impossibilità di soddisfare i bisogni più elementari.
A dispetto della narrazione dominante, che vorrebbe i disoccupati inclini al non far nulla su improbabili comodi divano, ecco che questa moltitudine si raccoglie a San Giovanni reclamando un lavoro.
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La crisi è generalizzata, ma alcune aree del territorio, come appunto quelle di montagna, la sentono più feroce. Per questo un gruppo spontaneo, denominatosi “Gruppo disoccupati San Giovanni in Fiore”, ha dato vita a una mobilitazione, rivolgendosi alle autorità loro più prossime, esattamente come i disoccupati raccontati da Franco Costabile che nelle sue poesie descriveva le notti passate in attesa di un incontro con i politici.
«L’investigazione condotta tra i vicini dimostra che è un individuo molto strano: si interessa soltanto di musica folk, è davvero poco affidabile e scontroso. […] Non dà alcun valore ai soldi, usa la sua proprietà e quella del governo con negligenza, praticamente non si cura del suo aspetto. […] Da una fonte confidenziale di informazioni è stato fatto sapere a questo Bureau che è un simpatizzante del Partito Comunista».
A molti di noi basterebbe anche meno per la voglia di averlo conosciuto, di averlo incontrato per caso, questo tipo indagato dall’FBI che negli anni ’50 girava la Calabria con un Bully, il mitico pulmino Volkswagen che da giovani ci faceva sognare la west coast e viaggi rapsodici alla Kerouac che l’importante è andare, finito pure sulle cover degli elleppì di Bob Dylan e Beach Boys.
Me lo immagino, stralunato, con quell’aria bonaria e un po’ fessacchiotta che a volte affibbiamo agli americani un nerd d’altri tempi, insomma. Uno dei più grandi etnomusicologi di sempre, mica un Carlo Verdone in Viaggio con papà, che faceva il suo lavoro con passione, fatta di racconti in cui perdersi a immaginare, se solo lo avessimo incontrato in una trattoria o sotto l’ombra di un albero. Alan Lomax da Austin, Texas, classe 1915, talmente innamorato del nostro Sud, dove gli rubarono persino i taccuini di appunti, da descrivere quell’anno in giro con il Bully, fra il 1954 e il 1955, come «l’anno più felice della mia vita».
Frase che ha dato il titolo ad un libro definito da Martin Scorsese nella prefazione «meraviglioso e delicato», che scorre al ritmo di quel blues italiano che erano i canti del sud: «Una donna era magra, con pazzi occhi marroni e capelli arruffati, distratta, non aveva avuto niente da mangiare per tutto il giorno; un’altra con la faccia scura da africana, la bocca larga, molti denti macchiati di nero. E cantarono per me la più commovente canzone che io avessi sentito in tutta Italia, una canzone che mi ricordò l’infinita pena dei neri del Missisippi e del Texas, che avevano cantato per me tanti anni prima», scrive Lomax accompagnando una fotografia presa fra le donne di Cardeto, dalle parti di Reggio Calabria.
Alcune di queste foto, scattate nellatonnara di Bivona nell’arco di quattro giorni, saranno in mostra presso l’ex Padiglione rotativa industrie Rubbettino, a Soveria Mannelli, in occasione dell’ottava edizione dello “Sciabaca Festival”: vernissage della mostra con Danilo Gatto e performance vocale di Felici & Conflenti giovedì 21 alle 18:30, con chiusura il 24 settembre. Un altro capitolo, fatto di un bianco e nero intenso quanto i volti di fatica antica, che si aggiunge al racconto dei tanti viaggiatori passati da qui, compresi quegli altri due americani, Mary Lee e Stanley Williams, che negli stessi anni ’50 girarono l’Italia in Topolino, una chiave narrativa più che un mezzo di trasporto.
PS: dopo la scelta esistenziale d‘u scienziato (dello scienziato) contemporaneo proveniente da Oxford, « l’anno più felice della mia vita» di un americano in Calabria è una dichiarazione che rischia di minare la sacrosanta litania quotidiana sulla valle di lacrime in cui ci è toccato vivere, al netto delle emigrazioni. Avanti così, e il Bar Sport, già orfano della Luisona, rischia di chiudere, eh!
In bocca sua il garantismo non è peloso: è la difesa, appassionata e sincera, di un principio di civiltà, non solo giuridica. Non potrebbe essere altrimenti nel caso di Raffaele Della Valle, avvocato battagliero a dispetto dell’età (84 anni suonati) con un passato politico di tutto rispetto, prima nel Pli e poi in Forza Italia.
Soprattutto, non può essere altrimenti quando si è stati protagonisti di uno dei processi più tragici, controversi e, purtroppo, spettacolari dello scorso secolo: quello a Enzo Tortora.
«Fu il primo processo mediatico e fornì il modello a Mani Pulite», spiega Della Valle. Che aggiunge: «Da quella ingiusta persecuzione giudiziaria emersero i primi preoccupanti segnali della deriva che avrebbe preso di lì a poco l’amministrazione della giustizia».
Della Valle è impegnato in un giro di presentazioni in tutta la Calabria di Quando l’Italia perse la faccia (Pellegrini, Cosenza 2023), il libro intervista scritto assieme al giornalista Francesco Kostner. Un piccolo best seller arrivato alla quarta edizione nel giro di quattro mesi: uscito a maggio, il libro ha esaurito lo stock tre volte. Niente male davvero…
Un primo piano di Raffaele Della Valle
A proposito di processi mediatici e di giustizia-spettacolo: alcuni settori della magistratura, di recente hanno espresso forti critiche sul protagonismo eccessivo di alcuni magistrati, sul ricorso ai maxiprocessi e sul dialogo, ritenuto improprio, di alcune Procure con i media…
Le condivido alla grande, perché riguardano i fondamentali di qualsiasi operatore del diritto.
Avvocati compresi?
Certo, nessuno dovrebbe enfatizzare il materiale raccolto durante l’attività probatoria, tuttavia nella vita reale pochi si fissano questo limite. Tant’è: noi difensori abbiamo spesso appreso le attività degli inquirenti grazie a quello che ho definito più volte il deposito degli atti in edicola.
Cioè la pubblicazione degli atti sui media ancor prima che in cancelleria…
Esatto.
A proposito del processo Tortora, Vittorio Feltri nel suo “L’irriverente” (Mondadori, Milano 2019) afferma di essere stato il primo cronista ad accorgersi che molte cose non quadravano nel teorema della Procura di Napoli e, quindi, a schierarsi col conduttore televisivo finito in disgrazia…
Diciamo che, per quel che mi ricordo, fu tra i primi. Ma è doveroso citare anche Piero Angela, Giovanni Ascheri e Luciano Garibaldi, che assunsero da subito posizioni garantiste. Non facili all’interno dello stesso mondo mediatico: si pensi, per fare un esempio, che la Rai mandava tutti i giorni (spesso ci apriva i tg) le veline della Procura di Napoli. Ma probabilmente il primissimo fu Enzo Biagi.
Enzo Biagi fu forse il primo innocentista nel caso Tortora
La carta stampata, c’è da dire, fece di peggio, come scrive Vittorio Pezzuto nel suo “Applausi e sputi”…
Il Messaggero, ad esempio, arrivò a titolare “Tortora ha confessato”, salvo chiedere scusa a danno fatto. In una fase avanzata del processo, il settimanale Oggi pagò Gianni Melluso per fotografarne le nozze nel carcere di Campobasso. La rivista ricorse a un escamotage per aggirare il divieto dei magistrati: uno dei cronisti fece da testimone allo sposo.
Parliamo di Gianni Melluso, alias Gianni il Bello, alias Gianni Cha Cha Cha. Ovvero di uno dei più grossi accusatori di Tortora, vero?
Su Melluso, il quale si è abbondantemente squalificato da sé, sospendo il giudizio, di sicuro tutt’altro che positivo. Ricordo solo che anche lui fu una creatura mediatica. Lo aiutò molto Francamaria Trapani, giornalista e consuocera di Francesco Cedrangolo, il procuratore capo di Napoli. A proposito di Feltri: gli va dato atto che stigmatizzò sin da subito il comportamento supino di tantissimi colleghi.
Anche la politica reagì in maniera tutto sommato tiepida, tranne poche eccezioni. Non è così?
Persino il Partito liberale, in cui militavo assieme a Tortora, tentennò, con la sola eccezione di Alfredo Biondi. Col senno del poi, si capisce benissimo che questa “timidezza” era anche indotta dalla pressione mediatica. Solo Pannella, con la consueta aggressività, ruppe il muro di gomma e trasformò il processo Tortora in un caso politico.
Gianni Melluso, uno dei primi accusatori di Tortora
È corretto affermare che nel processo Tortora prese forma il rapporto particolare tra politica e magistratura che si sarebbe affermato durante Tangentopoli?
Certo che sì. Fu il primo processo mediatico, per colpa dell’atteggiamento della stampa, che andò ben oltre il servilismo. Il rapporto tra magistratura e stampa, sin da allora è diventato drogato.
Da un lato, molte Procure tendono a diventare fonti privilegiate, anzi: le fonti per eccellenza. Dall’altro, i cronisti contribuiscono a trasformare gli inquirenti in star, anzi magistar, per usare un efficace neologismo. È un meccanismo perverso che si autoalimenta.
Al punto che il legislatore è dovuto intervenire in più modi: attraverso la riforma delle intercettazioni e, più di recente, ponendo limiti precisi alle comunicazioni degli inquirenti. Non le pare una forma di censura?
Di sicuro in parte lo è. Ma è anche una reazione ad anni di abusi.
Sempre di recente, è stata avanzata una proposta particolare: un master in giornalismo giudiziario riservato ai laureati in Scienze giuridiche. La riqualificazione culturale dei giornalisti non è una valida alternativa?
Altroché. Si consideri pure un’altra cosa: finora per accedere alla professione di giornalista non sono stati necessari titoli particolari. Iniziare a promuovere per davvero la formazione culturale della categoria significa stimolare quel senso critico e di indipendenza che libera il cronista dall’asservimento alla fonte. E quindi, rende superfluo ogni intervento del legislatore a tutela di chi, fino a condanna definitiva, ha il sacrosanto diritto di essere considerato innocente.
Raffaele Della Valle durante l’intervista
Il procedimento a carico del celebre conduttore fece parte di un maxiprocesso a sua volta molto spettacolarizzato: quello alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Oggi, nella magistratura, non mancano le voci critiche anche nei confronti del ricorso ai maxiprocessi. Qual è l’opinione dell’avvocato Della Valle?
I maxiprocessi avrebbero un’utilità apparente: il risparmio di tempo e di energie che deriverebbe dalla valutazione di più situazioni e persone in contemporanea. In realtà, la pratica di mandare a giudizio molte persone contemporaneamente si traduce spesso in una mattanza probatoria, che danneggia senz’altro gli imputati e i loro difensori. Ma danneggia anche tantissimo il lavoro degli inquirenti, che finisce spesso in un tritacarne confuso. La differenza, in questi casi, la fanno gli inquirenti. Se sono bravi, puntigliosi, concreti e garantisti come lo fu Giovanni Falcone, i procedimenti filano bene e danno risultati. Altrimenti diventano spettacoli da stadio, tanto rumorosi quanto improduttivi.
Dal processo Tortora emersero anche i limiti nell’uso dei pentiti…
La gestione dei collaboratori di giustizia è un altro problema irrisolto.
Perché?
Perché è un problema strutturale, etico prima ancora che giuridico. La normativa, infatti, proteggeva gli ex terroristi che saltavano il fosso. Tra di loro ci furono molti pentiti sinceri che, una volta finita l’illusione ideologica e ammessa la sconfitta politica, volevano tornare alla normalità e chiesero scusa. Questa dinamica, va da sé, non è facilmente applicabile ai malavitosi, che non hanno motivazioni ideologiche. Non normalmente, almeno.
Ne deriva un problema di credibilità e di affidabilità piuttosto diffuso. Anche in questo caso, il processo Tortora diede spie d’allarme.
Enzo Tortora in manette tra i carabinieri
Sospendiamo il giudizio su Berlusconi, che deve essere comunque un giudizio politico. Al netto di tante polemiche, non sembra eccessivo il numero di procedimenti senza risultati subiti dall’ex premier fino alla fine dei suoi giorni?
Il problema è uno solo: le vicende giudiziarie di Berlusconi sono l’appendice giudiziaria di Mani Pulite.
Non entro nel merito di quella maxi inchiesta. Mi limito, al riguardo, a notare che, da allora, la magistratura ha cambiato il suo Dna costituzionale ed è diventata un organo politico. Faccio un esempio attuale: tra chi si oppone ai tentativi di riforma di Nordio figurano trecento magistrati, che hanno sollevato dubbi di costituzionalità.
Ora, non sarebbe più logico mettere le normative alla prova, magari impugnando davanti alla Corte Costituzionale, quando necessario, anziché lanciarsi in proclami politici?
Se la magistratura si politicizza non c’è da meravigliarsi di vicende come quella dell’ex capo dell’Anm Luca Palamara. Chi la fa l’aspetti, o no?
Io mi meraviglio che ci si sia fermati a Luca Palamara, al quale si sono attribuite troppe responsabilità. Palamara, semmai, era solo un terminal di interessi e posizioni di potere consolidatissimi.
La magistratura ha travalicato da tempo le sue funzioni. Tant’è che troviamo parecchi magistrati al di fuori delle sedi istituzionali. Li troviamo, ad esempio, nei ministeri, come consulenti e capi di gabinetto incaricati di redigere le normative. Mi pare ce ne sia abbastanza per dire che il rapporto tra l’ordine giudiziario e il potere politico ne risulti quantomeno alterato.
L’ex magistrato Luca Palamara
In questi giorni ha presentato il suo libro in tutta la regione. Come le è sembrato il pubblico calabrese?
Preparato e sensibile ai temi giuridici. E devo dire di essere rimasto favorevolmente colpito anche dagli amministratori locali con cui ho avuto modo di confrontarmi: c’è una crescita di livello che lascia ben sperare.
«Il Parco per me è un ritorno». Pino Putortì, dallo scorso settembre nuovo direttore dell’Ente Parco Aspromonte, descrive così il reincarico alla guida amministrativa dell’Ente.
Già direttore sotto la presidenza di Tonino Perna, un passato alla direzione generale dell’Asp di Palmi prima dell’accorpamento con Reggio, Putortì parla con franchezza della situazione del Parco.
Dalla stampa e da varie testimonianze, si ricava l’impressione che il Parco sia in perenne polemica con operatori ed esperti del settore. La dura nota dello scorso 28 luglio non lascia dubbi.
«Credo che l’attuale Ente Parco non sia amato».
Pino Putortì, il direttore dell’Ente Parco dell’Aspromonte
Parliamo degli incendi?
«Quest’anno, non appena è scoppiato quello in zona Polsi, ci sono stati interventi immediati: cinque canadair hanno impedito che l’incendio diventasse “di chioma”. Il Parco può lavorare sul Piano antincendi, cosa che già fa. Non ha però competenze di intervento né risorse dedicate. Soprattutto, non possiede il patrimonio che custodisce.
La sua funzione è fare da pungolo. E può operare in vari modi. Ad esempio, con incentivi ai privati e risorse ai Comuni per la pulizia dei boschi.
Torniamo ai roghi. I dati a disposizione consentono di individuare un andamento ciclico del fuoco. Al riguardo, si può attuare una serie di azioni che rafforzino il monitoraggio e la prevenzione. Una delle criticità del 2021 ha riguardato i Dos (direttori operativi dello spegnimento). Mi era stato riferito che era personale formato da poco e con poca esperienza. Ma non posso averne certezza».
L’intervento per limitare i disastri è solo l’ultimo anello di una catena che si è comunque rivelata debole. Ma la prevenzione è tutt’altro e dovrebbe essere la priorità…
«Bisogna ricordare che ogni incendio è una storia a sé e dipende da variabili diverse. In ogni caso, Calabria Verde quest’anno ha fatto il proprio lavoro».
Un canadair in azione durante i roghi dell’estate 2021
Prima no?
«Io lavoravo in Prefettura. Leo Autelitano, attuale presidente del Parco in carica dal 2018, chiese il nostro intervento. Assieme ai vigili del fuoco, abbiamo preso la situazione in mano. Purtroppo, devo ricordare un problema non proprio leggero. Stando a quanto riferitomi da terzi, Calabria Verde forniva coordinate errate per cui i mezzi antincendio scaricavano acqua dove non era necessario».
Sempre nella nota di luglio l’Ente Parco ha illustrato una serie di attività.
«Siamo partiti con il progetto Pastori custodi, esperienziali ed enogastronomici, volto a valorizzare l’antica cultura della transumanza e sensibilizzare il territorio al rispetto ed alla difesa della natura e della montagna».
[Nda: Questa linea risulta già percorsa in passato, nelle gestioni di Tonino Perna e di Giuseppe Bombino, con il progetto pilota Pastori custodi. Quest’iniziativa puntava sulla prevenzione. Infatti, nel 2017, mentre Sila e Pollino bruciavano, in Aspromonte non ci furono disastri. Alla presentazione di quel progetto partecipò anche il prefetto. Nel 2018, con l’avvicendamento alla presidenza tra Bombino e Leo Autelitano, quella sperimentazione, che sarebbe dovuta finire nel Piano Antincendi, cadde].
Leo Autelitano, il presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte
Il funzionamento dei Parchi può essere migliorato?
«Ritengo che gli attuali strumenti a disposizione non garantiscano appieno le finalità della legge 394 del 1991.
Di più: lo stesso sistema dei Parchi in Italia meriterebbe una seria revisione. Certo, il legislatore ha avuto una buona intuizione sulla governance, e ha creato un certo equilibrio di pesi e contrappesi. Tuttavia, una statistica recente rivela che in 19 parchi su 20 si registra uno scontro tra direttori e presidenti».
Anche all’Ente Parco dell’Aspromonte?
«Ci sono momenti di forte dialettica. Ma è nell’ordine delle cose».
Entriamo più nel dettaglio: come funzionano i Parchi?
La governance dei parchi è fatta di diversi organi. Tra questi, presidente, consiglio direttivo e direttore amministrativo. L’ultimo propone, i primi due dispongono».
Tonino Perna, ex presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte
E qual è il rapporto tra il Parco e gli enti locali?
«La Comunità del Parco è costituita da Regione, Città Metropolitana e Comuni del Parco. Questa designa quattro componenti del consiglio direttivo.
La norma prevede che i componenti designati siano esperti. Laddove, invece, sono sostituiti dai sindaci può capitare che qualcuno tenda a perorare le proprie cause o a favorire il proprio territorio».
Sempre la politica di mezzo…
«Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e quello dell’Economia sono organi vigilanti. C’è sempre un gioco della politica. Inevitabile che a volte si siano chiusi gli occhi e si siano avallate azioni da evitare».
Questo può valere per tutte le nomine. Compresa quella del direttore. Lei che ruolo ha?
«Il direttore fa da garante e mette le firme».
Come interpreta il suo ruolo?
«Voglio fare in modo che il Parco faccia un salto di qualità e che tutti – organi dell’ente, operatori, associazioni, esperti, sindaci, comunità – capiscano che occorre lavorare insieme in una visione condivisa.
È necessario restituire l’Aspromonte ai suoi protagonisti. Alcune guide del Parco, ad esempio, sono un nostro patrimonio. Il Parco ha il dovere di dialogarci.
Non bisogna disperdere l’eco positiva a livello internazionale che abbiamo riscontrato dopo la partecipazione alla Bit di Verona. Dobbiamo tutelare la bellezza e promuovere le economie».
Quel che resta degli alberi bruciati in Aspromonte nell’estate 2021
Quali sono oggi le grandi criticità del Parco Aspromonte?
«Sono di tre ordini: governance del territorio, pianificazione e programmazione e risorse umane. Oltre a un forte deficit di comunicazione».
Spieghi…
«Quando parlo di governance mi riferisco a una oggettiva difficoltà di gestione di un territorio vasto e complesso come l’area protetta del Parco. Questa difficoltà impatta direttamente sul secondo aspetto, la necessità di revisione di strumenti di pianificazione».
Quali strumenti?
«Il piano del Parco, il regolamento, il piano di sviluppo socioeconomico e la zonizzazione, su cui stiamo cercando di intervenire con fatica, Alcune linee guida erano state messe insieme, forse un po’ sommariamente. Bisogna rafforzare tutta la pianificazione e intervenire in modo serio su un nuovo perimetraggio delle zone che bilanci protezione, tutela e sviluppo del territorio.
Non è pensabile, ad esempio, che zone di diversa tipologia confinino in maniera diretta, come accade ora. Questo produce confusione e alimenta gli ostacoli alla governance dei territori. Il danno è stato compiuto anni fa. Recentemente abbiamo approvato il Piao (Piano integrato di attività e organizzazione) 2023-2025 con il nucleo della nuova programmazione».
Giuseppe Bombino, altro ex presidente del Parco dell’Aspromonte
[Nda: sotto la precedente presidenza Autelitano, l’allora ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, sentito il parere di Regione, Provincia e Comuni competenti, emanava un decreto che riperimetrava il Parco: dai 76.000 ai 64.153 ettari attuali. Quest’operazione diminuiva l’area protetta, e ne ridisegnava la geografia con quella zonizzazione su cui oggi si vuole intervenire]
Ha detto «a fatica»: perché?
«L’organigramma dell’Ente Parco è ridotto all’osso. Attualmente, e con difficoltà, riusciamo a coprire solo l’ordinario.
Il parco ha perso nove risorse per provvedimenti di mobilità concessi in regime di finanza invariata. Ciò significa che non ci sono i fondi per assumere nuove risorse se non sostituendole con la mobilità in entrata.
il Parco allo stato attuale è depauperato in modo quasi irreversibile. Stiamo tentando di risalire la china. Sono poi in corso questioni che non è il caso di approfondire in questa sede».
Di nuovo: perché?
«La situazione è delicata».
[Nda: che lo sia davvero risulta da diverse fonti. Da notizie riservate, sarebbe in corso una serie di accertamenti presso i ministeri competenti e l’Avvocatura dello Stato su mobilità e assunzioni. In particolare, sulle procedure di stabilizzazione degli lsu volute dal presidente. Questi, a sua volta, avrebbe presentato un altro esposto alla Procura della Repubblica. Inoltre lo stesso Piao fotografa uno stato dell’ente non in perfetta salute. Durissima la parte del documento dedicata alla situazione del personale: «Si è venuta evidenziando una scarsa conoscenza delle competenze del personale e l’assenza di una banca dati delle competenze». Inoltre, «resta di particolare attenzione il monitoraggio del benessere interno ed il clima lavorativo all’interno dell’organizzazione, specie a fronte di una evidente conflittualità interna». Questo quadro la dice lunga, in attesa delle pronunce degli organi competenti e delle valutazioni della Procura].
Alberi dell’Aspromonte a due anni dell’incendio
Quale idea vuole portare avanti?
«Un Parco per tutti. Lavorare su quello che può garantire il futuro e proteggere la bellezza anche attraverso lo sviluppo delle comunità locali. Bisogna dare piena attuazione agli obiettivi delineati nella legge 394. Il fine della conservazione per me è questo».
Cosa dobbiamo attenderci?
«Sono in corso una serie di attività e una proficua interlocuzione con la Regione. Abbiamo presentato alla dirigenza del Settore parchi ed aree naturali quattro schede per un valore tra i 6 e i 7 milioni. In più, dopo un’attenta revisione del bilancio, risulta un avanzo di 5 milioni e 200mila euro che verranno allocati per diversi interventi».
La sfida più grande?
«Accessibilità e sistema della mobilità verso il Parco in un’ottica di intermodalità».
Come si vede tra un anno?
«Se le operazioni che sto cercando di realizzare andranno in porto, sarò dove mi trovo adesso. Altrimenti, ormai vicino alla pensione, sarò felice di dedicarmi alla pesca».
È stanco?
«Conduco una battaglia quotidiana e non nascondo le mie difficoltà».
Ho trascorso una breve vacanza a Locri, cinque giorni presso l’Ostello Locride, una struttura che fa parte della galassia GOEL, un gruppo di persone, progetti, attività economiche, attivo ormai da venti anni in questo pezzo di Calabria. Una storia interessante, la si può leggere sul sito dell’Ostello. Un immobile sequestrato alla ‘ndrangheta, acquisito dal Comune e dato in gestione appunto a GOEL. Goel è un nome biblico, colui che riscatta e libera le persone.
L’ostello nello stabile dato in gestione a Goel
Il mare dei Greci
A Locri si può andare al mare, ovviamente, ma pure visitare un vasto parco archeologico, esteso oltre i limiti comunali, nel limitrofo territorio di Portigliola. Il mare richiama, evoca, la storia antica di questa terra e pure quella attuale, dato il continuo arrivo di barconi e gommoni stracarichi di fuggitivi di tutte le guerre del mondo.
Le spiagge di questo lembo di Calabria sono immense, bianche di sabbia e piccoli ciottoli; a Locri sono presenti i lidi, ma tra uno e l’altro i tratti liberi sono molto estesi, attrezzati di docce, bidoni per la raccolta differenziata dei rifiuti e accessi facilitati. Parcheggi gratuiti e intervallati da posti riservati a disabili e madri con bambini piccoli. Enumero questi particolari perché in altre rinomate e blasonate località sul mare il parcheggio si paga (quando ve bene, anzi, benissimo) 2 euro l’ora, le spiagge libere sono ridotte a qualche scampolo, e il mare non sembra neanche pulito, con tutto il rispetto per le bandiere blu.
Da cosentino attempato mi chiedo, poi, quali colpe ancestrali dei nostri mitici antenati o quali attività fantasiose e creative più recenti abbiano portato alla distruzione delle spiagge della mia infanzia, sul Tirreno cosentino, dato che lungo la Statale 106 non ho visto battaglioni di carabinieri impegnati a sorvegliare il bagnasciuga, come lo chiamava un tale famoso.
Reperti nel Parco archeologico di Locri
Visita (non guidata) al Parco archeologico
Torniamo alle processioni sacre della Magna Graecia, che è meglio. Il parco archeologico è vasto, percorrerlo a piedi sotto la canicola per me sarebbe letale, mi limito a qualche passeggiata simbolica, fino all’area di Centocamere, il quartiere degli artigiani, con i forni per cuocere le anfore oggi in mostra nel museo. Torno indietro, l’allestimento del museo è recentissimo, la climatizzazione funziona a meraviglia, l’apparato illustrativo e i video sono stati realizzati in modo così chiaro, efficace, che pure i lanzichenecchi di Elkann, nel caso di una trasferta a Locri, si orienterebbero.
Le donne di Locri
Le aree di scavo sono distanti una dall’altra, la città doveva essere vasta e le ricerche sono state condotte in tempi recenti, la mancanza di fondi ostacola ulteriori campagne di scavi, dato che i nuovi ritrovamenti poi andrebbero sorvegliati e protetti. Le foto in bianco e nero mostrano il sito di una fonte sotterranea, dove le donne di Locri si recavano in processione, per i bagni rituali. Le più giovani per sancire la loro condizione di nubende, pronte alle nozze. Le altre per invocare fecondità e abbondanza, in occasione dei culti in onore della dea Demetra, la protettrice dei raccolti.
In onore di Demetra le suddette signore sacrificavano dei maialini, seppelliti vivi, immolati alla fecondità dei campi. Dovevano strillare parecchio, i maialini, ma ai tempi la Protezione animali non era stata inventata, anzi gli studiosi sono sicuri che in epoche più oscure i sacerdoti immolassero persone, sugli altari posti davanti ai templi. Le ragioni? Placare gli dei, vincere la guerra, ottenere raccolti abbondanti.
Lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini
Ripensando al Pasolini di Calabria
Questo viavai di processioni femminili oggi si svolge soprattutto tra il lungomare, le spiagge e i lidi, in forma decisamente incruenta e molto gradita alla popolazione maschile di ogni età. Tutti ricordano le frasi di Pasolini, quando visitò le spiagge meridionali, durante un suo celebre reportage, scrisse che erano popolate da frotte di maschi annoiati e disperati, che non riuscivano a incrociare una ragazza, neanche una, su quelle spiagge desolate.
Sarà per lasciarsi alle spalle questo passato imbarazzante e deprimente che le donne di tutte le età occupano militarmente i punti strategici di ogni lido, di ogni spiaggia, oppure corrono in bicicletta sul lungomare, amazzoni scattanti e vigili. Intanto i maschi, prostrati dal caldo, cercano di darsi un tono con una birra in mano, ormai calda e imbevibile.
Cassandra
Vicino alla mia postazione un bambino chiama insistentemente la nonna, che infine, seccata, emerge dal lettino: abbronzatissima, ossigenata, occhiali da sole e bikini leopardato. Sono questi i momenti in cui si avverte l’assenza della penna di Pasolini.
Di sera si può andare a teatro, in scena Cassandra Site Specific di e con Elisabetta Pozzi, che dirige anche la rassegna annuale: Tra mito e storia. Festival del teatro classico di Locri Epizefiri.
Appuntamento a Portigliola, presso il Palatium romano di quote San Francesco. Per non perdermi lungo la statale 106 digito tuto il toponimo e il navigatore mi deposita davanti allo spiazzo, dove la Pozzi e i tecnici stanno provando microfoni e luci. Alla fine siamo almeno duecento persone, il luogo è suggestivo, il personaggio di Cassandra viene attualizzato con riferimenti a vicende recenti, modificando il testo che la Pozzi porta in scena da oltre un decennio.
Nessuno dava ascolto a Cassandra, come potevano essere così dissennati i suoi concittadini? Come potevano fidarsi dei Greci e del cavallo di legno lasciato sulla spiaggia? Anche oggi ci sono ministri che dicono che va tutto bene, fa caldo, è estate, ripetono, mentre il termometro indica temperature da incubo.
Elisabetta Pozzi
Dopo lo spettacolo Elisabetta Pozzi chiacchiera con il pubblico, la notte è quasi fresca, il peggio dell’estate, forse, è passato.
Ci guardiamo intorno prima di andare via, si tratta di una campagna disseminata di masserie, agrumeti e orti, forse pure sotto il pavimento di questi edifici si troverebbero le anfore per il vino e l’olio di duemila anni fa, come è accaduto sotto la masseria Macrì, che oggi, inglobata nel museo, mostra le stratificazioni romane e quelle greche più giù. Perché dopo i greci qui sono arrivati i romani, a quindici chilometri da Portigliola si può visitare la villa romana di Casignana, enorme, migliaia di metri quadrati di edifici ancora da riportare alla luce. Le due parti visibili della villa, scoperta casualmente nel 1963, sono collegate da un sottopasso su cui scorre il traffico della statale 106. Dal triclinio si vede il mare oltre un boschetto; era una dimora da ricconi, mosaici dappertutto e impianti termali. Bella vita.
A Locri c’è pure il cinema all’aperto, a palazzo Zappia, proiettano Astolfo, di Di Gregorio. Un vecchio professore, distratto rispetto ai suoi interessi, si trova costretto a tornare nella dimora di famiglia, in abbandono da anni. Dove però incontra persone interessanti e forse si innamora. Palazzo Zappia è un po’ malandato, ma questa Locri di fine Ottocento ha un suo fascino. Qui e nei palazzi vicini hanno pensato di staccarsi da Gerace, di ottenere, nel 1905, l’autonomia per Gerace Marina. E poi, dal 1934, fregiarsi del nome prestigioso della città riemersa dopo venti secoli. Persone intraprendenti.
Una targa ricorda una data importante per la comunità locrese
Il cameriere oratore
Ultima sera a Locri, cena all’aperto, in un locale che è insieme ristorante pizzeria. Il cameriere è alle prese con un tavolo di ragazzini pestiferi. Consapevole di trovarsi forse nell’antica agorà di Locri Epizefiri (ancora non localizzata) prova a convincerli con un discorso razionale, sulle orme degli antichi oratori. Chiede di votare per alzata di mano, come si usa in democrazia, vorrebbe riepilogare le ordinazioni, cerca di attrarre l’uditorio con argomentazioni ineccepibili (poi dite che non vi arriva quello che avete chiesto, poi vi lamentate con i vostri genitori).
Ma come accadeva oltre duemila anni fa, il demos, il popolo non ascolta la voce della ragione. I ragazzini se ne sbattono dell’accorato discorso, l’oratore rinuncia, va via sconfitto, come tanti brillanti filosofi, estromessi dalla voce volgare del demagogo di turno. Anzi i greci li hanno messi a morte i loro uomini migliori oppure mandati in esilio, che era peggio della morte per un greco. Così finì miseramente la democrazia antica, così naviga in acque pericolose la nostra, propensa a seguire il Trump di turno. Domani mattina restituirò la brocca cerimoniale e tirerò le somme di questa vacanza sostenibile in terra di Locri. Ma posso già ammettere che i conti sono positivi, posso dirlo già qui, in piazza, dove ancora oggi si svolge il confronto delle idee che tanta luce ha portato alla nostra traballante civiltà.
Non succede, ma se succede… in Calabria farà più danni che in tutto il resto d’Europa.
Parliamo di disastri naturali e degli effetti sul territorio e sugli esseri umani a tutti i possibili livelli. L’allarme stavolta proviene direttamente dalla Commissione europea che dall’ottobre del 2022 pubblica uno studio in costante aggiornamento. L’ultimo upgrade risale al mese scorso e i risultati sono a dir poco inquietanti per la Calabria. Emerge, infatti, come in Europa l’Italia sia il paese più vulnerabile alle catastrofi naturali insieme a Bulgaria, Romania e Grecia. Tuttavia, mentre in prospettiva le cose negli altri tre paesi appaiono in lento miglioramento, in Italia la situazione sembra destinata a rimanere stabile.
La mappa della vulnerabilità delle province italiane
Perentoria l’indicazione per il nostro territorio: «Italiani sono anche altri due primati: la regione più fragile del continente è la Calabria e la provincia è Reggio Calabria».
Scopo dello studio è avvisare gli amministratori locali e nazionali per correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
Il governatore Occhiuto, insomma, è un “avvisato speciale”, visto che la Calabria è la zona con i peggiori indici di vulnerabilità in caso di disastri naturali.
Irpinia e Giappone: un confronto impietoso
Quattro i fattori che determinano l’indice di vulnerabilità totale: economico, sociale, ambientale e politico. Per capire meglio bisogna pensare ai tanti fenomeni naturali di forte impatto quali terremoti, inondazioni, siccità, tempeste e altri eventi di tipo atmosferico, frane ecc. Questi avvenimenti in zone pericolose sono molto più probabili ma a parità di pericolosità le zone più vulnerabili sono quelle dove poi si verificano i danni maggiori per la scarsa organizzazione locale e le ripercussioni sui cittadini provocano disastri nei disastri.
Il tragico terremoto in Irpinia del 1980
Il terremoto in Irpinia, ad esempio, e i terremoti in Giappone spiegano bene di cosa parli lo studio della Commissione europea. Zone più pericolose come il Giappone con terremoti superiori in magnitudo a quello dell’Irpinia hanno avuto moli meno danni a cose e persone. La Calabria ha il massimo punteggio di vulnerabilità in Europa e il capoluogo regionale il peggiore di tutte le province dell’Ue. Questo il dato sui cui tutti i calabresi devono riflettere e a partire dai quali gli amministratori devono darsi da fare sin da subito. Prima che sia troppo tardi.
Disastri naturali: lo studio europeo
Il Disaster Risk Management Knowledge Centre (Drmkc) del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea ha pubblicato uno studio con l’obiettivo di accendere un faro sulla vulnerabilità ai disastri naturali dei paesi europei. Rappresenta un primo tentativo di indagare, attraverso la definizione di un indice, sulle possibili conseguenze di calamità.
Il Drmkc ha sede nel Jrc di Ispra, alle porte di Varese. È un laboratorio europeo che, grazie a una impressionante ricchezza di dati, consente la gestione in tempo reale delle crisi provocate da disastri naturali. Non tutti i beni, i sistemi o le comunità con lo stesso livello di esposizione a un pericolo specifico sono ugualmente a rischio: conoscere la vulnerabilità, perciò, è fondamentale per determinare il livello di rischio.
Reggio Calabria risulta essere la provincia più vulnerabile d’Europa
Asset molto esposti possono avere una vulnerabilità molto bassa, quindi essere considerati a basso rischio: in una zona sismica un edificio tradizionale è più vulnerabile di uno costruito con criteri antisismici. Per queste ragioni, dunque, la vulnerabilità è la componente fondamentale di cui tener conto nella definizione delle politiche e delle azioni per la riduzione del rischio di catastrofi. Ridurre la vulnerabilità e l’esposizione dei territori e delle comunità è la via più efficace per ridurre il rischio, dal momento che non è sempre possibile ridurre la gravità e la frequenza dei pericoli naturali. Ancora di più, se si considerano gli impatti dei cambiamenti climatici.
Tra le regioni europee è ancora la Calabria a guidare la classifica dei peggiori
Le colpe dell’uomo
La funzione dell’indice e della mole di dati raccolti è anche quella di aiutare gli amministratori a prendere le decisioni. Per ridurre la vulnerabilità è necessario identificare e affrontare i fattori di rischio quasi sempre derivanti da scelte e pratiche di sviluppo economico e urbano inadeguate. Essi hanno, infatti, un legame con il degrado ambientale, la povertà, la disuguaglianza, le istituzioni deboli.
I governi possono applicare strategie e politiche per ridurre la vulnerabilità introducendo misure precise, progettate per ridurre sia la componente “indipendente dal pericolo” (dovuta essenzialmente all’azione dell’uomo) che quella “dipendente direttamente dal pericolo” (legata agli eventi naturali).
In particolare, la vulnerabilità indipendente dal pericolo, su cui si concentrano gli indici costruiti dal JRC, tiene conto degli ostacoli che indeboliscono le capacità di un sistema o di una comunità di resistere alle sollecitazioni poste da qualsiasi pericolo. Descrive la suscettibilità a potenziali perdite o danni delle comunità indipendentemente dalla loro esposizione ai vari pericoli. Si basa su molteplici fattori che caratterizzano una comunità situata in un determinato territorio.
Disastri naturali e vulnerabilità: il caso Calabria
Nel 2022 la regione europea più vulnerabile ai disastri naturali in assoluto era la Calabria, seguita dalla Ciudad de Melilla (città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco). Un graduino del podio più giù, altre due regioni italiane: Campania e Sicilia. Nella classifica delle province, il poco invidiabile primato è di Reggio Calabria e dei primi 30 nomi più della metà sono di altre province italiane. La maggior parte si trovano nel Mezzogiorno, ma non solo: ci sono anche Latina, Frosinone, Fermo, Pesaro-Urbino, Pescara, solo per citarne alcune.
Le medie nazionali di vulnerabilità e i cambiamenti negli anni, regione per regione
Nel confronto rispetto alla media nazionale, sorprendono alcune situazioni specifiche. In positivo la Puglia, il cui indice è in costante e moderata discesa sotto la media italiana, come la Val d’Aosta. In miglioramento anche la Sicilia, mentre sono in netto peggioramento Trento e Bolzano che partivano da situazioni molto virtuose. Nessun progresso, invece, per la Calabria Le aree più vulnerabili pagano soprattutto la fragilità economica e ambientale: in Calabria 4 province su 5 segnano il massimo di vulnerabilità ambientale. Quanto all’indicatore di vulnerabilità sociale, vede livelli molto bassi in tante province del Sud e delle isole. Peggio di così è difficile fare.
Il 4 settembre a Villa Rendano dalle ore 16.30 è in programma il primo talk promosso da Enjoy Calabria. Per l’occasione arriverannomportanti esperti marketing internazionali con cui discutere delle opportunità che il digital può offrire alle aziende e al territorio. Calabria in ConversAzione, questo il nome dato a questo ciclo di incontri, nasce con lo scopo di creare connessioni, opportunità e know how sui temi dell’impresa, del digital e dell’export.
In questo primo appuntamento, moderato dal direttore Confindustria Cosenza, Rosario Branda, speakers di calibro internazionale affronteranno il tema del digital marketing a servizio delle aziende e del territorio.
Saranno presenti: Giuseppe Stigliano, Ceo di Spring che lo vede alla guida di un team di oltre 200 talenti con competenze che abbracciano strategia di business, creatività, tecnologia e dati, nonché imprenditore e docente presso diverse università e business school; Giovanni Pupo attualmente Head of Paid Media per Lipton nonché fondatore di ppcmarketing.it, portale gratuito di informazione che si propone di aiutare tanto gli studenti che si affacciano al mondo del lavoro, quanto i giovani lavoratori del marketing digitale; Alessandro Barulli consulente aziendale e formatore. Si occupa di strategie aziendali, marketing internazionale, comunicazione, gestione delle reti di vendita e processi di cambiamento.
L’accesso al talk è su invito. Per eventuali richieste e/o informazioni si può scrivere all’indirizzo mail info@enjoy-calabria.it.
Enjoy Calabria è un progetto ideato e portato avanti da Vegitalia Spa, azienda con sede a San Marco Argentano che dal 2007 commercializza ed esporta vegetali surgelati. Nato con l’obiettivo di creare una cultura territoriale all’interno e oltre i confini nazionali, Enjoy Calabria dal 2021, attraverso i suoi canali, si occupa della promozione del territorio, coinvolgendo luoghi, paesaggi, prodotti e realtà produttive della punta dello stivale. Presente su tutti i principali canali social e con un sito di approfondimento multilingua e un magazine scaricabile online, Enjoy Calabria raggiunge mensilmente più di 1milione di persone, ottenendo un coinvolgimento attivo della community che progressivamente lo sceglie come canale attraverso cui scoprire e riscoprire questa meravigliosa regione.
Per maggiori informazioni visita il sito www.enjoy-calabria.it.
Una novità che riguarda anche i calabresi. Da oggi, 25 agosto, su internet si applica in tutta l’Ue il Digital Services Act (DSA). Le norme che contiene tutelano i diritti di tutti i cittadini dell’UE. E dovranno osservare le sue prescrizioni tutti gli intermediari online: social network, motori di ricerca, marketplace, servizi di hosting.
Le piattaforme più grandi, tra le quali ovviamente le cosiddette Big Tech, sono definite VLOP (very large online platforms) e VLOSE (very large online search engines), piattaforme e motori di ricerca on line molto grandi. Esse sono soggette a obblighi più rigidi e figurano in un elenco redatto in base al numero di utenti – superiore a 45 milioni – che le utilizzano mensilmente in tutta l’Unione.
Una sede di Amazon
I social media Meta (Facebook), Instagram, Snapchat, TikTok, X (già Twitter), Linkedin, Pinterest, YouTube; i servizi di prenotazione, ad esempio Booking.com; i marketplace Amazon, Zalando, Google Shopping, Alibaba, AliExpress; gli store per le applicazioni Apple App Store e Google Play; Google Maps e Wikipedia; i motori di ricerca Google e Bing. Tutti loro, nella vecchia Europa, dovranno finalmente sottostare a regole.
Ciò rappresenta, mentre negli USA ancora si discute su come intervenire per limitarne lo strapotere, una vera rivoluzione. È infatti grazie alla deregulation che in questo settore hanno potuto generarsi profitti immensi e fenomeni deleteri e pericolosi quali disinformazione e hate speech.
Dsa in vigore: le novità su internet in UE
Entrando nel merito, ecco le novità più significative. Per quanto concerne la segnalazione dei contenuti pubblicati dagli utenti, fino ad oggi le piattaforme erano ritenute responsabili quando, venutene a conoscenza, non procedevano con la loro rimozione. Adesso, invece, le VLOP e le VLOSE dovranno sempre rimuovere i contenuti segnalati. Ma dovranno in più attrezzarsi con un “punto di contatto”. Un team in ogni Paese prenderà in carico le segnalazioni di Autorità e utenti, predisponendo un sistema semplice ed efficace per la raccolta, l’esame e l’eventuale rimozione dei contenuti. Questi potranno essere rimossi, e i loro autori “bannati”, solo a seguito di preavviso. In quest’ultimo si dovrà esporre in modo chiaro il motivo per il quale si procede. Non più soltanto, quindi, facendo generico riferimento alla violazione di termini e condizioni del servizio.
Per i marketplace è previsto un controllo sui prodotti venduti per verificarne la legalità. Ma il DSA, per i contenuti, va oltre. Onde evitare che, come in passato, il meccanismo della rimozione entro brevissimo tempo provochi, come effetto collaterale, rischi di censura, è stato introdotto il concetto dell’analisi del rischio sistemico.
Ogni anno le Big Tech devono perciò presentare un documento di valutazione dei rischi per la libertà d’espressione, la tutela dei minori, i diritti fondamentali, che possono scaturire dal loro utilizzo illegittimo o da abusi. Alla valutazione segue la proposizione di soluzioni per mitigare gli effetti dei rischi individuati: per l’attività di moderazione dei post, di uso degli algoritmi di raccomandazione, per modificare termini, condizioni e design, e altro ancora. A valutare tutto saranno le Autorità e – elemento importantissimo anche ai fini della tanto agognata trasparenza – ricercatori esterni.
Dsa: stretta dell’Ue per pubblicità e disinformazione su internet
Altra previsione altamente significativa riguarda la lotta alla disinformazione. In occasione di pericoli per la salute e la sicurezza dei cittadini le piattaforme dovranno adottare, con la Commissione europea, protocolli di crisi e misure d’emergenza.
Sul piano ancora della trasparenza, bisognerà rendere noti i parametri in base ai quali gli algoritmi raccomandano i contenuti. In altre parole, la spiegazione sul motivo per il quale un determinato utente vede un certo post, e non altri, diviene obbligatoria. Per limitare le influenze esterne, inoltre, la possibilità di scegliere la modalità cronologica di visione dei contenuti deve essere valorizzata anche nella progettazione.
La pubblicità non potrà usare informazioni che riguardano religione, salute, orientamento sessuale. Diviene assoluto il divieto di usare dati relativi ai minori, e di proporre loro avvisi in base alla cosiddetta “targettizzazione”.
Ancora sulla pubblicità, le piattaforme hanno adesso l’obbligo di tenere traccia degli investitori e conservare, per ogni post, le informazioni su chi l’ha pubblicato e pagato, per quanto tempo è stato mostrato e a quale gruppo.
Veniamo ai famigerati Dark pattern (modello di progettazione ingannevole: interfaccia utente studiata e realizzata per indurlo a compiere azioni indesiderate e svantaggiose, come iscriversi a servizi in abbonamento non voluti, fonte Wikipedia). Un esempio? L’icona per accettare i cookie colorata, le altre grigie. Il DSA risolve il problema alla radice vietando finalmente tali pratiche.
Da febbraio non solo Big Tech
In conclusione, si può affermare che il Regolamento UE sui servizi digitali rappresenta un enorme passo avanti in questo campo. Lo dimostra anche la celerità con la quale alcune piattaforme hanno rivisto o stanno rivedendo le loro politiche per adeguarvisi.
Certo, è necessario che i Paesi europei designino al più preso l’Autorità nazionale incaricata di monitorare e garantire il rispetto del DSA. Per l’Italia dovrebbe essere l’AGCOM. Da febbraio 2024, infatti, esso diventerà vincolante anche per le piattaforme con meno di 45 milioni di utenti mensili, e le sanzioni potranno ammontare al 6% del fatturato globale.
Ciò in attesa delle decisioni in itinere su un altro tema molto delicato, quello sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale. I presupposti per una sua sistemazione normativa in Europa sono abbastanza buoni.
Bisogna considerare, tuttavia, la necessità di affrontarlo in termini globali in quanto nel web i confini fisici e politici hanno poca o nulla rilevanza.
Una famiglia percorre il sentiero che da Bivongiconduce alle cascate del Marmarico. Vengono da San Calogero. Una madre di 36 anni con la figlia di 4, suo fratello con la compagna e la figlia di 3 anni. Sono allegri, spensierati, hanno deciso di festeggiare così il compleanno dell’avvocato Antonella Teramo, la madre, tornata da Milano in Calabria per trascorrere le vacanze coi suoi cari. Incontrano delle persone – due amici e la figlia di uno di loro – e lei, dal carattere espansivo e cordiale, raccomanda loro di fare attenzione, ché alcuni passaggi nascondono insidie inaspettate.
Morte sulla Jonio-Tirreno
Certamente sa, ma in quel momento non ci bada, che il pericolo vero, in Calabria, non sono i sentieri di montagna, ma le strade che collegano le varie parti di un territorio notoriamente accidentato.
Qualche ora dopo, l’auto sulla quale percorrono la Jonio-Tirreno (strada statale 682) si scontra frontalmente con un’altra occupata dal solo conducente. Questi e la madre muoiono sul colpo; la bambina di 4 anni, Maya, poco dopo all’ospedale di Polistena. Feriti gravemente la bambina di tre anni e gli altri due familiari, che avevano fatto la promessa di matrimonio lo scorso 30 marzo.
Antonella Teramo
Concorrenza sleale
Da circa un mese si dibatte sulla prossima chiusura di questa strada. Ci sono lavori improcrastinabili da effettuare nella galleria che buca per tre chilometri il monte Limina. Ciò di cui invece non parla chi decide cosa fare, dove e quando, sono gli interventi su tutto il sistema delle comunicazioni della regione: stradali, ferroviari, marittimi, aerei. E quando affronta l’argomento, è solo per reclamizzare il ponte sullo Stretto e la destinazione al Nord dei fondi che servirebbero per rendere il sistema moderno, efficiente, e soprattutto sicuro. È vero, accade che una delle cause degli incidenti automobilistici sia da imputare all’alta velocità, all’imprudenza. Già, perché gli straccioni calabresi per spostarsi senza rischiare, la vita o sanzioni pesanti, lo devono fare a 50 chilometri orari. Anche quando hanno esigenze lavorative che imporrebbero tempi limitati, come succede nei luoghi solo ipoteticamente concorrenti che con ipocrisia vengono definiti più fortunati.
La Galleria Limina sulla SS 682 resterà chiusa per almeno 20 mesi
Una presa di coscienza
Non di fortuna si tratta. Sono le scelte scellerate a fare della Calabria una terra ormai senza futuro. Scellerate e frutto di un’accondiscendenza, da parte della classe dirigente locale, che sfocia nel servilismo, nell’ascarismo più eclatante. Una pratica, sia chiaro, non imputabile esclusivamente alla Destra. Così, la traiettoria storica calabrese si presenta come un libro già scritto, dal finale scontato. Il nostro cammino, al contrario di quanto asseriva qualcuno, è identico al rotolare della palla sul biliardo: parte e arriva dove deve arrivare. L’unico ostacolo che potrebbe incontrare, fuor di metafora, è quello che finora non si è mai effettivamente presentato: una presa di coscienza che porti i calabresi tutti, in primis la sua classe dirigente, a prendere nelle proprie mani il futuro di questo «sfasciume pendulo sul mare» per tentare, nei limiti del possibile, di migliorarne la sorte.
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