Tanto tuonò che piovve. Potrebbe riassumersi così la vicenda della stabilizzazione a tempo indeterminato degli ex Lsu e Lpu già assunti dall’Ente arco Aspromonte.
Adesso emergono novità su almeno una delle tre criticità – governance del territorio, programmazione e risorse umane – di cui aveva ampiamente parlato a I Calabresiil direttore amministrativo Pino Putortì.
Lsu ed Lpu l’Avvocatura dello Stato dice no
Si tratta del parere dell’Avvocatura dello Stato su due quesiti posti proprio da Putrortì riguardo la legittimità dell’assunzione degli ex Lsu e Lpu voluta da Leo Auteliano lo scorso giugno 2023.
Per dirla con un luogo comune, abbiamo scherzato: l’Avvocatura ha dichiarato illegittima la determina 295 del 30 giugno 2023 con cui sono stati assunti i 17 ex Lsu e Lpu. Questa determina, nello specifico, violerebbe l’articolo 3 della legge 56 del 2019 e il comma 7 dell’articolo 14 del DL 95 del 2012. Spieghiamo meglio: la procedura di stabilizzazione fuori organico dei 17 lavoratori socialmente utili è corretta. Viceversa, risulterebbe illegittimo il passaggio nella dotazione organica di 5 dei 17 stabilizzati.
L’Avvocatura dello Stato ha sottolineato, inoltre, che le indebite assunzioni hanno «compromesso la funzionalità e il regolare svolgimento dell’attività amministrativa» dell’ente dovuta alla «perdita della capacità assunzionale in termini di spesa massima consentita».
Pino Putortì, il direttore del Parco dell’Aspromonte
Lsu ed Lpu: un danno erariale da 300mila euro
Infatti, la copertura delle 9 unità che hanno ottenuto provvedimenti di mobilità in uscita, sarebbe dovuta avvenire in regime di finanza invariata. Così non è stato. Perciò l’Avvocatura dello Stato ha profilato un danno erariale di circa 300mila euro a carico di Silvia Lottero, la direttrice che aveva preceduto Putortì.
L’Avvocatura avrebbe anche chiesto a Putortì di portare tutte le carte in Procura. E il direttore ha dovuto informare il Consiglio direttivo del Parco.
Lsu ed Lpu: assunzioni illegittime
La bomba è esplosa. E il botto dà ragione a chi, nel corso del tempo, aveva accusato Autelitano di una gestione personalistica del Parco. E ci sarebbero profili di reato, va da sé da verificare: i contratti di stabilizzazione violerebbero infatti una normativa di rango superiore.
Inoltre, le assunzioni, inserite nel Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) 2023-2025 recentemente approvato, invaliderebbero lo stesso documento di programmazione con un effetto domino dirompente su una serie di provvedenti adottati dall’Ente Parco.
Quello che accadrà nei prossimi giorni è da vedere. Per ora sembra si sia arrivati a un punto di non ritorno. Con un unico vantaggio indebito agli assunti e un danno all’Ente e tutta la sua comunità.
Leo Autelitano, il presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte
Silenzi, proteste e dimissioni eccellenti
La Comunità del Parco che, come noto, riunisce i rappresentanti dei 37 Comuni del territorio dell’Ente, ha mandato deserta l’ultima seduta dedicata all’approvazione del bilancio. Un segno chiaro di sfiducia nei confronti dell’operato del presidente.
La parola dovrebbe quindi passare alla Procura, nel rumoroso silenzio del Ministero dell’Ambiente, destinatario di numerosi dossier sul tema.
E non è detto che non si registrino nel frattempo reazioni eclatanti. Come le già paventatedimissioni di chi, già funzionario di prefettura e con una specchiata carriera alle spalle, ha cercato di mettere ordine nella situazione.
La politica, sempre prodiga di nomine, resta a guardare un disastro annunciato?
Il nostro ricordo più recente di Claudio Giuliani risale a due anni fa, quando bazzicava con grandissima frequenza la redazione de I Calabresi.
Non era più l’ingegnere di spessore (la pensione arriva per tutti) né il politico abilissimo e ironico che Cosenza aveva imparato ad apprezzare durante la sua lunga militanza a Palazzo dei Bruzi, come consigliere, assessore e sindaco. Il tutto nelle file del Partito repubblicano.
Era la memoria perenne, lucidissima e viva di tutto questo. Era l’esperienza che si faceva saggezza, senza prendersi troppo sul serio.
Parole e contenuti forti di Claudio Giuliani
Non prendersi sul serio, per uno come Claudio Giuliani – che aveva fatto e visto tanto – significava una cosa: sorridere. E, soprattutto, non cercare mai di fare il protagonista. Sebbene il suo protagonismo nella vita della città resti indiscutibile.
Indiscutibile e prezioso per almeno due volte. La prima fu a fine metà anni ’80, quando consentì alla giunta tipartita (Dc-Psi-Pri), orfana dei Socialdemocratici e di Pino Gentile, sindaco per la prima volta nelle schiere socialiste, di arrivare al voto.
La seconda volta fu nel 1986, quando gestì il passaggio, ancor più delicato, tra Giacomo Mancini (sindaco per l’ultima volta nella Prima Repubblica) e il big democristiano Franco Santo.
Un santino elettorale di Claudio Giuliani
Claudio era una miniera di ricordi, che snocciolava con precisione chirurgica nel suo linguaggio ironico e tagliente. Tra una facezia e l’altra, ricostruiva interi periodi della vita cittadina e tracciava ritratti – a volte al vetriolo ma sempre fedelissimi – dei tanti big con cui aveva diviso la sua strada.
Era pignolo senza averne l’aria. Uno di noi, che gli diede un passaggio, si sentì dire: «Non barare, togli quei gancetti e metti la cintura, perché non sai cosa rischi». Da uno come lui, che conosceva e amava i motori, non era un rimproverò né un’esortazione: era un ordine.
Gioie e motori
Della passione di Claudio Giuliani per i motori c’è una forte traccia in Corsi e ricorsi, il libro in cui l’ex sindaco raccontò la passione, sua e familiare, per le auto da corsa.
Una passione soprattutto praticata, visto che l’ingegnere frequentò a lungo i tracciati della prestigiosa Coppa Sila (già battuti dal nonno, dal prozio e dal papà) con ottimi risultati.
Detto questo, Claudio Giuliani non era un pirata della strada. Anzi: pilotava le auto allo stesso modo in cui faceva politica. Cioè con passione, abilità e coraggio, mai con spregiudicatezza o spericolatamente.
Passione e abilità, ma anche spirito di servizio.
Claudio Giuliani nell’album della Prima Repubblica
A scorrere gli organigrammi di Palazzo dei Bruzi degli anni ’70-’80 emerge il ritratto di un’élite, l’ultima che Cosenza abbia avuto.
Di questa élite, che traghettò la città in maniera indolore alla Seconda Repubblica (dice nulla la leadership persistente di Giacomo Mancini?), Claudio Giuliani fu elemento di spicco. La sua ultima attività pubblica risale al 2011, quando recuperò il mitico quadrifoglio e schierò una lista col sindaco uscente Salvatore Perugini. Al riguardo, resta memorabile un siparietto con tra i due ex sindaci, durante il quale l’ingegnere sottoponeva l’avvocato a un test di “cosentineria” (ovvero, basato sul riconoscimento dei luoghi storici o caratteristici e sulla traduzione in italiano dei detti tipici). Test passato appieno.
Dopo, il graduale ritiro dalla vita pubblica, frequentata e osservata con lo sguardo del testimone passionale, che parlava di politica con lo stesso trasporto con cui si occupava del Cosenza.
Gli anni passano e i percorsi (inevitabilmente) finiscono. I ricordi, quando sono costruiti sui meriti, restano.
Cosenza saluta Claudio Giuliani nella camera ardente, allestita oggi a Villa Rendano il 9 novembre, e nella chiesa di Santa Teresa, dove sono previsti i funerali alle 11 di domani.
La terra raccontata dal giornalista e saggista Santo Srati, nel suo ultimo libro dal titolo “Calabria, Italia”, è un luogo utopico, straordinariamente ricco di opportunità eppure trascurate. Una colpa grave, cui tuttavia l’autore non dispera si possa porre rimedio. La potenza della bellezza della Calabria, la sua atavica incapacità di metterla a buon frutto, le vie da percorrere per mutare il destino, son stati i temi dell’incontro promosso dalla Fondazione Giuliani, uno degli appuntamenti che il presidente Walter Pellegrini apostrofa come «Libri in Villa».
Il libro di Santo Strati presentato ieri a Villa Rendano
Al fianco dell’autore c’era il professore Mauro Alvisi e in platea il sindaco Franz Caruso. Qual è la Calabria raccontata da Strati? E’ la terra che sembra sommersa dalle criticità e che pare disconoscere invece la bellezza di cui è portatrice. Un libro, come spiega Walter Pellegrini, che non elude i problemi, ma che suggerisce un mutamento di rotta, sembra indicare un cambiamento possibile. Si tratta solo di una “narrazione” negativa? Chiede Francesco Kostner stimolando il dibattito. Certamente no, pur esistendo un problema di comunicazione. Il dato che maggiormente sembra impedire ai calabresi di capovolgere il destino di Cenerentola del Paese sta nella storica incapacità dei calabresi di fare comunità, di vincere il localismo.
Strati ne è certo e questo spiegherebbe una delle ragioni per le quali numerosi calabresi, lontani dalla loro terra, riescono ad affermarsi con grandi successi, trovando altrove contesti sociali maggiormente favorevoli. Manca, per dirla con la parole di Alvisi «l’intelligenza di connessione», la capacità, o forse la volontà, di fare squadra, di uscire dal proprio piccolo orizzonte e avviare progetti di cooperazione, i soli in grado di offrire a una comunità periferica come la nostra «la possibilità di pesare» nelle decisioni politiche nazionali. Ma questo tuttavia potrebbe non bastare, l’obiettivo più ambizioso riguarda la “reputazione”, concetto che nelle parole di Alvisi ha una sua materialità misurabile, in termini di affidabilità delle istituzioni e qualità concreta della vita, mentre nelle parole dell’autore assume anche un senso più vasto, propriamente politico e civile. Reputazione intesa come senso di appartenenza e cittadinanza orgogliosa. Sarebbe un primo passo, faticoso ma ineludibile.
La lingua e la cultura rom fanno tappa a Villa Rendano. Un dibattito polifonico durante il quale si sono alternate molte voci della comunità romanò cosentina e non solo. Studiosi e attivisti hanno spiegato il senso e la direzione di una presenza, di una storia che affonda le radici nell’Italia del XVI secolo.
Da sinstra Elma Battaglia (assistente sociale); Antonietta Cozza (consigliere comunale); Fiore Manzo (presidente Aps Lav Romanò); Walter Pellegrini, presidente della Fondazione Attilio e Elena Giuliani
Fiore Manzo – ricercatore universitario e presidente di Aps Lav Romanò – ha sintetizzato in pochi minuti la storia dei rom, le origini, gli spostamenti e l’arrivo in Italia. Senza dimenticare quella che interessa i rom della città di Cosenza. E mettendo in guardia da quei meccanismi comunicativi così radicati che etichettano gli zingari «o come tutti artisti (stereotipi positivi) o come tutti ladri (stereotipi negativi)».
Per Walter Pellegrini, presidente della fondazione Attilio e Elena Giuliani – «lo studio delle lingue e della cultura di tutte le etnie è in linea con lo spirito culturale» dell’ente che presiede.
Antonietta Cozza, consigliere comunale con delega alla Cultura, ha portato i saluti del sindaco di Cosenza, Franz Caruso. Parlando dell’incontro di ieri come buon modo per «allontanare luoghi comuni e stereotipi e costruire una città sempre più inclusiva».
Per Elma Battaglia, assistente sociale e socia Assnas Calabria, «quella rom è una cultura da abbracciare e comprendere». Le «differenze vanno difese e bisogna farne tesoro anche negli ambienti di lavoro», sottolinea Maria Rosaria Vuono, presidente di Hoplà cooperativa sociale.
«Non siamo solo rom. Siamo italiani, europei. Siamo frutto di una contaminazione. Ma purtroppo siamo costretti a sentirci apolidi nella nostra città». Ecco il grido e la riflessione lanciati da Luigi Bevilacqua, attivista e vice presidente di Aps Lav Romanò.
Rina Scala e Giusy Monterosso (Compagnia della Pigna) hanno recitato poesie dedicate alla cultura dei rom con musiche di Apo.
Chitarre e violini De Bonis sono stati protagonisti per tre giorni a Villa Rendano con una mostra davvero suggestiva. Tre giorni – animati anche da concerti e masterclass – dedicati a ricordare l’arte dei famosi liutai di Bisignano che hanno costruito strumenti per artisti di fama internazionale.
Ad aprire le danze del De Bonis Music Festival è stato Walter Pellegrini, presidente della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani: «Noi vogliamo trasmettere cultura, conoscenza e competenze. Ecco perché ho raccolto l’invito del sindaco di Cosenza per rendere attuale l’insegnamento del maestro De Bonis. E poi mi piace pensare all’incrocio culturale di questi giorni con gli strumenti del famoso liutaio e il pianoforte di Alfonso Rendano. Tutto questo nella stanza della musica dove siamo pronti ad ospitare laboratori artigianali e masterclass».
Da sinistra: il sindaco di Bisignano, Francesco Fucile; il presidente della Fondazione Attilio e Elena Giuliani, Walter Pellegrini; il maestro Angelo Arciglione; il maestro liutaio e presidente di Ali (Associazione liutai italiani), Lorenzo Frignani; il maestro Yuri Crusco, uno dei coordinatori del De Bonis music festival
«Insegnare al mondo – ha detto Lorenzo Frignani, maestro liutaio e presidente di Ali (Associazione liutai italiani) – la bellezza dell’Italia. La questione De Bonis purtroppo è circoscritta al territorio. Eppure è una famiglia con 250 anni di storia. È una tradizione che va in tutte le maniere valorizzata e sostenuta».
Yuri Crusco, maestro di chitarra di stanza a Ginevra e coordinatore del Festival insieme a Pietro Morelli – ha annunciato la creazione di un progetto editoriale (un libro e un disco) sulla tradizione dei De Bonis.
Il sindaco di Bisignano, Francesco Fucile, paese natale di Nicola e Vincenzo De Bonis, ha invece anticipato la creazione di una borsa di studio per ragazzi che suonano la chitarra legando tutto alla tradizione dei maestri liutai.
Il maestro Angelo Arciglione – presidente dell’associazione Amici della musica di Acri – ha parlato della storia dei De Bonis come «patrimonio dell’intera Calabria».
Gli strumenti di De Bonis erano lì per essere suonati. E così è stato con il concerto del Duo Giacomantonio – composto dai violinisti Alessandro Acri e Annastella Gibboni.
Due appuntamenti musicali sono stati di scena al Museo dei Brettii e degli Enotri: i concerti che hanno visto protaginisti il chitarrista Davide Piluso e il De Bonis Guitar Duo.
Di altissimo livello la masterclass – per tre giorni a Villa Rendano – di Stefano Grondona, allievo di Andreas Segovia.
Leonardo De Marco riconfermato presidente provinciale del Movimento Cristiano lavoratori di Cosenza. Nel corso del congresso provinciale sono stati eletti anche i componenti del consiglio: Stefano Vattimo; Giandomenico Nicoli; Antonella Mancuso, Fortunato Virardi: Piero Lupo; Paola Affuso; Paola Zangaro; Pia Balzano; Denise Rizzo; Federica Franchini; Daniele Musacchio; Francesco Iannuzzi; Sandro Andreoli; Leonardo De Marco; Mauro Pericolo. Il congresso si è celebrato nella Casa della Musica a Lungro, nel cuore dell’Arbëria.
I componenti del consiglio provinciale Mcl Cosenza insieme al presidente nazionale Antonio Di Matteo
«Abbiamo vissuti anni difficili. Abbiamo garantito i nostri servizi in questo lungo periodo di pandemia. Abbiamo dato il massimo per essere vicini ai lavoratori».
Si apre con queste parole la relazione di Leonardo De Marco durante il XIV congresso provinciale del Movimento Cristiano Lavoratori.
«Tasso di disoccupazione drammatico – continua De Marco – e prevalenza di contratti a tempo determinato caratterizzano una regione che ha urgente necessità di invertire la rotta. Puntando sui quattro pilastri fondamentali come turismo, agricoltura, terziaro e infrastrutture. Ecco gli assi portanti di una ripresa certa».
«Un altro tema che ci sta particolarmente a cuore – aggiunge De Marco – è quello della sicurezza sul lavoro. Una pagina triste. Nel 2022 sono state ventidue le morti sul lavoro. Non basta essere sentinelle sul territorio se non abbiamo la forza di denunciare. La Consal, di cui sono presidente provinciale, si batte da anni per la sicurezza sul lavoro».
A presiedere i lavori congressuali è stato l’avvocato Maria Rosaria Pilla.
«Leonardo De Marco è un motorino vivente. Noi continueremo a seminare e guardare sempre con speranza al futuro. Il due dicembre di celebrerà il congresso regionale a Cosenza». È quanto ha affermato Vincenzo Massara, presidente regionale del Movimento Cristiano Lavoratori.
«Siamo in questa provincia – ha detto Antonio Di Matteo. presidente nazionale Movimento Cristiani Lavoratori – per testimoniare la vicinanza a MCL Cosenza. Pensiamo a tante situazioni come questa dove vivono condivisione, appartenenza e osmosi di diverse parti della società. Sono grato al presidente Leonardo De Marco. Tanti spunti nella sua relazione ci fanno riflettere. La sua è un’analisi spietata di una regione, però può essere estesa al Paese. Leonardo ha chiuso con una speranza. Questo è importante».
«Dobbiamo lavorare affinché il bene comune non resti un’utopia. Ed essere vicini al prossimo», ha ricordato Michele Cutolo, vice presidente nazionale MCL.
Per Guglielmo Borri – presidente nazionale del patronato Sias – «Qui a Lungro troviamo la sintesi di quello che è il Movimento».
Don Francesco Poli, assistente spirituale, ha espresso ed esteso «un desiderio pace tra popoli e persone». Ha evidenziato «la bellezza dello stare insieme in questo luogo» e augurato buon lavoro a chi ha partecipato al congresso.
«Leonardo De Marco ci ha fatto conoscere il Movimento Cristiano Lavoratori. Occorre portare la speranza a chi vive in difficili situazione economiche. E bisogna custodire la dignità delle persone nel lavoro». Sono parole pronunciate da monsignor Donato Oliverio, vescovo dell’Eparchia di Lungro.
Sono intervenuti: il sindaco di Lungro, Carmine Ferraro; Giuseppe Del Gaudio, responsabile agenzia Inps di Cosenza; Mario Smurra, vice segretario nazionale della Federazione Nazionale Agricoltura; il senatore di Fratelli d’Italia, Ernesto Rapani; l’europarlamentare di Fratelli d’Italia e già presidente patronato Epas, Denis Nesci; Michele Diodati, vice direttore Ufficio per lo sviluppo integrale della Diocesi di Cassano allo Jonio; Pietro Molinaro, consigliere regionale della Lega e presidente della Commissione regionale anti ‘ndrangheta; Antonio Lento, segretario regionale Snalv/Consal; Giuseppe Graziano, consigliere regionale di Azione; Gennaro Capparelli, sindaco di Acquaformosa; Alessandro Tocci, sindaco di Civita; Caterina De Rose, presidente provinciale Acli; Francesco Cosentino, portavoce provinciale Forum Terzo settore Cosenza; Antonella Mancuso, presidente MCL Cassano allo Jonio; Mauro Pericolo, presidente MCL Rossano.
Non c’è appassionato di ciclismo che non ami il Giro d’Italia e non c‘è gommista o meccanico che non lo odi, almeno in Calabria. Da parecchio tempo, infatti, la mitica corsa a tappe organizzata dalla Rosea a queste latitudini è sinonimo, più che di sport, di bitumazione. Che – ricordiamo per i tanti calabresi che, non vedendola da anni, lo hanno dimenticato – è quella cosa con cui i Comuni ripristinano il manto stradale eliminando le innumerevoli buche che troppo spesso lo costellano.
Un garbato invito alla bitumazione rivolto al sindaco di Cosenza
Il Giro d’Italia in Calabria tra il 1929 e il 2024
Il Giro d’Italia in Calabria è passato una sessantina di volte, La prima, nel 1929, vide trionfare il grande Binda, ma all’epoca da queste parti ci si spostava percorrendo mulattiere. Nei successivi 95 anni le cose – corridori e bici a parte – non sono poi cambiate così tanto, se non per un particolare: le strade in Calabria fanno sempre schifo come allora (o quasi), tranne – appunto – quando c’è una tappa del Giro d’Italia.
In quel caso, complice il passaggio in tv delle località interessate dal tracciato, le amministrazioni locali sembrano trasformarsi nelle ben più efficienti omologhe giapponesi. Ogni buca, come per magia, si riempie in un attimo, anche quelle che erano lì da anni; l’asfalto all’improvviso sembra quello di qualche cantone svizzero. E per chi si guadagna da vivere riparando gomme e giunti sono guai.
Un gommista all’opera
Officine in festa, automobilisti e Chiesa un po’ meno
Meccanici e gommisti anche stavolta possono, però, tirare un sospiro di sollievo: niente Giro d’Italia in Calabria nel 2024. Il crollo degli affari registrato in concomitanza della tappa 2022 tra Palmi e Scalea non si ripeterà.
Non è dato sapere se siano state le due potenti lobbies o quella dei ricambi a convincere quelli della Gazzetta a non portare la corsa più a sud della Campania. Ma è probabile che in parecchie officine, con la diffusione del percorso ufficiale della prossima edizione, abbiano stappato lo champagne. Disappunto, al contrario, nel mondo della Chiesa: il mantenimento delle attuali condizioni stradali potrebbe comportare un aumento delle imprecazioni tale da permettere alla Calabria di sorpassare il Veneto nella classifica dei bestemmiatori.
Unica consolazione per tutti: la Regione eviterà figuracce a caro prezzo come nell’edizione 2020.
“Reperto numero 8, membro virile in bronzo”. L’altra settimana è scomparso a Reggio Calabria Giuseppe “Peppino” Mavilla, personaggio popolarissimo in città: pioniere dello sci a Gambarie, skipper e sub: noto per aver consegnato alla Soprintendenza “La testa del filosofo”, un reperto che compete in bellezza con i Bronzi, come loro esposto al pianterreno del Museo firmato dall’architetto Marcello Piacentini.
La testa del filosofo
La notizia è stata liquidata con due colonnine in cronaca, senza nemmeno una foto: che io abbia letto, solo il professor Pasquale Amato – che non a caso è uno storico – ha ricordato Mavilla. Che aveva 83 anni, una salute malferma («troppe immersioni, ma quanto mi sono divertito!») e una mente lucidissima: viveva con la moglie In un grande condominio di Gallico, non troppo vicino al suo mare.
Un reggino ammalato di dietrologia (categoria molto diffusa) potrebbe dire che Mavilla se n’è andato portandosi dietro qualche segreto. Per quanto abbia potuto constatare io – nel corso del lavoro preparatorio per il film “Semidei” insieme a Massimo Razzi – se n’è andato piuttosto arrabbiato.
E allora bisogna tornare a quegli anni, certo movimentati: “La Testa del Filosofo” viene recuperata nell’ottobre 1969, la scoperta del Bronzi è del 16 agosto del 1972. In tutta Italia si susseguono scoperte e predazioni. Forse migliori attrezzature sub, un mercato miliardario sull’asse Svizzera-Stati Uniti, una certa tolleranza delle autorità costituite, la pervasiva presenza delle mafie. In più, ed è incredibile rileggere certi pezzi, una mitizzazione di personaggi ambigui: come i “tombaroli”, per esempio. Poi, per fortuna, arrivano leggi più stringenti e maggiori controlli sul territorio.
Quel che resta dell’antica Sybaris
Il tesoro che non sappiamo di avere
Basta scorrere con il dito una mappa della Jonica calabra, da Sibari all’antica Rhegion, per poi risalire verso Rosarno e Vibo, per immaginare quanti tesori abbiano lasciato a terra e sotto il mare i nostri antenati greci, i fondatori, e le navi romane che andavano sotto costa in Calabria, prima o dopo la traversata. Una fissazione di funzionari come Alessandra Ghelli, responsabile dell’archeologia subacquea a Reggio e Vibo, che dovrebbe essere anche la nostra.
Ma oltre cinquant’anni fa come oggi, la frase “non ci sono soldi” ferma o rallenta ricerche che potrebbero portare a nuove, clamorose scoperte. Come fu quella del relitto di Porticello, firmata dal sub 29enne Peppino Mavilla: che consegnò alcuni giorni dopo i reperti al dottor Giuseppe Foti. Il Soprintendente, un uomo fortunato: tre anni dopo controfirmò anche la denuncia del sub romano Stefano Mariottini («due statue in bronzo nella sabbia a 7-8 metri di profondità, in località Porto Forticchio, Riace Marina»).
Per quel recupero, Mavilla ebbe un premio di 52 milioni di lire, Mariottini prese più del doppio per i Bronzi: sappiamo oggi che si tratta di opere di valore inestimabile, vanto e magnete della città e del Museo. Mavilla continuò poi a girare per il Mediterraneo con il suo yacht per crociere e immersioni. Collaborò con ricerche archeologiche per poi finire negli States. Mariottini è rimasto testimonial della Soprintendenza e ha proseguito negli anni il suo impegno in ricerca e difesa dei Beni Culturali.
I Bronzi di Riace esposti al Museo archeologico di Reggio Calabria
Una denuncia che non arriva subito
Mavilla non registra subito la scoperta del relitto di Porticello. A leggere i documenti, qualche contraddizione sulle date resta. È un sub esperto e irruente, ride spesso della sua incoscienza. «Una volta mi diedero per scomparso, ma ero stato solo risucchiato dalla corrente durante la decompressione verso il centro dello Stretto, dentro i gorghi cantati da Omero».
Racconta nel libro “L’immensa onda” la sua pesca in un’area funestata dalle bombe dei cacciatori di frodo: «Vidi due cernie partire dentro una piccola caverna e scattai in avanti con lampada e arpione, quando notai che stavo passando sopra uno strano biancore di scogli. Ma non erano pietre, avevano dei manici, erano delle anfore! Mi sollevai di qualche metro, le anfore erano tante, e quello era un relitto, il relitto di Porticello. Da quel momento non fui più padrone della mia vita».
Ancorata fra Villa e Scilla, la nave greca era andata a picco intorno al 400 a.C. per una tempesta. Mavilla continua le sue ricerche, affitta un piccolo deposito, teme quello che lui chiama i “bombaroli”, pescatori e predatori che lo hanno visto all’opera.
A 38 metri trova una statua di Poseidone «fiero e sorridente», è a rischio embolia e risale, spera di poterla recuperare il giorno dopo, ma il giorno dopo la statua non c’è più!
«Al tramonto, dopo due ore di attesa sulla riva, la lancetta del decompressimetro mi indicò un certo spazio di sicurezza, e tornai giù con rabbia. Scavai come un forsennato nella parte dove affioravano pezzi di statua, e poi finalmente la testa, che mi sembrò molto pesante».
L’Enciclopedia Treccani Arte definisce così Il Filosofo: «Le sembianze sono genericamente quelle di un sapiente e intellettuale (Ardovino), richiamando i ritratti di Sofocle (Freí) o suggerendo, sulla base di un’interessante lettura stilistica, il possibile ritratto «di ricostruzione» del poeta Esiodo».
Mavilla porta a casa tutto, la madre comincia a pulire la testa da una massa di fango, e li viene fuori il membro. Risate miste a una certa paura. Il padre a quel punto gli ordina di portare tutto al Museo, ma Mavilla disobbedisce: la mattina dopo torna a Porticello, recupera altri pezzi, compreso il piede del Filosofo. Tutti i reperti arrivano infine sul tavolo del Soprintendente, come da denuncia che pubblichiamo (foto in basso).
Ma nel frattempo, il relitto non viene presidiato, e questo è il grande rimpianto di Mavilla. Mani ignote portano via di tutto, compresa un’altra Testa, che riappare vent’anni dopo nel Museo di Basilea e viene poi recuperata dal Ministero italiano nel 1993: per la prima volta la Svizzera restituisce un’opera d’arte. Anche lui barbuto e in bronzo, è stato a lungo chiamato con il nome della città svizzera, ora ha preso il nome di Testa di Porticello (per cancellare lo scandalo) ed ha avuto il privilegio di essere esposto anche altrove. Chi lo recuperò? Mavilla ha sempre attaccato la superficialità di forze dell’ordine e Soprintendenza che non difesero il relitto dai predoni. Ha fatto nomi e cognomi. Una parte della città gli ha restituito il pettegolezzo: si è fatto ricco con il relitto.
Dove sono finiti gli altri reperti?
E qui arriviamo alla sua rabbia. «A un certo punto me ne sono andato a New York per fare i lavori più umili». In tribunale ha sempre avuto ragione lui. Tornato a casa e riconciliatosi mentalmente con la città, ha ripetutamente chiesto al Museo dove fossero finiti gli altri reperti recuperati insieme alla Testa, prima di tutto il membro, presentando denuncia ai carabinieri. Una gentile funzionaria ha risposto con grande ritardo dicendo più o meno «è tutto a Piazza De Nava, tutto sotto controllo». Mavilla chiedeva che il Museo ricordasse che quel meraviglioso volto era stato da lui ritrovato e donato a Reggio. Voleva il suo nome da qualche parte, e tutto sommato aveva ragione.
Non a caso, sul biglietto da visita, aveva scritto: “Giuseppe Mavilla, Scopritore della “Testa del Filosofo”. Chissà se ora Reggio lo salverà dall’oblio, piccolo pezzo della grande storia della città.
«Il Pd? È un partito dalle molte anime, direi fluido, qui è rappresentato sempre dalle stesse persone». Fluido ma alla fine pure granitico. Maria Pia Funaro, ormai ex vicesindaco di Cosenza, defenestrata in modo cinicamente burocratico, tramite una Pec, dà voce a quello che i molti presenti alla sua conferenza stampa già sanno.
La presunta e per adesso solo desiderata rivoluzione della Schlein qui non è mai arrivata, nemmeno come ipotesi, «perché il partito è gattopardesco, cambiare per restare uguale». E il rapporto politico con il plenipotenziario del Pd, Francesco Boccia, si era affievolito da troppo tempo. Altrimenti nessuno l’avrebbe rimossa.
Questa è molto più della storia di un vice sindaco cui sono state ritirate le deleghe. Questa è la storia di un grumo di potere che è così concrezionato da essere parte integrante della storia del Pd, fin da quando aveva un altro nome e forse persino nelle sue radici più antiche.
Maria Pia Funaro spiega le ragioni della sua defenestrazione da vice sindaco
Il Pd è un partito che tace davanti alla fucilazione alla schiena di un suo significativo rappresentante, cui i vertici nazionali avevano chiesto di mettersi in gioco assumendo la carica di vice sindaco, un partito che adesso si sfila dai commenti, che cerca abbastanza goffamente di far finta che non sia accaduto nulla. Alla conferenza stampa ovviamente del Pd non c’era nessuno, salvo un sorridente Salvatore Giorno, venuto forse per farsi domandare cosa ci facessi lì. Mancavano i vertici regionali e provinciali, mentre per contrappasso c’era chi, come l’anziano Gino Pagliuso, ha passato tutta la vita dentro il ventre della Balena bianca.
L’ex vice sindaco di Cosenza, Maria Pia Funaro
Rimossa con una Pec
Il mondo che sta attorno alla Funaro è variegato e c’era tutto: cattolicesimo di sinistra, volontariato, società civile. Del resto, da candidata alla prima esperienza raccoglie oltre 500 voti, tanti da proiettarla verso il ruolo che fino all’altro ieri ha ricoperto, prima che dalla segreteria del sindaco non giungesse la telefonata che diceva «viene a ritirare il provvedimento qui, oppure glielo mandiamo per email?».
Il provvedimento era l’addio per sempre di Caruso alla sua vice. Non è nemmeno solo una questione di stile, forse anche di coraggio. Ma la questione è propriamente politica, mica di eleganza. E qui la politica si fa con il coltello tra i denti, non ci sono amici, solo alleati e se non durano per sempre i primi, figuriamoci gli altri. Per come la racconta Maria Pia Funaro, che stemperata la tensione affronta l’assemblea con efficacia, la defenestrazione si consuma perché «è mancata la coesione», come recita la mail di licenziamento.
In realtà le cose sono più complesse, mal celando bramosie di spazi, lotte di potere, posizionamenti di pedine nel gioco dell’amministrazione di un territorio. Dunque ben oltre le pur significative distanze tra la Funaro e Caruso su alcuni punti, per ultimo la posizione da assumere verso l’ipotesi avanzata dalla Cgil riguardo il luogo dove far sorgere il nuovo ospedale.
Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio
E se il partito nazionale, oltre che i vertici regionali, perdono un vice sindaco senza emettere nemmeno un gemito, vuol dire che o questo luogo è destinato a restare inutile periferia, oppure è un feudo intoccabile. La Funaro non esclude la prima ipotesi, ma tende ad avvalorare maggiormente la seconda, in entrambi i casi c’è poco da stare allegri, visto che «non si vuole entrare in conflitto con chi da sempre conta sul territorio».
Come indicibili fantasmi, i nomi di Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio non si fanno mai, salvo quando con consueta irriverenza Claudio Dionesalvi domanda ridendo se il nuovo vicesindaco sarà una donna. Il riferimento è chiaro, la Funaro non elude la domanda né la persona evocata, ridendo di rimando dice che non crede possa essere lei, «più probabile qualcuno di quella scuderia». Chissà dove li addestrano a correre questi politici.
Cultura e legalità protagoniste oggi, domenica 1 ottobre, al Premio letterario Caccuri. Non prima delle 18:30 il neo procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, dialogherà con il giornalista – volto noto dell’informazione targata Mediaset – Giuseppe Brindisi. I due discuteranno dell’ultimo libro scritto dal magistrato calabrese insieme al professor Antonio Nicaso. “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo” (2022) è il titolo di questo viaggio nella dimensione sempre più globale della criminalità organizzata calabrese.
Il giornalista e conduttore di Zona Bianca, Giuseppe Brindisi
Cataldo Calabretta intervisterà il conduttore di Zona Bianca su Rete 4 e gli consegnerà un riconoscimento alla carriera. Premiazione in programma a ridosso delle ore 20:00. Conduce la serata la giornalista della Rai, Vittoriana Abate.
Alle ore 17:30 in Piazza Convento sarà proiettato il trailer “Un racconto tra terra e mare: il Premio Caccuri incastonato in una Calabria Straordinaria”.
Promuovere la nostra identità attraverso un racconto moderno delle nostre tradizioni. È questo lo spirito del workshop in programma alle 17:45. Interverranno: Gerardo Bonifati, vice presidente nazionale FITP (Federazione Italiana Tradizioni Popolari); Giuseppe Marasco, ceo e responsabile di Calabria Sona; Franco Megna, Segretario Generale FITP (Federazione Italiana Tradizioni Popolari); Marcello Perrone, presidente regionale FITP (Federazione Italiana Tradizioni Popolari); Adolfo Barone, presidente del Premio Letterario Caccuri.
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