Proseguono gli incontri organizzati da Zinée con lo scopo di mantenere vivo l’interesse per le fanzine e fornire gli strumenti (per ora teorici) a chi eventualmente pensa di partecipare alla prossima edizione del festival per poter pensare e realizzare la propria fanzine, sia essa fotografica che legata alla scrittura.
“Fotografia e Storytelling” è il titolo del ciclo di incontri pensato e organizzato dal collettivo Zinée e dal Nucleo Kubla Khan.
Il prossimo incontro – oggi a Cosenza, martedì 27 febbraio, in via Rivocati 63 – riguarderà il linguaggio del reportage fotografico, partendo dall’analisi di una singola immagine iconica del celebre fotografo francese Henri Cartier-Bresson, per poi passare alle sequenze di fotografie e alla loro struttura narrativa. Si proseguirà quindi con l’analisi di reportage classici di ampio respiro in stile Life Magazine, fino a pubblicazioni assolutamente contemporanee che riguardano sia la cronaca di guerra che quelle in cui il tessuto narrativo diventa quasi astratto usando differenti registri per raccontare una storia.
«Potete respingere, non riportare indietro, noi siamo solo andata», scrive Erri De Luca raccontando di migranti, quindi si rassegnino Meloni e Salvini: certi fenomeni di massa come le migrazioni non si fermano nemmeno con le cannonate, anche se pure queste sono state più volte evocate dalla magnifica coppia oggi al governo del Paese.
Soccorritori portano a riva i corpi senza vita dei migranti a Steccato di Cutro
Novantaquattro morti accertati
In realtà quelli che scappano dall’inferno non c’è bisogno di sparargli per ucciderli, spesso infatti ci pensano il mare e l’inerzia degli uomini ad ammazzarli. Come sulla spiaggia di Cutro un anno fa, lì ne morirono 94 (accertati), nel mare nero e in burrasca della notte, con la beffa di essere a un passo dalla salvezza. In quella occasione si consumarono due pagine differenti della nostra storia recentissima, da una parte il senso di appartenenza all’umanità mostrato dalla popolazione calabrese nel soccorrere i sopravvissuti, dall’altra l’ignominia di chi comanda, tutti mostratisi incapaci di celare l’indifferenza davanti alla tragedia e al tempo stesso impegnati nel tentativo di spiegare che quelle morti non erano colpa del governo, al massimo di chi a tutti i costi era voluto partire, insomma che se l’erano cercata.
I resti del caicco e una tutina di un neonato sulla spiaggia di Steccato di Cutro dopo la tragedia del 26 febbraio
Cutro 1 anno dopo: la Rete della memoria
Dopo un anno da quella tragedia, stemperatosi il dolore e dileguatasi l’emozione, c’è chi conta sull’oblio della memoria per nascondere le proprie promesse mancate e c’è chi invece con tenacia e coraggio tiene viva l’attenzione su quanto avvenuto su quella spiaggia. È il caso della Rete 26 Febbraio, la cui portavoce Manuelita Scigliano racconta quanto accaduto nel corso di questo anno e cosa sarà fatto per non dimenticare. La Rete ha mantenuto i contatti con tutti i circa ottanta sopravvissuti, alcuni dei quali sono rimasti in Calabria, precisamente nella provincia di Cosenza, ospiti di strutture per migranti, uno di loro, un iraniano, è rimasto a Crotone.
La maggior parte invece è stata trasferita lontano, in base agli accordi raggiunti con l’Europa circa il loro ricollocamento. «Molti sono in un campo profughi di Amburgo – racconta la portavoce della Rete – e vivono una condizione di grande sofferenza, anche per la precarietà della loro condizione».La maggior parte infatti resta ancora in attesa dei documenti circa il loro status di rifugiati e chi lo ha attenuto se lo vedrà scadere nel 2024, con grande incertezza per il futuro. Ma questo anno è stato pure il tempo dell’oblio in cui fare morire le promesse.
Dopo la tragedia, sulla spinta della potente emozione, i sopravvissuti furono ricevuti dalla Meloni e dal ministro degli Esteri Taiani i quali in quella occasione non poterono sottrarsi dal promettere la creazione di corridoi umanitari, allo scopo di consentire la possibilità di ritrovare e riunire i nuclei familiari.
La disperazione dei familiari: non rivedranno più i loro cari morti a pochi metri dalla salvezza (foto Gianfranco Donadio)
La beffa del corridoio umanitario
Infatti in quasi tutti i casi i nuclei familiari furono smembrati, separati tra chi era avventurosamente partito e chi invece era rimasto nell’inferno delle guerre e delle tirannie. Ad oggi quelle promesse solenni sono rimaste meno che parole di cui farsi vanto, nessun corridoio umanitario è stato avviato e anzi ci si è nascosti dietro il concetto di “ricongiungimento”, provvedimento previsto nelle normative che riguardano i migranti, ma che, come spiega Manuelita Scigliano, «interessa solo quegli stranieri da tempo residenti in Italia che chiedono di farsi raggiungere dai familiari e nessuno dei sopravvissuti alla tragedia della spiaggia di Cutro può rientrare in questa categoria».
Eppure resta nella cronaca l’impegno della Meloni circa la creazione di corridoi umanitari, delegandone l’organizzazione al ministro di competenza, cioè Tajani. Contro la beffa resta la caparbietà della memoria, alimentata dalle iniziative che ci saranno tra questo sabato e la domenica, con partite di calcio, mostre fotografiche e commemorazioni su quel lembo di spiaggia dove per tanti annegò la speranza di una vita migliore.
Una bandiera rossa garriva a Caulonia, seppur per un attimo. Quella che raccontiamo è una pagina poco nitida e menzionata della storia della Calabria, una vicenda maturata al termine della Guerra di Liberazione italiana, che, nella sua brevissima parabola, non rimase relegata ai circoscritti confini territoriali in cui ebbe luogo, ma si riverberò sul panorama nazionale.
La Rivoluzione d’ottobre fa il bis
6 marzo 1945. Mentre l’Armata Rossa prepara l’ingresso decisivo nella Germania nazista ed Evgenij Chaldej non sa ancora che fra poche settimane sul tetto del palazzo del Reichstag scatterà una delle fotografie più iconiche del secolo, in tutta Italia sono alle ultime battute le operazioni militari degli Alleati. L’intenzione è di formare un nuovo ordine nella Penisola precipitata nel marasma dopo la caduta del Fascismo, l’Armistizio di Cassibile, l’occupazione tedesca, la nascita dello stato fantoccio di Salò e la sanguinosa guerra civile.
La bandiera sovietica issata sul Reichstag nella più famosa foto di Evgenij Chaldej
In questo scenario a dir poco caotico, a Caulonia, centro della Calabria sudorientale, scoppia una rivolta destinata ad aggiungere un capitolo nella cronistoria del centro che prende il nome dalla antica città magnogreca (fondazione achea dell’VIII secolo a.C.) di Kaulon (o Kaulonìa) che un tempo si credeva sorgesse entro i confini comunali dell’attuale Caulonia, prima delle scoperte archeologiche del primo Novecento che hanno attestato la corretta collocazione a Punta Stilo, nel territorio di Monasterace, circa quindici chilometri più a Nord.
Falce e martello in un angolo di Calabria
Il più esteso dei paesi della comunità montana Stilaro-Allaro-Limina, conosciuto come Castelvetere fino al 1863, all’epoca dei fatti contava una popolazione relativamente significativa, circa dodicimila abitanti, il doppio rispetto a quelli del XXI secolo, determinato dal progressivo abbandono del vasto centro storico partito negli anni ’50 del secolo scorso.
In quei giorni di marzo del 1945 quello sconosciuto angolo della misterica Calabria – ulteriormente impoverita dalla guerra – balza agli “onori” della cronaca nazionale grazie al compimento di una sommossa sullo schema delle azioni criminali della Rivoluzione d’ottobre e successiva guerra civile nella Russia di circa un quarto di secolo prima.
I moti, maturati negli ultimi giorni della stagione di sangue che culminò con la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, profittando quindi di una situazione sociopolitica oltremodo instabile, portano alla nascita della Repubblica Rossa di Caulonia.
La Repubblica Rossa di Caulonia e gli scontri fra contadini e latifondisti
Vessati dai latifondisti intenzionati a mantenere i propri privilegi anche in vista della nuova epoca oramai alle porte, i contadini di Caulonia decidono di unirsi e di insorgere contro i potenti padroni. La scintilla che fa scattare la rivolta è l’arresto del figlio del sindaco del paese, reo di avere rubato presso una proprietà di un notabile della zona. È vero, però, che l’arresto del giovane è soltanto il più classico casus belli, ché il clima nel paesino dell’odierna provincia di Reggio Calabria ribolliva da tempo. Già nel 1750 i braccianti di Castelvetere erano stati protagonisti di una insurrezione contro i Carafa, famiglia dominante dell’area. Negli anni susseguenti alla Grande Guerra, poi, si era registrato qualche nuovo acceso scontro.
Contadini al lavoro nei campi (Archivio Istituto Luce)
Soprattutto, però, è dopo l’8 settembre che gli attriti fra contadini e possidenti, ovverosia fra braccianti rossi e agrari neri, si inaspriscono: ribelli comunisti si macchiano di aggressioni, convinti di potere usare violenza in quanto aderenti alla “giusta” lotta contro i fascisti. Emblematico è l’agguato che vede vittima il curato don Giuseppe Rotella, assalito e bastonato a sangue perché si permette di biasimare la brutalità dei rivoltosi.
Pasquale Cavallaro issa la bandiera sul campanile
Capopopolo della sollevazione di Caulonia è Pasquale Cavallaro, classe 1891, sindaco comunista del centro del Reggino, uomo di discreta cultura e grandi capacità oratorie, già oppositore del regime di Mussolini e pertanto confinato per circa quattro anni sulle isole carcere di Ustica e Favignana.
Descritto come uomo ardito e inquieto, dai personali principi saldissimi, incentrati sulla “defascistizzazione pacifica” del suo paese, quel 6 marzo 1945 Cavallaro occupa l’ufficio delle poste e le caserme dei Carabinieri reali e delle guardie forestali, per poi proclamare la nascita della repubblica filocomunista issando sul campanile della chiesa la bandiera rossa con falce e martello.
Eugenio Musolino
Già le primissime fasi della “conquista del potere” sono oggetto di discussioni. Uno dei protagonisti politici di quella stagione, Eugenio Musolino (segretario comunista e poi parlamentare del Pci dal ’48 al ’58, nonché membro dell’Assemblea Costituente), inviato sul posto perché chiarisse cosa stesse accadendo nel centro jonico e mediasse una rapida risoluzione della faccenda, riporta nel libro La Repubblica Rossa di Caulonia. Una rivoluzione tradita? che il sindaco rivoluzionario si era in parte ritrovato nel turbine dei tumulti a causa dell’incontenibile desiderio insurrezionale dei due figli.
La Repubblica Rossa di Caulonia: caccia ai fascisti
Quel giorno un gruppo di migliaia di contadini e operai sfruttati dell’are si unisce. I numeri non sono precisi: alcuni parlano di tremila, altri, fra i quali lo stesso Pasquale Cavallaro, addirittura di diecimila unità fra caulonesi e altri braccianti (fra cui anche centinaia di donne) provenienti dai vicini comuni di Camini, Stignano, Placanica, Monasterace, Riace e Nardodipace.
Accade, però, che la necessità di ribellarsi alle soperchierie storiche dei proprietari terrieri, sul modello di un sistema feudale difficile da intaccare e rimasto praticamente immutato a Caulonia, come in altri angoli isolati del Mezzogiorno, si trasforma immediatamente in una sommossa segnata dalle violenze e dalle vendette personali, regolamenti di conti non soltanto contro i “nemici” fascisti.
Contando sulla protezione delle montagne sovrastanti, nella Repubblica di Caulonia si alzano barricate, i compagni armati di fucili e mitraglie presidiano le porte del paese e le colline intorno, minano alcuni ponti verso la marina.
L’umiliazione dei “nemici del popolo”
I tumulti vengono soffocati già il 9 marzo, ma durante le quattro giornate di Caulonia si assiste a scene mostruose in cui numerosi notabili del paese vengono oltraggiati e torturati dagli insorti e alcune donne sono stuprate con la inammissibile scusante della libertà dei popoli oppressi. I nemici del popolo vengono processati sommariamente da un tribunale del popolo e le umiliazioni pubbliche ai danni di sostenitori dei fascisti, reali o presunti, si succedono. A pagare il prezzo più alto è soprattutto il parroco Gennaro Amato, amico d’infanzia del Cavallaro e simbolo di un mondo che i cosiddetti “mangiapreti” intendono distruggere. Ucciso dall’esercito popolare all’alba della sommossa, il prelato è la sola vittima sulla coscienza della Repubblica Rossa di Caulonia.
Per quattro giorni l’euforia e il terrore corrono per le stradine del centro agricolo. Infine è l’arrivo della polizia di Reggio Calabria a sedare la ribellione, già affievolitasi con il manifestarsi delle violenze più belluine, chiaramente disapprovate da gran parte della comunità. Il dissociarsi della brava gente di Caulonia non è la sola ragione che porta alla conclusione della parentesi anarchica. Ce ne sono almeno altre due che portano al fallimento, pratico e ideologico, la rivolta della Repubblica caulonese: i ribelli non trovano né il sostegno dei dirigenti provinciali del Pci, né tantomeno l’approvazione della malavita locale, entità che, nel bene o nel male, avrebbero potuto dare consistenza al golpe abortito di Cavallaro e compagni.
La Repubblica rossa di Caulonia a processo
Il sindaco/presidente della Repubblica si dimette il mese successivo, le bandiere rosse vengono strappate dai tetti delle abitazioni e circa trecentocinquanta fra i più feroci rivoluzionari di Caulonia sono arrestati con l’accusa di costituzione di bande armate, estorsione, usurpazione di pubblico impiego, violenza a privati e, in ultimo, di omicidio, per l’assassinio del parroco Amato.
Al processo partito nel marzo 1947 alla Corte di Assise di Locri, per la quasi totalità degli imputati non si procede perché i reati sono dichiarati estinti a causa della controversa amnistia (decreto presidenziale numero 4 del 22 giugno 1946) proposta dal Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti, storico segretario generale del Pci. Solamente Pasquale Cavallaro e i due assassini materiali dell’omicidio Amato sono condannati a otto anni di reclusione.
Il tribunale di Locri oggi
Un esempio di liberazione dal servilismo
«Io volevo, questo in modo assoluto, farla finita con le disparità, con le angherie, il servilismo verso questo o quel signorotto, verso questo o quel prevalente messere; io volevo che tutti si avesse una dignità umana degna di essere ammirata e degna di rispetto da parte di tutti. Questi erano i miei intendimenti precisi, chiari, inequivocabili. […] Fatto sta che a Caulonia si è dato un grande esempio, l’esempio della liberazione del servilismo».
È un estratto dell’intervista di Pasquale Cavallaro con Sharo Gambino, scrittore, giornalista e intellettuale meridionalista, contenuta nel volume succitato La Repubblica Rossa di Caulonia. Una rivoluzione tradita?, che raccoglie scritti di Pasquino Crupi, Sharo Gambino, Vincenzo Misefari e Eugenio Musolino relativi alla Repubblica Rossa di Caulonia.
Episodio campale della sequenza di ribellioni delle classi oppresse del Sud Italia che negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso lottarono contro le vessazioni dei latifondisti e per la distribuzione delle terre incolte e una legittima riforma agraria, il caso della Repubblica Rossa di Caulonia del ’45 è di fatto scivolato nell’oblio, trovando appena qualche eco nei racconti popolari tramandati per via orale.
Una piazza per ricordare la Repubblica Rossa di Caulonia
Recentemente è stata avanzata la proposta di dedicare una piazza a quella rivolta popolare, pare, al tempo, encomiata anche dallo stesso Iosif Stalin, leader del più potente partito comunista del globo, e, negli anni, da taluni riconsiderata, in maniera a dir poco acrobatica, come antipasto della Repubblica italiana. Comunque sia, i propositi celebrativi si sono scontrati con chi invece considera quella breve parentesi, forse troppo mitizzata, certamente contraddistinta da punti tutt’oggi oscuri e di una ricostruzione lacunosa, una pagina da dimenticare considerate le azioni violente esercitate nel corso delle quattro giornate e pure il numero dei contadini puniti successivamente al ripristino dell’ordine.
Stalin, segretario del PCUS negli anni dell’insurrezione calabrese
Per approfondire meglio la complicata storia del governo rosso di Caulonia esiste una ampia e sfaccettata letteratura. Segnaliamo alcuni altri testi: In fitte schiere. La repubblica di Caulonia di Sharo Gambino (Frama Sud), La Repubblica di Caulonia di Simone Misiani (Rubbettino), Cavallaro e la Repubblica di Caulonia di Giuseppe Mercuri (Vincenzo Ursini Editore), Operazione “Armi ai partigiani”. I segreti del Pci e la Repubblica di Caulonia di Alessandro Cavallaro (Rubbettino) e La Repubblica di Caulonia tra omissioni, menzogne e contraddizioni di Armando Scuteri (Rubbettino).
“Fotografia e Storytelling” è il titolo del ciclo di incontri pensato e organizzato dal collettivo Zinée e il Nucleo Kubla Khan. Si parte martedì 20 febbraio con l’incontro dal titolo: “Dall’idea al corpo narrativo”. Gli altri appuntamenti: “Il reportage fotografico” (27 febbraio); “Coerenza e stile nella scrittura” (5 marzo); “Il registro poetico nella fotografia” (12 marzo). Tutti gli incontri si svolgeranno a Cosenza in via Rivocati 63 alle ore 18:45.
Zinée è il primo festival delle fanzine organizzato a Cosenza. Si tratta di un collettivo di professionisti e appassionati della fotografia.
Il Nucleo Kubla Khan «nasce nel 2013 – si legge nel sito – come mosaico di scrittori e lettori. Tra le attività principali compaiono reading, poetry slam, presentazioni di libri, progetti nelle scuole, cineforum, seminari, concerti».
Domani, giovedì 15 Febbraio, nella sala convegni di Villa Rendano, alle ore 15.30, la Fondazione Attilio e Elena Giuliani presieduta da Walter Pellegrini condurrà la conferenza stampa di presentazione del Progetto “Insieme si cresce”, finanziato nell’ambito del PNRR e attuato sotto la responsabilità dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, in collaborazione con numerosi partner tra i quali Accademia da Vinci -presieduta dal dottor Volpentesta– in qualità di principale soggetto attuatore con compiti importanti di formazione e coordinamento grazie alla figura di Gustavo Di Santo e Licia Ferraro.
Istituzioni importanti coinvolte sono il Comune di Cosenza -specificatamente il Settore Welfare nella persona dell’Assessore Veronica Buffone che insieme alla struttura comunale ha consentito la costante crescita del progetto e la sua capillare penetrazione nel tessuto urbano; la parrocchia San Francesco d’Assisi di Cosenza, con il dott. Carmine Reda, che consente ai soggetti partner di raggiungere persone con esigenze partecipative difficilmente individuabili; l’Istituto Comprensivo Statale “Gullo Cosenza Quarto” sapientemente guidato dalla dirigente Rosa Maria Paola Ferraro, grazie al quale centinaia di bambini fruiscono quotidianamente di attività gratuite, esperienziali e formative con il coordinamento della professoressa Roberta Coscarella quale referente del progetto. Numerosi gli attori del Terzo settore coinvolti: Arci Cosenza, Ops l’arte in corso, Paolab, Accademia Karate Costabile, Movimento statico, Arca di Noè.
Il Progetto, avviato nel mese di maggio 2023 e sinora rivolto a oltre 100 bambini con le rispettive famiglie, si adopera per realizzare un ambiente formativo coinvolgente e partecipato per i minori di età compresa tra i 5 e i 10 anni che versano in situazioni di disagio sia per l’appartenenza a comunità a rischio di emarginazione sociale, ma anche per ragioni connesse alla presenza di disabilità e povertà. La Fondazione Attilio e Elena Giuliani, capofila del progetto, coniuga con questo progetto il suo ruolo sociale e quello culturale supportando la comunità educante attraverso alleanze tra istituzione scolastica, famiglie e territorio. L’intento è quello di generare migliori prassi e strategie formative per l’inclusione di ogni minore e della loro famiglia nella valorizzazione della multiculturalità delle appartenenze e del sapere.
Villa Rendano, che da sempre pone la città al centro delle sue attività, ha sinora realizzato azioni connesse allo sviluppo della creatività, alla comprensione e uso del digitale, al recupero della manualità e delle antiche tradizioni, alla crescita di competenze ad esempio nel campo della fotografia mentre future azioni riguarderanno l’ascolto delle emozioni, la musica e la conoscenza delle attività radiofoniche. Altrettanto diversificate e formative le azioni condotte dagli altri partners, quali percorsi formativi sulle tecnologie digitali, iniziative incentrate sull’esperienza teatrale, attività sportive quali karate e danza, scrittura creativa e tanto altro. Un copioso carnet a favore del contesto territoriale cosentino svolto in termini di sussidiarietà e dedizione alla città.
Il pomeriggio del 15 Febbraio sarà arricchito da numerosi interventi, in cui verranno presentati, dai vari referenti degli Enti convolti, i risultati ottenuti in questi ultimi otto mesi, ovvero dall’inizio del Progetto e verranno introdotte le prossime attività da svolgere, previste dal Progetto.
Presentato a Casa Sanremo l’ultimo libro di Vittoriana Abate e Cataldo Calabretta. Sulla pelle e nel cuore. Quei bravi ragazzi che uccidono (Graus Edizioni) è un saggio che analizza un fenomeno dilagante e devastante: quello del femminicidio.
La prefazione è stata curata dall’onorevole Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta su Femminicidio e violenza di genere.
È necessario mantenere alta l’attenzione su un’emergenza che continua a mietere vittime in modo inaccettabile. Si tratta di una strage senza fine. Un’emergenza che la giornalista Vittoriana Abate e l’avvocato Cataldo Calabretta conoscono molto bene avendo approfondito per Raiuno molti tra i casi di cronaca nera più noti d’Italia. Come si legge nell’introduzione al testo di Vittoriana Abate, bisogna «saper cogliere i primi segnali, senza sottovalutare neanche una spinta, perché uno schiaffo non è solo un colpo al viso. È un gesto che rappresenta un fortissimo abuso, una volontà di ferire il corpo e di insultare l’anima».
«Dal 2019 – ricorda l’avvocato Cataldo Calabretta – c’è una legge denominata Codice Rosso rafforzata con le norme varate nel 2023 indispensabili per rinvigorire sia gli strumenti di prevenzione sia quelli di protezione delle donne nei casi di violenza domestica, stalking e maltrattamenti. Lo Stato ha fatto una scelta: la violenza contro le donne non è più un reato minore».
Come è ormai noto, le vicende legate alla complicata e controversa gestione dell’Ente Parco Aspromonte diffuse da questo giornale sono volte al peggio. Questo peggio non riguarda solo l’operato dell’ormai ex presidente Leo Autelitano, rimosso per le gravi criticità gestionali richiamate dal relativo decreto del ministro Pichetto-Fratin.
Il commissariamento di un ente pubblico è una sconfitta su tutta la linea. Lo è per gli amministratori coinvolti, per la politica che vi ruota intorno, per le funzionalità dell’ente stesso ridotte al solo disbrigo degli affari correnti. Lo è anche e soprattutto per i portatori di interesse la cui azione è informata da (e cammina con) gli indirizzi politici e gestionali – l’ipotetico “buon governo” – di una pubblica amministrazione. Mi riferisco, ad esempio, agli operatori turistici e a tutti coloro che lavorano con e per la montagna.
Ente Parco Aspromonte: tutti decaduti tranne uno
A maggior ragione anche questo commissariamento, come i molteplici che si sono susseguiti in Calabria e non solo, paralizza l’azione del Parco. Annulla tutte le sue attività di pianificazione. Congela la progettazione e la programmazione di cui aveva parlato Pino Putortì, direttore amministrativo dell’ente, unico a restare in sella dopo il triste epilogo. Assieme ad Autelitano è, infatti, decaduto anche il Consiglio Direttivo.
Questo significa che il famoso e recentemente approvato Piano Integrato di Attività e Organizzazione 2023-2025 con il nucleo della nuova programmazione diventa carta straccia. E con esso tutte le nuove linee programmatiche sulle maggiori difficoltà da sbrogliare. In primis il riordino della zonizzazione, fondamentale per superare le criticità legate alla governance dei territori, ossia dei 37 (!) Comuni ricadenti nell’area del Parco.
Tutti dettagli che, considerata la forma di diarchia pura tra presidenza e direzione amministrativa, giocano a favore di una necessaria revisione della legge 394 in una direzione che garantisca il buon andamento dell’ente e ne scongiuri la paralisi.
Leo Autelitano, il presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte
Ente Parco Aspromonte: silenzi e milioni di euro
Più in generale, fa impressione non aver letto una riga di dichiarazioni da quei Comuni che, insieme alla Città metropolitana di Reggio e alla Regione Calabria, formano la Comunità del Parco: quella che designa, tra personalità di chiara esperienza nel settore, quattro tra i componenti del Consiglio Direttivo oggi sciolto.
Ora, sorvolando sul “dettaglio” che quelli che la norma indica come esperti, siano sempre stati pure e mere espressioni politiche, si arriva comunque a un bivio. O questo tacere è una forma di silenzio-assenso verso i provvedimenti ministeriali (e allora si è portati a pensare che il muto assenso di oggi sia la complicità muta, cieca e sorda di ieri) o è un tacere interessato. Un’occasione utile per riassettare equilibri, ribilanciare pendenze e stringere nuovi accordi. Sul piatto balla un avanzo di bilancio di 5 milioni e 200mila euro, assieme ad altri 6 (cifra arrotondata per difetto): il valore delle quattro schede programmatiche presentate mesi fa alla dirigenza del Settore parchi ed aree naturali della Regione. Decadranno anche quelle? O verrà trovato il cavillo per attingere a quelle risorse?
Oneri e onori
Di certo, per un Ente Parco Aspromonte depauperato in modo quasi irreversibile delle risorse umane per mandarlo avanti, la strada è tutta in ripida salita. I moltissimi che vedono nel Parco la casa di tutti gli amanti della natura, gli operatori e le associazioni che si occupano di turismo montano, escursionismo, ricerca, tutela di flora, fauna, territorio e ambiente hanno ora l’onore e l’onere di vigilare più di prima, e di battersi come troppo timidamente fatto prima. Perché il Parco non sono quei loro che ne hanno fatto cosa loro. Il parco siamo noi ed è un pezzo cruciale del futuro dei nostri territori e della loro strategia di crescita e sviluppo.
Il mare a due passi dalla montagna: meraviglie del trekking d’Aspromonte
Verso le elezioni
Lo scorso maggio 2022, secondo l’ultima classifica redatta da Openpolis sulle aree metropolitane più verdi d’Italia, Reggio Calabria si piazzava al terzo posto su 14. Un dato che trova riscontro nella presenza del Parco Aspromonte e, di riflesso, dell’Ente. Il prossimo candidato sindaco di Reggio, assieme agli altri dell’area metropolitana – più tutta la cosiddetta società civile, imprenditoria compresa – dovrebbero ben tenere a mente questi punti: non solo perché sono il cardine delle future politiche nazionali ed europee, ma perché rappresentano la vera e peculiare prospettiva di sviluppo di una città e un’area metropolitana “di montagna” affacciate sul mare. È arrivato il momento delle convergenze, abbandonando i conflitti.
Cento anni di storia vissuti attraverso i personaggi di Maria Feoli, autrice del libro Il Lume azzurro, edito da Albatros. Una vicenda che si snoda tra i vicoli di Morano Calabro, uno dei paesi più belli d’Italia. È una vicenda dove le protagoniste sono essenzialmente le donne, il vero motore di questo romanzo. Il libro è stato presentato giovedì pomeriggio a Villa Rendano.
L’intervento di Linda Catanese (consigliera d’Amministrazione della Fondazione Attilio e Elena Giuliani) durante la presentazione del libro di Maria Feoli a Villa Rendano
Leggendo si compone un «mosaico di piccoli personaggi che danno un senso al romanzo corale. Personaggi ben caratterizzati da Maria Feoli. Ma questo è un libro che ci ricorda anche le nostre tradizioni. E riannoda i fili della grande storia che si insinua nelle persone che vivono in un piccolo paese del Pollino. Una storia dove le donne occupano un posto centrale».
È quanto ha sottolineato Linda Catanese, consigliera del CdA della Fondazione Attilio e Elena Giuliani. Alla presentazione del libro erano presenti anche Walter Pellegrini e Francesco Kostner, rispettivamente presidente e consigliere d’amministrazione della Fondazione Giuliani.
Maria Feoli ha raccontato il contesto in cui è nata la sua opera: «Vivevo a Morano e giravo nei vicoli del paese. E quei pomeriggi con mia nonna davanti al caminetto acceso sono stati una fonte di ispirazione. Mia nonna sapeva raccontare storie, riusciva a farmi vedere le cose, descriveva personaggi e ambienti».
«Quello della Feoli è un libro che nasce da una narrazione reale. Una storia dell’anima, del cuore, una saga familiare». Sono parole espresse da Antonietta Cozza, consigliera delegata alla Cultura del Comune di Cosenza.
«Mi hanno conquistato – ha affermato la giornalista Rai, Gabriella D’Atri – i personaggi femminili, la loro resilienza e capacità di adattarsi. Ho visto le battaglie per l’emancipazione femminile nella tenacia della giovane Elisa. Questo libro ti porta dentro le case di Morano».
La scrittrice Maria Feoli presenterà il suo ultimo libro, “Il lume azzurro”, giovedì 8 febbraio alle ore 17:00 a Villa Rendano (Cs). L’evento fa parte del cartellone di Libri in villa, organizzato dalla Fondazione “Attilio e Elena Giuliani Onlus”.
Sono previsti gli interventi di Linda Catanese, consigliera di amministrazione della Fondazione “Attilio e Elena Giuluani onlus” e della giornalista Rai, Gabriella D’Atri. L’incontro sarà moderato da Antonietta Cozza, consigliera delegata alla Cultura del Comune di Cosenza. Maria Feoli è una scrittrice calabrese apprezzata a livello nazionale per le sue non comuni qualità narrative. A conferma del valore di questa nostra brava conterranea, che si fa apprezzare per originalità e forza narrativa, al romanzo “Il lume azzurro” negli ultimi mesi sono stati assegnati numerosi riconoscimenti.
Andrà in scena venerdì 26 gennaio alle ore 17.00, presso la Casa della Musica Luciano Luciani di Piazza Amendola a Cosenza, lo spettacolo di beneficenza Ubuntu, tra musica e parole a sostegno della attività dell’Ambulatorio Auser di Cosenza “Senza confini”.
A promuovere l’iniziativa ci sono anche l’Auser di Rende, le associazioni Confluenze, La Terra di Piero, Methexis, spazio teatrale partecipato e soprattutto il Conservatorio di Musica Stanislao Giacomantonio. Quest’ultimo ha messo a disposizione la struttura e i musicisti per la realizzazione dell’evento.
Ubuntu e Auser
Da anni l’Auser si prende cura delle persone che vivono ai margini di una società in cui ogni progetto di inclusione, soprattutto sanitaria, diventa sempre più difficile. Per fare questo c’èbisogno di sostegno da parte delle istituzioni e dei cittadini.
L’idea di un evento dedicato alla musica e al teatro nasce dal desiderio di creare un rapporto tra le persone e la comunità fondato sulla bellezza che educa ai valori di un’etica che guarda all’equità sociale. Il titolo della serata, invece, arriva dal termine Ubuntu, che nella filosofia sub-Sahariana indica la credenza di un legame che unisce tutta la comunità: «Io sono perché noi siamo». E una comunità che vuole unirsi attorno alla bellezza della musica e delle parole riesce a guarire dal degrado e dalla malattia chi la bellezza non l’ha mai incontrata.
Odontoiatri volontari nell’ambulatorio dell’Auser a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023)
Sul palco
I protagonisti di Ubuntu saranno i musicisti Gottardo e Giuseppe Iaquinta. Al violino e al pianoforte eseguiranno le partiture di Fryderyk Chopin, tra i più importanti compositori del Romanticismo.
Tra le note musicali si inseriranno i contributi teatrali di Lara Chiellino, Dario De Luca ed Ernesto Orrico, portando in scena storie di migranti, briganti, filosofi e di santi dai desideri spassosi.
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