«I portatori di handicap, rappresentano una categoria di persone che giornalmente affrontano la loro vita partendo da una situazione di svantaggio. Crediamo meriterebbero una maggiore attenzione ma dobbiamo constatare che sono sempre considerati “Figli di un dio minore”».
Lo afferma in una nota Danilo Binetti, coordinatore del Consorzio per l’Italia (l’associazione che raggruppa le più importanti aziende italiane che producono ascensori e montacarichi). commentando la decisione del ministro Giancarlo Giorgetti che ha cancellato le agevolazioni del “Decreto rilancio” fra cui il Bonus 75% per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
«Vogliamo ancora una volta ricordare – aggiunge Binetti – che l’Italia è il secondo paese al mondo per numero di ascensori, se ne contano più di un milione e 45 milioni, si stima, sono gli italiani che giornalmente utilizzano questo mezzo di trasporto». È quanto si legge nella nota stampa. Che continua: «Orbene, il 50% di questi ascensori sono inadeguati, obsoleti e insicuri, la Comunità europea ha emanato direttive per l’adeguamento e l’ammodernamento, tutti i paesi membri si sono adeguati, l’Italia no, e il ministro Giorgetti che fa? Cancella le agevolazioni. Senza considerare che oltre l’80% degli immobili, tra privati e pubblici, in Italia non risponde ai requisiti minimi di accessibilità».
Il coordinatore Nazionale del Consorzio per l’Italia sottolinea che «il Governo è stato ed è molto attento quando si tratta di concedere agevolazioni per rottamare gli autoveicoli obsoleti per garantire maggiore sicurezza, stessa cosa, si ritiene, dovrebbe fare con gli ascensori».
Categoria: Fatti
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Binetti: grave errore cancellare le agevolazioni sugli ascensori
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Che fine ha fatto Reggio Calabria?
Che fine ha fatto Reggio Calabria? Potrebbe essere il titolo di una pellicola, a metà tra il poliziesco ed il noir. Perché nonostante l’avvento RyanAir, Reggio è sparita: appalti al palo, progetti arrivati all’ultimo miglio e mai completati, cantieri finiti nell’abbandono. E l’assenza di un dibattito pubblico serrato e pragmatico su dove sia e dove voglia andare.
Dopo l’annuncio dello sbarco della compagnia aerea irlandese, in riva allo Stretto poco si è saputo. Nessuno ha visto il piano industriale successivo ai tre anni in cui la Regione coprirà il costo delle nuove tratte attivate. E il silenzio di imprenditori, associazioni di categoria, amministratori, e operatori vari, non lascia tranquilli. Una rondine sola non fa primavera.
Reggio Calabria e i dati ISTAT
Più che la ricettività, il vero tema da porre è l’attrattività. Su questo i dati sono impietosi: nella rilevazione ISTAT del 2023 sui profili delle Città Metropolitane in Italia, Reggio Calabria occupa gli ultimi posti di tutte le voci indicizzate. La sua popolazione è diminuita di 7,3 punti percentuali. Assieme a Palermo e Napoli, risulta l’area con la minore partecipazione attiva al mercato del lavoro. A livello nazionale, presenta la più bassa densità di unità locali relative ad offerta turistica, attività finanziarie e professionali. Senza contare che entro il 2033 è prevista un’ulteriore emorragia demografica.
Un’Area metropolitana in piena crisi di lavoro e di risorse umane. Incapace di fare sistema. Un non senso rispetto a quello che a Reggio già c’è e che, se coordinato, potrebbe fare la sua fortuna: un aeroporto, diversi punti approdo marino, due università, un museo di rilevanza internazionale e uno del mare in fase di realizzazione, un parco nazionale, decine di km di costa, un patrimonio storico e archeologico non comune, produzioni floristiche ed agricole uniche per caratteristiche e qualità.Il rapporto con il mare
Negli ultimi decenni, Reggio Calabria ha cominciato un cammino verso il modello di Città del Mediterraneo, rivalutando il suo rapporto col mare. Prima con la progettazione del lungomare dall’allora presidente di FS, Vico Ligato. Successivamente con la sua realizzazione sotto la guida di Italo Falcomatà. In ultimo, con la pianificazione del Waterfront da Giuseppe Scopelliti. Proprio il Waterfront – prima cassato da Giuseppe Falcomatà, poi ripreso, rimodulato e spezzettato rispetto all’idea originaria – deve ancora vedere la sua fine, tra cantieri sospesi o semi-abbandonati e misurazioni errate.
Ne fa parte anche il Museo del Mediterraneo, già inserito nel PNRR, pensato per «ampliare e potenziare l’offerta turistico-culturale» e dare «impulso al rilancio economico e sociale della città».
Giuseppe Falcomatà Il progetto scomparso
Resta invece al palo il progetto del porto turistico, Mediterranean Life. da realizzare a Porto Bolaro, zona sud della città, che il Comune ha approvato pressoché all’unanimità con delibera di Consiglio lo scorso 13 novembre 2021. Una grande infrastruttura da diporto con servizi integrati capace di generare attrattività per il territorio e creare 2.500 posti di lavoro. Un’opera a ridosso di una delle fermate della nuova metropolitana di superficie (finanziata con 25 milioni di euro dall’allora ministro dei Trasporti Bianchi) che RFI, una volta terminato l’aggiornamento del listino dei prezzi, è pronta a cantierare. E a due passi da un aeroporto che, per mantenere questa rinnovata vitalità, dovrà dimostrarsi attrattivo, caratterizzando l’offerta Reggio Calabria.

Come dovrebbe diventare Porto Bolaro con la realizzazione del progetto Mediterranean Life La delibera che approvava il progetto, a seguito del preliminare parere favorevole del dirigente di settore, gli assegnava un interesse strategico fino a ipotizzare di inserirlo nel PNRR. Dava quindi mandato al sindaco (poi sospeso) di convocare una conferenza inter-istituzionale per preparare il relativo accordo di programma ed eventuali deroghe al Piano regolatore, come da verbale della conferenza dei servizi tenutasi il 2 aprile 2019. Dell’inserimento nel PNRR non si è più parlato e dell’accordo di programma non si ha notizia. Dell’idea non si parla nemmeno nella bozza di Masterplan della città: al Punto B.4 del documento che illustra il Parco del Mare, Porto Bolaro, inserito ne “Le spiagge del vento”, è menzionato solo come zona con pontile di attracco. Un po’ poco per un documento programmatico che dovrebbe dettare le linee di indirizzo della futura città.

L’area costiera interessata dal progetto, così come appare oggi Botta e risposta
Il progetto non è nemmeno previsto nel nuovo Piano Strutturale Comunale, che non prevederebbe ulteriori cubature in città e su cui pure la Regione pare abbia sollevato diverse osservazioni.
Inoltre il recente Piano spiaggia prevede per Porto Bolaro solo l’autorizzazione per punti di approdo e bagni chimici, eludendo la possibilità di erogare servizi per le imbarcazioni in sosta. Non di certo un incoraggiamento.
Nel botta e risposta tra il raggruppamento di imprese e l’amministrazione Comunale, Paolo Brunetti, facente funzione durante l’interregno di Falcomatà, ha dichiarato che il progetto esecutivo richiesto dal Comune non sia mai arrivato. Peccato che non si trattasse di una gara pubblica, ma della presentazione di un progetto “di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi” presentato con “motivata richiesta dell’interessato” con relativo studio di fattibilità, come previsto dal comma 3 dell’articolo 14 delle legge 241/1990.
Pino Falduto, l’imprenditore reggino promotore del progetto Lo scorso 8 febbraio, a oltre due anni dalla delibera, tramite Pec, il raggruppamento di imprese coinvolte, con a capo una reggina, ha scritto al Comune. Ribadendo di poter fornire gratuitamente «assistenza tecnica per il completamento dell’iter amministrativo», ha chiesto «un incontro di chiarificazione tecnico amministrativa» per «dare finalmente impulso» al progetto. Che, dice il sindaco, oltre ad incassare il parere favorevole di Sovrintendenza, Enac, Città Metropolitana, deve essere coerente con PSC, piano spiaggia, Ferrovie. Gli stessi attori presenti nella conferenza dei servizi preliminare e gli stessi documenti programmatici in cui un’ipotesi del genere non si menziona.
Reggio Calabria in silenzio
Per aumentare il proprio appeal turistico Reggio Calabria non può fermarsi all’offerta di città green che guarda alla cultura come idea di sviluppo. Deve promuovere una grande infrastruttura che punti sull’intermodalità (Forza Italia ha appena presentato un emendamento all’ultimo decreto del PNRR proprio sul rafforzamento dell’intermodalità e sull’annullamento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco sugli aerei). Un’opera che incoraggi il partenariato pubblico-privato inserito nel Masterplan e che sfrutti la geografia dell’area: al centro del Mediterraneo e della grande autostrada del mare che collega Oceano Atlantico e Oceano Indiano.

Uno yacht di fronte a Porto Bolaro Serve un’infrastruttura che attragga investimenti e capitali, generi economie di scala e spalanchi una nuova porta di accesso al suo territorio e ai suoi patrimoni: Museo del Mediterraneo, Museo della Magna Grecia, Parco Nazionale dell’Aspromonte, bergamotto, archeologia e storia millenaria. Potrebbe essere Mediterranean Life?
Per questo, però, servono volontà, visione, continuità, strategia, vitalità, partnership e convergenza. Invece divisa, isolata, inaccessibile, lasciata all’oblio di un dibattito che non c’è, Reggio Calabria sembra non aver imparato la lezione. Mentre continua a perdere residenti, forza lavoro, capitale umano e opportunità. -

Premio Sila ’49, presentato il libro di Carmen Verde
Sabato 23 marzo, nella sede della Fondazione Premio Sila ’49, in via Salita Liceo, nel centro storico di Cosenza, Carmen Verde ha presentato il suo romanzo “Una minima infelicità”, già candidato al Premio Strega 2023. A dialogare con l’autrice, Elena Giorgiana Mirabelli, scrittrice e docente di corsi di scrittura, anche per la Scuola Holden diretta da Alessandro Baricco, e Gemma Cestari, la direttrice del Premio Sila.
“Le atmosfere del libro di Carmen – ha sottolineato Gemma Cestari nel suo intervento introduttivo – mi hanno riportato a certa narrativa di Giorgio Bassani, Piero Chiara, Goffredo Parise, perché c’è un altro protagonista, oltre a questa famiglia infelicissima. Un protagonista pesantissimo: il giudizio della comunità di provincia. Che è così pesante, rispetto alle dinamiche familiari apparentemente intime, che a un certo punto entra fisicamente nel romanzo attraverso la cattivissima domestica che governa le loro vite facendo del male a madre e a figli. Con loro a lasciarsi far del male. E qui arrivano ancora altre suggestioni che mi riportano a quello che viene dal mondo delle favole. Ché è proprio il nucleo incandescente del romanzo: Annetta è una donna di piccolissima statura che non crescerà mai, cioè continuerà a rimanere piccola. La prima cosa a cui penso è Pollicino, ma ci sono tante altre cose delle favole, appunto la governante cattivissima, la nonna pazza, il castello…”.
Elena Giorgiana Mirabelli ha sottolineato come il libro sia stratificato ovvero “ci siano tantissimi livelli di lettura e quando a volte questi livelli sono più o meno evidenti, alcuni sono profondissimi e li comprendi soltanto dopo esserci ritornato a una seconda lettura. Ti risuonano diversamente. Queste parole – ha continuato – sono inquadratura, dettagli, piccolezza, linea femminile e quindi risuona la linea femminile, l’infelicità che è evidente fin dal titolo, ma c’è anche corpo, perché è un libro dove parlano i corpi, dove sono infelici i corpi, in diverse sfaccettature e in tante diverse declinazioni”.
Carmen Verde ha poi raccontato come ha lavorato per scrivere il suo romanzo. “Ero alle prese con l’infelicità – ha detto – che ho messo addirittura nel titolo, e sapevo di muovermi in un terreno poco sicuro, ma ritengo che sia una questione profondamente letteraria. Intanto perché non è uguale per tutti, e la parola è uguale, e questo potrebbe indurci nell’errore di considerare che l’emozione sottostante sia uguale, invece no, perché ognuno di noi è diversissimo nell’infelicità. L’infelicità è singolare, quello che ci rende singolarissimi. E l’altra cosa è che la parola infelicità non comunica nessuna infelicità, la parola sofferenza, nessuna sofferenza. E allora, in un libro fatto di parole, come tradurre in un libro un sentimento così complesso? L’idea che mi sono fatta è che facciamo esperienza di alcune cose concrete, di alcune situazioni, cioè non è che facciamo esperienza del sentimento dell’infelicità nel suo complesso, ma arrivano delle situazioni in cui questo accade…”.
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Oncomed, chi ha paura del medico buono?
Realizzare dal nulla un progetto di solidarietà in un contesto di disagio sociale e senza avere risorse è un’opera ciclopica. Ma è necessaria se lo scopo è la difesa della salute, dove la disuguaglianza fa la differenza tra il curarsi e il non poterlo fare. In questa trincea lavora da anni Oncomed, una realtà di sostegno sociale volontario per la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche.
Oggi questa associazione è in affanno, malgrado attorno ad essa sia cresciuto il sostegno di medici e cittadini. «A causa dell’incomprensibile ostilità di qualcuno è assai probabile che saremo costretti a trasferirci», spiega Francesca Caruso, che di Oncomed è stata l’ideatrice e ancora oggi ne è una delle anime.
Francesca Caruso La nascita di Oncomed
«Tutto nasce a seguito di esperienze personali, che mi spinsero a proporre ad Antonio Caputo l’idea di dare vita a uno spazio di prevenzione delle malattie tumorali». Caputo, medico oncologo, evidentemente vide in quella proposta un progetto difficile da realizzare, ma necessario e quell’idea divenne anche sua. Altri medici condivisero presto quel progetto e offrirono le loro competenze gratuitamente. Enzo Paolini, a sua volta, diede in uso degli spazi nella città vecchia per realizzare gli ambulatori.
«All’inizio mancava tutto, niente attrezzature, nulla di nulla, poi con le donazioni e con il lavoro volontario dei medici, abbiamo dato vita a questa realtà», racconta ancora Francesca Caruso.I tempi cambiano
Nasceva così uno spazio dove i cittadini con minori possibilità economiche e che certamente non avrebbero potuto aggirare le lunghe liste d’attesa dalla sanità pubblica rivolgendosi a quella privata, avrebbero trovato interlocutori competenti per visite specialistiche gratuite. Gli ambulatori di Oncomed diventano presto la trincea per chi ha urgenza di diagnosi sicure ma deve fare i conti con le molte facce della povertà, anche quella silente che in questi anni sta divorando quelli che una volta erano i ceti medi. In questo i tempi del Covid hanno lasciato il segno, facendo spesso arretrare chi prima poteva contare su una relativa sicurezza economica, allargando le fasce di povertà. «I pazienti sono cambiati, oggi si rivolgono a noi anche persone apparentemente insospettabili», racconta Caruso.
La banca della parrucca
Ma se la platea del bisogno si è allargata, anche la pattuglia dei medici è cresciuta. Oggi Oncomed è in grado di offrire percorsi diagnostici diversificati e grazie ai medici che gravitano attorno al progetto, fare rete e costruire pure indicazioni terapeutiche.
Questa realtà da qualche tempo ha avuto il riconoscimento anche di Carlo Capalbo, primario di Oncologia del Mariano Santo. Presso il reparto guidato dal medico calabrese che ha lasciato Roma, dov’era professore associato alla Sapienza con incarichi di alta specializzazione all’ospedale Sant’Andrea, per cogliere la sfida della nuova facoltà di Medicina dell’Unical, l’associazione Oncomed ha aperto uno spazio di accoglienza per i malati e le famiglie e ha avviato la “banca della parrucca”, dove le pazienti potranno avere parrucche in comodato d’uso.
L’oncologo Carlo Capalbo Oncomed tra minacce e silenzi
Malgrado tutto questo e il ruolo di sostegno alla cittadinanza che questa associazione svolge da tempo, nel quartiere in cui sono ospitati gli spazi dell’ambulatorio, cioè nel cuore del centro storico, qualcuno non gradisce la presenza dei volontari. Da qui l’accanirsi con dispetti, danneggiamenti o qualche minaccia, che presto indurrà gli animatori dell’ambulatorio medico a cercare altrove una nuova sistemazione.

La sede nel centro storico «Siamo oggettivamente in difficoltà, trovare nuovi spazi e le risorse per pagare il fitto non è facile, né vorremo abbandonare la città vecchia», conclude Francesca Caruso, ricordando che all’associazione non è giunta alcuna parola dalle istituzioni, se non contatti informali. Un silenzio colpevole, soprattutto quello del Comune, che forse potrebbe trovare spazi dignitosi da affidare a chi è impegnato nella prevenzione e nella difesa della salute dei cittadini.
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Calabrexit: Praia, Aieta, Tortora e quella voglia di Lucania…
«Praja-Ajeta-Tortora. Stazione di Praja-Ajeta-Tortora», un ritornello – con quelle “j” reliquie di un tempo in cui la lingua italiana tutelava i dialetti regionali e non tentava di nasconderli preferendo l’asportazione di parole da altri dizionari – ripetuto dalla voce nitida, senza particolari emozioni, degli altoparlanti della prima stazione di Trenitalia all’interno dei confini della Calabria. Una frase che per tantissimi calabresi emigrati al Nord reca il sapore di casa.
Potrebbe recarlo ancora per poco, però, perché si è riaccesa la questione per cui Praia a Mare, Aieta e Tortora, i tre comuni dell’Alto Tirreno Cosentino, i primi abitati calabresi scendendo verso Sud dal litorale tirrenico, potrebbero in futuro passare ad altra giurisdizione. Quella della confinante Basilicata, appena oltre il corso del fiume Noce che funge da valico fra la Calabria e, appunto, la Basilicata.
Il Golfo di Policastro, con al centro l’Isola di Dino, visto da San Nicola Arcella Chiariamo fin da subito: l’iter non è affatto semplice – lo vedremo – e il dibattito va avanti, fra improvvisi picchi e lunghi periodi di quiete, da dieci anni. Ma esiste un comitato civico, denominato Passaggio a Nord Ovest, che promuove il cambiamento. L’argomento principale? La distanza troppo marcata, non solamente sotto l’aspetto geografico, coi centri del potere regionali: Cosenza e Catanzaro.
È così che sullo specchio d’acqua dalle mille sfumature del Golfo di Policastro – bacino condiviso da Campania, Basilicata e Calabria – potrebbe accendersi presto uno scontro destinato a provocare uno scossone nella politica regionale.Praia, Aieta, Tortora: le ragioni della secessione
All’origine del proponimento una questione oltremodo spiacevole, ovverosia il disastroso depotenziamento, avvenuto a partire dal 2012, dell’ospedale civile di Praia a Mare – l’unico nosocomio dell’area –, passato a essere Centro di assistenza primaria territoriale. Un presidio che nei fatti, strozzato da molteplici sentenze e criticità di varia natura, non ha mai raggiunto alcuna stabilità. Il Centro “sospeso” oggi risulta soltanto un bluff ai danni della popolazione potenzialmente di riferimento; una beffa che dura da una decade. L’apice? Nel 2017, quando la struttura ospedaliera fu “riaperta” in pompa magna alla presenza dell’allora governatore della regione: la più classica ciliegina sulla torta di una vicenda ancora lungi dalla conclusione.

L’ingresso della struttura sanitaria a Praia Sta di fatto che, al momento attuale, partendo da Praia a Mare, Aieta e Tortora, l’ospedale lucano di Lagonegro è più facilmente raggiungibile rispetto a quello regionale di Cetraro.
A differenza della rivierasca Praia a Mare e della montana Aieta – oggi parte del Parco nazionale del Pollino e che fino al 1928 inglobava anche il segmento costiero di Praia, poi divenuta Comune a sé –, Tortora confina già con la regione dei desideri, segnatamente con tre comuni della provincia di Potenza: Maratea, Trecchina e Lauria.Il capitolo turismo
Un altro punto caro al comitato e alla popolazione dei tre centri tirrenici che chiedono l’annessione alla Lucania è il turismo. E in questo tratto dell’antico Sinus Laus, il turismo oggi è lontano parente di quello florido e di qualità della seconda metà del secolo scorso, che pure ha recato ponderosi danni al tessuto sociale e al paesaggio della zona con la sregolata cementificazione e le mirabolanti imprese turistiche abortite nell’arco di poche stagioni. Su tutti, vedi le capanne, le residenze e il ristorante costruiti sull’isola di Dino, difronte alla spiaggia di Praia, negli anni Sessanta per volere nientepopodimeno che dell’Avvocato Gianni Agnelli – che completò l’acquisto dell’iconica isola per cinquanta milioni di lire –, complesso di edifici oggi in irrimediabile stato di abbandono.

Quel che resta di uno dei due stabilimenti Marlane Il «degrado antropologico» di questi luoghi «che d’inverno diventano terre di nessuno», come sostiene Luca Irwin Fragale in una accurata analisi dei paesi del Golfo, è il male cronico dell’area, divenuta sempre più marginale e povera dopo la chiusura della Marlane, stabilimento tessile punta di diamante dell’economia locale fin quando non ha disvelato la sua vera faccia, ovverosia quella di fabbrica di veleni causa e concausa di un numero indefinibile di morti.
Il ricordo e la nostalgia dei bei tempi andati – raffrontati alla profonda depressione odierna – aizza la voglia di Basilicata e lo spirito secessionista dei tre centri di questa porzione estrema della regione.Praia, Aieta e Tortora alla Basilicata: si può fare?
Ma, nei fatti, in Italia è possibile il passaggio di un comune o di una unione di comuni da una regione all’altra?
Il percorso istituzionale è sicuramente erto. Anzitutto occorrerebbe raccogliere un cospicuo numero di firme, incluse quelle dei sindaci e dei membri dei consigli comunali, al fine di richiedere la istituzione di un referendum popolare. La concessione passerebbe dalla Corte di Cassazione. Dopodiché, a referendum ultimato con esito positivo, si dovrebbe attendere il placet delle due regioni interessate.
Il Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione a Roma Ma forse stiamo correndo troppo e questo è un passaggio di là da venire. Di fatti, ancora prima di giungere al Palazzaccio, l’istanza potrebbe dissolversi nel nulla. Non è affatto detto che il partito pro Lucania rappresenti la maggioranza dei praiesi, tortoresi e aietani messi assieme, così come non è scontato che le tre entità condividano le medesime opinioni.
Volontà reale o carenza di attenzioni?
Sulla autenticità del proponimento, di fatti, aleggia più di un dubbio. Oltre che una manifesta e lecita espressione di malessere, l’intenzione di passare alla Basilicata – di certo, absit iniuria verbis, non la regione locomotiva della Penisola – pare in certa misura una provocazione al fine di ricevere maggiori attenzioni da parte del governo regionale, dalla matrigna Calabria, la “Calabria infame”, direbbe il poeta Franco Costabile.
E se Praia, Aieta e Tortora diventassero davvero lucane? L’ipotetico “cambio di casacca”, farebbe perdere alla Calabria, sommando i dati dei tre centri, una fetta di territorio pari a più o meno 130 chilometri quadrati e circa tredicimila abitanti. Si ridurrebbe così ulteriormente una popolazione già spremuta dalla emigrazione e ben al di sotto dei due milioni di abitanti con tendenza, per giunta, in continua diminuzione. E la Calabria perderebbe anche una località, Praia a Mare, che seppur lontana dai fasti di un tempo – la cittadina fu raccontata alla metà degli anni Cinquanta, in uno degli ultimi viaggi della sua lunga e ricca vita, dallo storico dell’arte Bernard Berenson – rappresenta comunque una delle destinazioni turistiche più importanti dell’intera proposta regionale.
Utopie
Secondo il comitato Passaggio a Nord Ovest, riunitosi in questi giorni a Tortora, i tre paesi di questo lembo estremo della Calabria nordoccidentale sarebbero pronti a guadare il Noce per raggiungere nuovi splendori.
Magari non quelli della antica città enotria di Blanda – Blanda Julia in epoca romana –, identificata proprio in territorio di Tortora, citata da Tolomeo e Plinio il Vecchio e presente in molte carte geografiche del passato come l’Itinerarium Antonini e la famosa Tabula Peutingeriana.
Dettaglio di una mappa del 1708 del Regno di Napoli con Blanda, la antica città enotria Le aspirazioni a Praia, Aieta e Tortora sono meno pretenziose e antistoriche, ma ben più concrete e comprensibili. I tre comuni calabresi – ancora per adesso – aspirano alla normalità. Uno stato che a certe latitudini e in certe periferie della Repubblica assume spesso le fattezze dell’utopia.
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Sguardi a Sud… dell’Irlanda: le note di Corsi conquistano Mendicino
Il concerto Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica del celebre musicista Stefano Corsi, tenutosi presso il Teatro comunale di Mendicino, ha trasportato gli spettatori in un viaggio attraverso le terre leggendarie d’Irlanda durante le celebrazioni di San Patrizio.
Promosso dalla compagnia Porta Cenere con la direzione artistica di Mario Massaro, lo spettacolo rientrava nel ricco calendario della sesta edizione di Sguardi a Sud come evento fuori programma, confermando ancora una volta la volontà di abbracciare una visione artistica multidisciplinare.Mendicino come l’Irlanda
Nel settore del teatro di prosa, il pubblico di Sguardi a Sud ha già avuto l’opportunità di immergersi in spettacoli coinvolgenti, presentati da compagnie provenienti da tutta Italia. Un viaggio attraverso il talento e la sperimentazione teatrale che ha catturato l’attenzione di spettatori di ogni età. Tuttavia, la vera novità di questa sesta stagione è stata la sezione dedicata alla musica, che ha ulteriormente arricchito l’offerta culturale della kermesse ospitando artisti di fama internazionale.
Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica ha avvolto il pubblico in un’atmosfera carica di emozioni. Non solo grazie alla fusione di questi due strumenti dalle sonorità avvolgenti, ma anche grazie ad una narrazione appassionata e ad un’intensa interpretazione di poesie di autori irlandesi e non solo. Lo spirito festoso e la magia dell’Irlanda hanno pervaso l’aria in un concerto senza precedenti, dove l’arpa celtica e l’armonica hanno intrecciato le loro melodie incantando i presenti.
Stefano Corsi e l’unione tra arpa e armonica
Il musicista Stefano Corsi spiega cosa l’abbia ispirato per questo concerto: «Il suono primordiale della corda che si muove e dell’ancia che vibra nell’aria è una melodia ancestrale che risuona attraverso le epoche. Quando ho scoperto che in inglese l’armonica è chiamata mouth harp (arpa da bocca), ho pensato fosse inevitabile unire i due strumenti. Questa affascinante coincidenza linguistica rispecchia la complementarità dei loro suoni. Tengo molto che la gente ricominci ad ascoltare la musica con un buon impianto. Dostoevskij diceva: “La bellezza salverà il mondo”. Io ritengo che salvi chi la cerca».
Il direttore artistico di Sguardi a Sud, Mario Massaro, svela la magia che avvolge questa kermesse: «Il nostro obiettivo è regalare al nostro affezionato pubblico un’esperienza culturale completa. Sguardi a Sud è un’immersione in mondi sconosciuti e un abbraccio alla bellezza dell’arte che prende vita attraverso prosa, musica e teatro. Il concerto di Stefano Corsi ha trasformato il palcoscenico in un mare di emozioni, lasciando un’impronta indelebile nei cuori di tutti gli spettatori e rendendo ancora più indimenticabile questa stagione».
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Kamishibai al teatro Rendano
Il 14 marzo 2024 alle ore 10 e, in replica alle 11.45, andrà in scena per le scuole, nella cornice del Teatro Rendano, lo spettacolo Storie in Musica, dell’Orchestra Sinfonica Brutia, in collaborazione con l’Associazione Teatrale Porta Cenere, Artebambini di Bologna e l’Associazione Kamishibai Italia. Nello spettacolo testi Allen Say e Assunta Morrone, musiche di Massimo Belmonte e Giuseppe Musumeci, illustrazioni di Allen Say, Francesca Carabelli, Jole Savino e Lida Ziruffo e dei minori stranieri non accompagnati del Centro Sai di Mendicino.
Nello spettacolo le storie scritte per Kamishibai, un antico strumento di lettura giapponese che associa parole e immagini. In questa particolare performance la contemporaneità di parole, immagini e musica, quest’ultima colonna sonora originale delle storie narrate. La regia teatrale è di Mario Massaro, in scena insieme ad Elisa Ianni Palarchio -

Ecco la decina finalista del Premio Sila ’49
La dodicesima edizione del Premio Sila ’49 ha i suoi dieci libri finalisti. Sono stati annunciati stamattina, lunedì 11 marzo, durante una conferenza stampa tenuta nella sede della Fondazione Premio Sila, nel cuore del centro storico di Cosenza. Ad accogliere giornalisti e appassionati della lettura, il presidente Enzo Paolini, la direttrice Gemma Cestari e i due giurati Valerio Magrelli ed Emanuele Trevi, collegati via web.
Ecco i 10 libri scelti dalla giuria. “Un paese felice” (Mondadori) di Carmine Abate, “Grande meraviglia” (Einaudi) di Viola Ardone, “Poverina” (Blackie Edizioni) di Chiara Galeazzi, “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri) di Greta Pavan, “La bella confusione” (Einaudi) di Francesco Piccolo, “La vita è breve, eccetera” (Einaudi) di Veronica Raimo, “Jazz Cafè” (La nave di Teseo) di Raffaele Simone, “Il fuoco invisibile” (Rizzoli) di Daniele Rielli, “L’imperatore delle nuvole” (Neri Pozza) di Pierpaolo Vettori, “Una minima infelicità” (Neri Pozza) di Carmen Verde.
“Il nostro filo conduttore è l’Italia che vorremmo – ha dichiarato il presidente Enzo Paolini – che viene narrata attraverso i romanzi, attraverso le storie, le idee, le vite che ci sono in quelle pagine, ma anche attraverso la saggistica”. Titoli e autori di grande prestigio arricchiscono anche questa edizione del Premio Sila.
“Una decina di cui siamo molto soddisfatti – ha sottolineato la direttrice del Premio Gemma Cestari parlando dei titoli scelti – che tiene insieme tante voci interessanti dell’Italia. Dieci libri straordinari che arrivano dopo un lavoro importante della giuria”. L’annuncio della rosa dei finalisti lascia adesso il posto agli incontri con gli autori che nei prossimi giorni presenteranno al pubblico del Premio i propri libri. Poi toccherà alla giuria, in collaborazione con il comitato dei lettori, a ridurre a cinque i libri scelti. Da quest’ultima selezione, si arriverà, quindi, al vincitore finale che sarà premiato durante una manifestazione che coinvolgerà l’intera città di Cosenza nei giorni 14, 15 e 16 giugno. -

Premio Sila ’49, lunedì i dieci libri in finale
Tutto pronto per ripartire. Tutto pronto per svelare la decina 2024 del Premio Sila ‘49. Lunedì 11, alle ore 11, negli spazi della Fondazione Premio Sila di Cosenza, si terrà la conferenza stampa di presentazione dei libri che concorreranno ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento, giunto ormai alla sua dodicesima edizione.
Presenti, nella sede della Fondazione nel cuore del centro storico bruzio, il presidente Enzo Paolini e la direttrice del Sila Gemma Cestari. In collegamento web, invece, i giurati Valerio Magrelli ed Emanuele Trevi. L’evento sarà trasmesso in diretta Facebook sulla pagina ufficiale del Premio Sila ‘49.
Una volta svelata la decina, prenderà, dunque, avvio la serie di incontri con gli autori che presenteranno al pubblico del Premio le loro opere. Dopodiché la giuria del Premio, insieme al comitato dei lettori, procederà a formare la rosa dei cinque libri, fino ad arrivare alla premiazione finale, appuntamento che, come ogni anno, coinvolgerà l’intera città.
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Lilli Funaro, i successi di Dalla per i 20 anni della Fondazione
La Fondazione Lilli Funaro di Cosenza, impegnata da vent’anni nella lotta contro i tumori attraverso iniziative di ricerca scientifica e sostegno sociale, culturale e benefico, celebra il suo ventesimo anniversario con una serie di importanti e appassionanti attività volte ad alimentare la solidarietà sociale, civile e culturale.
In occasione di questo significativo traguardo, la Fondazione annuncia il primo concerto solidale “Aspettiamo senza avere paura, domani. Back to home”, previsto per sabato 9 marzo 2024 alle ore 21:00 presso il duomo di Cosenza.
Si tratta dello spettacolo – un omaggio a Lucio Dalla – ideato e scritto da Daniele Moraca, Sasà Calabrese, Dario De Luca, in cui la forma della canzone si fonde con quella della parola, quindi del teatro. “Tutti i testi delle mie canzoni sono sempre piccoli racconti, ipotesi di sceneggiature” raccontava Dalla. È così che la sua poetica e la sua musica, nella rappresentazione messa in piedi dagli autori, si dipanano in una trama orizzontale, come nell’immaginaria pellicola di un film in cui frammenti di vita sono tenuti insieme dalla musica. Canzoni cantate e recitate si articolano tra gli aneddoti della vita artistica di Dalla in uno spettacolo carico di sentimenti, intimo e leggero, familiare.
“Aspettiamo senza avere paura, domani. Back to home” promette un’esperienza culturale di grande valore per la città poiché torna a risuonare in una nuova versione, come un nuovo debutto, e lo fa nella storica e maestosa cattedrale di Santa Maria Assunta che, per la prima volta, apre le porte anche ad uno spettacolo di musica e prosa. Il miglior luogo possibile per il momento che segna l’inizio delle attività 2024 della Fondazione Lilli Funaro.
Il ricavato della serata contribuirà al finanziamento di borse di studio e progetti di ricerca per la cura del cancro, continuando l’importante lavoro svolto dalla Fondazione nel corso degli anni.
Michele Funaro della Fondazione Lilli commenta: “In venti anni di attività, nel nome di Lilli, abbiamo destinato oltre 250 mila euro a borse di studio e progetti di ricerca per la cura del cancro, offrendo supporto economico a tanti giovani e meritevoli ricercatori calabresi. Anche quest’anno siamo felici di dare avvio ad una nuova primavera della Fondazione, e di farlo attraverso ‘Aspettiamo senza avere paura, domani’, che già nel titolo evoca le speranze di ognuno di noi”.