Categoria: Fatti

  • Guida Michelin 2026, cinque ristoranti in Calabria con le stelle

    Guida Michelin 2026, cinque ristoranti in Calabria con le stelle

    La Calabria presente con cinque ristoranti nella Guida Michelin 2026, lo scorso anno erano sette. Le conferme: Abruzzino Oltre (Lamezia), Gambero Rosso (Marina di Gioiosa Ionica), Hyle (San Giovanni in Fiore), Qafiz (Santa Cristina d’Aspromonte), Dattilo (Strongoli). Escono dalla Guida: Abruzzino (Catanzaro) e Luigi Lepore (Lamezia).

  • Il Liceo Telesio celebra la Giornata mondiale della Filosofia

    Il Liceo Telesio celebra la Giornata mondiale della Filosofia

    “Il mondo come io lo vedo, la filosofia e i saperi scientifici” è il titolo dell’iniziativa organizzata dal Liceo Classico Bernardino Telesio di Cosenza e dell’Università della Calabria in occasione della giornata mondiale della filosofia che si celebra il 20 novembre. Appuntamento alle ore 10:30 nella sala Docenti e biblioteca Stefano Rodotà. Saluti istituzionali di Domenico De Luca, dirigente scolastico del liceo Telesio. Introducono: Roberto Bondì, professore ordinario di Storia della Filosofia all’Università della Calabria; Francesco Valentini, professore ordinario di Fisica all’Università della Calabria. Intervengono Vincenzo Fano, professore ordinario di Filosofia della Scienza all’Università di Urbino e Giulio Peruzzi, professore ordinario di Storia della Scienza all’Università di Padova.

  • Cosenza, immagini e parole per raccontare Gaza a Stella Cometa

    Cosenza, immagini e parole per raccontare Gaza a Stella Cometa

    Arte, solidarietà, presa di coscienza. Tre parole che possono sintetizzare il pomeriggio di oggi, lunedì 17 novembre 2024, nella sede di Stella Cometa Onv in via Popilia 39 a Cosenza. Dalle ore 17:30 sarà possibile visitare la mostra itinerante “Lettere al cielo” per raccontare il dramma dei bambini di Gaza, ma sarà occasione per rivolgere lo sguardo anche al resto dei conflitti nel mondo.
    Interverranno al tavolo di discussione il giornalista e direttore de ICalabresi.it Michele Giacomantonio e  Adriana Scaramuzzino (Strade di Casa – Soc. Coop. Sociale). Gli interventi musicali saranno a cura degli artisti Romilda Cozzolino e Marco Iaconetti.
    Aprirà i lavori don Battista Cimino, modera Marcella Sicilia (consiglio direttivo Stella Cometa).
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  • Unical, 5 borse di studio per studenti palestinesi

    Unical, 5 borse di studio per studenti palestinesi

    Da oggi i giovani palestinesi possono candidarsi a UnicalPass – Unical for Palestinian Students Scholarships, un programma attivato dall’Università della Calabria che offre cinque borse di studio finalizzate alla frequenza dei corsi di laurea magistrale internazionali dell’Ateneo per l’anno accademico 2025/2026.

    UnicalPass nasce come gesto concreto di solidarietà e cooperazione, con l’obiettivo di promuovere il diritto allo studio, l’accesso all’istruzione superiore e la crescita personale in un contesto di dialogo interculturale e di integrazione. Grazie a questo programma, l’Università della Calabria rafforza la propria vocazione internazionale, caratterizzandosi sempre più come luogo di incontro e responsabilità sociale.

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    Le parole del rettore Greco

    «Siamo consapevoli delle difficoltà che accompagneranno questa iniziativa, in particolare in relazione alla necessità di attivare corridoi umanitari per l’effettivo arrivo in Calabria di studentesse e studenti palestinesi. Riteniamo però essenziale offrire il nostro contributo con responsabilità e generosità» – afferma il rettore dell’Università della Calabria, Gianluigi Greco. «Crediamo che anche un piccolo gesto possa fare una grande differenza: non è solo un sostegno economico, ma un investimento sociale e culturale. Le storie di libertà e coraggio delle studentesse e degli studenti palestinesi ci ricordano quanto l’istruzione superiore sia talvolta anche un privilegio, un potente strumento di emancipazione, di dialogo e speranza. Per noi è un atto di responsabilità morale sostenere queste giovani vite, contribuire a costruire ponti di conoscenza e ad aprire opportunità reali di studio e futuro».

    Unical, borse di studio per studenti residenti nei territorio palestinesi

    Le cinque borse di studio sono rivolte a candidati residenti nei territori palestinesi, che intendano iscriversi a uno dei corsi di laurea magistrale internazionali attivi nelle aree Ingegneria e Tecnologia, Scienze della Salute, Scienze e Socio-Economico.

    Ogni borsa prevede un sostegno complessivo del valore di 12.000 euro annui, che comprende l’esenzione totale dalle tasse universitarie, vitto e alloggio gratuiti, la copertura sanitaria, le spese di viaggio, un corso gratuito di lingua e cultura italiana e un contributo personale di 7.500 euro per anno accademico. Si tratta di un aiuto concreto e completo, che accompagna gli studenti in tutte le fasi del loro percorso formativo e di integrazione nella vita universitaria.

    Le parole della professoressa Loprieno

    «Questo programma rappresenta un primo, importante segnale dell’attenzione che l’Università della Calabria riserva alle studentesse e agli studenti che arrivano da contesti di guerra» – afferma Donatella Loprieno, Delegata per l’Accesso e il sostegno degli studenti rifugiati. «Offrire loro un’opportunità concreta di studio significa riconoscere il diritto all’istruzione e sostenere chi, nonostante condizioni difficili, continua a credere nella forza della conoscenza».

    Le candidature dovranno essere presentate via email, senza alcun costo di iscrizione, dal 14 al 21 novembre 2025. La graduatoria finale sarà pubblicata il 24 novembre 2025. I candidati selezionati dovranno poi richiedere il visto di studio entro il 30 novembre 2025 e completare l’immatricolazione entro il 28 febbraio 2026.

    Per proporre la propria candidatura: refugee@unical.it. Maggiori informazioni sui requisiti di partecipazione sono consultabili nella call UnicalPass in allegato.

  • Fuori campo 5: Antonietta De Lillo a Cosenza tra cinema e dimore storiche

    Fuori campo 5: Antonietta De Lillo a Cosenza tra cinema e dimore storiche

    Ai nastri di partenza “Fuori Campo 5”, il progetto itinerante di promozione cinematografica a cura di Rete Cinema Calabria, improntato alla valorizzazione del cinema italiano d’autore indipendente e del patrimonio artistico e architettonico del territorio.
    Il tema di questa annualità – “Il Cinema come Dimora” – indaga le principali Dimore Storiche in Calabria, riconosciute dal Ministero nei percorsi delle Dimore Storiche Italiane, calate nei rispettivi comuni di appartenenza, cornice ideale dove realizzare gli appuntamenti del progetto.

    CINEMA E DIMORE STORICHE

    Programmazioni articolate che prevedono visite guidate, incontri, dibattiti, proiezioni e workshop di approfondimento con esperti del settore cinematografico e studiosi di storia dell’arte e di architettura; proiezioni di film, documentari e cortometraggi del cinema italiano d’autore, presentazioni di libri e altre attività collaterali.
    Tre le Dimore che ospiteranno le attività della quinta edizione di Fuori Campo: Palazzo Grisolia a Cosenza, Villa Cefaly Pandolphi ad Acconia di Curinga (Cz), Palazzo Cybo Malaspina ad Aiello Calabro (Cs).
    Un’edizione riconducibile ad un cinema “al femminile”, che sempre più sta ridefinendo il panorama cinematografico, con opere rappresentative di uno sguardo personale, che raccontano in modo originale e a tratti rivoluzionario, storie che non seguono le regole rigide in cui gli sguardi cinematografici sono spesso imprigionati. Tre registe affermate – Antonietta De Lillo, Elettra Bisogno e Roberta Torre – dialogheranno con pubblico e giornalisti.

    ANTONIETTA DE LILLO A COSENZA

    Si inizia venerdì 7 novembre da Cosenza, dove, in via della Giostra Vecchia, sorge Palazzo Grisolia, uno dei più antichi del centro storico.
    L’appuntamento per chi vuole conoscere meglio la storia di una parte della città antica è a Piazza XV Marzo alle 15.30, da dove Claudia Coppola condurrà alla scoperta di “Cosenza dal Rinascimento al Risorgimento tra antiche dimore e monasteri” attraverso una piacevole passeggiata fino a giungere a Palazzo Grisolia, dove avverrà l’apertura e la presentazione del progetto “Fuori Campo 5” a cura di Ernesto Orrico con i saluti di Rosa Lorenzon e della Presidente ADSI Calabria Maria Elisabetta Taccone.
    A seguire un intermezzo musicale a tema e la presentazione del Polo Tecnologico Audio Video del Conservatorio di Cosenza da parte del direttore M° Francesco Perri.
    Alle 16.50 si terrà la proiezione del video di Luigi Simone Veneziano “Echoes”, seguita dalla relazione dell’architetto Argia Morcavallo dal titolo “Giostra Vecchia. Scenografia di un quartiere nobiliare”.

    DE LILLO A COSENZA: IL SECONDO TEMPO ALL’UNICAL

    Alle 17.30 l’incontro con Antonietta De Lillo, nota regista e sceneggiatrice, autrice di numerosi documentari e videoritratti, selezionati e premiati in diversi festival internazionali, e lungometraggi. Basti citare “Il resto di niente” (2004), “Articolo 20”, episodio del film “All Human Rights for All” (2008), “ La pazza della porta accanto – Conversazione con Alda Merini” (2013), “Oggi insieme domani anche” (2015), premiato con il Nastro d’Argento speciale nel 2016, “Il signor Rotpeter” (2017). Dialogherà con lei la giornalista Paola Abenavoli.
    Il confronto con De Lillo proseguirà al Cinema Campus Unical dove, alle 20.00, si terrà il dibattito sul tema “Il cinema indipendente e la distribuzione”.
    Alle 20.30 la proiezione del film “L’occhio della gallina. Autoritratto di Antonietta De Lillo”, presentato nel 2024 alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia, in cui racconta la singolare vicenda giudiziaria legata al film, preceduta da una breve introduzione.

  • Futuri possibili per la città

    Futuri possibili per la città

    Calvino racconta che «La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie…», come un segreto ben celato, ma pronto a svelarsi a chi mostrasse di amarla. I protagonisti di Futuri Urbani e poi del Cosenza open Incubator, di amore ne hanno avuto parecchio verso la parte della città più trascurata e che quasi pudicamente si nasconde, le antiche pietre della città storica.

    Dall’Unical al Centro storico

    L’esperienza di Futuri Urbani ha inizio nel 2021 per iniziativa dell’Università della Calabria e specificatamente del Dispes. A ideare il progetto furono Mariafrancsca D’Agostino, che insegna Migrazioni e cittadinanza globale, Francesco Raniolo, docente di Scienza politica e Felice Cimatti, professore di Filosofia del Linguaggio presso lo stesso ateneo, con il fondamentale sostegno di Maurizio Muzzupappa, delegato al Trasferimento tecnologico dal rettore Nicola Leone. Il campo d’azione è stato il centro storico cittadino, scelto per sperimentare la possibilità di dare vita a forme critiche di sapere e a processi di sviluppo sociale ed economico nuovi.

    Si è trattato a tutti gli effetti di un sperimento di “ecologia urbana”, di ricerca che si è svolta incrociando per un verso l’analisi dei processi di neo liberalizzazione che da anni  interessano le città e tra esse Cosenza, ma anche l’osservazione dei nuovi processi di partecipazione che stanno emergendo nelle realtà urbane più marginalizzate.

    La rigenerazione urbana parte dalla partecipazione diffusa ai progetti

    Contrastare le disuguaglianze

    La potenza di quella esperienza è venuta dalla partecipazione attiva delle diverse associazioni, che avendo condiviso il progetto ne sono diventate partner e con il loro operato hanno trasformato in azione “politica” l’impianto teorico di studio. Gli interventi realizzati avevano lo scopo di contrastare le disuguaglianze e provare a mitigare gli effetti sociali dell’impoverimento materiale e immateriale del territorio.

    La contaminazione tra università, realtà urbane e associazionismo ha dato vita a una forma inedita di realizzazione della Terza missione dell’Unical, dove lo scambio è stato trasversale, tra saperi sofisticati, esperienze radicate nei luoghi e formazione relativa alla nascita di possibilità di nuove forme di economie sostenibili.

    Palazzo Spadafora, nel centro storico di Cosenza, sede dei progetti dell’Unical

    Palazzo Spadafora e le startup

    Oggi parte una seconda fase, forte dell’esperienza fin qui costruita. Si tratta di una sorta di passaggio di testimone che prevede l’inclusione nell’Open Incubator che l’Unical ha aperto dentro Palazzo Spadafora, di una serie di iniziative non soltanto economiche e imprenditoriali, ma anche di rigenerazione culturale. In questo ambito le associazioni GaiaAghia Sophia e Radio Ciroma, operano anche dentro il Palazzo, favorendo l’idea di un “incubatore sociale” che lavori sulla multiculturalità, le politiche di genere, la riappropriazione degli spazi, esercitando forme di partecipazione civica dal basso.

    Il ruolo delle associazioni

    Le associazioni da parte loro hanno accolto con grande favore il coinvolgimento giunto dal Dispes,  infatti dall’Unical non sempre c’è stata una uguale attenzione verso il centro storico. Oggi Palazzo Spadafora, sede dell’incubatore di dieci startup, è anche punto di partenza di una animazione territoriale. Ed è qui che entrano in gioco le associazioni, da diverso tempo presenti nel quartiere. Per tutto il mese di novembre si svolgeranno iniziative laboratoriali, eventi capaci di coinvolgere i cittadini e le scuole. Si tratta di un segnale di vitalità, che dimostra concretamente che attuare pratiche differenti di vivere e animare gli spazi urbani riempiendoli di senso, è possibile.

    I progetti comprendono la valorizzazione delle antiche attività artigiane

    I destinatari di questi segnali sono certamente l’università, il resto della città e ovviamente l’amministrazione comunale. Si tratta di una azione dalla valenza culturale, è ovvio, ma di cui non si può non cogliere la portata politica, che si manifesta attraverso mostre artistiche, eventi culturali, forme di richiamo tra le antiche pietre dei vicoli della città vecchia. Sono modi di reclamare per quei luoghi, spesso dimenticati, una centralità che potrebbero ancora avere, una  forma di rivendicazione di dignità per le popolazioni che li abitano.

    Il radicamento delle associazioni dentro il quartiere ha fornito loro legittimazione e autorevolezza presso gli stessi abitanti. Ecco quindi, che le loro iniziative, come quelle di Radio Ciroma, di formazione dei giovani alle forme di comunicazione, hanno trovato accoglienza e consenso.

    Le associazioni svolgono anche un ruolo formativo all’interno del quartiere

    Dare continuità alla costruzione del futuro

    Adesso si tratta di guardare oltre, dare continuità a un percorso coraggioso e certamente difficile, il cui esito positivo era tutt’altro che scontato, scaturito dalla capacità di coniugare efficacemente saperi sofisticati con la necessità di are forma concreta a quelle idee. Futuri urbani non è stata una esperienza accademica, anche se alcuni protagonisti provenivano dalle aule universitarie, ma una forma di confronto e sperimentazione di idee audaci e possibili che sono diventate realtà. Di qui la necessità che l’attenzione dell’università verso questa esperienza non vada smarrita, ma trovi rinnovata continuità.

  • Il racconto dell’immigrazione

    Il racconto dell’immigrazione

     

                                                                                              di Tommaso Scicchitano

    C’è un’Italia che non si vede nei talk show né nei decreti d’urgenza. È l’Italia reale, quella che si rispecchia ogni mattina nel Mediterraneo e che il Dossier Statistico Immigrazione 2025, curato dal Centro Studi IDOS in collaborazione con Confronti e l’Istituto “S. Pio V”, restituisce con precisione chirurgica e compassione civile. Presentato anche a Catanzaro, il rapporto è un atlante umano prima che statistico: dietro le cifre si intravedono volti, mani, destini.

    La realizzazione del Dossiere è stata finanziata con l?otto per Mille della Chiesa Valdese

    Il progetto è stato finanziato con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese e con il sostegno dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, insieme a una rete di enti pubblici e privati che ogni anno contribuiscono alla sua realizzazione. È, dunque, un lavoro collettivo e indipendente, che nasce dalla volontà di restituire verità sociali spesso offuscate dal rumore politico.

    Nel suo incipit, il presidente di IDOS Luca Di Sciullo parla di una “sottoguerra mondiale”, una guerra contro i poveri che attraversa confini e coscienze. È un linguaggio che non cerca l’eufemismo, ma la verità: quella di migliaia di uomini e donne sacrificabili, invisibili, che ogni giorno attraversano un mare che è insieme tomba e soglia.

    I numeri che rivelano

    Nel 2024 l’Italia ha contato 5 milioni e 422 mila cittadini stranieri residenti, pari al 9,2% della popolazione totale. Le donne rappresentano quasi la metà (49,8%), mentre i minori costituiscono il 19,3% del totale. In dieci anni, la presenza straniera è cresciuta con costanza silenziosa, compensando in parte il declino demografico di un Paese che continua a spopolarsi.

    Dietro la freddezza apparente delle percentuali c’è un dato che parla di futuro: oltre 217 mila persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana nel corso del 2024. Segno che l’Italia non è solo terra di approdo, ma di nuova appartenenza.

    Sul fronte economico, 2 milioni e mezzo di lavoratori stranieri contribuiscono ogni giorno alla tenuta del sistema produttivo nazionale. Più di uno su tre è impiegato nei servizi, quasi uno su tre nell’industria e oltre il 6% lavora in agricoltura. È il lavoro dei campi, dei cantieri, delle case, spesso invisibile ma essenziale.

    La Calabria terra di partenze e accoglienza

    Calabria: il margine che racconta il centro

    La Calabria, secondo i dati del Dossier, conferma la sua duplice natura: terra di partenze e di accoglienze. Qui, la presenza straniera resta contenuta in valori percentuali, ma crescente in significato sociale e culturale.

    Nelle campagne e nei piccoli centri dell’interno, la popolazione migrante ripopola scuole e parrocchie, mantiene vive le economie locali, assume il volto di un nuovo radicamento. La regione ospita centri Sai di accoglienza diffusa che diventano laboratori di convivenza. Non sempre tutto funziona, ma qualcosa accade: l’incontro quotidiano, la parola scambiata, la mano tesa.

    Oltre le statistiche: la visione

    Il Dossier 2025 è anche un atto di denuncia. Racconta l’opacità delle nuove frontiere europee, i CPR dove la detenzione senza reato diventa ordinaria, le rotte di guerra che si incrociano con quelle della fame. Eppure, tra le righe, emerge un’Italia capace di accogliere, di reinventarsi, di costruire diritti anche quando la politica arretra.

    L’obiettivo del rapporto non è solo fotografare, ma de-costruire le narrazioni tossiche. Mostrare che dietro ogni flusso ci sono persone, e che dietro ogni paura si può costruire conoscenza. La statistica diventa così un esercizio di verità pubblica, un invito a leggere la realtà senza i filtri dell’ideologia.

    Le migrazioni sono rotte che incrociano le guerre a l fame

    Un dossier come specchio civile

    Nelle sue pagine si intrecciano economia e compassione, dati e storie. La Calabria, come il resto del Paese, non è solo punto d’arrivo: è una frontiera di civiltà. Ogni numero del Dossier non è un conteggio, ma una domanda. Quanto siamo disposti a riconoscere dell’altro in noi stessi?

    Forse la risposta sta nel mare che ci circonda, nel suo doppio volto: confine e grembo. Ed è lì che l’Italia dovrebbe tornare a specchiarsi, non per contare chi arriva o chi parte, ma per capire chi vuole essere.

  • Morte a Sud: il Ponte di Lombardi Satriani

    Morte a Sud: il Ponte di Lombardi Satriani

    Nel crepuscolo autunnale del Mezzogiorno italiano, dove il sole cala lento tra le serre e le colline aspre della Calabria e i venti del Tirreno sussurrano storie antiche, il 2 novembre è un giorno di silenzio imposto dal calendario liturgico, ma è anche un ponte – quel ponte liminale, evocato da Luigi Maria Lombardi Satriani e Mariano Meligrana nel loro Il ponte di San Giacomo (1975, ried. 1989) – che collega i vivi ai morti, come un passaggio vitale, un dialogo sotterraneo che nutre l’esistenza quotidiana.

    Partendo da quel testo fondante dell’antropologia meridionale che illumina come le credenze popolari calabresi trasformino il lutto in un rito di resistenza e memoria, esploriamo il concetto di morte in questa terra di confine. Un ragionamento per comprendere come, in un mondo globalizzato e segnato da crisi recenti come la pandemia, la morte resti un «segno sotterraneo della vita», come ha scritto Lombardi Satriani: morte non come assenza, ma come presenza che modella comunità e identità.

    La morte a Sud descritta nel ponte di San Giacomo, libro di Lombardi Satriani e Meligrana

    Non svaniscono mai del tutto

    Vito Teti descrive, in lavori come Pietre di pane (2011), come i morti non svaniscano mai del tutto. In alcuni tratti di folklore calabrese, essi ritornano come ospiti affamati dall’aldilà, per i quali i vivi preparano tavole imbandite con “ossa dei morti”, o il grano dei morti, un pugno di chicchi tumefatti nell’acqua bollente, metafora di corpi che rigenerano la terra fertile. Queste pratiche, radicate nel sincretismo tra cristianesimo e paganesimo pre-cristiano, riflettono un’antropologia del lutto che Ernesto de Martino definiva «pianto rituale», ossia un grido collettivo che non piange solo la perdita, ma riafferma i legami sociali contro l’angoscia del nulla.

    Le prefiche di Pasolini

    Nel Mezzogiorno più ampio, dal Cilento campano alla piana di Sibari, all’Aspromonte, alla Calabria grecanica, la morte è concepita come un ciclo agrario, intrecciato alla terra aspra e alla migrazione. Qui, il sudario non è solo stoffa nera – che, come nota un recente studio etnografico su usanze funebri calabresi (2025), le donne anziane indossano per un anno intero, o talvolta per la vita, come atto di fedeltà e protezione – ma un velo che separa e unisce mondi.

    I rituali del 2 novembre, con le processioni ai cimiteri e le lamentazioni delle “piangitrici”, o prefiche evocate da Pasolini, trasformano il dolore individuale in un dramma corale, una forma di “contestazione culturale” contro l’oblio imposto dalla modernità. Lombardi Satriani lo coglieva già negli anni ’70: i morti calabresi, evocati nei canti e nei proverbi, sono “i segni sotterranei” che irrigano la vita contadina, impedendo che l’emigrazione – che ha svuotato paesi interi – recida le radici.

    Morte a Sud: il Ponte di Lombardi Satriani diventa lutto invisibile

    Ma che ne è oggi di questo ponte? Dati recenti, emersi da indagini antropologiche post-pandemiche, rivelano una resistenza affascinante, ma anche mutazioni profonde. Il COVID-19, con i suoi oltre 13000 decessi in Calabria tra 2020 e 2023 (dati ISTAT, aggiornati al 2024), ha imposto un lutto “invisibile” con funerali a porte chiuse, tombe visitate da lontano, un silenziamento che ha amplificato l’angoscia heideggeriana della morte come “propria e impropria”. Eppure, come documenta un report etnografico del 2023 sull’antropologia della morte nel Sud Italia, le comunità hanno risposto con innovazioni ibride.

    A Reggio Calabria, nel 2020, i cimiteri di Condera e Paglia hanno visto ingressi contingentati, misurazioni termiche e mascherine, ma il rito si è adattato con preghiere via streaming, candele accese sui balconi, e un boom di “cunsulu” – quel pasto comunitario offerto alla famiglia del defunto – consegnato a domicilio, simbolo di solidarietà che ha rafforzato i legami in tempi di isolamento. Oggi, con la commemorazione tornata alla normalità emerge un’evoluzione deii rituali che incorporano il digitale, con app per virtuali suffragi e social media dove si condividono foto di tombe, trasformando il privato in pubblico.

    Morte e riti arbëreshë e grecanici

    In Calabria, terra di arbëreshë e grecanici, queste trasformazioni si collocano anche in specificità etniche, anche in periodi diversi dell’anno. Tra le comunità albanesi di Lungro o Frascineto, la Java e Prigatorëvet – la festa dei morti arbëreshë, mescola canti bizantini a credenze precristiane: i defunti “tornano” e i vivi lasciano porte aperte con pane e sale, eco di un’ospitalità come resistenza all’emarginazione. Qualche anno fa avevo notato come amiglie rurali hanno ripreso i “questuanti” – i bambini che, con zucche intagliate a teschio (coccalu di muortu), bussano alle porte chiedendo “oboli” per i morti – ma con un twist: incorporano elementi di Halloween, quel sincretismo globale che alcuni studiosi descrivono come “assemblaggio ludico” per rivitalizzare paesi spopolati. Non è diluizione, ma vitalità: la morte, ibrida, diventa strumento di aggregazione contro la solitudine pandemica.

    Questo ponte, dunque, non crolla; si rinnova. In un Mezzogiorno segnato da spopolamento – con Calabria che perde 10.000 abitanti annui (ISTAT 2024) – e flussi migratori inversi, come i cimiteri siciliani e calabresi che accolgono i resti di migranti annegati nel Mediterraneo la morte interpella l’antropologia a una riflessione urgente: come ospitare l’estraneo defunto? A Lampedusa o a Cutro e Crotone, emergono riti nuovi – monumenti anonimi, preghiere interreligiose – che estendono il “memento” cristiano a un’etica mediterranea dell’ospitalità. Lombardi Satriani, con il suo sguardo sul folklore subalterno, ci spingerebbe a vedere qui non tragedia, ma potenzialità: i morti “stranieri” diventano semi di una memoria condivisa, contro le barriere erette dalla crisi.

    Morte a Sud: fermiamoci ancora sul Ponte di Lombardi Satriani

    Sul far della sera del 2 novembre 2025, mentre le campane echeggiano nei valloni calabresi, fermiamoci a ragionare su questo ponte. La morte nel Mezzogiorno è fermento, è invito a vivere con intensità, a custodire i segni sotterranei che ci legano. Come i chicchi del grano dei morti, che gonfiano nell’acqua per rinascere pane, così i nostri defunti ci ricordano che la vita deve fare i conti con loro per continuare a essere tale. In questa commemorazione, non piangiamo solo perdite ma celebriamo un’eternità quotidiana, appassionata e resistente, che rende il Sud un laboratorio antropologico vivo.

    di Gianfranco Donadio

    L’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani
  • Cutro, Pasolini e una Calabria fuori dal tempo

    Cutro, Pasolini e una Calabria fuori dal tempo

    Nel 1959 Pier Paolo Pasolini attraversa l’Italia in macchina, una Fiat 1100 prestata da Federico Fellini. Non per un film, come in altre occasioni, ma per un reportage insieme al fotografo Paolo Di Paolo: La lunga strada di sabbia, pubblicato in tre puntate sulla rivista Successo (www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=4179).

    CALABRIA, PASOLINI A CUTRO «PAESE DEI BANDITI»

    L’obiettivo è raccontare un Paese in trasformazione, dove il boom economico sta trasformando contadini in vacanzieri, e il mare in merce. Attraversa anche la Calabria e, tra tutte le tappe, ce n’è una destinata a rimanere nella memoria per le polemiche sollevate: si tratta di Cutro, che Pasolini descrive così: «Ecco, a un distendersi delle dune gialle, in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi». Non serve molto di più per accendere la miccia. La stampa calabrese esplode di indignazione, il Comune di Cutro chiede scuse formali, e persino un deputato democristiano – un certo La Russa (bizzarri ritorni della storia) – alza il vessillo dell’«offesa al popolo calabrese».

    L’attacco di certa stampa a Pasolini dopo le parole pronunciate dall’intellettuale su Cutro

    IL PREMIO A CROTONE

    La questione, naturalmente, non è solo letteraria: a venti chilometri di distanza, a Crotone, governa il Partito Comunista, mentre Cutro è democristiana fino al midollo. E così, quando a novembre Pasolini riceve il Premio Crotone per Una vita violenta, la polemica diventa scontro politico a cielo aperto.
    Fedele al suo talento per infilarsi nei guai con grazia, Pasolini scrive una lettera aperta a Paese Sera, con il tono che gli riconosciamo, diretto, ironico, spietato: «I banditi mi sono molto simpatici. Quindi da parte mia non c’era la minima intenzione di offendere i calabresi e Cutro. […] Quanto alla miseria, non vedo perché ci sia da vergognarsene. Non è colpa vostra se siete poveri ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso».

    Pier Paolo Pasolini incontra i giovani di Cutro

    PASOLINI, CUTRO E UNA CALABRIA FUORI DAL TEMPO

    Era un tentativo di spiegazione, ma anche un manifesto: Pasolini non accettava l’idea di “mettere il velo” sulla realtà. La Calabria del 1959 era povera, dura, fuori dal tempo, eppure, in un Paese che stava correndo verso la televisione, le vacanze in Riviera e la Fiat 600, dire la verità era già un atto di eresia.

    Per altri versi, quel viaggio è una sorta di Viaggio in Italia al contrario, e se Goethe veniva a cercare la luce, Pasolini trova le ombre: dune ingiallite, coste vuote, volti segnati dalla fatica. Nel frattempo il turismo esplode, con gli italiani in vacanza che raddoppiano tra il 1959 e il 1965, rendendo così il reportage una doppia testimonianza, l’istantanea di un Paese che cambia, e l’addio a un mondo che scompare.
    Quaranta anni dopo è Philippe Séclier a provare a rifare lo stesso viaggio, reportage pubblicato da Contrasto, e ancora nel 2024 ci pensa un tedesco, Michael Ernst, per un volume pubblicato da teNeus con foto di Paul Almasy.

    Anche lui, nel percorrere sessantacinque anni dopo “la lunga strada di sabbia” passa da Cutro, scrivendo sulla Frankfurter Allgemeine: «Anche io mi sento come nella scenografia di un film western. Nessuno per strada, voci di uomini rumorose dietro una porta solo accostata, mentre si sporge il viso di una donna di almeno cento anni che chiude rapidamente la persiana quando mi vede guardare verso di lei. Non resterò un’ora in questo posto, anzi nemmeno mezza!». Come dire, la stessa impressione, sessantacinque anni dopo, di un luogo che non appartiene al presente.

    CUTRO E LA SUA TRAGEDIA

    Nel frattempo, Cutro è tornata sulle pagine dei giornali, e non per una polemica letteraria, ma per una tragedia: la strage di migranti, novantaquattro morti, a Steccato di Cutro, nel febbraio 2023. Le stesse coste dove Pasolini vedeva i “banditi” sono diventate la frontiera del dolore di altri “banditi” del mondo contemporaneo.

    C’è qualcosa di spaventosamente coerente in tutto questo. Se nel 1959 Pasolini veniva accusato di aver insultato la Calabria per averne descritto la povertà, nel 2023 quella stessa costa è teatro di un’altra forma di povertà, non più interna, ma globale.
    Forse aveva ragione lui quando scriveva che «la realtà non si può velare» e che il compito di chi guarda, di chi viaggia, scrive o fotografa non è consolare, ma disturbare.
    Sessantacinque anni dopo, la Calabria continua a essere un luogo che «impressiona», per usare le sue parole, solo che adesso, a impressionarci, non è più la parola “banditi”. È la realtà, nuda e disperata, che ancora ci assedia.

    di Attilio Lauria

  • La Calabria che Mimmo Jodice ci ha insegnato a guardare

    La Calabria che Mimmo Jodice ci ha insegnato a guardare

    Ebbene sì, c’è un autore che era già stato in Calabria prima del festival di fotografia di Corigliano, quello che ha reso la nostra regione una tappa ineludibile della grande fotografia contemporanea. Ospite della Fondazione Napoli Novantanove, Mimmo Jodice ha ripercorso a fine millennio il viaggio di Norman Douglas, raccontato nel 1915 dallo scandaloso, quanto raffinato scrittore inglese in Old Calabria, diario di viaggi nell’antica Calabria, da Lucera al Salento, ma non solo. Come suggerisce il titolo del libro di Jodice, Old Calabria e i luoghi del Grand Tour, il suo percorso fotografico si muove fra le tracce di altri scrittori in viaggio, da George Gissing a Henry Swinburne, Alexandre Dumas, Edward Lear e Francois Lenormant, solo per citarne alcuni.

    Fuori dalla contemporaneità

    E dunque è una Calabria che evoca un tempo altro dalla contemporaneità quella di Jodice, le cui atmosfere sospese, dense di silenzio, inducono alla riflessione, a “perdersi a guardare”, secondo la frase di Fernando Pessoa che il Maestro ha trasformato nel tempo in poetica dalla felice cifra stilistica: «Osservare, indagare con gli occhi, con la mente, perdermi a guardare, contemplare, immaginare, cercare visioni oltre la realtà», scriverà nella biografia pubblicata da Contrasto il cui titolo, Saldamente sulle nuvole, è una citazione di quell’Ennio Flaiano che «l’arte è un modo di tenere i piedi poggiati saldamente sulle nuvole».

    Le immagini dei Bronzi di Riace

    È questa lentezza dello sguardo di Jodice, caparbiamente lontano dal virtuosismo dell’attimo decisivo bressoniano, che sottrae il viaggio alla dimensione documentaria per affidarlo ad un’interiorità visionaria e contemplativa, fino a trasformare la realtà in una sorta di paesaggio dell’anima, capace di accarezzare le nostalgie della memoria. Memoria che è soprattutto identità, in questa nostra parte di Mediterraneo vista come luogo di radici e stratificazioni che riprendono vita nelle immagini di certi luoghi o architetture. Tracce di identità altrimenti consegnate all’oblio, la cui ricerca è proseguita poi qualche anno più tardi con le immagini dei Bronzi di Riace, realizzate per la campagna fotografica affidatagli dalla Regione Calabria.

    Uno scatto di Mimmo Jodice a Santa Severina (KR)

    Jodice non fotografa la Calabria, la ascolta

    Come tra volto e anima, per Jodice c’è un legame indissolubile fra dimensione esteriore e interiore che caratterizza tutto ciò che riguarda il Sud, dove “si fondono bellezza scenografica del paesaggio e dimensione sociale che viene dal passato”, come dirà in un’intervista.
    E forse è questo, in fondo, il dono più grande che Mimmo Jodice ci ha lasciato: aver guardato la Calabria non come un “altrove” da raccontare, ma un luogo dove la bellezza non è mai solo estetica, ma memoria viva, carne e spirito.

    Da calabrese, non posso che riconoscere in quelle immagini il respiro lento della mia terra, la luce che indugia sulle pietre, il silenzio che sa dire “più di mille parole”, la malinconia che da noi è una forma d’amore. Jodice non fotografa la Calabria per spiegarla: la ascolta. E in quello sguardo sospeso, tra mare e montagna, tra mito e realtà, ci restituisce l’essenza di ciò che siamo: un popolo che resiste al tempo, ancorato alla propria storia ma sempre, ostinatamente, con i piedi poggiati sulle nuvole.

    Mimmo Jodice