Categoria: Cultura

  • Il buco: la Calabria più profonda sul red carpet a Venezia

    Il buco: la Calabria più profonda sul red carpet a Venezia

    Poche cose sono potenti come il desiderio della scoperta e nei primi anni ’60 in Calabria l’ignoto era anche rappresentato dal “Buco”, l’imperscrutabile voragine ai bordi della vecchia strada che conduce da Cerchiara a San Lorenzo Bellizzi. Quel “Buco” oggi è il titolo dell’ultimo film di Michelangelo Frammartino, regista, autore e documentarista, approdato con la sua opera sull’Abisso del Bifurto alla Biennale del Cinema di Venezia.

    L’impresa

    Ma prima di finire sul grande schermo, il Bifurto è stato per un tempo lunghissimo solo una voragine temuta, per diventare poi oggetto di esplorazione. Era il 1961, quando una pattuglia di giovani speleologi piemontesi partì alla volta della Calabria. Un viaggio interminabile, considerato che nel luglio dello stesso anno l’autostrada del Sole finiva a Salerno. Di lì in poi era avventura pura. La Calabria era terra arcaica con le sue montagne, le stradine strette, le greggi che le attraversavano. E quando guidati da un pastore arrivarono sull’orlo del Bifurto i ragazzi capirono che quel buco non finiva mai.

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    Lo storico primo ingresso degli speleologi piemontesi nella grotta

    Settecento metri circa di profondità, più del doppio dell’altezza della Torre Eiffel. Una sequenza interminabile di pozzi la cui verticalità è perfetta, con pareti levigate dal lavorio millenario dell’acqua e delle ere geologiche, che avevano lasciato segni e fratture come tracce indelebili di quanto antico fosse quel luogo.
    Perfino gli esperti piemontesi, che avevano visto le grotte di mezza Europa, rimasero disarmati davanti a tanta potenza. L’Abisso resistette al primo assalto e l’esplorazione non fu conclusa, era troppo profonda la grotta. Ci volle l’anno successivo per arrivare in fondo al buco e completarne l’esplorazione.

    Un incontro fondamentale

    Il film su quella storia di avventura e passione muove i primi passi anni fa. Frammartino arriva in Calabria per girare Le quattro volte, film sulla fatica e la solitudine delle terre marginali come la Calabria. In quella occasione incontra Nino La Rocca, anima e fondatore del Gruppo speleologico lo Sparviere. La Rocca conduce Frammartino sul bordo dell’Abisso e quella voragine rapisce l’anima del regista.

    In realtà, quando cominciano le riprese il Bifurto non ha già più segreti. «La prima vera esplorazione, dopo quella dei piemontesi, avviene nel ’77, assieme ai migliori speleo calabresi», racconta Nino La Rocca. L’anno dopo, aggiunge, attorno al Bifurto ci fu un campo speleo cui parteciparono gruppi provenienti da tutta l’Italia. In quella occasione si cominciò a realizzare il rilievo della grotta, oltre che ad aprire nuove vie laterali.

    Dove è sempre notte

    Questo luogo, pur esplorato, continua a mantenere intatta la sua seduzione, con il buio perfetto ed eterno, il consueto pipistrello a fare da guardia all’ingresso del primo pozzo, l’acqua che scivola eterna sulle pareti. Ma aveva bisogno di un cantore. Questo compito è toccato a Frammartino, che prendendo in prestito l’avventura dei piemontesi ha narrato il mistero nascosto, il fascino della «cattedrale», come lui stesso ebbe a chiamare l’Abisso.

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    Un fotogramma del film di Frammartino

    «Questo film – ha spiegato il regista – nasce proprio dall’incontro con il territorio e con Nino La Rocca». E per raccontare questo lembo di Calabria segreta la troupe ha sfidato il buio, la perdita della percezione del tempo che viene stando in un luogo dove è sempre notte, l’isolamento.
    «Ho voluto raccontare la storia di un gruppo di speleologi che, in pieno boom economico, hanno deciso di scendere nel Sud ed immergersi nel buio di una grotta», ha aggiunto Frammartino.

    Il tempo fatto pietra

    Il lungometraggio ha visto il prezioso contributo di Renato Berta, che ne ha curato la fotografia e che in passato ha lavorato con maestri come Godard e Rohmer. La coniugazione tra la pulsione creativa e la magia di luoghi come i Piani di Pollino, il Raganello di Civita, l’arcaicità di San Lorenzo Bellizzi, hanno dato vita ad un racconto cinematografico potente e suggestivo, in grado di restituire per intero il fascino selvaggio che emanano quegli spazi ancora per molti versi immacolati.

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    Uno speleologo in azione lungo le pareti dell’Abisso del Bifurto

    Oggi quei luoghi lontani dalla ribalta sono stati scoperti dalle pagine dei giornali nazionali grazie al lavoro di Frammartino e questa è una buona cosa per favorire una narrazione della Calabria fuori dagli stereotipi. Ma la cosa straordinaria è che quando le sole luci che resteranno in quei pozzi profondi bui e bagnati saranno quelle sulla testa dei matti che ci scenderanno, allora sfiorare ancora con la mano nuda la parete di uno di quei pozzi riconsegnerà intatta la sensazione di avere toccato il tempo che si è fatto pietra.

  • Lina, una Rosa con le spine che pungono le mafie

    Lina, una Rosa con le spine che pungono le mafie

    Da ospite di una casa famiglia ad attrice protagonista del film Una femmina, che già suscita interesse ancor prima di uscire nelle sale cinematografiche. Poco più che ventenne, nata a Cariati, cresciuta a Cosenza nella struttura d’accoglienza “Madre Elena Aiello”, le suore ricordano Lina Siciliano con sincero affetto. E ne rimarcano la grande maturità nell’accompagnare la crescita dei suoi sei fratelli minori, anch’essi “figli” di una casa che da ormai quasi un secolo è divenuta famiglia per tantissimi minori in difficoltà.

    Una nuova vita

    Diretto dal regista Francesco Costabile, prodotto da Attilio De Razza, Pierpaolo Verga e Giampaolo Letta di Medusa, Una femmina è ispirato al libro Fimmine ribelli (Rizzoli) di Lirio Abbate, che insieme ad Edoardo De Angelis ne è anche sceneggiatore. Lina Siciliano interpreta Rosa, la ragazza che concentra nella propria vicenda le storie di donne calabresi ribelli alla ‘ndrangheta. In particolare, la tragedia di Maria Concetta Cacciola, collaboratrice di giustizia, uccisa nel 2011 dai suoi parenti che la costrinsero ad ingerire acido muriatico.

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    Lina Siciliano

    Lina oggi si è trasferita a Napoli, dove vive una storia d’amore con Fabio, uno stupendo ragazzo, e insieme hanno messo al mondo un bellissimo figlio. Non si è montata la testa. «Certo che mi piacerebbe continuare a fare l’attrice – spiega Lina – ma per il momento la mia è una vita fatta anche di sacrifici che sono orgogliosa e felice di compiere. Sono mamma quasi a tempo pieno. Ogni mattina lavoro come cassiera in un supermercato e il pomeriggio dedico tutta me stessa al bambino. Con un’entrata sola, non si riesce a farcela, così siamo in due a lavorare».

    Dalla casa famiglia al set

    L’esperienza in casa famiglia fortifica il carattere, ma rende laceranti sia i vuoti di affetto che le assenze materiali di beni e mezzi per condurre un’esistenza dignitosa. «Quando qualcosa manca – prosegue – lo si sente ancor di più. Io sono molto grata al regista Francesco Costabile che venne in casa famiglia per il casting. Dopo un primo provino, ce ne furono un secondo e un terzo. Alla fine arrivò una telefonata e seppi che ero stata scelta per interpretare Rosa, la protagonista di Una femmina. Un’altra persona fondamentale durante la realizzazione del film, che mi è stata molto vicina nel training, è la mia coach Assunta Nugnes».

    Per Lina non è stato difficile immedesimarsi nel personaggio: «Rosa ha avuto il coraggio di riscattarsi ed uscire dalla bolla, dalla prigione familiare, in cui si trovava. Dopo aver scoperto, grazie al suo intuito, la terribile verità che le era stata nascosta sin da bambina, ha trovato la forza di emergere dal marciume, con ogni mezzo necessario».

    Genitori degeneri e figli migliori di loro

    Il familismo ‘ndranghetista spesso contribuisce ad arruolare quei giovani che non hanno avuto solidi riferimenti familiari in fase di crescita. «Non bisogna però pensare che tutti abbiano lo stesso destino. Sono diverse – precisa Lina – le storie dei ragazzi allevati in casa famiglia. Non sempre si tratta di situazioni difficili provocate da condizioni di indigenza economica. A volte ci sono persone incapaci di dare affetto ai propri figli. Alcuni genitori non avrebbero voluto neanche generarli. Così, nella loro mentalità degenerata, le strutture d’accoglienza diventano discariche. Vi gettano queste giovanissime vite, tanto poi ci sarà qualcuno che provvederà a crescerle. Io ancora oggi non riesco a spiegarmi come si possa lasciare un figlio, una parte di sé. Però non è detto che i bambini abbandonati in casa famiglia debbano poi somigliare, nello stile di vita e nelle scelte, ai propri genitori».

    Non ha cattivi ricordi degli anni trascorsi con le suore del “Madre Elena Aiello”. «Al contrario, nella memoria conservo momenti bellissimi. È chiaro – chiarisce Lina – che ogni ospite sente la mancanza dell’amore che solo un papà e una mamma possono trasmettere. Manca il bacio della buonanotte, mancano i sentimenti più vivi, quelli primordiali. Eppure noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare educatrici che ci hanno trattato come se fossimo davvero figli loro. A me hanno dato la possibilità, oltre che di andare a scuola, anche di iscrivermi ai corsi di danza e all’università».

    Una spina che punge la ‘ndrangheta

    La parola passa ora alle sale cinematografiche ed ai festival. Il primo grande appuntamento è a Berlino, dove a febbraio 2022 alla presentazione ha riscosso il successo della critica e dei presenti. Dal 17 febbraio farà il debutto nelle sale italiane. Se anche il grande pubblico gradirà Una femmina, il volto di Lina Siciliano potrebbe assurgere a simbolo delle Calabrie come terre capaci di ribellarsi, non proprio identificabili con la regione che ha finanziato un costosissimo cortometraggio del regista Gabriele Muccino. A riflettersi nello sguardo austero e deciso di Rosa, piuttosto, sarebbe la terra di Marcello Fonte, cresciuto nel quartiere Archi di Reggio Calabria, premiato nel 2018 a Cannes per la sua magistrale interpretazione del “Canaro” in Dogman. E, forse, le spine di questa Rosa potrebbero anche contribuire a graffiare la millenaria egemonia culturale delle ‘ndrine.

     

     

  • Teatro e cultura, l’Atene della Calabria non c’è più

    Teatro e cultura, l’Atene della Calabria non c’è più

    «Bambole, non c’è una lira», diceva – a conclusione di una vecchia trasmissione della Rai – l’impresario di avanspettacolo rivolgendosi agli attori della compagnia in teatro. In modo più sobrio e burocratico, la stessa cosa dice il Comune di Cosenza riferendosi alla cultura. Lo dice con pochissime righe, quasi nascoste tra le molte pagine della “Nota integrativa al bilancio di previsione stabilmente riequilibrato”, recitando testualmente che per quanto riguarda il Settore delle manifestazioni culturali, «I capitoli di bilancio, nonostante l’importanza che la spesa riveste in una Città capoluogo di provincia come Cosenza, sono stati di fatto azzerati». In realtà queste laconiche parole certificano una Caporetto della cultura cittadina che è sotto gli occhi di tutti da almeno un decennio. Esattamente dall’inizio dell’epopea dell’amministrazione Occhiuto.

    Il teatro ridotto a scatola vuota
    Saracinesche abbassate al Morelli: il Comune ha disdetto il contratto d agosto 2020 per risparmiare dopo la dichiarazione di dissesto

    Il declino delle manifestazioni culturali e specificatamente delle attività tetrali, ha sempre fatto i conti con un problema di risorse economiche, ma anche con la mancanza di una visione culturale. Perché – come spiega Ernesto Orrico, attore, autore e regista teatrale – «se i luoghi dove fare cultura ci sono, ma restano privi di senso, sono sole scatole vuote di cemento». E di «scatole di cemento», ce ne sono almeno tre in città. La prima è il Teatro Tieri (ex Cinema Italia), chiuso per inagibilità e diventato all’esterno luogo di rappresentazione della povertà, accogliendo sotto il portico alcuni clochard. Poi c’è il Teatro Morelli, per il quale il Comune ha rescisso il contratto di affitto. Infine, il più celebrato Rendano.

    Un simbolo sbiadito
    L’ingresso del teatro Rendano

    Il Rendano è stato da sempre un simbolo della città di Cosenza e della sua borghesia che voleva rappresentarsi colta, illuminata, progressista. Negli album privati delle famiglie importanti si potrebbero trovare certamente foto in bianco e nero di platee e palchi gremiti, di signore in lungo e uomini in rigoroso abito scuro, in occasione delle attese inaugurazioni delle stagioni liriche. Era salotto dove apparire, ma era anche testimonianza di presenza culturale.
    All’inizio del decennio manciniano il Rendano è ancora in restauro e Mancini imprime una accelerazioni dei lavori per poterlo riaprire prima possibile. Inizia così una lunga stagione di successi, sotto la guida di Maurizio Scaparro e poi di Italo Nunziata. Il Rendano conquista un posto di rilievo nel panorama nazionale e diventa punto di riferimento per gli appassionati assieme al San Carlo di Napoli. Sono anni intensi, di attività di pregio e di premi, con il record di abbonamenti.

    La crisi degli ultimi anni

    Segue il periodo sotto l’amministrazione di Salvatore Perugini, che affida il teatro ad Antonello Antonante. Sono anni di lavoro, anche se si cominciano a sentire il peso della difficoltà a reperire fondi. Poi giunge l’ultimo decennio, la guida viene affidata ad Albino Taggeo, ma non dura molto, sostituito poi da Isabel Russinova e successivamente dal musicista cosentino Lorenzo Parisi, che poi sarà nelle liste a sostegno della candidatura di Occhiuto. Il declino è precipitoso, le stagioni musicali non reggono il confronto col passato. Alla fine il Rendano viene anche affidato ai impresari privati, che portano spettacoli buoni per il botteghino, ma senza pretese culturali.

    Dalla Fondazione all’illuminazione

    Il resto è una storia di mera sopravvivenza, soffrendo la «mancanza di progettualità», come spiega ancora Ernesto Orrico. La lirica è scomparsa, malgrado il passato prestigioso, perché il teatro non ha potuto partecipare ai bandi e dunque non ha attinto alle risorse. La ragione, secondo Orrico, è da cercarsi nell’inadeguatezza del Comune, l’ente che governa il Rendano senza visione e capacità organizzativa. «Servirebbe una Fondazione, agile, competente, con un progetto vivace», prosegue Orrico. La reputava necessaria anche Giampaolo Calabrese, all’epoca dirigente del settore Cultura a Palazzo dei Bruzi. E ne annunciò pure la nascita, cosa alla fine mai avvenuta come per la Biblioteca Civica.

    Luminarie natalizie a Palazzo dei Bruzi

    «Quel luogo non è mai stato una priorità», dice sconsolato il regista cosentino, lamentando l’assenza di attenzioni e interessi in grado di catalizzare fondi e risorse necessarie.
    Eppure in questo decennio di denaro ne è stato speso moltissimo, per esempio in luminarie. Segno di cosa questa amministrazione intenda per priorità culturali.

    L’ultimo valzer

    Intanto i nodi della congiuntura e della distrazione della politica che dovrebbe accudire la cultura, stringono inesorabilmente la gola dello storico Teatro dell’Acquario. A dispetto della tenacia e della volontà di esistere, l’Acquario sembra ad un passo dalla chiusura, dovendo fare i conti con debiti e una procedura di sfratto. «Avevamo già programmato la stagione di Teatro per ragazzi, l’anno accademico 21/22 e la produzione di nuovi spettacoli. L’Acquario, finché sarà possibile, svolgerà la sua funzione in quest’ultimo giro di valzer». Queste le parole dei protagonisti di quello spazio teatrale nato dalle ceneri dell’indimenticato tendone del Teatro di Giangurgolo, che si trovava molti anni fa nello spazio ora occupato dall’edificio dell’Ubi Banca.

    Non restano intentate le ultime strade da percorrere, con interlocuzioni richieste presso chi al Comune si occupa di cultura, ma anche cercando di coinvolgere privati, ma la minaccia che un notevole patrimonio cittadino vada perduto è più che concreta, aumentando l’impoverimento di una comunità intera.

     

     

     

     

     

  • Civica, 10 milioni per salvare il tesoro di Cosenza dall’oblio

    Civica, 10 milioni per salvare il tesoro di Cosenza dall’oblio

    La Biblioteca Civica è uno scrigno prezioso che custodisce al suo interno un patrimonio librario a stampa e manoscritto di oltre 250mila testi. Difficilissimo riuscire ad avere un catalogo aggiornato. Perché? Non esiste, mai fatto per mancanza di personale specializzato. Un grande limite, che nel corso degli anni ha consentito la sottrazione di diversi testi senza che la direzione della Civica avesse piena contezza del maltolto. Un elenco in questi anni ha provato a stilarlo la giornalista cosentina Francesca Canino. Tra i titoli rubati figurano:

    • Telesio B., La Philosophia, Napoli, 1589;
    • Manilius M., Poetae clariss. Astronomicon ad Caesarem Augustum, Lugduni, 1566;
    • Tasso T., Le sette giornate del mondo creato, Venezia, 1608;
    • Tasso T., Il Rinaldo, Milano, 1618;
    • Galenus C., Ars medicinalis. Nicolao Leonicino interprete, Venezia, 1538;
    • Hippocrates, Aphorismi, cum Galeni. Commentariis Nicolao Leoniceno…, Venezia, 1538;
    • Galilei G., Dialoghi, Firenze, 1632;
    • Galenus C., De usu partium…, Lugduni, 1550;
    • Sallustio con altre belle cose. Volgarizzate per Agostino Ortica della Porta, Venezia, 1531;
    • Privilegi et capitoli della città di Cosenza, Napoli, 1571;
    La Civica custodisce secoli di cultura
    Alcuni corali di proprietà della Civica, restaurati di recente dal Mibact

    Fanno ancora parte del tesoro della Civica corali miniati del XVI-XVII secolo; testi manoscritti filosofici autografi del 1500, 1600 e 1700; carteggi privati; pergamene di epoche dal Rinascimento all’Illuminismo; incunaboli (tra cui un San Tommaso); una raccolta imponente della produzione tipografica italiana e straniera del Seicento.
    Al suo interno si trovano fondi monastici, opere antiche e rare a stampa di diversi ordini religiosi, sia cittadini che dei dintorni, oggi ormai soppressi.

    Tra i fondi religiosi anche uno liturgico, costituito da trenta codici musicali membranacei del ‘500 arricchiti da artistiche miniature fatte a mano.
    Presente anche un fondo diplomatico costituito da 54 pergamene, un insieme di bolle, atti privati, testamenti, costituzioni di date e censi, tutti di epoche comprese tra la fine del ‘200 e la metà del ‘700. Costituiscono per lo studioso un unicum nel loro genere.

    Le donazioni dei privati alla Civica

    Diversi i fondi privati, tra i più importanti quelli Salfi, Muzzillo, Conflenti e De Chiara. Il primo comprende circa 12.000 pezzi fra volumi anche di edizioni del ‘500 e del ‘600, opuscoli, riviste e giornali. Riguardano prevalentemente letteratura, storia, arti, viaggi, teatro. E contengono collezioni di classici antichi e moderni, grandi enciclopedie e trattati generali. Il fondo Muzzillo comprende oltre 5.000 volumi di letteratura, archeologia e storia dell’arte. Al suo interno, diverse edizioni di classici antichi e moderni, più numerose pubblicazioni periodiche e una ricca dotazione di opuscoli, in gran parte sulla Calabria.

    Il fondo De Chiara, ereditato sin dal 1929, consta all’incirca di 2.500 esemplari. Tra di essi, testi di letteratura italiana, di storia, di arte e di critica letteraria. Di grande rilevanza è anche una raccolta di opuscoli della critica dantesca.
 Si aggiungono le dotazioni dei fondi Guarasci e Muti e di quelli, più recenti, Rendano e Campagna, con molti libri e lettere autografe di pregio. È andato distrutto invece, durante la seconda guerra mondiale, il fondo Zumbini di circa tremila testi tra volumi e opuscoli. Tra i fondi speciali detenuti dalla Civica di fondamentale importanza è la sezione dedicata alla Calabria, ricca di libri, giornali e altri materiali riguardanti la storia, la cultura e la civiltà calabrese nelle sue diverse sfaccettature.

    Non ci sono solo opere antiche, però. Ai fondi di ricerca e conservazione si affianca infatti anche una dotazione libraria moderna di cultura generale di grande spessore bibliografico costantemente aggiornata, con una larga presenza di libri sulle scienze umane e sociali. La Biblioteca Civica dispone di una vasta emeroteca. Comprende oltre 2000 testate fra riviste e giornali, che spaziano tra storia, letteratura, filosofia, arte, scienze dell’educazione, teatro, cinema, diritto, economia, informazione.

    I cinque milioni per il Comune
    Alcuni dettagli del progetto per la Civica presentato al Governo da Palazzo dei Bruzi

    Le porte della Civica sono chiuse però da oltre un anno e mezzo, prima per la pandemia e ora per evidenti deficit strutturali. Per salvare quel che ne resta e renderlo finalmente fruibile si attendono i 10 milioni del CIS (Contratto Istituzionale di Sviluppo), parte dei 90 destinati al centro storico. Si prevedono due progetti di recupero e valorizzazione della biblioteca. Il primo, in capo al Comune di Cosenza, promette adeguamento sismico, efficientamento energetico e rifunzionalizzazione della Civica. Prospetta la riorganizzazione e il rinnovamento dell’intero sistema bibliotecario attraverso l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Il progetto contempla inoltre la realizzazione di spazi di allestimento espositivi e di percorsi di visita accessibili a tutti. Parla di modalità innovative di fruizione e di realizzazione dei servizi per la gestione e cura del bene, integrati da un opificio di digitalizzazione, restauro e conservazione del libro e della pergamena. Il finanziamento complessivo ammonta a quasi 5,1 milioni di euro.

    Il polo pensato dal Mic

    Il secondo progetto, proposto dal Mic, implica restauro, conservazione e rifunzionalizzazione del complesso di Santa Chiara. Al suo interno si pensa di creare un polo orientato alla promozione della lettura e alla comunicazione culturale mediante la conservazione e valorizzazione del patrimonio cartaceo della Civica. Il polo in questione sarebbe destinato a interfacciarsi con quelli delle altre città beneficiarie di un Cis: Napoli, Taranto e Palermo. Il finanziamento, anche in questo caso, è di circa 5 milioni.

    Anna Laura Orrico, all’epoca sottosegretario ai Beni culturali, sigla il Cis a settembre del 2020
    La politica litiga

    Al ministero sono pronti a nominare il Ruc, responsabile unico del contratto istituzionale di sviluppo. Manca solo il via libera da Invitalia, che però per procedere attende parte della documentazione da Comune, Provincia e Segretariato regionale del Mic. Il più in ritardo pare essere Palazzo dei Bruzi, che non ha brillato per celerità nemmeno nella fase propedeutica alla firma del Cis. Un film già visto, dunque, col consueto corredo di polemiche politiche a riguardo. Le vecchie diatribe sui soldi in arrivo per il centro storico tra Morra e Occhiuto hanno lasciato il posto a quelle sull’iter burocratico tra Anna Laura Orrico e il vice sindaco Francesco Caruso. Quest’ultimo già l’anno scorso si era scontrato a lungo sui presunti ritardi del Comune con il democrat Carlo Guccione. Cambiano i nomi, non la sostanza. E mentre i partiti litigano, i dubbi sull’arrivo dei dieci milioni aumentano.

     

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  • Trent’anni di solitudine, per la Civica è profondo rosso

    Trent’anni di solitudine, per la Civica è profondo rosso

    Il pianto del coccodrillo. È paradossale come Provincia e Comune si siano strette al capezzale della Civica, la biblioteca che custodisce l’inestimabile patrimonio librario della città sin dal 1871, dal momento che sono le stesse istituzioni che hanno contribuito al suo crack economico.
    Un milione e 63mila euro, il rendiconto economico della Civica al 31 dicembre 2020 segna un passivo monstre. A farla da padrone sono i debiti con dipendenti, fornitori e demanio. Gli unici creditori, invece, sono Provincia e Comune di Cosenza, che da statuto avrebbero dovuto versare rispettivamente 80mila e 120mila euro ogni anno. Solo che nel tempo i versamenti sono diventati sempre meno cospicui e frequenti. E così si è generato il buco, non solo economico, della Civica.

    Il dissesto colpisce ancora

    Ad oggi la Provincia deve complessivamente 48.509 € riferiti alle annualità 2018 e 2019. Più indietro nei pagamenti il Comune di Cosenza, complice anche la procedura di dissesto finanziario. Da decine di mesi non versa un quattrino e dal 2018 ad oggi Palazzo dei Bruzi ha accumulato un debito di 261mila euro.
    Il sindaco Occhiuto ha precisato più volte di avere erogato, dal suo insediamento nel 2011 ad oggi, alla Civica 1 milione 426mila euro, di cui 104mila nel 2018 solo di arretrati. Attualmente, i contributi del 2019 (106mila euro) sono oggetto di insinuazione alla massa passiva. Sarà la commissione straordinaria di liquidazione ad occuparsene e comunque saranno trattati come un normale credito a beneficio di terzi. Tradotto: nel migliore dei casi alla biblioteca andrà la metà del dovuto. Sempre che i commissari ritengano legalmente obbligatorio saldare parte degli arretrati all’ente morale. Sui versamenti 2020 e 2021 è buio pesto.

    C’è l’allarme debiti, non quello antifurto

    La metà dei debiti della Biblioteca – 556mila euro – spetta al Demanio per canoni di locazione non versati cui vanno aggiunti i 79mila euro per il passaggio della Civica alla Provincia avvenuto nel 2020. Seguono quelli con il personale, che tra stipendi arretrati dal 2019, tfr, contributi, quote sindacali e coattivo Inps, arrivano a 352mila euro. Sono 57mila, accumulati tra il 2014 e il 2020, gli euro che spetterebbero invece alla società che assicura la struttura e il patrimonio librario. Dal 2018 si trascina un debito di 14mila euro per l’impianto di non intrusione, difatti la Civica al momento è sprovvista di sistema d’allarme. Nello stesso periodo è stata erogata una consulenza del valore di 15mila euro ma non è stato possibile risalire al beneficiario. Riscossioni fermo al 2017 a 52mila euro e le spese per la vigilanza e la manutenzione degli impianti ferme al 2018 con un paradossale saldo zero.

    La scure dell’Agenzia delle Entrate

    Non compiutamente rendicontata, invece, è l’entità del debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Che però pesa come un macigno sulle possibilità di ripresa della Civica: eventuali contributi destinati al conto della biblioteca sarebbero intercettati dal fisco e dagli istituti previdenziali prima di arrivare in piazza XV marzo. È successo anche con i fondi – un contentino da circa 35mila euro – stanziati qualche anno fa dalla Regione quando in Giunta sedeva l’assessore Corigliano, mai incamerati dalla struttura cosentina.
    In queste condizioni, le spese aumentano e il debito è fatalmente destinato ad ingrossare. La politica litiga sul futuro della Biblioteca. Nell’attesa della statalizzazione e di due progetti di rilancio finanziati di recente, le associazioni provano a dare una mano con una campagna di crowdfunding internazionale senza nascondere mire ambiziose. Ma mentre il medico studia il malato rischia di morire. Tutti dicono di voler salvare la Civica, ma coi soldi di qualcun altro.

    Trent’anni di solitudine

    Il rischio chiusura per default non è una novità per la Civica. Il primo grido d’allarme a riguardo risale all’aprile 1990, trentuno anni fa, e a lanciarlo fu l’allora Cda della Biblioteca cosentina.
    La prova è in una lettera indirizzata ai candidati di Regione, Provincia, Comune e Circoscrizione, firmata da Giacinto Pisani, Fausto Cozzetto, Franco Crispini, Wanda Lombardi, Gustavo Valente e Luigi Gullo. I sei denunciavano l’insostenibilità economico-finanziaria della Civica con i soli contributi di Comune, Provincia e Regione. Quei soldi, scrivevano, bastavano a coprire appena il cinquanta per cento delle spese di gestione. E avevano sempre avuto «la caratteristica del più burocratico e disattento adempimento». Un controsenso, vista l’importanza di quella struttura che aveva poche eguali nel Meridione.

    La lettera inviata ai candidati dal Cda della Civica nel 1990

    Una lunga decadenza

    Nel corso degli anni, alle perdite economiche si sono aggiunte importanti perdite nel patrimonio librario. Nel 1998, sotto la direzione Pisani, sono stati trafugati cinquanta testi rari scritti a mano dai monaci tra il Cinquecento e il Settecento di inestimabile valore culturale ed economico. Dove siano finiti è un mistero ancora irrisolto. Una storia di decadenza civile che fa il paio con quella strutturale. Nel 2010 a causa del «precario stato di conservazione dei fondi antichi della Biblioteca» la Soprintendenza ha proposto l’istituzione del deposito coattivo presso l’Archivio di Stato per il riordino e la ristrutturazione della sede.

    La missiva della Soprintendenza
    Oggi la struttura della Biblioteca presenta danni al tetto e durante i temporali piove dentro. I due dipendenti (sui 27 previsti dalla pianta organica) rimasti a dar man forte all’attuale direttrice Gentile, non possono nemmeno lavorare. La Civica non rispetta gli standard minimi di sicurezza. E così aspettano la pensione, tra decine di stipendi arretrati accumulati, sperando nell’Inps per recuperare parte di ciò che le istituzioni locali hanno loro negato.
  • Civica allo Stato? La politica si divide, l’Accademia sogna

    Civica allo Stato? La politica si divide, l’Accademia sogna

    Il presidente dell’Accademia cosentina, Antonio D’Elia, ne è convinto: la Civica si salva solo se si statalizza. Nei piani ottimistici dell’accademico entro due anni l’operazione si dovrebbe concludere con l’istituzione di una Sezione Civica della Biblioteca Nazionale di Cosenza. A spiegare il da farsi è l’avvocato Antonio Gerace: «Per poter avviare la procedura di statalizzazione è necessario saldare prima i debiti. Su questo lo Stato non transige. Posto che si riesca a sanare il deficit, il procedimento prevede cinque step: parere favorevole del Consiglio comunale e di quello provinciale; delibera dirigenziale Mibact o decreto ministeriale; parere del Cda della Civica; scioglimento dell’ente morale e trasformazione della Biblioteca in sezione Civica della Biblioteca Nazionale». Non esattamente il più rapido degli iter burocratici per una struttura ridotta alla canna del gas.

    Oneri allo Stato, onori all’Accademia

    Morta la vecchia Civica, resterebbe in vita l’Accademia Cosentina. Che di lasciare il passo proprio non ne ha intenzione. Saldati tutti i debiti pregressi – salvo un provvidenziale e sperato condono – tutti gli oneri resterebbero in capo al Mibact (lavoratori, manutenzione, etc.) mentre gli onori all’Accademia. Che, estromessi Comune e Provincia, si aprirebbe all’associazionismo cittadino mantenendo il controllo sul patrimonio librario in qualità di comitato scientifico. Oltre alla valutazione di tutte le opere da acquisire, manterrebbe la paternità sui circa 250mila volumi attualmente presenti che resterebbero nella sede di piazza XV marzo perché beni vincolati dalla Soprintendenza e inalienabili. Il pennacchio sarebbe salvo, gli scempi delle passate gestioni a braccetto con gli enti locali un ricordo da non rinverdire.

    Il bluff a Santa Chiara per risparmiare sull’affitto
    L'ingresso del complesso di Santa Chiara
    L’ingresso del complesso di Santa Chiara

    Qualcosa di simile è già accaduto di recente. Il 24 luglio 2020 il Mibact-Segretariato regionale per la Calabria ha acquisito il Complesso di Santa Chiara, costola della Civica, dall’Agenzia del Demanio. Questo passaggio ha consentito alla Biblioteca di non avere più l’onere di versare i 7000 euro di canone di affitto mensile per la struttura. In che modo? Grazie a un successivo accordo, si è prevista la cessione per un controvalore simbolico di 79mila euro del complesso di Santa Chiara alla Provincia. Il patto non cancella i debiti nei confronti del Demanio, ma almeno non ne genera di nuovi. «Un bluff» lo ha definito il presidente della Provincia, Franco Iacucci, che, se fosse stato fatto per tempo, avrebbe consentito un risparmio di 600mila euro invece di creare un debito di pari entità. Nessuno, però, ci ha pensato prima, neanche Occhiuto che pure per un breve periodo ha guidato contemporaneamente sia il Comune che la Provincia. O, se lo ha fatto, ha aspettato a lungo prima di passare dalle idee ai fatti. Intanto il debito aumentava.

    Civica allo Stato? I debiti non si cancellano

    Il professore Gimigliano propone «l’iscrizione della Civica nel registro dell’Unesco come patrimonio culturale del mondo». L’ipotesi che sia ancora lo Stato a levare le castagne dal fuoco, d’altra parte, al momento non è affatto scontata come si potrebbe credere. Chiare a riguardo le parole di Anna Laura Orrico, ex sottosegretario di Stato ai Beni e le Attività culturali del Governo Conte: «La statalizzazione non risolve la problematica debitoria pregressa. Tale evenienza può verificarsi solo nel momento in cui i soggetti che governano la Civica esprimono in maniera formale una volontà precisa in tal senso». Il Governo ha già stanziato 10 milioni per la biblioteca, chiedere anche che a Roma rinuncino agli affitti arretrati sembrerebbe troppo. Se l’unica speranza a cui aggrapparsi secondo l’Accademia è il trasferimento della biblioteca allo Stato, non sembrano del tutto d’accordo però gli altri soci.

    Municipalizzare la Civica: l’idea c’è, i soldi no

    Il meno intransigente è il presidente della Provincia, Franco Iacucci. «Anche se come ente non abbiamo più la delega alla Cultura, alla statalizzazione pura preferirei una formula mista». Mario Occhiuto, invece, ad aprile 2020 si è rivolto a D’Elia dicendo di essere stanco di foraggiare la Civica, dimenticando forse che Palazzo dei Bruzi non versa un centesimo da un paio d’anni. Poi ha avanzato l’ipotesi di una municipalizzazione dell’ente morale. Se la Biblioteca fosse del Comune – questa la posizione del sindaco – sarebbe possibile un «nuovo indirizzo gestionale». A quello, sosteneva, seguirebbero le «attività propedeutiche al suo effettivo rilancio».

    Non semplice, però, secondo il parere del dirigente comunale del settore Cultura, Francesco Giovinazzo. Che a novembre 2020 ha spiegato ai consiglieri che nel bilancio post dissesto al vaglio del Governo «quello alla Biblioteca è stato considerato come un contributo. Come tale non rappresenterebbe una spesa obbligatoria. Il servizio che ne deriva è catalogato tra quelli non essenziali». Una dichiarazione che, se dovesse trovare conferma, metterebbe una seria ipoteca sul futuro della Civica. Sempre Giovinazzo: «Va sviluppato un ragionamento per stabilire se si configura a carico del Comune un obbligo di partecipazione, se si tratta veramente di un contributo e come è possibile prevedere somme che nel bilancio stabilmente riequilibrato non ci sono». Con la municipalizzazione si troverebbero? Visti i recenti investimenti sulla cultura è difficile dirlo.

    Barricate bipartisan

    Rigida la posizione della consigliera comunale di opposizione Bianca Rende, che boccia la statalizzazione e tira in ballo la Regione. «Per me i volumi della Biblioteca Civica sono inalienabili come i Bronzi di Riace. Difendere la Civica è difendere il genoma di Cosenza. Serve una classe dirigente che pensi alla cultura, nessuno ha ancora portato a compimento la legge regionale che istituisce un sistema unico delle Biblioteche regionali».
    Sulla stessa barricata la collega di maggioranza Annalisa Apicella. «Non si può rinunciare a un patrimonio identitario di Cosenza e di tutta la provincia. Bisogna avere il coraggio di affrontare il tema, anzitutto partendo dallo statuto e senza pregiudizi ideologici, altrimenti non ne usciremo».
    Agli oltranzisti dell’inamovibilità dei libri, la direttrice della biblioteca, Antonella Gentile, ha replicato con sconsolata ironia. «A lasciare deperire e perdere definitivamente il patrimonio librario preferisco un trasferimento ovunque purché i libri siano tutelati e valorizzati».