Non succede, ma se succede… in Calabria farà più danni che in tutto il resto d’Europa.
Parliamo di disastri naturali e degli effetti sul territorio e sugli esseri umani a tutti i possibili livelli. L’allarme stavolta proviene direttamente dalla Commissione europea che dall’ottobre del 2022 pubblica uno studio in costante aggiornamento. L’ultimo upgrade risale al mese scorso e i risultati sono a dir poco inquietanti per la Calabria. Emerge, infatti, come in Europa l’Italia sia il paese più vulnerabile alle catastrofi naturali insieme a Bulgaria, Romania e Grecia. Tuttavia, mentre in prospettiva le cose negli altri tre paesi appaiono in lento miglioramento, in Italia la situazione sembra destinata a rimanere stabile.
La mappa della vulnerabilità delle province italiane
Perentoria l’indicazione per il nostro territorio: «Italiani sono anche altri due primati: la regione più fragile del continente è la Calabria e la provincia è Reggio Calabria».
Scopo dello studio è avvisare gli amministratori locali e nazionali per correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
Il governatore Occhiuto, insomma, è un “avvisato speciale”, visto che la Calabria è la zona con i peggiori indici di vulnerabilità in caso di disastri naturali.
Irpinia e Giappone: un confronto impietoso
Quattro i fattori che determinano l’indice di vulnerabilità totale: economico, sociale, ambientale e politico. Per capire meglio bisogna pensare ai tanti fenomeni naturali di forte impatto quali terremoti, inondazioni, siccità, tempeste e altri eventi di tipo atmosferico, frane ecc. Questi avvenimenti in zone pericolose sono molto più probabili ma a parità di pericolosità le zone più vulnerabili sono quelle dove poi si verificano i danni maggiori per la scarsa organizzazione locale e le ripercussioni sui cittadini provocano disastri nei disastri.
Il tragico terremoto in Irpinia del 1980
Il terremoto in Irpinia, ad esempio, e i terremoti in Giappone spiegano bene di cosa parli lo studio della Commissione europea. Zone più pericolose come il Giappone con terremoti superiori in magnitudo a quello dell’Irpinia hanno avuto moli meno danni a cose e persone. La Calabria ha il massimo punteggio di vulnerabilità in Europa e il capoluogo regionale il peggiore di tutte le province dell’Ue. Questo il dato sui cui tutti i calabresi devono riflettere e a partire dai quali gli amministratori devono darsi da fare sin da subito. Prima che sia troppo tardi.
Disastri naturali: lo studio europeo
Il Disaster Risk Management Knowledge Centre (Drmkc) del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea ha pubblicato uno studio con l’obiettivo di accendere un faro sulla vulnerabilità ai disastri naturali dei paesi europei. Rappresenta un primo tentativo di indagare, attraverso la definizione di un indice, sulle possibili conseguenze di calamità.
Il Drmkc ha sede nel Jrc di Ispra, alle porte di Varese. È un laboratorio europeo che, grazie a una impressionante ricchezza di dati, consente la gestione in tempo reale delle crisi provocate da disastri naturali. Non tutti i beni, i sistemi o le comunità con lo stesso livello di esposizione a un pericolo specifico sono ugualmente a rischio: conoscere la vulnerabilità, perciò, è fondamentale per determinare il livello di rischio.
Reggio Calabria risulta essere la provincia più vulnerabile d’Europa
Asset molto esposti possono avere una vulnerabilità molto bassa, quindi essere considerati a basso rischio: in una zona sismica un edificio tradizionale è più vulnerabile di uno costruito con criteri antisismici. Per queste ragioni, dunque, la vulnerabilità è la componente fondamentale di cui tener conto nella definizione delle politiche e delle azioni per la riduzione del rischio di catastrofi. Ridurre la vulnerabilità e l’esposizione dei territori e delle comunità è la via più efficace per ridurre il rischio, dal momento che non è sempre possibile ridurre la gravità e la frequenza dei pericoli naturali. Ancora di più, se si considerano gli impatti dei cambiamenti climatici.
Tra le regioni europee è ancora la Calabria a guidare la classifica dei peggiori
Le colpe dell’uomo
La funzione dell’indice e della mole di dati raccolti è anche quella di aiutare gli amministratori a prendere le decisioni. Per ridurre la vulnerabilità è necessario identificare e affrontare i fattori di rischio quasi sempre derivanti da scelte e pratiche di sviluppo economico e urbano inadeguate. Essi hanno, infatti, un legame con il degrado ambientale, la povertà, la disuguaglianza, le istituzioni deboli.
I governi possono applicare strategie e politiche per ridurre la vulnerabilità introducendo misure precise, progettate per ridurre sia la componente “indipendente dal pericolo” (dovuta essenzialmente all’azione dell’uomo) che quella “dipendente direttamente dal pericolo” (legata agli eventi naturali).
In particolare, la vulnerabilità indipendente dal pericolo, su cui si concentrano gli indici costruiti dal JRC, tiene conto degli ostacoli che indeboliscono le capacità di un sistema o di una comunità di resistere alle sollecitazioni poste da qualsiasi pericolo. Descrive la suscettibilità a potenziali perdite o danni delle comunità indipendentemente dalla loro esposizione ai vari pericoli. Si basa su molteplici fattori che caratterizzano una comunità situata in un determinato territorio.
Disastri naturali e vulnerabilità: il caso Calabria
Nel 2022 la regione europea più vulnerabile ai disastri naturali in assoluto era la Calabria, seguita dalla Ciudad de Melilla (città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco). Un graduino del podio più giù, altre due regioni italiane: Campania e Sicilia. Nella classifica delle province, il poco invidiabile primato è di Reggio Calabria e dei primi 30 nomi più della metà sono di altre province italiane. La maggior parte si trovano nel Mezzogiorno, ma non solo: ci sono anche Latina, Frosinone, Fermo, Pesaro-Urbino, Pescara, solo per citarne alcune.
Le medie nazionali di vulnerabilità e i cambiamenti negli anni, regione per regione
Nel confronto rispetto alla media nazionale, sorprendono alcune situazioni specifiche. In positivo la Puglia, il cui indice è in costante e moderata discesa sotto la media italiana, come la Val d’Aosta. In miglioramento anche la Sicilia, mentre sono in netto peggioramento Trento e Bolzano che partivano da situazioni molto virtuose. Nessun progresso, invece, per la Calabria Le aree più vulnerabili pagano soprattutto la fragilità economica e ambientale: in Calabria 4 province su 5 segnano il massimo di vulnerabilità ambientale. Quanto all’indicatore di vulnerabilità sociale, vede livelli molto bassi in tante province del Sud e delle isole. Peggio di così è difficile fare.
«Sono Giuseppe Talotta e mi voglio costituire». Così esordiva il broker della cocaina presentandosi al carcere di Massa Carrara nel 2015 e interrompendo una breve latitanza di alcune settimane. Il 47enne all’epoca era ricercato dalla Dda di Genova e da quella di Reggio Calabria. Diversi i mandati di cattura a suo carico per una serie di procedimenti giudiziari che lo vedevano coinvolto in un maxi giro di cocaina che dal Sud America arrivava al porto ligure e in Calabria.
Basterebbe quella frase del narcotrafficante della ‘ndrangheta – agiva per conto del potente clan degli Alvarodi Sinopoli – per evidenziare la particolarità della sua singolare storia, ma c’è altro. Nei giorni scorsi la Cassazione, accogliendo parzialmente il suo ricorso, gli ha concesso il riconoscimento della continuazione dei reati e stabilito. La pena definitiva da scontare sarà di 16 anni e 8 mesi di reclusione.
La condanna nei giorni scorsi
Il medesimo disegno criminoso tra i processi di Genova e Reggio Calabria che i giudici di Piazza Cavour hanno sancito definitivamente ha consentito a Talotta di non avere in sede di esecuzione la somma aritmetica delle due condanne (12 e 16 anni). Gliene tocca una sola, calcolata partendo da quella maggiore e aumentata per alcune aggravanti. Questo prevede l’istituto giuridico della continuazione del reato, articolo 81 del codice penale, che può essere applicato a “chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge”.
La Corte di Cassazione
L’uomo, forse anche stanco di quella vita criminale, si era costituito spontaneamente alle autorità. E non furono in pochi a stupirsi per le modalità scelte. Giuseppe Talotta decide di bussare letteralmente alle porte del carcere. E lo fa da solo, senza nemmeno il suo avvocato, come se non ne potesse più di certe situazioni. Non si è mai pentito, quindi non si conoscono le motivazioni della sua scelta. Ma nel carcere di Genova, dove poi lo trasferiscono, uno dei principali broker della cocaina dei feroci Alvaro fa una scoperta che gli cambierà la vita. Quella in carcere, ovviamente.
Dalla coca all’editoria: Ristretti orizzonti
Al Marassi – il penitenziario a due passi dallo stadio Ferraris – di Genova c’è un gruppo di detenuti che si occupa di qualcosa di speciale e che si può trovare solo in altri due istituti penitenziari italiani: una rivista. Il periodico, Ristretti orizzonti, lo affascina ed entusiasma a tal punto che in pochi anni diventa uno degli articolisti più prolifici e uno dei coordinatori più importanti.
Il carcere di Marassi a due passi dallo stadio di Genoa e Sampdoria
C’è una ‘ndrangheta che scrive, dunque, e lo fa su un giornale vero e proprio. La più enigmatica organizzazione criminale d’Italia aggiunge un’altra sfaccettatura alle mille che già ha. Ristretti orizzonti, bimestrale, ha la sua redazione centrale nel carcere di Padova e due decentrate nei penitenziari di Parma e Genova.
L’unica differenza con un periodico convenzionale è rappresentata dalla gerenza, dai nomi di chi coordina e scrive. Sì, perché invece di Enzo Biagi o Indro Montanelli alcuni articolisti e coordinatori si chiamano Giuseppe Talotta, Carmelo Sgrò o Domenico Papalia: nomi “pesanti” di narcotrafficanti e boss di ‘ndrangheta.
Colpevoli anche di scrivere?
L’iniziativa, più che meritoria, è partita nel 1998, e negli ultimi anni ha fatto parlare parecchio di sé. Alcune testate nazionali di recente hanno battagliato non poco dopo la denuncia di un’associazione alla Dia. Oggetto dello scontro era il fatto che tra gli articolisti della rivista da un po’ di tempo si erano aggiunti anche detenuti in regime di 41 bis.
Ma al di là del dibattito, delle denunce e dei controlli, la rivista prosegue le sue pubblicazioni. Parla del pianeta carcere, racconta le mille problematiche degli istituti penitenziari italiani e l’intero ordinamento come emerge anche da relazioni ufficiali di organi governativi e da articoli di giornale. Solo che Ristretti orizzontifa parlare di carcere direttamente i detenuti e questo non va giù a tutti.
Riunione in una delle redazioni di Ristretti Orizzonti (dalla pagina Fb della rivista)
In realtà, il punto di vista di chi vive determinate condizioni può essere molto utile. Tanto più quando si parla di riforme carcerarie che nulla hanno a che fare con i reati commessi e le pene da scontare. Un carcere più in linea col dettato costituzionale (la pena deve tendere alla rieducazione del detenuto) aiuterebbe il sistema giustizia italiano e quindi anche la sicurezza delle città. Il dibattito resta aperto.
Ingiuste detenzioni e relativi indennizzi: arriva l’ennesimo record della Calabria.
Ecco i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati allo scorso maggio: su circa 27 milioni di euro erogati da tutte le corti d’Appello italiane nel 2022, 11,5 milioni provengono dai distretti di Catanzaro e Reggio Calabria. Ma Reggio resta imbattibile, coi suoi 10milioni e mezzo e rotti.
Questi numeri raccontano un’ulteriore realtà giudiziaria problematica della regione. Negli ultimi 4 anni, secondo il dossier, la Calabria ha sempre avuto il podio per i risarcimenti delle ingiuste detenzioni. E questo nonostante criteri di accesso più restrittivi.
A dirla tutta, di questo problema I Calabresi si sono accorti quasi due anni fa. Con relativo corredo di polemiche e repliche, anche altolocate.
Detenuti
Ingiuste detenzioni: i motivi del record in Calabria
Infatti, non basta più una sentenza di assoluzione definitiva in un procedimento giudiziario all’interno del quale si è subito un periodo di detenzione (in carcere o domiciliare). Oltre l’assoluzione, occorre dimostrare che l’arresto non era necessario e che con il proprio comportamento non si è motivato alcun provvedimento cautelare definitivo. Diverso è il discorso degli errori giudiziari veri e propri, che seguono un altro iter. L’ingiusta detenzione non può portare a più di 516mila euro di indennizzo a differenza dell’errore giudiziario che invece non ha limiti massimi.
Detto altrimenti: l’ingiusta detenzione risarcisce le persone che dopo aver subito una privazione della libertà in fase cautelare, sono state prosciolte o assolte nel merito o arrestate senza requisiti.
Errori giudiziari
Invece, l’errore giudiziario riguarda il merito: ad esempio, può riguardare una persona condannata in via definitiva e incarcerata per un tot periodo ma che, a seguito di processo di revisione della Cassazione, è assolta da ogni accusa.
In entrambi i casi, la corte d’Appello stabilisce l’entità del risarcimento. Tuttavia, nel caso dell’errore giudiziario si istruisce un vero e proprio procedimento di risarcimento danni della persona contro lo Stato.
La Corte d’Appello di Catanzaro
Ingiuste detenzioni: i numeri in Calabria e non solo
Il report sottolinea come in generale i casi negli ultimi 5 anni siano rimasti più o meno stabili ma solo nei numeri generali. «La serie storica dei valori totali del numero dei procedimenti sopravvenuti negli anni 2018-2022 mostra una sostanziale stabilità, ad eccezione forse dell’anno 2021 per il quale si registra il valore più contenuto. I distretti più significativi quanto ad entità numerica sono quelli di Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro e Roma. I distretti maggiormente significativi quanto ad entità di importi sono invece: Bari limitatamente ai primi tre anni, Catania, Catanzaro, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma. Il maggiore fra tutti quanto ad entità è quello di Reggio Calabria, con un importo medio annuo di oltre 7 milioni di euro dal 2018 al 2022».
Ingiuste detenzioni in Calabria: Reggio batte tutti
Ma la Corte d’Appello di Reggio Calabria nel solo 2022 ha erogato 10.312.205 euro e Catanzaro 871.942 euro. In tutto, 11.184.187 euro su un totale in Italia di 27 milioni di euro, quasi la metà. Il distretto di Reggio ha un doppio record: l’erogazione delle somme maggiori nel Paese e la media più alta per singolo indennizzo (114.580 euro, più del doppio della media nazionale, 50mila euro). Il distretto di Palermo, secondo in classifica, ha erogato 3milioni e mezzo di euro. Per quanto riguarda la media degli indennizzi per ingiuste detenzioni solo il distretto di Sassari supera i 100mila euro insieme a Reggio Calabria (114mila), tutti gli altri distretti italiani sono molto al di sotto.
Detenuti nel carcere di Reggio Calabria
Conclusioni
Si legge ancora dossier: «Le percentuali delle ordinanze di accoglimento (definitive e non) e dei rigetti si equivalgono approssimativamente, mentre molto residuali risultano le definizioni per inammissibilità».
Inoltre, «per ciò che riguarda le ragioni poste alle base degli accoglimenti definitivi classificate secondo il dettato normativo si è visto che esse derivano, con riferimento all’anno 2022, nella maggior parte dei casi (76,8%) da sentenze di proscioglimento irrevocabile e, nei restanti casi (23,2%), da illegittimità dell’ordinanza cautelare» Per l’entità delle riparazioni, dai dati forniti del Mef risulta che: l’importo complessivamente versato a titolo di riparazione per ingiusta detenzione nell’anno 2022 risulta pari 27.378.085 di euro ed è riferito a 539 ordinanze con le quali le Corti di Appello hanno disposto il pagamento delle somme; tale importo è di entità simile a quello versato nell’anno 2021 ( 24.506.190 di euro) ed entrambi risultano comunque di entità significativamente inferiore rispetto agli importi versati nel triennio precedente (2018-2020), con una media annua pari a circa 38.000.000 di euro. I numeri complessivi risultano in calo ovunque, tranne che a Reggio, dove si è passati da circa 6 milioni nel 2021 a oltre 10 milioni nel 2022, a differenza di Catanzaro dove da 2 mln di euro si è scesi a circa 800mila euro.
Carceri calabresi: in pole position c’è l’emergenza sanitaria. Ma i guai non si fermano qui.
Questo infatti è solo il dato principale del dossier 2023 (il settimo, per la precisione) del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Questo dossier è parte integrante della relazione al Parlamento.
Il report nella parte relativa alla Calabria ha ad oggetto i primi cinque mesi di attività dell’ufficio calabrese, ricoperto dall’avvocato cosentino Luca Muglia a partire dal 25 ottobre scorso.
Carceri calabresi: il quadro generale
Sulla carta, non ci sarebbero motivi d’allarme, almeno non troppi: gli istituti penitenziari calabresi sono 12, inclusi l’Istituto penale minorile di Catanzaro e le due Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) e i detenuti non superano le 3mila unità.
Tuttavia, l’ufficio regionale del Garante ha riscontrato alcune criticità evidenti da analizzare, affrontare e, si spera, risolvere.
Nell’ordine il dossier segnala: «Le eccessive lacune della sanità in ambito penitenziario, le condizioni strutturali di alcuni Istituti, datati nel tempo e privi di manutenzione, l’inadeguatezza di molte camere detentive (alcune prive di doccia), la mancanza di offerte scolastiche o formative adeguate, l’assenza di progetti di inclusione stabili, la carenza di organici e di personale della Polizia penitenziaria e dei Funzionari giuridico-pedagogici, la scarsa presenza di mediatori linguistico-culturali».
Luca Muglia, il garante dei detenuti calabresi
Carceri calabresi: l’analisi del Garante
Le difficoltà per il Garante regionale sono da ricondurre a molteplici fattori.
Alcuni sono interni all’Amministrazione penitenziaria, altri derivano dalla mancata o insufficiente cooperazione degli Enti locali. I detenuti, a loro volta lamentano problematiche riguardanti questioni processuali o necessità legate ai colloqui coi familiari, ai trasferimenti, al lavoro o alle cure mediche.
Invece, quanto alle Rems, «le esperienze di Santa Sofia d’Epiro e di Girifalco appaiono valide. La prima, pur con limiti strutturali, ha consolidato buone prassi terapeutiche. La seconda, aperta nel 2022, è una struttura di assoluta eccellenza».
L’appello del Garante
L’11 novembre scorso, quindi a pochi giorni dal suo insediamento, il Garante calabrese dei detenuti ha firmato e condiviso l’appello sottoscritto da numerose personalità. Argomento: l’elevato numero di suicidi registrati nelle carceri il 2022.
L’appello ha obiettivi precisi. «Ricorrere al carcere come extrema ratio, garantire spazi e contesti umani che rispettino la dignità e i diritti, moltiplicare le pene alternative, garantire al cittadino detenuto la possibilità di un reale percorso di inclusione».
Tra i contenuti individuati dal Garante regionale nei primi mesi di lavoro, figurano:
• difficoltà dell’esecuzione penale, la nuova disciplina delle pene sostitutive e delle misure alternative;
• giustizia riparativa;
• formazione professionale e l’inclusione sociale;
• tutela nei procedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale;
• condizione delle donne detenute;
• esigenze dei giovani dell’Istituto penale minorile.
Si legge ancora nel dossier: «A tali fini sono state coinvolte tutte le amministrazioni interessate, da quella giudiziaria a quella penitenziaria, dagli organi amministrativi a quelli politici. Il Garante ha promosso, inoltre, un dialogo costante con il Dipartimento regionale di tutela della salute, l’Osservatorio sulla sanità penitenziaria e l’ufficio scolastico regionale volto alla risoluzione di problematiche specifiche. Ha attivato una importante interlocuzione con la Conferenza episcopale calabra, i Poli universitari penitenziari e l’associazione Antigone. Ottimo il rapporto di fattiva collaborazione instaurato con i garanti territoriali di Reggio Calabria, Crotone e Catanzaro».
Il Garante regionale, infine, ha promosso una campagna di sensibilizzazione finalizzata al superamento dei pregiudizi culturali e delle etichette sociali che colpiscono i detenuti. Il tutto condito da uno slogan efficace: “Per un linguaggio non ostile dentro e fuori il carcere”.
Uno sguardo ai migranti
Il dossier termina con un passaggio sui Centri di accoglienza: «Il Garante regionale, su delega del Garante nazionale (in base alla normativa approvata nel 2020), ha effettuato pure una visita al Centro governativo di accoglienza di Sant’Anna, Isola Capo Rizzuto. La delegazione era composta anche da Elena Adamoli e Alessandro Albano (ufficio del Garante nazionale) e da Nicola Cocco (esperto del Garante nazionale). La visita aveva come focus originario la situazione dei minori stranieri non accompagnati (Msna) che fanno ingresso nel Centro e l’utilizzo della struttura quale hotspot. Gli elementi di osservazione acquisiti relativamente alle condizioni materiali dei luoghi ispezionati hanno imposto, tuttavia, una responsabilità di analisi complessiva a tutela della dignità e dei diritti fondamentali di tutti gli ospiti della struttura. L’esperienza congiunta è stata estremamente positiva, il rapporto è in corso di elaborazione».
Il sistema carcerario in Calabria può e deve funzionare meglio. Si vedrà
Ogni vicenda giudiziaria è fatta di storie umane, alcune più complesse di altre.
La storia di F.A., un 49enne di origini pugliesi, è un caleidoscopio di avvenimenti contraddittori, che oscilla dalla tragedia alla redenzione. Il tutto nel carcere di Rossano.
Questa storia la racconta una recente ordinanza della Cassazione, che ispira sensazioni contrastanti in chi l’approfondisce: riprovazione (e ribrezzo) per il crimine, compassione e solidarietà per la riabilitazione.
L’uomo scontava a Brindisi un cumulo di pena per vari reati, (circa 20 anni di reclusione in tutto). Ma nell’ottobre del 2013 riceve in carcere un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio aggravato dal metodo mafioso.
Il carcere di Rossano
In carcere a Rossano per omicidio di mafia
La Dda pugliese accusa F.A. di aver ucciso A.M. nella notte del 29 maggio del 1998. Il cadavere di quest’ultimo era stato trovato l’’8 ottobre dello stesso anno nelle campagne di Ostuni, nel Barese. La vittima era un affiliato al clan dei Mesagnesi della Sacra corona unita ed era considerato un confidente della polizia. Perciò, per le regole mafiose, era il classico morto che cammina.
Proprio F.A. sarebbe stato incaricato di mettere a tacere la “gola profonda”.
Per l’omicidio, il 49enne prende 30 anni di reclusione. E sin da subito è trasferito da Brindisi al carcere di massima sicurezza di Rossano: in attesa degli esiti processuali diventa un detenuto “speciale”, quindi non può più restare in cella con i detenuti comuni.
La conversione nel carcere di Rossano
Tuttavia, al 49enne accade in carcere qualcosa che lo cambia definitivamente, nonostante le pesanti condanne che nel frattempo vari tribunali gli comminano e la sua pesante storia personale. Forse è merito di un incontro col cappellano del carcere o di altri detenuti. O forse influiscono entrambe le cose. Fatto sta che F.A. prende la via della fede e cambia vita.
Insieme a un ergastolano decide di riprendere gli studi. Nel 2017 si laurea all’Unical in Scienze del servizio sociale e sociologia presso l’aula Caldora. Ottiene 106 su 110, con una tesi su “La sfera pubblica: Il carcere come progetto sociale”. Alla cerimonia hanno partecipato i familiari, il cappellano della casa di reclusione di Rossano e alcuni esponenti dei Radicali italiani.
Questa svolta personale offre speranza anche a tutte le persone che si trovano nella stessa condizione di F.A., passato oscuro incluso.
Il Tribunale di sorveglianza diffida: niente messa
Nel 2022 F.A. chiede al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro di poter seguire alcune funzioni in Chiesa per le feste più importanti, (Natale e di Pasqua), ma i giudici non gli concedono il beneficio.
Il Tribunale ha rilevato la sussistenza di «sicuri indici di un percorso carcerario esemplare, posto che dalla relazione di sintesi del carcere emergeva la partecipazione alle attività trattamentali più varie, un serio percorso di istruzione, e una profonda revisione critica del proprio passato con adesione convinta ai principi religiosi cattolici».
Inoltre, dalle note della Dda, della Polizia di Stato e della Guardia di finanza risulta «l’assenza di elementi successivi alla carcerazione, di tipo socio familiare, patrimoniale o giudiziario, sintomatici di un persistente legame con l’organizzazione criminale di appartenenza». Tuttavia, il Tribunale di Catanzaro nega il consenso affermando che tutto questo non basta a dimostrare «la recisione dei legami associativi e l’esistenza delle condizioni che escludano in radice la ripresa della relazione con il gruppo criminale».
La Cassazione dice sì
A questo punto F.A. ricorre in Cassazione contro le decisioni del Tds e stavolta le cose vanno diversamente. Gli ermellini annullano l’ordinanza e rinviano gli atti a Catanzaro per una differente decisione.
Per i giudici di Piazza Cavour i colleghi di Catanzaro hanno «compiuto un giudizio astratto e avulso dalla realtà».
Certo, non ci può essere nessuna certezza matematica di una riabilitazione assoluta, ma le “prove” della rieducazione e del percorso personale del detenuto sono incontrovertibili. Quindi i requisiti per l’accettazione delle sue richieste ci sono tutti. Da queste premesse il giudizio finale è positivo: «Il giudice del rinvio, senza avere vincoli sul merito del giudizio, è tenuto a riesaminare la richiesta di parte, senza ripetere i censurati vizi della motivazione». Prossimamente F.A. potrà partecipare a funzioni religiose nella cattedrale Maria Santissima Achiropita di Rossano.
Il principio alla base della scelta della Cassazione resta sempre l’articolo 27 comma 3 della Costituzione: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Il caso è chiuso.
’Ndrangheta spa torna sul podio. E riconquista lo scettro di organizzazione criminale top nel traffico di stupefacenti, cocaina e marijuana in particolare.
Infatti, la maggior parte dei sequestri di “neve” ed “erba” del 2022 è avvenuta nel porto di Gioia Tauro, tornato anch’esso ai vecchi “allori”.
Questo dopo un paio di anni di delocalizzazione nei porti di Livorno, La Spezia, Genova, e del litorale laziale.
Sono i primi risultati del corposo dossier annuale della Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga) del Viminale. Il dossier attesta la ripresa del narcotraffico ai livelli pre pandemia, con particolare incremento della cocaina.
Un cane antidroga della Guardia di finanza
Il narcotraffico dopo il Covid
Il progressivo rientro alla normalità e il sostanziale superamento dei limiti alla mobilità di persone e merci ha riattivato i business mafiosi. Cala il numero delle tonnellate totali sequestrate dalle forze dell’ordine tranne per la cocaina.
Si legge infatti nel report: «Il volume totale dei sequestri di droga è passato dalle 92,79 tonnellate, rinvenute nel 2021, alle 75,01 tonnellate del 2022, con un decremento percentuale del 19,17%; si può osservare, però, nei risultati, suddivisi per tipo di sostanza, una sensibile crescita dei sequestri di cocaina. Il risultato complessivo, comunque, è il sesto più alto nella serie decennale; se si esclude il quinquennio 2014-2018 e lo scorso 2021, periodi segnati da particolari e contingenti elementi di caratterizzazione, non era mai stato raggiunto un livello di sequestri così consistente, negli ultimi 40 anni».
’Ndrangheta Über Alles
Sulla leadership delle ’ndrine non ci sono dubbi. Infatti, prosegue il dossier: «In questo complesso scenario, si rafforza il ruolo egemone della ‘ndrangheta calabrese, che continua a rappresentare l’organizzazione mafiosa italiana più insidiosa e pervasiva, caratterizzata da una pronunciata tendenza all’espansione sia su scala nazionale che internazionale ed una delle più potenti e pericolose organizzazioni criminali al mondo».
Grazie alla presenza di propri esponenti e broker operativi nei luoghi di produzione e di stoccaggio temporaneo delle droghe, la mafia calabrese è l’organizzazione più influente nel traffico della cocaina sudamericana.
La disponibilità di ingenti capitali illeciti e una spiccata capacità di gestione dei diversi segmenti del traffico le hanno permesso, nel tempo, di consolidare un ruolo rilevante nel narcotraffico internazionale.
I sequestri di droga regione per regione secondo la Dcsa
Calabria e droga: un primato in cifre
Consideriamo le quantità sequestrate e rapportiamole sulle macroaree. Nel 2022, Sud e Isole sono in testa con il 56,87% del totale. Seguono il Nord con il 25,88% e il Centro con il 17,25%. La Calabria, con 19.459,72 kg di droga, emerge in assoluto nel Paese. Ciò grazie ai sequestri di cocaina a Gioia Tauro per 16.110,38 kg. Subito dopo, in classifica, Sardegna, Lazio, Lombardia, Campania, Emilia Romagna, Liguria e Toscana.
Per quel che riguarda le macroaree, i sequestri di cocaina risultano distribuiti per il 69,99% al Sud e Isole, per il 16,20% al Centro e per il 13,81% al Nord. Le regioni in cui si è sequestrata più coca sono Calabria, Lazio, Campania, Liguria, Friuli, Toscana, Veneto, e Lombardia. La frontiera marittima, con 20.050,38 kg, si conferma lo scenario operativo caratterizzato dai maggiori sequestri. In questo caso, il decremento dell’incidenza rispetto al totale degli ambiti frontalieri è minimo: dal 98,88% del 2021 al 98,15% del 2022. Vince Gioia Tauro, che incide per l’80,35% (16.110,38 kg). Lo seguono a distanza Civitavecchia (1.187,19 kg) e Trieste (730 kg).
Goia Tauro: il porto della droga in Calabria
Il porto di Gioia Tauro appare ben 260 volte nel dossier annuale della Dcsa del Viminale. Nella parte finale del rapporto c’è un capitolo a parte tra i grandi approdi marittimi internazionali che ne parla diffusamente. A Gioia Tauro, nel 2022 è stata sequestrata la più alta quantità di cocaina, 16.110,38 kg, pari all’80,35% dei quantitativi rinvenuti presso la frontiera marittima (20.050,38), al 78,86% del totale della cocaina rinvenuta presso tutte le frontiere (20.429,31 kg) e al 61,73% della coca sequestrata a livello nazionale (26.099,36 kg). Seguono i porti di Civitavecchia (1.187,19 kg) e di Trieste (730 kg). Lo stesso andamento si osserva anche negli anni precedenti.
nel porto di Gioia Tauro. Nel 2020, su 10.479 kg di cocaina sequestrati alla frontiera marittima, 6.186 kg sono stati rinvenuti a Gioia Tauro (pari al 59%).
Le banchine del porto di Gioia Tauro
Sniffare in Calabria
Se si analizzano i dati in possesso della Direzione, a partire dal 2017, il porto di Gioia Tauro è quello in cui sono stati sequestrati i maggiori quantitativi di cocaina, fatta eccezione per il 2018 e 2019 (anni in cui viene superato, rispettivamente, dal Porto di Livorno e Genova nel 2018 e dal solo Porto di Genova nel 2019). Nel 2022, è confermato il trend che, negli ultimi 5 anni, evidenzia una crescita costante dei quantitativi di cocaina sequestrati nel porto di Gioia Tauro (si passa dai 217,78 kg del 2018 ai 16.110,38 kg del 2022). La coca arriva in Calabria soprattutto da Ecuador e Brasile. Sono dati chiari, da analizzare a fondo, insieme a tutta l’altra enorme mole del dettagliato report governativo. La cocaina torna in Calabria.
La primavera si è vista poco ma prima o poi arriverà l’estate, quindi ferie e week end al mare. Vogliamo scommettere che, anche quest’anno terranno banco, in Calabria, la depurazione e i suoi problemi?
Gli ultimi dati regionali ufficiali si trovano nell’annuario di Arpacal sull’ambiente.
Lo scorso marzo il governatore Occhiuto ha dichiarato l’inizio della tolleranza zero su quest’argomento, che inevitabilmente tocca i cittadini e, va da sé, i turisti.
Sos depurazione in Calabria: la regione “avvisa” i sindaci
Alla dichiarazione è seguito il classico colpo d’avvertimento. In questo caso, una nota del 23 marzo, con cui, Salvatore Siviglia, il direttore generale del Dipartimento regionale territorio e tutela dell’ambiente, si rivolgeva ai sindaci. Ecco il testo: «Al fine di migliorare il grado conoscitivo degli impianti di depurazione presenti nella Regione Calabria con la presente si chiede ai signori sindaci in indirizzo di provvedere, con l’ausilio dei propri uffici tecnici, alla compilazione di un apposito form».
Questa discovery non è proprio immotivata. Si pensi che nell’ultimo dossier di Arpacal del 2022 su 102 depuratori controllati 36 erano risultati irregolari, 25 non conformi per parametri chimici non regolari e 29 non conformi per presenza fuori quota di escherichia coli.
Arpacal, si legge nell’annuario ambientale (che potrebbe e dovrebbe essere molto più chiaro e specifico), ha trovato nei depuratori incriminatitracce irregolari di sostanze chimiche, soprattutto derivate da concimi e fertilizzanti, e tensioattivi di origine organica.
Le infrazioni europee nel trattamento delle acque
Depurazione in Calabria: tutte le strutture irregolari
In provincia di Catanzaro sono risultati irregolari 5 depuratori, a Cosenza 11, a Crotone 6, a Reggio Calabria 6 e a Vibo 8. Totale: 36 depuratori non regolari per diversi motivi. La balneazione, al momento, è messa bene. Almeno sulla carta. Basterebbe confrontare i dati del 2022 con quelli dell’anno precedente. Da questo paragone si ricava che le acque di balneazione nel 2022 sono state ritenute “eccellenti” per l’88,47%; “buone” per il 6,81%, “sufficienti” per il 2,31%, mentre restano “scarse” il 2,41% delle acque esaminate. Il podio va alla costa catanzarese, che si estende per circa 102 km, con acque che Arpacal considera “eccellenti” al 100%. Ma lievi miglioramenti si sono registrati tra i dati del 2021 e quelli del 2022, sulle coste del vibonese (87,82%) e del cosentino (81,14). Sostanzialmente stabili invece le condizioni delle acque balneabili nel reggino (84,44%) e nel crotonese (99,09).
La mappa dei controlli dell’Arpacal
Calabria maglia nera nella depurazione
Ma in Calabria ancora troppe zone sono sotto procedura d’infrazione europea. Per rendersi conto, basta un’occhiata al sito del Commissario straordinario unico per la depurazione, dove risultano ancora 155 procedure aperte contro la Calabria, che fa a gare con la Sicilia per il numero maggiore di infrazioni.
Inoltre, interi agglomerati urbani non sono collettati alla rete e scaricano a cielo aperto. Perciò, in alcuni tratti il mare resta ancora inquinato. Non finisce qui: mancano alla conta le zone interne.
Saremo pure in leggero miglioramento, ma c’è ancora troppo da fare.
Se ne sono accorti ai piani alti di Germaneto, visto che la Giunta regionale ha stanziato gli scorsi giorni 18,5 milioni di euro.
«Tra depuratori da sostituire o ammodernare», si legge in una nota della Regione, «per accogliere anche le acque di scarico dei Comuni che ne sono privi, saranno oltre 500 gli interventi programmati, quasi tutti sulla fascia Tirrenica, la più danneggiata dalla mala depurazione, ma anche la più frequentata dai turisti grazie all’alta velocità, l’aeroporto e l’autostrada che la collegano al resto d’Europa». Questo con buona pace delle vecchie polemiche di Fausto Orsomarso.
Il bastone e la carota: Occhiuto annuncia tolleranza zero
Occhiuto e la depurazione: si accettano scommesse
Roberto Occhiuto la settimana scorsa ha ripreso la “croce” della depurazione. E, al di là del consueto ottimismo, non ha nascosto i guai: «In Calabria abbiamo 539 depuratori, sono molti di più in rapporto agli abitanti equivalenti netti di altre regioni e poi abbiamo un sistema depurativo che non funziona. Evidentemente su, questo settore, per decenni in Calabria, non si è governato come era necessario».
La domanda, a questo punto, è scontata: la nuova legge su Arpacal e gli interventi programmati da Occhiuto e soci basteranno a togliere alla Calabria la maglia nera sulla depurazione o se ne serviranno altri? Solo il tempo darà una risposta. Ora vediamo quel che accadrà nella stagione balneare tra poco alle porte.
Per il resto, si accettano scommesse.
Ammalarsi di gioco d’azzardo e rischiare anche di fare gli interessi dei boss. Il quadro, più o meno a tinte sempre più fosche, è noto ma non troppo.
Certo, se ne parla e magari ognuno conosce qualcuno che “esagera” ma i numeri ufficiali del gioco in Calabria sono preoccupanti. I calabresi risultano sempre più ludopatici. Anche a dispetto delle enormi difficoltà socioeconomiche. Infatti, in un anno ci si è permesso il “lusso” di spendere nell’azzardo, fisico e on line, oltre 4 miliardi.
Sono cifre fuori da ogni logica, addirittura superiori a quelle di Veneto e Liguria.
Giocatori alle prese con le slot machine
Il gioco d’azzardo secondo i Monopoli e l’Antimafia
Questo quadro inquietante emerge dai dati dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm), analizzati e elaborati sia dalla Direzione investigativa antimafia sia dall’ultima Commissione parlamentare antimafia.
Nella relazione finale (la numero 37 del 2022), pubblicata nei giorni scorsi, la Commissione punta il dito sull’influenza della criminalità organizzata nel mondo del gioco legale per attività di riciclaggio, infiltrazione e ovviamente manipolazione delle vincite e dell’intero settore. Il risultato è praticamente uguale a quello dell’ultimo report semestrale della Dia.
Gli appetiti delle ’ndrine sul gioco d’azzardo
In particolare i clan di ‘ndrangheta e di camorra sono considerati i principali responsabili di questi continui tentativi di impossessarsi di un settore da oltre 110 miliardi di euro l’anno, da tempo nella top five delle “aziende” con il maggior fatturato. Questo oceano di denaro, ovviamente, ha stuzzicato gli appetiti di boss e picciotti, che si sono sempre “interessati” di gioco e dintorni.
Gioco d’azzardo online
Calabresi spendaccioni
Nel 2021 in Calabria sono stati spesi 1 miliardo e 100milioni in gioco fisico (slot, gratta e vinci, lotto, superenalotto, scommesse sportive ecc.) e 3 miliardi di euro in gioco on line per un totale, come detto, superiore ai 4 miliardi. Questo trend è in crescita costante dal 2006.
Da allora le percentuali tra gioco reale e on line si sono invertite e ormai il web ha superato sale giochi e rivendite. Nel 2021 si è arrivati al 64% on line e 34% gioco fisico. E questo non solo agevola gli eccessi e le ludopatie (che ormai i SerD trattano alla pari delle dipendenze da alcol e droghe) ma anche le infiltrazioni indesiderabili.
Caccia ai criminali del gioco d’azzardo online
Sul web “stare dietro” ai criminali è molto più complicato. Tuttavia, la polizia si è data un gran da fare: lo provano numerose operazioni, le più importanti delle quali, come ha sottolineato la Commissione antimafia della precedente legislatura, hanno colpito i principali clan calabresi.
Giriamo il calendario un po’ indietro: nel 2019 l’Adm ha pubblicato un dossier con i dati di tutti i Comuni italiani divisi per regioni e per tipo di gioco d’azzardo, I suoi numeri si riferiscono al solo gioco fisico che allora in Calabria valeva 1 miliardo e 700 milioni. Questo dato, come già detto, è diminuito. In compenso, è cresciuto il virtuale. Quindi il denaro speso dai calabresi in azzardi vari è quasi raddoppiato. In autunno dovrebbero uscire i numeri dell’Adm relativi allo scorso anno, va da sé stimati in rialzo come in tutti gli ultimi anni escluso il 2020, l’anno del covid e delle restrizioni maggiori per tutti i cittadini.
Giocatori d’azzardo calabresi Comune per Comune
Nella città di Cosenza, secondo l’Adm nel solo 2019 sono stati spesi 73 milioni, a Catanzaro 93 milioni, a Reggio Calabria 198 milioni, a Crotone 53 milioni e a Vibo Valentia 59 milioni. Questi dati riguardano solo le sale. Tra gli altri Comuni calabresi, impressionano i 14 milioni di euro di Pizzo Calabro, i 24 milioni di euro di Villa San Giovanni, i 17 milioni di Taurianova, i 18 milioni di Melito, i 21 milioni di Bovalino, i 18 milioni di Cirò, gli 8 milioni di Spezzano Albanese, i 14 milioni di Amantea, i 13 milioni di Scalea, i 14 milioni di San Marco Argentano, i 7 milioni di San Lucido, i 17 milioni di San Giovanni in Fiore, gli 86 milioni di Rende, i 18 milioni di Paola, i 30 milioni di Montalto Uffugo, i 12 milioni di Crosia, i 91 milioni di Corigliano, i 19 milioni di Castrovillari e i 13 di Acri.
Questi numeri parlano da soli.
Operazione Stige
Per la Commissione antimafia è preoccupante la crescita della ‘ndrangheta di diverse aree della Calabria in questo settore. E si citano, al riguardo, due operazioni di polizia (tra le tante) per testimoniare tanta preoccupazione.
Esemplari, ad esempio, i dati dell’operazione Stige della Dda di Catanzaro, che ha disarticolato la locale di Cirò, capeggiata dalla cosca Farao-Marincola, con diramazioni in numerose regioni italiane e in Germania.
Le indagini hanno accertato il controllo di fatto di un punto Snai, localizzato a Cirò Marina, basato su complesse operazioni societarie e cambi di intestazione finalizzati a occultare la riconducibilità della sala alla cosca.
Finanzieri in azione
Operazione Galassia
L’operazione Galassia è un vero e proprio riassunto della struttura e delle funzioni di un network criminale composto da tutte le matrici mafiose italiane: dalla ‘ndrangheta alla Camorra, da Cosa Nostra alla criminalità organizzata pugliese. L’indagine, coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha integrato diversi procedimenti condotti dalla Procure di Reggio Calabria, Bari e Catania.
Al riguardo, la Commissione si concentra proprio sulle dinamiche che nel tempo sono mutate in relazione al gioco e agli “appetiti” delle cosche. Infatti, si apprende dalla relazione 37: «Se ancora sul finire degli anni Novanta la polizia giudiziaria era impegnata principalmente su fenomeni delinquenziali correlati alle corse negli ippodromi e nei cinodromi, ai combattimenti clandestini combinati tra animali, alle sale da gioco ambigue (parte semilegali e gran parte totalmente illegali) e ai quattro casinò autorizzati (Campione d’Italia, Venezia, Saint Vincent, Sanremo), successivamente il quadro dell’offerta di gioco muta considerevolmente».
La mafia corre sul web
Cosi, «dal progressivo processo di espansione dell’offerta pubblica e ancor più con il salto delle tecnologie digitali che ha consentito l’esplosione del mercato delle scommesse online, avviene anche il salto evolutivo dell’intervento delle mafie nel comparto».
Morale della favola: si gioca troppo e così tanto da attirare le mafie.
Impedire le infiltrazioni criminali è affare degli investigatori. Invece, ridurre gli sperperi nel gioco è un compito che spetta a tutti. Ma come? La domanda resta aperta. Per tutti.
Vigilanza 110 in sicurezza, controlli a tappeto in tutt’Italia. La Calabria tra cantieri e ditte ispezionate fa il pienone nelle irregolarità riscontrate dai carabinieri per conto dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Infatti, su 15 cantieri edili controllati 15 presentavano problematiche e 21aziende su 22 sono risultate irregolari, per varie motivazioni.
Carabinieri e ispettori del lavoro in azione
Il 29 marzo scorso nell’ambito di Vigilanza 110 in sicurezza 2023, promossa e coordinata dall’Ispettorato nazionale del lavoro, si è svolta un’operazione straordinaria di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e di contrasto al sommerso nell’edilizia, che ha interessato tutto il territorio nazionale, con la sola esclusione delle Province di Trento e Bolzano e della Regione Sicilia.
Il 27 aprile sono usciti i dati provinciali.
Un battaglione imponente di ispettori del lavoro (541 ordinari e 177 tecnici) e di carabinieri dei nuclei ispettorato del lavoro, supportati da militari dei vari comandi provinciali dell’Arma per un totale di 634 militari impiegati (di cui 350 del Comando per la tutela del lavoro ha gestito la megaispezione.
Alle operazioni ha partecipato anche personale ispettivo di Asl, Inail e Inps.
I cantieri edili sono spesso luoghi-simbolo dello sfruttamento
Tutti i numeri di Vigilanza 110
Oltre l’80% dei 334 cantieri ispezionati è risultato irregolare, con un sequestro preventivo già convalidato; sono 166 i provvedimenti di sospensione delle attività d’impresa, di cui 110 per gravi violazioni in materia di sicurezza e 56 per lavoro nero. La verifica ha toccato 723 aziende e 1795 posizioni lavorative.
Il tutto sotto il coordinamento dalla Direzione centrale per la tutela, la vigilanza e la sicurezza del lavoro dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Ecco il bollettino, quasi bellico, degli accertamenti: 433 aziende irregolari; 349 posizioni lavorative irregolari; 116 lavoratori in nero, tra cui 29 lavoratori extra-Ue, (dei quali 17 senza permesso di soggiorno); 568 prescrizioni per violazioni in materia di sicurezza; 166 sospensioni dell’attività d’impresa; 289 persone deferite alla autorità giudiziaria in stato libertà per violazioni varie.
Insicurezza e lavoro nero
Le principali contestazioni riguardano il rischio di caduta dall’alto, le irregolarità dei ponteggi, il rischio elettrico, l’omessa fornitura e utilizzo dei Dpi (dispositivi di protezione individuale), l’organizzazione e viabilità inadeguata dei cantieri e la mancata protezione dalla caduta di materiali.
Inoltre, risultano numerose le omissioni nella sorveglianza sanitaria dei lavoratori, nella formazione e informazione dei lavoratori, nella redazione del Dvr (documento valutazione rischi), del Pos (piano operativo di sicurezza) e del Pimus (piano di montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi).
L’attività ispettiva ha evidenziato una rilevante presenza di lavoratori in nero nei cantieri edili (116). Su questi gravano anche ipotesi di indebita percezione del reddito di cittadinanza.
Risultano accertati, inoltre, casi di somministrazione illecita e distacchi non genuini, utilizzo di prestazioni lavorative da parte di pseudo artigiani, violazioni negli orari di lavoro, omessa registrazione di ore di lavoro e omissione contributiva e mancata iscrizione alla Cassa Edile (94 aziende non iscritte).
Lavoratori in protesta
La peggiore è la Calabria
La Calabria divide il podio negativo con la Campania: tutti i cantieri e le aziende edili ispezionati sono risultati irregolari per vari motivi.
I carabinieri impegnati in Vigilanza 110 hanno setacciato 15 cantieri e 22 aziende scelti a campione.
A Catanzaro hanno verificato 4 cantieri e 5 aziende, a Cosenza 4 cantieri e 9 aziende, a Crotone 1 cantiere e 1 azienda, a Reggio Calabria 5 cantieri e 6 aziende e a Vibo Valentia 1 cantiere e 1 azienda.
Inoltre sulle 50 posizioni lavorative verificate in 11 casi si è proceduti alla sospensione per motivi legati alla sicurezza e alla mancanza di contratti lavorativi e in ben 44 casi (compresi i sospesi) sono state imposte prescrizioni e multe per mettersi in regola.
Le multe milionarie di Vigilanza 110
L’importo delle sanzioni amministrative e ammende già comminate in tutta Italia, a seguito dell’ispezione straordinaria del 29 marzo scorso, è pari a 3.038.828 euro. Prossimamente dati più completi e nuovi controlli e ispezioni sempre legati alla violazione delle norme nei cantieri edili e nelle aziende collegate, soprattutto in materia di sicurezza dei lavoratori.
Nei giorni scorsi l’istat ha pubblicato l’undicesimo rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) in Italia. Questo si basa su 88 indicatori per 12 categorie che inquadrano questioni concrete e rilevanti.
Il dossier conferma il divario tra le regioni italiane nelle 12 categorie eaminate: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione ricerca e creatività e qualità dei servizi. La Calabria ne esce male, in alcuni casi molto
Sono solo un paio gli indicatori in miglioramento: l’ottimismo e la mortalità per tumori.
lo dice l’Istat: la Calabria è la più ottimista
Nel 2021 si registra la più alta percentuale di chi guarda al futuro con ottimismo.
Lo scorso anno, invece, gli ottimisti calano di botto.
L’analisi territoriale mostra come il Nord-ovest abbia recuperato nel 2022 in tutti gli indicatori di benessere il proprio vantaggio sul resto del Paese, perso durante la pandemia.
In particolare, per quel che riguarda la soddisfazione per il tempo libero, calata nel 2021 e risalita al 68,4% di persone molto o abbastanza soddisfatte.
Questo risultato tuttavia non è sufficiente a raggiungere i valori del 2019 (71,7%).
Il Molise ha un valore di crescita superiore alla media e una percentuale di soddisfatti prossima alla media. ma la Calabria si distingue per il più elevato livello di crescita rispetto al 2019: dalla 20esima alla 11esima posizione.
L’Istat “fotografa” il Paese: un’immagine-simbolo del rapporto Bes 2922
Per quanto riguarda la soddisfazione per il tempo libero la situazione è ancora più articolata e non si individuano condizioni omogenee. Tuttavia la Calabria raggiunge una posizione in linea con la media nazionale e, insieme a Umbria e Campania, rappresenta l’unico territorio che ha recuperato e superato i livelli di soddisfazione del 2019. I soddisfatti della propria vita, in Calabria sono il 46,8%, su una media del 40.5% al Sud. I soddisfatti per il tempo libero sono il 65,8%, su una media del 63,8% al Sud. In entrambi i casi la Calabria non è la regione con più ottimisti in termini percentuale ma quella dove sono aumentate di più le persone ottimiste.
Tumori: per l’Istat in Calabria si muore meno
L’Istat indica un netto miglioramento nel Sud profondo. Infatti tra il 2019 e il 2020 la mortalità per tumore cresce in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con la felice eccezione della Calabria, che è al primo posto delle regioni virtuose (o “graziate”).
Ma contemporaneamente diminuisce in tutte le altre regioni italiane, salvo in Liguria in cui rimane stabile.
La Calabria invecchia male
La media nazionale è di 60,1 anni, ma la Calabria è la maglia nera di questa sotto classifica con 53 anni. Per la precisione, sono 53,1 per gli uomini (su una durata media della vita di 79,5 anni) e di 53 per le donne (su 83,8 anni).
Nel 2022, la speranza di vita in buona salute si stima pari a 60,1 anni, mentre nel 2021 ammontava a 60,5 anni e nel 2020 a 61,0, a fronte di 58,6 nel 2019.
L’indicatore manifestava una certa stabilità prima della pandemia, con un range compreso tra 58,2 e 58,8 anni nel periodo 2012-2019. Gli ultimi 3 anni sono, un periodo di turbolenze eccezionali, che richiedono una forte cautela nell’interpretazione.
A livello territoriale si conferma nel 2022 lo svantaggio del Sud. Le regioni del Nord, con le eccezioni della Liguria (59,1 anni) e dell’Emilia Romagna (59,9 anni), mostrano valori della vita media in buona salute tutti al di sopra della media nazionale.
Stesso discorso nel Centro, ad eccezione delle Marche (60,2) che ha un valore in linea con la media dell’Italia. Nelle regioni del Sud si registrano tutti valori inferiori alla media nazionale. La Calabria, pur migliorando rispetto al 2019, continua a posizionarsi ai più bassi livelli (53,1, ben 16 anni in meno rispetto al livello più alto raggiunto dalla Provincia autonoma di Bolzano).
Terza età; sempre più precaria la salute degli anziani
Troppi morti si potevano evitare
Il concetto di mortalità trattabile e prevenibile proposto dall’Istat si basa su un concetto particolare: che certe morti (per gruppi di età e malattie specifiche) si sarebbero potute evitare se ci fosse stato un sistema di salute pubblica più efficace e interventi medici immediati.
Anche in questo caso la Calabria presenta criticità.
Sardegna e Valle d’Aosta hanno una mortalità prevenibile al di sopra della media nazionale e tassi di mortalità trattabile nel livello medio. Al contrario, Puglia e Calabria si caratterizzano per tassi di mortalità trattabile al di sopra della media nazionale e tassi di mortalità prevenibile al livello medio o lievemente al di sotto della media nazionale.
Istat e scuola: la Calabria è la meno istruita
Nel 2022 ricresce il numero di diplomati e laureati, ma l’Italia è ancora lontana dalla media europea. Nel 2022 il 63,0% delle persone tra i 25 e i 64 anni ha almeno una qualifica o un diploma secondario superiore (più 0,3 punti percentuali rispetto al 2021) rispetto a una media europea di circa il 79,5%.
Superano il 70% Friuli-Venezia Giulia (71,2%), Umbria (71,5%), Provincia Autonoma di Trento (72%) e Lazio (72,1%). Sono meno del 60% Sicilia (52,4%), Puglia (52,5%), Campania (53,8%), Sardegna (54,6%) e Calabria (56,6%).
Secondo l’Istat la Calabria è la regione meno istruita
Analfabeti anche nel digitale
Le competenze digitali restano una prerogativa delle persone con titolo di studio più elevato. Infatti il 75,9% di chi ha almeno la laurea possiede delle competenze digitali almeno di base, contro il 53,8% dei diplomati e il 21,9% di chi ha un titolo di studio più basso.
Dall’analisi territoriale emerge un forte gradiente tra Centronord e Mezzogiorno. In particolare, le regioni con la quota più alta di persone con competenze digitali almeno di base sono il Lazio (52,9%), seguito dal Friuli Venezia Giulia (52,3%) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7%). All’opposto si collocano Sicilia (34,0%) e Campania (34,2%) e ultima la Calabria (33,8%).
Studenti: secondo l’Istat in Calabria i più “ciucci”
Gli studenti hanno livelli ancora profondamente diseguali e questa forbice è cresciuta con la pandemia.
Nell’anno scolastico 2021-2022, il primo di ritorno quasi totale alle lezioni in presenza, le competenze dei ragazzi di terza media non sono ancora tornate ai livelli pre-pandemici. Calabria agli ultimi posti.
I ragazzi e le ragazze che non hanno raggiunto un livello di competenza almeno sufficiente (i low performer) sono il 38,6% per la competenza alfabetica (in aumento rispetto al 2019, +3,4 punti percentuali e stabili rispetto al 2021) e il 43,6% per quella numerica (in aumento rispetto al 2019, 4 punti percentuali di più ma comunque in miglioramento rispetto al 2021, (meno 0,9).
In alcune regioni del Mezzogiorno l’indicatore evidenzia forti criticità: più del 50% dei ragazzi e delle ragazze insufficienti nelle competenze alfabetiche (in Calabria 51,0% e in Sicilia 51,3% ) e in quelle numeriche (Calabria 62,2%, Sicilia 61,7%, Campania 58,2%, Sardegna 55,3% e Puglia 50,3%).
Lavoratori in protesta
Redditi: per l’Istat la Calabria è ultima
Nel 2021 persiste un’elevata disuguaglianza dei redditi. In Calabria c’è il dato medio peggiore d’Italia rispetto al reddito lordo pro capite: 14.108 euro, laddove la media al Sud è di 15.11 euro. Rischio di povertà: terzultimi, dietro solo al Campania e Sicilia ma di poco: 33,2% contro il 37,6% e il 38,1%.
Nel 2021, gli indicatori non monetari che descrivono le condizioni di vita delle famiglie hanno registrato un peggioramento rispetto al 2019. Tuttavia il numero di poveri assoluti è in calo.
Nelle regioni del Mezzogiorno il rischio di povertà più elevato si associa a una più alta disuguaglianza (rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero) che supera il valore medio dell’Italia (adesso 5,9, rispetto al 5,7 dei redditi del 2019). Ecco le maglie nere: Sardegna (6,1), Calabria (6,4), Sicilia e Campania (7,2 e 7,5 rispettivamente).
Incendi: la Calabria brucia di più
Incendi in salita nel 2021, sia nella quantità (+23,1% sull’anno precedente) sia nella dimensione media (più che raddoppiata, da 11,4 a 25,4 ettari).
In tutto sono andati in fumo 152 mila ettari, pari al 5 per mille della superficie italiana. L’indicatore dell’impatto degli incendi boschivi, in crescita per il terzo anno consecutivo, ha un valore largamente superiore a quello medio degli altri paesi Ue dell’Europa meridionale, fra i quali ci batte solo la Grecia (8,2 per mille). Più del 75% della superficie bruciata è localizzata in Calabria, Sicilia e Sardegna, dove condizioni climatiche avverse (temperature elevate, forte ventosità e siccità prolungata) hanno favorito gli incendi e reso più difficili gli spegnimenti.
Cenere e desolazione nel Parco d’Aspromonte dopo i terribili incendi dell’estate 2021
L’aria peggiore si respira in Calabria
Peggiora in Calabria la qualità dell’aria. Nel 2021 Centro e Sud si tallonano (rispettivamente 65,0% e 63,9%) ma, per fortuna, in meglio (erano, rispettivamente, 71,7% e 72,3% nel 2020). Fanno eccezione il Molise e la Calabria dove si registra un peggioramento della qualità dell’aria.
Cchiù acqua ppe’ tutti? In Calabria proprio no
Reggio Calabria è tra i Comuni capoluogo che hanno adottato le misure di razionamento idrico più drastiche.
Nel 2021, 12 capoluoghi di provincia (più Reggio Calabria, Catania e Palermo, come capoluoghi di città metropolitana) hanno razionato l’acqua potabile, con un incremento (più 4 Comuni) rispetto al 2020. Questo problema non è più esclusivo del Mezzogiorno: infatti anche Prato e Verona hanno disposto il razionamento dell’acqua nei mesi estivi.
Depurazione: in Calabria si intorbidano le acque
Circa 1,3 milioni di cittadini risiedono in Comuni completamente privi di depurazione.
Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sono infrastrutture essenziali per la salute pubblica. L’assenza di depurazione coinvolge 296 Comuni. Il dato è in calo rispetto al 2018 (-13% di comuni, -19% di residenti).
Il 67,9% di questi Comuni è localizzato nel Mezzogiorno (soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, coinvolgendo rispettivamente il 13,1%, 5,3% e 4,4% della popolazione regionale).
Molti impianti in queste regioni sono inattivi poiché sotto sequestro, in corso di ammodernamento o in costruzione.
Dei 296 comuni privi di depurazione 67 si trovano in zone costiere, per lo più in Sicilia (35), Calabria (15) e Campania (7), per circa 500mila abitanti.
Il depuratore di Caulonia
Clima: secondo l’Istat la Calabria è la più insensibile
La maggiore sensibilità ai cambiamenti climatici si osserva nelle regioni del Centro (72,7%, maglia rosa alla Toscana con il 73,4%) e del Nord (72,1%, Veneto sul podio con il 75,9%).
Ad eccezione di Emilia-Romagna (69,8%) e Bolzano (68,6%), in tutte le regioni settentrionali, centrali e insulari la percentuale risulta sopra la media (71,0%). Invece, al netto dell’Abruzzo (71,8%), la preoccupazione risulta inferiore alla media in tutte le regioni del Sud (67,3%), dove “vince” la Calabria (62,0%).
Sanità: troppo pochi gli infermieri
Per la distribuzione territoriale del personale infermieristico la maglia nera è ancora calabrese. Nel 2021 nel Nordest e al Centro la quota è rispettivamente 6,8 e 7,1 per 1.000 abitanti, mentre nel Nordovest e nelle Isole ci sono solo 6 infermieri per 1.000 abitanti. La Calabria è la regione con la minor dotazione, pari a 5,6 per 1.000 abitanti. I territori con maggior disponibilità di infermieri sono il Molise (8,6), seguito dalla provincia autonoma di Trento (8,1), Liguria e Umbria (7,7). E cresce la sfiducia.
Le percentuali più elevate di sfiducia (0-5) verso medici e altro personale sanitario si riscontrano in Calabria (25,2% verso i medici e 26,1% per l’altro personale), in Molise (21,3% per i medici e 21,7% per l’altro personale) e in Sardegna (20,2% per i medici e 20,6% per l’altro personale).
Emigrazioni ospedaliere: la Calabria sempre peggio
La ripresa delle emigrazioni ospedaliere tra 2020 e 2021 ha colpito tutto il territorio nazionale, ad eccezione del Lazio che rimane stabile al 7,1%. Le regioni dove la crescita è stata più consistente (circa 2 punti percentuali) sono Calabria, Basilicata, Molise, Liguria e Valle d’Aosta. Nelle regioni più piccole il fenomeno è da sempre particolarmente intenso, anche per la vicinanza di strutture ospedaliere fuori regione: Molise 29,2%, Basilicata 26,9% e Valle d’Aosta 15,4%. In Calabria la percentuale è pari a 20,8%, probabilmente a causa di una carenza infrastrutturale. Infatti è la regione con la minore dotazione di posti letto in degenza ordinaria per acuti: 2,15 per 1.000 abitanti contro 2,55 della media nazionale nel 2020.
Una protesta contro la Sanità calabrese
Istat e internet: in Calabria è più lento
La fibra è la connessione a banda larga dominante nella metà dei Paesi Ocse.
In Italia la situazione è a macchia di leopardo. Infatti, si passa da regioni che hanno una buona rete come il Lazio (61,3%), la Campania (55,1%) e la provincia autonoma di Trento (52,2%), a situazioni critiche in Basilicata e Calabria (26,9% e 22,8%). Il fanalino di cosa è la Provincia autonoma di Bolzano, dove solo il 12,3% delle famiglie abita in zone servite da Internet veloce.
Rete idrica: in Calabria la peggiore
Le famiglie che dichiarano irregolarità del servizio idrico nel 2022 sono il 9,7%, nel 2002. Questo dato è pressoché stabile nell’ultimo triennio.
Tale quota non è uniforme sul territorio: si passa dal 3,4% del Nord al 7% del Centro per arrivare al 18,6% del Sud e al 26,7% delle Isole.
Da sempre le situazioni più critiche sono quelle della Calabria (45,1%) e della Sicilia (32,6%), dove si registra un serio problema delle infrastrutture idriche, che causa una costante scarsa qualità dell’offerta del servizio. La Calabria, tra l’altro, è peggiorata rispetto al 2021 (16 punti percentuali in più). Le irregolarità del servizio idrico sono legate anche alla dimensione comunale. La percentuale di famiglie che denunciano irregolarità è pari all’11,9% nei Comuni tra 2.000 e 10.000 abitanti e all’11,5% nei comuni tra 10.000 e 50.000, mentre si dimezza nei Comuni principali delle aree metropolitane (4,1%).
Corrente a singhiozzo
Tra le infrastrutture indispensabili c’è la rete elettrica. Nel 2021 l’Autorità per l’energia elettrica (Arera) ha rilevato in Italia 2,1 interruzioni accidentali lunghe (superiori a 3 minuti) e senza preavviso per utente. Questa irregolarità del servizio non riguarda tutto il Paese. Infatti, è quasi assente in Valle d’Aosta, Province Autonome di Trento e Bolzano e in Friuli-Venezia Giulia dove le interruzioni per utente avvengono meno di una volta l’anno. Supera le 3 interruzioni annue per utente in Campania, Calabria, Puglia.
Sicurezza e crimine: mafia a parte, ce la caviamo
La Calabria è a metà classifica per la sicurezza urbana. Ma va detto che il dossier non prende in considerazione i reati di mafia. Si sentono più sicuri i residenti nei Comuni fino a 2 mila abitanti e in quelli tra 2 mila e 10 mila abitanti, rispetto ai residenti nei comuni di grandi dimensioni.
Nei comuni tra 2 mila e 10 mila abitanti le persone maggiori di 14 anni che si dichiarano molto o abbastanza sicure quando camminano al buio da sole è più alta di 17 punti rispetto a quella riscontrata nei Comuni delle aree di grande urbanizzazione (68,4% contro 51,4%).
Stessa cosa per la percezione del rischio di criminalità (11,2% contro 40,6%) e per il degrado sociale e ambientale (4,0% contro 13,9%).
La situazione cambia anche in relazione alle fasce di età: i più insicuri sono gli over 75 (41,6%), mentre i giovani e gli adulti percepiscono un maggiore livello di sicurezza (oltre il 66% tra i 20 e i 54 anni).
Le differenze di genere si mantengono in tutte le fasce di età. In particolare tra i giovani di 20-24 anni. Tra questi il 78,4% dei ragazzi si sente sicuro mentre tra le ragazze della stessa età il valore scende al 51,5%.
Gestisci Consenso
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.