Autore: Valeria Esposito Vivino

  • I cosentini sul podio nei campionati di cucina: ma non chiamateli chef

    I cosentini sul podio nei campionati di cucina: ma non chiamateli chef

    L’arte di arrangiarsi, tipica delle nostre latitudini, è stata la carta vincente che ha portato sei cosentini sul podio dei Campionati Italiani di Cucina 2022 a Rimini. Medaglia d’argento per Daniele Mannarino e Danilo Liparoti (categoria Mistery box); medaglia di bronzo per Domenico Trentinella, Biagio Girolamo e Luca Grillo (categoria street food) e Eugenio Caloiero (categoria singoli).
    Un ottimo risultato per la Federazione Provinciale di Cosenza. Medagliere amaro, invece, per la Calabria che si classifica al nono posto, ben distante da un podio tutto “terrone” con i primi tre classificati Campania, Sicilia e Puglia.

    La competizione

    La sesta edizione dei Campionati della Cucina italiana, nata dalla collaborazione fra Italian Exibition Group e la Federazione italiana dei Cuochi, ha ospitato nelle ultime edizioni più di 500 concorrenti tra team italiani ed esteri. La manifestazione è riconosciuta dal circuito Worldchefs. La prossima sfida della FIC saranno i campionati mondiali, il tanto prestigioso Bocuse d’Or.
    Sebbene caratterialmente distanti anni luce dallo chef stellato Adam Smith, interpretato da Bradley Cooper ne Il sapore del successo, i cuochi cosentini vivono la cucina con la “cazzimma”, l’inventiva e l’amore viscerale per il proprio lavoro tanto da indentificarsene con l’obiettivo di soddisfare ed emozionare i propri clienti.

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    Bradley Cooper nel film “Il sapore del successo”

    Cucina al buio

    Una sfida nella sfida per i cosentini Danilo Liparoti e Daniele Mannarino che hanno conquistato il secondo posto nella finalissima con una mistery box dedicata ai piatti crudisti, vegetariani e vegan.
    Ma come si fa ad essere i secondi cuochi d’Italia per inventiva? «Con sacrificio, passione e determinazione».

    “Linguino”, cuoco per dovere

    Daniele Mannarino è quasi un figlio d’arte. I suoi genitori erano titolari di un alimentari e pasta, pane e scatolette sono sempre stati i suoi “giocattoli”. Ha iniziato a cucinare a sette anni. Non per passione, ma perché doveva preparare il pranzo ai genitori.
    «A convincermi furono le lacrime di mio padre il giorno della firma dell’iscrizione alle scuole superiori. Avevo scelto l’Industriale ma lui mi convinse a iscrivermi all’Alberghiero, per lui avevo talento”. E visti i risultati, come dargli torto.

    Tante le esperienze professionali maturate, dall’esordio a 14 anni in un villaggio a Soverato ad oggi che di anni ne ha trentasette. È stato cuoco a Rimini, Firenze, Stoccarda ma il cuore l’ha lasciato lo scorso anno in una struttura cinque stelle lusso, tre forchette Gambero Rosso di Seby Sorbello a Zafferana Etnea (Catania).
    «È stata la mia esperienza formativa più importante», anche se il suo punto di riferimento rimane il titolare dell’Osteria Francescana, Massimo Bottura.

    Nella cucina di Mannarino non può mancare un piccolo orto di aromi e spezie, perché «a fare la differenza è sempre la qualità della materia prima».
    I suoi piatti forte sono tutti a base di pesce, primi piatti in particolare; da qui il suo soprannome “Linguino”.
    «La cucina inizia nella testa, passa dal cuore e finisce nelle mani. Il tutto condito – dice – da una giusta dose di amore, territorio e passione».

    Il lato oscuro dell’essere cuoco è lo «stress piscofisico, i sacrifici, il rinunciare agli affetti più cari: amici e famiglia». «È una scelta di vita – spiega – non può essere altrimenti». E sull’esito del Campionato non ha mai avuto dubbi. «Mi aspettavo di vincere sia per la mia propensione a creare piatti nell’immediatezza, sia per le qualità di Danilo, il mio compagno di squadra».
    Mannarino è già proiettato all’edizione dei Campionati 2023, resta solo da scegliere la categoria tra singoli, squadre o street food.

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    Daniele Mannarino e Danilo Liparoti

    Il sacro fuoco dei fornelli

    Ha sempre saputo che nella vita avrebbe fatto il cuoco. La sua prima frittata Danilo Liparoti l’ha preparata a cinque anni, rimediando anche una scottatura. Ma non si è arreso. Anzi. Testardo e determinato ha iniziato a lavorare a 13 anni e mezzo, nonostante le lacrime della madre che ora è la sua supporter numero uno.
    Malgrado i 24 anni d’età ha più di quindici competizioni culinarie alle spalle e nove anni di esperienza nelle principali località turistiche calabresi, italiane con una parentesi in Svizzera. A segnarlo maggiormente il periodo livornese. Entrato in cucina da 17enne aiuto cuoco di brigata è diventato quasi subito il capo cuoco.
    «Una soddisfazione- ricorda – ma allo stesso tempo una grande responsabilità. Non è facile dare ordini a persone più grandi di te».

    Per Danilo cucinare «è sperimentazione, essenzialità, colore. Il blu su tutti». Blu come il mare, blu come il pesce, ingrediente base per le sue specialità di antipasti e primi piatti.
    Oltre a materie prime di qualità e aromi (il finocchietto è il suo ingrediente segreto), nella cucina di Liparoti non manca mai la buona musica. «La cucina è passione, se non si sta bene d’umore non si conclude nulla».
    Per Liparoti non esistono esperienze negative: «Ogni volta si impara qualcosa di nuovo». Come quella volta che dopo un piatto tornato indietro ha passato giornate a rifarlo finché non è uscito perfetto: «Perché la soddisfazione passa dal sacrificio».
    «A Rimini la gara si è svolta in un contesto corretto e leale ma il livello della competizione è stato altissimo. E sentire il proprio nome accoppiato ad una medaglia è stata un’emozione indescrivibile».

    La determinazione di Danilo la si legge negli occhi. Il suo sogno è avere un giorno una struttura tutta sua. Il suo chef di riferimento? «Sicuramente Cannavacciulo».
    La sua strada da sei anni si è incrociata con il suo compagno di gara Daniele Mannarino. Oggi entrambi sono le punte di diamante del Fellini Restaurant di Cosenza che con la sua cucina raffinata e ricercata ha conquistato i palati dei cosentini dopo appena sei mesi dall’apertura.

    Cucina di strada

    È stato cuoco del Fellini Restaurant anche Mimmo Trentinella, terzo classificato nella categoria Street Food insieme a Luca Grillo e Biagio Girolamo. (FOTO 4)
    E se è praticamente impossibile avere una foto dei piatti della competizione a causa dei diritti esclusivi della FIC, per il suo street food Trentinella condivide la foto di una delle tante prove fatte prima di arrivare a Rimini.
    Mesi e mesi di ricerca per sfornare un pan brioche di semola farcito con crema di melanzana cotta sottovuoto al microonde insaporita con aglio e menta, stracotto di maialino nero, cipolla caramellata di Tropea, ‘nduja e caciocavallo Dop; il tutto pastellato e fritto. (FOTO 5)

    «Lo street food – spiega Trentinella – è sempre stato un mio pallino, sin da ragazzo». Negli anni Mimmo ha viaggiato molto in Europa per il suo lavoro. «Ad attrarmi sono sempre state le cucine di strada tipiche dei mercati inglesi, polacchi e francesi che, poi, è anche un modus operandi tipico di una parte del Mezzogiorno d’Italia, basti pensare alle pizze fritte campane o agli sfincioni siciliani». Le regioni del Sud hanno tutte un grande potenziale.

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    Luca Grillo, Biagio Girolamo e Mimmo Trentinella

    Cuochi e chef

    Trentinella è diventato cuoco per una sorta di sfida con la sua famiglia: lui uscì di casa ed entrò nel primo ristorante aperto. E lì capì quale sarebbe stata la sua strada.
    A 42 anni Mimmo è meno disincantato di tanti suoi colleghi. È pragmatico e lavora con un obiettivo ben chiaro nella testa: «Tramandare la passione per la cucina ai più giovani che oggi sembrano aver perso mordente».
    Guai a chiamarlo chef. Come il compianto Tonino Napoli dice: «Siamo tutti cuochi, cucinieri. Chef significa capo, cuoco è colui che fa da mangiare con amore».

  • Caro carburante, pure il benzinaio cosentino beffato da Mario Draghi

    Caro carburante, pure il benzinaio cosentino beffato da Mario Draghi

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    In principio fu la pandemia da Covid-19 a sconvolgere la routine dei cittadini. Poi venne l’aumento delle tariffe di gas ed elettricità, adesso l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Con la diretta conseguenza dell’escalation dei prezzi del carburante.

    Tutto questo contribuisce a comporre il quadro di un Paese in affanno, che non riesce a rimettersi in moto e a risalire la china. Un’Italia costretta a fare i conti giornalmente con le stangate sul metano, sulla bolletta elettrica e sul conto al distributore di carburante.
    Dopo tante polemiche e minacce di scioperi e blocchi stradali che avrebbero paralizzato il Paese, il Governo qualcosa ha fatto.

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    Il capo del Governo italiano, Mario Draghi

    Per contrastare il caro carburante l’esecutivo di Draghi ha deciso una sforbiciata con un decreto pubblicato il 22 marzo in Gazzetta Ufficiale. Prevede un taglio di 25 centesimi in meno di accise a cui sommare l’Iva per uno sconto complessivo di 30,5 centesimi al litro. Di certo una buona notizia dopo settimane di rincari stellari. Il carburante era arrivato ben oltre la soglia tabù dei 2€/litro. Adesso si spende in media tra 1,71€ ed 1,80€.

    Il caro carburante colpisce pure il benzinaio

    Ma non è per tutti così e per qualche benzinaio il taglio del Governo ha avuto il sapore amaro della beffa. E’ il caso di Mario che gestisce a Cosenza un punto vendita ghost (solo modalità self service): «Appena qualche giorno prima dell’entrata in vigore del taglio delle accise, avevo acquistato una bella scorta di carburante pagandola al “vecchio” prezzo. Ovviamente non posso permettermi di modificare i costi, ci perderei qualcosa come 5mila euro».

    E nella sua stessa condizione sono moltissimi altri gestori di tutta la rete di distribuzione: dalle grandi compagnie petrolifere alle pompe “no logo”. Ognuno di loro ha reagito come poteva, generando differenze significative anche tra benzinai distanti poche centinaia di metri. Stando alle ultime informazioni, a livello nazionale si starebbe cercando di acquisire i dati delle giacenze di carburante di ogni rivenditore così da offrire a coloro che lo avevano pagato a prezzo pieno una compensazione con un credito di imposta.

    Ma gli stessi benzinai si mostrano scettici sull’efficacia di misure limitate nel tempo. L’incognita principale riguarda la durata, il taglio delle accise per ora vale un mese: «Staremo a vedere come evolverà la situazione del mercato nel prossimo futuro – dice Fabio, gestore di una Q8 tra Cosenza e Rende – poi valuteremo come comportarci giorno per giorno».

    La musica non cambia se si interpellano le associazioni di categoria. Assoutenti si dice preoccupata per le oscillazioni delle quotazioni del petrolio e per le conseguenze che il conflitto ucraino potrebbe avere in termini di aumenti sul prezzo dei carburanti.

    Tiepida sui provvedimenti del Governo per frenare la corsa dei prezzi anche la Fegica (Federazione gestori impianti carburanti e affini): «Non c’è chiarezza – denuncia il segretario generale Alessandro Zavalloni -, ancora non si capisce chi dovrà accollarsi il costo delle quantità di carburanti già immesse al consumo. Di questo passo c’è il rischio concreto che il prezzo del carburante arrivi presto a 3 euro al litro».

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    Dopo il picco dei giorni scorsi, tornano parzialmente a scendere i prezzi del carburante

    L’App per combattere il caro carburante

    In tutto ciò gli utenti finali, gli automobilisti, si stanno rendendo conto dell’impatto che il conflitto ucraino avrà sulle loro tasche e cercano di correre ai ripari come possono: qualcuno si affida agli ultimi ritrovati tecnologici in fatto di applicazioni per cellulare che indicano in tempo reale i distributori più convenienti. Altri, meno smaliziati, aspettano di trovare il prezzo più basso per riempire il serbatoio a tutte le auto della famiglia. Quelli che invece pensavano di averci visto lungo acquistando un auto a metano o modificando il sistema di alimentazione con l’obiettivo di risparmiare qualcosina, sono forse coloro che stanno messi peggio di tutti: un pieno di metano costa il triplo di un mese fa e molti gestori sono stati costretti a chiudere per proteggersi dai rincari fuori controllo.
    Sono le conseguenze della guerra alla pompa di benzina. E pensare che quando il metano ha sfondato il muro dei 3 € ancora Putin non aveva progettato di farsi pagare il gas in rubli…

  • Vent’anni in Calabria e il cuore a Čerkasy: «Mio figlio combatte contro i russi»

    Vent’anni in Calabria e il cuore a Čerkasy: «Mio figlio combatte contro i russi»

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    «La guerra tra la Russia e l’Ucraina è agli sgoccioli». A prefigurare imminenti e inimmaginabili scenari di pace non è il professor Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, bensì la signora Lidya che di mestiere fa la badante.
    Classe ‘59, Lidya ha passato gli ultimi vent’anni in Italia, più precisamente in Calabria dove è vissuta tra Sellia Maria, Catanzaro Lido e Pentone.

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    Lydia ha scelto di accudire anziani come la signora Teresa

    È una delle quattromila donne ucraine residenti nella nostra regione, come la maggior parte di esse il suo lavoro è accudire anziani non autosufficienti.
    Prendersi cura degli altri è la sua vocazione, prima di venire in Calabria è stata per anni infermiera pediatrica in un ospedale a Čerkasy a circa 200 km a sud di Kiev.
    In Calabria, come la maggior parte della prima generazione di ucraine emigrate, ha sempre scelto di coabitare con i «nonnini», come li chiama lei. Il suo lavoro le piace. «Vedi lei, la signora Teresa è brava. Solo che ora non ricorda nulla».

    La foto di una delle nipoti sul comodino di Lidya

    La pandemia in Calabria, la guerra in Ucraina

    Oltre allo stipendio, il vitto e l’alloggio sono garantiti purché si presti assistenza h24. Una scelta economicamente vantaggiosa ma emotivamente pesante. In casa si dedica anche alle sue passioni: l’uncinetto, la lettura e la scrittura. Ha decine di taccuini sparsi per casa, una scrittura ordinata riempie tutte le pagine. «Un giorno scriverò un libro», dice. Chissà se come i romanzi rosa presenti che riempiono le mensole di casa.

    Gli unici momenti di libertà sono le uscite in compagnia delle amiche ucraine o per fare la spesa da spedire settimanalmente a marito, figlio e nipoti.
    Una famiglia che non vede da anni. Ha rimandato la partenza più e più volte dal 2019 ad oggi, per la pandemia prima, per la guerra oggi.

    Il 23 luglio le scade il passaporto ed ha un solo desiderio: «Tornare a casa». Alla domanda «Com’è la situazione in Ucraina?», Lidya stringe le spalle, sgrana gli occhi azzurro cielo e dice: «Non bene, ma sta per finire».
    Per fortuna la sua città, Čerkasy, non è stata “ancora” bombardata «ma si sentono le esplosioni, le sirene del coprifuoco sono sempre più vicine. Vivono tutti come conigli, nei sotterranei. Con la paura che possano arrivare».

    Casco, giubbotto e fucile per suo figlio

    Suo figlio, poco più che quarantenne, è stato precettato nella milizia civile. «Una mattina sono andati al suo negozio, gli hanno dato un caschetto, un giubbetto e un fucile». Lui, come tutti gli uomini fino ai 60 anni di età deve fare la ronda in città a difesa dei confini. Lydia abbassa lo sguardo e sospira con un filo di voce: «È il mio unico figlio».
    Allo scoppio della guerra, i familiari della nonnina convivente le hanno proposto di far venire in Calabria la sua famiglia. Ma ha declinato la proposta. «No, non possono venire devono stare lì, abbiamo la nostra casa, la nostra vita da proteggere».

    I soldi seppelliti

    Lei racconta perché è venuta in Calabria: «Ho lasciato tutto per venire qui, lavorare e costruire una vita migliore per me, mio marito, mio figlio e i miei due nipoti. Non posso perdere quanto ho costruito in tutti questi anni di sacrifici”. Con il sudore della fronte e le lacrime del cuore. Con gli occhi cerca la foto di sua nipote undicenne sul comodino. Il contatto con la famiglia è continuo. Ha sempre il telefono in mano. «All’inizio della guerra, ci telefonavamo di più perché le telefonate verso l’Ucraina erano gratuite, ora non lo sono più». La guerra spaventa la sua generazione: non l’ha mai vissuta, se non nei racconti di nonni e zii. «Niente è al sicuro. Abbiamo persino nascosto i nostri soldi e il nostro oro sottoterra».

    Lidya ha vissuto la Guerra fredda, la caduta del muro di Berlino. Quegli anni li ricorda con nostalgia: «Si stava bene, quando eravamo tutti insieme. Poi per un periodo male. Ma ora stavamo di nuovo bene». Ora sono una nazione e lo sa bene anche lei. Alla domanda «Ti senti più russa o europea?», risponde senza esitare con voce fiera: «Io sono ucraina».

    Putin e Zelens’kyj

    Ma cosa pensa Lidya di questa guerra? «È brutta, fa male. Distrugge tutto». E di Putin? Prima di rispondere tentenna, fa un respiro e sbotta: «È un disgraziato, se voleva riunificare Russia, Ucraina, Bielorussia doveva farlo con la pace. Non in questo modo».
    E del suo presidente? «Zelens’kyj è un satirico, ha dimostrato di essere forte, un patriota. Ma no, non è un politico», scuote la testa.

    Ma perché la guerra sta per finire? «La nostra capitale resiste. E anche la mia città».
    E mentre lo dice, ha già digitato su Youtube in cirillico Čerkasy. Fa partire un documentario sulla sua città immersa nel verde, ordinata, costruita sulle sponde del fiume Dnepr e dominata dal monastero di San Michele.
    Lidya freme, vuole tornare a casa, nella sua città ad abbracciare i suoi cari. E nell’attesa «piange e prega».

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    Lidya trova on line un video sulla città di Čerkasy
  • Regione Calabria: la guerra dei mandarini per la poltrona da 240mila euro

    Regione Calabria: la guerra dei mandarini per la poltrona da 240mila euro

    Nell’imbarazzante classifica dei privilegi di politici e papaveri di Stato, la Regione Calabria non fa certo distinzione. Quella dei burocrati che guadagnano quanto un Presidente della Repubblica sembra essere una caratteristica trasversale dal Nord al Sud del Paese. E il personale che occupa gli scranni più alti della Cittadella regionale si pone in piena continuità con i pari grado del resto d’Italia nell’usufruire a man bassa della generosità del settore pubblico.

    Va da sé che tutti questi soldi e privilegi solletichino gli appetiti di molti. E, spesso, dal momento che sedie per tutti non ce ne stanno, chi resta col cerino in mano le prova tutte per accasarsi sulle comode e ben retribuite poltrone regionali. Dunque non stupisce il fermento che si registra ai piani alti della Cittadella in vista della nuova infornata di nomine dirigenziali che andranno a comporre il nuovo spoils system regionale dopo la schiacciante vittoria del centrodestra di Roberto Occhiuto.

    Scontro in tribunale

    Non è un caso che lo scorso 15 dicembre ci sia stata la prima udienza della causa avviata dal “superdirigente” Maurizio Priolo (ex segretario/direttore generale del Consiglio regionale) contro colei a cui è stata affidata la reggenza del doppio incarico a capo della burocrazia regionale: la dirigente di ruolo Maria Stefania Lauria. Priolo si è rivolto ai giudici ritenendo «del tutto illegittima» la nomina di Lauria, «avvenuta senza alcuna valutazione comparativa dei dirigenti interni al ruolo del consiglio regionale e senza fornire alcuna motivazione della scelta compiuta». Questa procedura non gli avrebbe consentito di concorrere per la poltrona «nonostante vantasse requisiti e competenze maggiori rispetto a quelle dell’assegnataria dell’incarico».

    Maurizio Priolo
    Maurizio Priolo
    Centinaia di migliaia di euro in ballo

    Punti di vista argomentati in un ricorso di una trentina di pagine dai legali dell’ex capo della burocrazia. Ora toccherà al giudice Valentina Olisterno della sezione Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria valutare la fondatezza dei rilievi di Priolo e decidere se la nomina di Stefania Lauria sia stata legittima o meno. Di mezzo c’è anche un discreto gruzzoletto: l’ex segretario sostiene di aver perso quasi 10mila euro al mese di guadagni dopo la “retrocessione”. E, oltre alla carica, vuole indietro pure quelli. Erano praticamente 120mila euro a settembre, quando Priolo ha presentato il ricorso. Ma – precisano i suoi legali – bisognerà calcolare la cifra finale al momento in cui Lauria sarà eventualmente destituita. Quindi, come minimo, la somma potrebbe raddoppiare.

    Il dirigente che non dovrebbe esserlo

    L’udienza, dopo la costituzione delle parti, è stata infatti rinviata al prossimo 22 settembre 2022. Qualcosa, però, è già filtrata. L’avvocato della Regione, Angela Marafioti, ha chiesto tutta la documentazione inerente l’inquadramento di Priolo nei ruoli del personale del Consiglio regionale per sollevare una eccezione di nullità del rapporto di lavoro. Quello che l’ex segretario/direttore generale non ha forse messo adeguatamente in conto, infatti, è che lui stesso, non avendo mai partecipato ad un concorso pubblico per occupare poltrone in Regione, nel tempo è stato fatto oggetto di una serie di interpellanze e mozioni arrivate fin dentro l’aula di Montecitorio.

    Un caso arrivato in Parlamento

    La Uil – Fpl ha dedicato alla sua vicenda una intera conferenza stampa per chiedere al consiglio regionale su quali basi giuridiche si fonda il suo mantenimento in servizio. Un dubbio sorto in Regione già nel 2013, quando l’allora segretario generale Nicola Lopez evidenziò «anomalie che sostanziano delle palesi illegittimità» nell’arrivo di Priolo in Cittadella. Non gli risposero che la situazione era legittima, ma che esistevano «altre situazioni soggettive analoghe».

    Qualche dubbio sulla vicenda, da consigliere d’opposizione, lo aveva anche Mimmo Tallini, che chiese lumi a riguardo. Poi, divenuto presidente del Consiglio regionale, era stato proprio lui a scegliere Lauria come capo della burocrazia. Nel 2017, invece, è stata la deputata grillina Federica Dieni a rivolgere una interrogazione a risposta scritta all’allora ministro Madia sul “caso Priolo”.

    Tallini e Lauria
    Mimmo Tallini e Stefania Lauria

    Dieni citava una delibera della Corte dei conti – la 143/2014 del 17 febbraio 2015 – che censura la prassi della mobilità dalle società controllate dalla Pubblica amministrazione nei ranghi della PA. Anche la Consulta ha più volte censurato le leggi regionali «che consentono i meccanismi di reinternalizzazione attraverso il passaggio da impiego privato (società partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale) aggirando l’articolo 97 della Costituzione».

    La scalata della Regione

    Quest’ultima occorrenza sembrerebbe calzare a pennello al caso del grand commis calabrese. Maurizio Priolo, figlio dell’ex consigliere regionale (e attuale presidente dell’associazione degli ex consiglieri) Stefano, inizia infatti la sua folgorante carriera nel Consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia di Reggio Calabria il 14 settembre 1998. Il 1 aprile 2010 viene inquadrato nella dotazione organica del Consiglio regionale della Calabria. E da quel momento non si ferma più.

    Malgrado la fragilità giuridica della sua posizione, diventa segretario e direttore generale del Consiglio regionale nel 2015. Un ruolo a cui si sovrappongono nel tempo anche quelli di dirigente ad interim del Settore Tecnico e delle aree funzionali “Assistenza Commissioni”, “Relazioni Esterne, Comunicazione e Legislativa”, “Gestione” e quelli di responsabile anti corruzione e responsabile della trasparenza. Un potere in Regione degno di un oligarca che adesso dovrà passare al vaglio di un Tribunale per capire se l’interregno di Maurizio Priolo sia giunto o meno al capolinea.

    (ha collaborato Michele Urso)

  • Benvenuti nella regione del Sud dove la monnezza costa di più

    Benvenuti nella regione del Sud dove la monnezza costa di più

    Raccogliere, differenziare e riciclare. Sono questi i tre principi cardine dell’economia del rifiuto e i loro numeri fotografano lo stato di salute dei nostri paesi e della nostra Regione.
    Il rapporto 2021 diffuso dall’Ispra, elaborato su un campione di 177 comuni calabresi su 404, ci illustra dati alla mano tutte le luci e le ombre del sistema.

    In controtendenza con i dati europei, tra i pochi effetti collaterali positivi della pandemia c’è senza dubbio la riduzione della produzione dei rifiuti in tutta Italia. È dal 2016 che i rifiuti dichiarati dai Comuni della Calabria sono in calo anno dopo anno. Nel 2020 ogni calabrese ha prodotto in media 381,36 kg di rifiuti a differenza dei 405 kg dell’anno precedente. Un dato che ci posiziona al terzultimo posto della classifica nazionale dietro solo a Molise e Basilicata.

    Sarà che prodigi dell’era Covid altro non sono che l’effetto del lockdown sulle abitudini culinarie dei calabresi che ai cibi confezionati hanno preferito produzioni casalinghe. E la ressa per accaparrarsi il lievito di birra è ancora un vivido ricordo.
    Le province più virtuose nella produzione dei rifiuti sono state Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria.

    Calabria lumaca della differenziata

    La Calabria nel 2020 è riuscita a differenziare ben il 52,2% dei rifiuti prodotti.
    Un dato prodigioso se si pensa che nel 2016 la percentuale di raccolta differenziata era appena il 33,2%.


    Venti punti percentuali che però non possono essere un vanto se si considera che siamo partiti 20 punti in meno rispetto ai migliori che oggi segnano una percentuale di raccolta differenziata che arriva al 76% come in Veneto.
    E quei pochi rifiuti che produciamo non siamo in grado neanche di differenziarli bene.
    La Calabria, infatti, è tra le regioni con il valore di raccolta differenziata pro-capite più basso (199 kg).

    Le due province che vincono la maglia nera 

    Le province meno riciclone sono Crotone e Reggio Calabria. Per la provincia di Pitagora la magra consolazione di essersi migliorata di appena due punti percentuali: dal 30,8% del 2019 al 32,7%.
    Stesso discorso per la provincia dello Stretto che è passata dal 36,3% del 2019 al 39,6%. Solo 50 punti percentuali di distacco da Treviso, la migliore provincia d’Italia con l’88% dei rifiuti differenziati.
    E se si pensa che l’obiettivo da agguantare nel 2020 era il 65%, il gap in questo caso più che impallidire dovrebbe farci arrossire di vergogna. A mettere una toppa i dati della differenziata delle province di Cosenza e Catanzaro che superano anche se di poco il 60%. Un pessimo risultato che affonda le radici in una gestione fallimentare del settore rifiuti che in Calabria non per niente è commissariato da ben 17 anni. A nulla pare siano serviti i milioni di euro sversati per il potenziamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella nostra regione.

    Meglio l’organico che la plastica

    Ma se proprio dobbiamo differenziare in Calabria siamo bravissimi a differenziare, nell’ordine: organico, carta, vetro e plastica.
    Ogni calabrese nel 2020 ha differenziato 88 kg di umido, 48 kg di carta, 27 kg di vetro e appena 9 kg di plastica e pensare che – secondo il WWF – in media un uomo all’anno ne produce 73 kg.

    Un solo inceneritore in Calabria

    «In linea generale – secondo l’Ispra – laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica. Vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è carente e poco diversificato». In Calabria, ad esempio, esiste un solo impianto di biogas e si trova a Rende in provincia di Cosenza. E’ nel 2018 sul sito di Calabra Maceri, azienda specializzata nel recupero e smaltimento dei rifiuti urbani, il primo impianto di biometano del Centro-Sud connesso alla rete nazionale del gas naturale di Snam. L’impianto è in grado di trasformare 40mila tonnellate annue di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata in 4,5 milioni di metri cubi di biometano, oltre a produrre 10mila tonnellate di un fertilizzante per l’agricoltura biologica.

    Gli impianti di compostaggio, invece, in Calabria sono 11 con una quantità di rifiuti urbani smaltibili di 114.700 tonnellate l’anno. Anche il Trentino ha 11 impianti di compostaggio solo che smaltiscono appena 67.760 tonnellate.

    A Gioia Tauro sorge l’unico e tanto vituperato inceneritore della Regione usato per trattare appena 1,2% dei rifiuti prodotti anche se negli ultimi anni ha registrato un incremento del +17% con 19mila tonnellate incenerite.
    Giusto un po’ di storia, l’impianto di Gioia è stato avviato nel 2005, autorizzato nel 2015 e da qui a breve dovrà essere revisionato, la scadenza dell’autorizzazione segna la data 2025.

    Quanto smaltiamo in discarica

    Nel 2020 sei sono le discariche ufficiali in Calabria. L’analisi dei dati a livello regionale evidenzia un calo tra il 2019 ed il 2020, riferibile soprattutto al Mezzogiorno dove si registra un calo di oltre 259mila tonnellate di rifiuti collocati in discarica. Al Sud la riduzione maggiore si ha in Calabria (-36,6%), dove circa 23 mila tonnellate di rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani vengono smaltite fuori regione.
    In Calabria nel 2020 sono stati prodotti 715.976 tonnellate di rifiuti e smaltiti in discarica 196.169 di cui solo 596 tonnellate provenienti da fuori regione mentre 22.955 tonnellate li abbiamo smaltiti fuori dalla nostra regione.
    In media un calabrese smaltisce in discarica 104 kg di rifiuti. Ma c’è chi sta peggio come il Molise con 262 kg per abitante.
    Il pro capite nazionale di frazione biodegradabile in discarica risulta, nel 2020, pari a 59 kg per abitante, al di sotto dell’obiettivo stabilito dalla normativa italiana per il 2018 (81 kg/anno per abitante). La Calabria è fra le 12 Regioni che hanno invece conseguito l’obiettivo prefissato nel 2018.

    Tuttavia, i nuovi obiettivi di riciclaggio fissati dal d.lgs.152/2006 e successive modificazioni che prevedono entro il 2030 il raggiungimento di almeno il 65% di riduzione dello smaltimento in discarica ed entro il 2035 a non più del 10% dei rifiuti prodotti, renderanno necessario realizzare un sistema industriale di gestione che sia in grado di garantire il necessario miglioramento. La Calabria riuscirà a raggiungere l’obiettivo? Difficile dirlo, ma le premesse, soprattutto se guardiamo quanto accaduto nel settore negli ultimi vent’anni, non sono per nulla rosee.

    Mio caro rifiuto

    La Calabria è la regione del Sud dove i rifiuti costano di più: 50,35 centesimi al kg. Importo che purtroppo non può tenere conto del dato della città di Catanzaro perché non pervenuto per la stesura del rapporto.
    Per definire il costo del rifiuto e renderlo uniforme sul piano nazionale l’Autorità di Regolazione per l’Energia e le Reti e Ambiente (Arera) definisce il perimetro gestionale assoggettato al nuovo metodo tariffario, al fine di renderlo uniforme su tutto il territorio nazionale. Il perimetro gestionale comprende: spazzamento e lavaggio delle strade; raccolta e trasporto dei rifiuti urbani; gestione tariffe e rapporti con gli utenti; trattamento e recupero dei rifiuti urbani; trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani.
    La voce che maggiormente incide sul costo totale è quella relativa alla raccolta e trasporto delle frazioni differenziate (CRD). Il costo complessivo medio pro-capite nella nostra regione è di 190 euro mentre in Liguria ne sborsano la bellezza 263,3. Il raffronto numerico senza una spiegazione non dà l’idea: perché in Liguria è vero che si spendono più di 70 euro a testa ma è innegabile che la qualità dei servizi legati al rifiuto è colossale.

    Quanto costa differenziare

    Differenziare costa meno che smaltire. E’ un dato di fatto. Sebbene i dati di riferimento per la Calabria siano statisticamente poco rilevanti perché il campione analizzato non supera in alcuni casi i cinque Comuni , l’Ispra stima un costo di 27,56 centesimi al kg per la carta, 12,49 centesimi/kg per il vetro, 15,87 centesimi/kg per plastica, 15,05 centesimi/kg per metalli e 39,79 centesimi per l’organico.

    Economia circolare

    Nel futuro la gestione del rifiuto passerà soprattutto dal riutilizzo e dal riciclo. Dopotutto la road map della direttiva Ue 2018/851 prevede un riciclaggio e un riuso al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 per raggiungere il 65% nel 2035.

    Il decreto legislativo 116/2020 ha introdotto, con il nuovo articolo 198 bis del d.lgs. 152/2006, la previsione del Programma Nazionale per la gestione dei rifiuti, accanto ai piani regionali e ne disciplina i contenuti e le procedure per l’approvazione e l’aggiornamento. Il Programma è aggiornato almeno ogni 6 anni, tenendo conto, tra l’altro, delle modifiche normative, organizzative e tecnologiche intervenute nello scenario nazionale e sovranazionale.
    In considerazione dell’attuale e rinnovato sistema normativo e regolatorio, le Regioni dovranno provvedere all’aggiornamento dei Piani regionali di gestione dei rifiuti e dovranno inserirsi nel percorso delineato dall’Unione Europea con il “Nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare” (COM/2020/98), che mira ad accelerare il cambiamento richiesto dal Green Deal europeo.

    L’aggiornamento rientra all’interno delle condizioni abilitanti, a livello regionale, per l’accesso a finanziamenti del Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e al Fondo di coesione.
    In Calabria siamo fermi al D.G.R. n. 340 del 02/11/2020 Linee di indirizzo per l’adeguamento del “Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (PRGR) approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 156 del 19 dicembre 2016.
    Alla nuova Giunta il compito di aggiornare il piano per restare agganciati al treno-Paese e dare finalmente concretezza e significato agli slogan green delle campagne elettorali.

     

  • Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    La Sanità calabrese sono io. Roberto Occhiuto potrebbe parafrasare il motto di Luigi XIV (in quel caso era “Lo Stato sono io”), incoronandosi sovrano assoluto di un settore così nevralgico. Dopo la nomina a commissario straordinario alla Sanità, martedì 14 dicembre arriverà a Palazzo Campanella la proposta di legge di istituzione dell’Azienda Zero a firma del fedelissimo consigliere regionale, Pierluigi Caputo.
    Operazione da 700mila euro iniziali che poi pescherà nelle risorse stanziate per la garanzia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) previste dal bilancio di previsione 2022-2024.

    Parola d’ordine “centralizzare”

    L’azienda Zero nasce dalla necessità di “razionalizzare, integrare ed efficientare i servizi sanitari, socio-sanitari e tecnico amministrativi del Sistema sanitario regionale” dopo 12 anni gestione commissariale ritenuta fallimentare dall’organo controllo ministeriale sui conti della nostra sanità.
    Per raggiungere tali obiettivi, è previsto l’accentramento di poteri e funzioni attraverso la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale.
    All’Azienda Zero faranno capo tutti gli acquisti, le procedure di selezione del personale delle aziende sanitarie, le autorizzazioni e gli accreditamenti delle strutture private, la gestione del contenzioso, le eventuali transazioni, coordinerà la medicina territoriale e darà gli indirizzi in materia contabile alle Asp e Ao della Regione: il cuore malato della sanità calabrese dove si annidano clientele, sperperi, inefficienze, commistioni e interessi che hanno generato quel debito monstre che gli stessi organi contabili continuano a definire incalcolabile.

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    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
    Un potere immenso nelle mani di Occhiuto

    L’Azienda zero avrà un potere immenso che fino a questo momento non aveva avuto nemmeno l’ufficio del Commissario che, pur avendo avocato in una sola figura praticamente la gestione dell’intero comparto, doveva sempre e comunque rispondere anche al dipartimento regionale Tutela della Salute che oggi viene derubricato a un mero organo di coordinamento. Si bypasseranno così – o almeno questo è l’obiettivo – anche le difficoltà di interlocuzione con dirigenti territoriali.

    Ma chi controlla chi?

    Il direttore generale dell’Azienda Zero sarà nominato dal presidente della Regione Calabria previa autorizzazione della Giunta o dal commissario ad acta. Non farebbe una piega se non fosse che il presidente della giunta si chiama Roberto Occhiuto che poi è anche il commissario delegato alla sanità. Facile immaginarsi Occhiuto mentre s’interroga sul professionista da nominare guardandosi allo specchio.
    Che la sanità fosse il regno incontrastato di baroni e baronetti era cosa nota ma adesso siamo alla restaurazione della monarchia. Occhiuto è presidente, commissario ad acta, nomina il dg del Dipartimento Salute e sceglie il capo dell’Azienda Zero. Roberto come Luigi XIV: il re Sole della Regione Calabria.

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    La Cittadella regionale a Germaneto
    Occhiuto: meno poteri alle Asp

    L’Azienda unica della sanità non è una novità calabrese. Lo dice lo stesso Roberto Occhiuto parlando con i giornalisti a Catanzaro del progetto Calabria Zero. «Esiste già in altre Regioni – è il commento del presidente della Giunta -, ho voluto farla anche in Calabria perché nelle aziende sanitarie c’è una capacità amministrativa non sempre adeguata. Ho ritenuto che fosse più utile costruire un unico cervello – continua Occhiuto – che accentrasse tutta la capacità amministrativa e che potesse svolgere, per conto di tutte le Aziende sanitarie, le funzioni che altrimenti non riescono a svolgere. Anche questo va nella direzione di riorganizzare e rendere più efficiente il sistema sanitario».

    Occhiuto ha infine precisato: «Non c’è una riduzione del numero delle aziende, c’è la costituzione di quella che di fatto sarà una sorta di agenzia. Certo, le Aziende sanitarie faranno meno di quello che hanno fatto finora dal punto di vista amministrativo, ma non mi sembra che abbiano brillato».

    I presupposti per dare una sterzata convinta alla governance della sanità, ci sarebbero pure. Ma c’è da capire – e non è una questione di secondo piano – a chi sarà affidata la gestione dell’Azienda unica regionale dal momento che al timone della nostra disastrata sanità si sono succeduti marescialli, comandanti e generali ma mai nessuno con una concentrazione di potere così grande.

  • Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Anche quest’anno niente soldi per i libri degli alunni delle scuole elementari di Cosenza. Il Comune in dissesto non paga le librerie scolastiche che, a loro volta, dopo avere fornito i libri nel 2019 senza essere stati pagati in tempo e integralmente, hanno deciso di fare anticipare – come già successo nel 2020 – il costo dei libri alle famiglie dei bambini anche per quest’anno. Somme che saranno restituite non appena il Comune liquiderà le fatture alle librerie. «Non è mancanza di volontà», ribadiscono in coro i librai della città, «purtroppo siamo arrivati al limite delle nostre forze. Non riusciamo più ad anticipare somme che poi non ci restituiscono».

    Oltre metà incasso volatilizzato

    I titolari delle librerie scolastiche di Cosenza portano ad esempio quanto accaduto nel 2019. «Abbiamo fornito a tutti coloro che presentavano le cedole di acquisto i testi richiesti. Sapete come è andata a finire? Che siamo stati “costretti” ad accettare una transazione con cui il Comune ci ha liquidato il 40% del totale fatturato». E dal momento che sui testi scolastici l’utile è di appena il 15%, il conto è presto fatto: su circa 90mila euro che il Comune avrebbe dovuto rimborsare, i librai ne hanno intascati appena 36mila.

    Il nocciolo della questione sta qui. A Cosenza, complice il dissesto finanziario, il Comune non eroga somme che dovrebbero già essere in bilancio su uno specifico capitolo di spesa. Così le librerie devono sospendere le forniture e ai genitori tocca aprire il portafogli.
    Laura G. è la mamma di una bambina in prima elementare. «Nel mio caso – dice – non sono i 50 euro per i sussidiari di Aurora a fare la differenza, ma cerco di mettermi nei panni anche di chi sta passando un periodo difficile. Magari non è in condizione di anticipare neanche una somma relativamente modesta come questa».

    Le difficoltà del Comune ricadono sugli altri

    Dal canto loro, le librerie scolastiche della città non ci stanno a fare da parafulmine alle inadempienze della pubblica amministrazione. E, dopo avere chiuso con una transazione estremamente onerosa (per loro) la vicenda dei vecchi crediti, hanno (ri)proposto di fare anticipare alle famiglie il costo dei libri.

    cedola libri primarie
    Una ricevuta consegnata a un genitore di un alunno delle primarie a Cosenza

    A pagare i testi delle scuole primarie, per legge erogati gratuitamente dallo Stato, sono state le famiglie. Che poi, quando e se il Comune sarà nelle condizioni di liquidare le fatture, riavranno i loro soldi direttamente dalle librerie. Basterà presentare le cedole di acquisto, «ed entro 60 giorni effettueremo il rimborso», spiega il titolare di una delle attività che hanno proposto questa soluzione.

    Cantanzaro, Crotone e Vibo? Tutto gratis

    Nelle altre province la situazione è molto diversa, fortunatamente. Ad agosto il settore Pubblica istruzione del Municipio di Catanzaro ha divulgato un avviso per lo stanziamento di 140mila euro per l’acquisto gratuito dei libri di testo delle scuole primarie. Le librerie accreditate sono state 11; gli aventi diritto 3.958.
    Luana P., mamma di Andrea: «Noi abbiamo pagato solo un euro per le copertine “obbligatorie”, per il resto più nulla». Manuela C.: «A gennaio abbiamo scelto la scuola per la piccola Ginevra, in primavera sono arrivate le cedole on-line e a settembre, non appena abbiamo avuto indicazioni delle classi, siamo andati in libreria a ritirare i testi».

    il comune di Catanzaro
    La sede del Comune di Catanzaro

    Anche a Catanzaro qualcuno aveva provato a chiedere di anticipare i soldi dei libri. «Ma il Comune ha bocciato subito l’attività dichiarandola illecita», spiega Liana N., mamma di Giuseppe e Gaia. L’iter previsto dalla Legge 448/98 dovrebbe essere uguale per tutti: i genitori acquistano i libri tramite le cedole ricevute a scuola e i librai fatturano al Comune. Funziona così un po’ dappertutto, anche a Crotone e Vibo Valentia.

    Anche a Reggio tocca anticipare

    Il meccanismo si è inceppato a Cosenza ed a Reggio Calabria. Anche qui i genitori devono anticipare i soldi per l’acquisto dei libri per le scuole primarie. Il motivo è sempre lo stesso: pure in riva allo Stretto i librai non riescono ad incassare in tempo le fatture dal Comune. Che, in questo caso, non può neanche sfruttare l’alibi del dissesto finanziario per difendersi.
    Amaro lo sfogo di una mamma sui social: «Abbiamo tre figli. Se consideriamo una spesa media per i libri di 65 euro a testa, viene fuori che la somma da anticipare per una famiglia non benestante non è per nulla indifferente».

    Le rassicurazioni della vecchia amministrazione

    Lo scorso anno ci ha provato l’assessore Spadafora Lanzino a gettare acqua sul fuoco delle polemiche giustificando i librai e rassicurando le famiglie: «Purtroppo, la consueta anticipazione degli importi da parte delle librerie su ricezione delle apposite cedole, non è resa possibile, oggi, dalla circostanza che le librerie stesse sono, al momento, in attesa della liquidazione delle spettanze relative all’anno scolastico 2019/2020, oggetto della procedura di liquidazione dinanzi alla Commissione straordinaria operante presso l’Amministrazione Comunale. Ciò giustifica la soluzione dell’anticipazione, ossia del temporaneo e provvisorio pagamento dei libri di testo da parte delle famiglie degli alunni, che tempestivamente riceveranno la restituzione di quanto versato non appena, con sicura tempestività, il Comune procederà a liquidare, su presentazione delle fatture da parte delle librerie, le somme in credito».

    L'ex assessore Matilde Lanzino
    L’ex assessore Matilde Lanzino
    I dubbi di quella nuova

    A piazza dei Bruzi solo in questa ultima settimana è arrivata la nomina dei presidenti delle commissioni consiliari e la nuova giunta del sindaco Caruso sta iniziando ad avviare la macchina amministrativa.
    Dai banchi della maggioranza fanno sapere che «stiamo iniziando ora ad esaminare il bilancio. Solo dopo saremo in grado di capire dove sono finite e come sono state usate dalla precedente Amministrazione le somme per l’acquisto dei libri e come fare a recuperarle».

    Una cosa però è certa: il capitolo Istruzione è tra i più complessi nel bilancio del Comune di Cosenza. Stessi fondi ministeriali, destini diversi per le risorse della scuole primarie e secondarie a Cosenza. Le fatture dei librai delle primarie sono finite nella massa passiva. Per recuperare i soldi integralmente – salvo stralci dal 30 al 60% – ci vorranno dai sei ai dieci anni. I fondi destinati alla scuole secondarie di 1 e 2° grado, invece, sono finiti su un capitolo di spesa ad hoc. Questo ha garantito già dallo scorso anno l’erogazione di 450mila euro.

    Sempre più sconcertati i librai : «Non riusciamo a capire come essendo anche i nostri fondi ministeriali siano finiti nella massa passiva. Certo è che se anziché destinare le risorse ad altro le avessero impiegate per pagare le cedole oggi non ci troveremmo in questa situazione».

  • Covid Calabria, quando il virus dà alla testa

    Covid Calabria, quando il virus dà alla testa

    Chi pensava che passata la sfuriata della fase acuta e archiviati i vari lockdown, tutto sarebbe presto tornato alla normalità, non aveva fatto i conti con l’onda lunga del Covid e i suoi effetti sulla salute mentale.
    La corsa del Coronavirus non si è arrestata alle soglie dei reparti di malattie infettive, nelle terapie intensive degli ospedali ingolfate di polmoniti bilaterali e insufficienze respiratorie. Il virus si è insinuato nella vita privata dei cittadini come un tarlo, ha rotto equilibri, scombinato prassi, modificato routine. E questo ha avuto conseguenze. In alcuni casi delle gravi conseguenze.

    La stabilità mentale in crisi

    Ci sono state persone che hanno lasciato il lavoro. Altre che non hanno resistito al nuovo assetto sociale post-pandemico e non sono riusciti a mantenere una relazione affettiva.
    L’elemento che più di tutti sembra aver messo in crisi la nostra stabilità mentale è lo stop, forzato, ad ogni forma di interazione sociale. Ne è convinta la psicoterapeuta di Cosenza, Maria Giovanna Napoletano: «A causa dalla difficoltà di stare insieme tra pari, molti bambini presentano ritardi nel linguaggio. Problemi nella sfera della socialità colpiscono invece i pre-adolescenti e hanno a che fare con la sensazione costante di precarietà».
    Ondate, varianti, zone rosse, lockdown, quarantena: sono tutti elementi di un nuovo linguaggio sociale che ha destrutturato la realtà che conoscevamo creandone una nuova, inedita e destabilizzante.

    Salgono le patologie psichiatriche nei bambini

    In tutta Italia nell’ultimo anno c’è stata una vera e propria esplosione di patologie psichiatriche, anche in età pediatrica. Lo ha fatto notare la dottoressa Elena Chiappini, pediatra che lavora al prestigioso ospedale Meyer di Firenze e docente universitario in Pediatria generale e specialistica dell’Università di Firenze.

    Soffre tanto chi sta già messo male

    C’è un dato, invece, su cui sembrano esserci ormai pochi dubbi, ed è la relazione causale tra la pandemia da Covid e le malattie psichiatriche. Lo conferma Immacolata d’Errico, psichiatra e psicoterapeuta: «L’analisi dei dati – spiega – dimostra non solo l’escalation di queste patologie a iniziare dai disturbi del comportamento alimentare ma anche l’evoluzione di disagio psicologico in chi non ha sviluppato quadri psichiatrici».
    Fuori da ogni tecnicismo, significa che la pandemia ha amplificato la fragilità psicologica anche di quella parte di popolazione che con panico, depressione e atti di autolesionismo, non aveva finora mai fatto i conti.

    Diversa la situazione per chi era già avvezzo al disagio mentale prima dell’avvento della pandemia. In questi casi, si è notato un aggravamento del quadro clinico. Quanto esteso possiamo desumerlo dalla statistica che ci fornisce la cosentina Maria Giovanna Napoletano: «Dalla mia esperienza ho notato una complicazione delle patologie in circa l’80% dei pazienti».

    Sterilizzare le mani in maniera compulsiva

    Secondo i professionisti della salute mentale, i disturbi d’ansia si manifestano in modo diverso in base all’età dei soggetti. I bambini fino ai 5/6 anni di età, sviluppano sintomi fisici come mal di testa, mal di pancia, paura del buio, ansia da separazione. Dai 7 anni in su possono comparire segni di stress, alterazioni del pensiero, panico, disturbi del sonno e dell’umore. Peggiorativi sono i risultati di un altro studio sul disturbo ossessivo – compulsivo che sembra avere sofferto parecchio la “perturbazione” che la paura del Covid – 19 ha provocato. Ci sono stati casi di persone talmente esasperate dalla necessità di lavarsi le mani e di igienizzarle anche decine e decine di volte al giorno, da essersi provocati ipersensibilità ai detergenti, irritazioni ed eritemi.

    Il parere della psicoterapeuta

    «Purtroppo è una situazione a cui assistiamo spesso in chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo» spiega la dottoressa Napoletano, che di lavoro fa la psicoterapeuta. «Le norme introdotte per il contenimento del contagio hanno aggravato le compulsioni: lavarsi le mani e disinfettarsi sono gli esempi più ricorrenti ma non sono gli unici. C’è stato anche un aggravamento di tipo cognitivo: pensieri ricorrenti e intrusivi sono stati esasperati dal contesto di solitudine e dalla mancanza di relazioni sociali».

    Roberta, sola e in preda alla paranoia

    Gianmarco e Roberta possono aiutare a capire come il Covid impatta nel concreto sulla sofferenza mentale. Roberta (entrambi i nomi sono chiaramente di fantasia) è una vedova sulla sessantina. Abita sola in una villetta alla periferia del capoluogo di regione. La sua vita è stata segnata dal disagio psichico sin dalla più tenera età ma negli ultimi anni era riuscita a ritagliarsi una certa stabilità fatta di poche e abitudinarie azioni: uscire per la spesa, fare una sosta al tabacchino e rientrare a casa. Tanto le bastava.

    Con il Covid le cose sono cambiate. Le chiusure, le zone rosse, il martellamento mediatico hanno riacceso in lei la paranoia di potersi contagiare e l’hanno portata a chiudersi in casa e a rinunciare alle (poche) interazioni sociali che aveva. Dopo quasi due anni, gli effetti continuano a farsi sentire. Roberta non ha più ripreso la sua routine e le sue giornate sono condizionate dalla paura di potersi ammalare e da una sensazione di precarietà asfissiante.

    Gianmarco, fissato con l’ordine e la pulizia

    Gianmarco, anche lui calabrese, ci racconta una storia diversa. La sua diagnosi pre-Covid era disturbo ossessivo compulsivo con tratti paranoici. Ha sempre avuto la tendenza a pensare troppo, Gianmarco. E l’arrivo del Covid non lo ha aiutato. Anzi. La famiglia racconta che ha iniziato ad essere fissato con l’ordine e la pulizia. Disinfettava tutto quello che entrava in casa: dalle buste della spesa agli abiti indossati, dalle chiavi alle scarpe al portamonete. Il Covid era sempre nei suoi pensieri, le sue giornate erano scandite dal Bollettino informativo delle 18 con numero di morti e feriti. Di tornare in cura e riprendere le sedute con lo psichiatra, per lui era un assoluto tabù. Gianmarco dice di essere troppo geloso dell’autonomia che è riuscito a conquistarsi in questi anni. «Tornare in terapia – spiega – sarebbe come andare indietro di dieci anni, ammettere che sono ancora malato e che non ho speranza di guarire».

     

  • Terme Luigiane, il Tar boccia i due Comuni: atti illegittimi

    Terme Luigiane, il Tar boccia i due Comuni: atti illegittimi

    Il Tar Calabria mette il primo punto fermo su quel gran pasticcio delle Terme Luigiane accogliendo il ricorso presentato dalla società Sateca contro le Amministrazioni comunali di Guardia Piemontese e Acquappesa.
    Dunque secondo il Tribunale amministrativo i Comuni «hanno impedito a Sateca l’esercizio del diritto previsto dalla clausola dell’accordo del 2019 e la prosecuzione dell’attività fino al subentro del nuovo sub-concessionario». Pertanto, «sono senz’altro illegittimi gli atti di esercizio del potere di autotutela pubblicistica posti in essere dai Comuni».

    Fin qui l’avvocatesca interpretazione dell’arcinota vicenda che ha visto contrapposte la società Sateca e i Comuni di Guardia e Acquappesa. L’ennesimo scandalo calabrese su cui si è giocata la solita partita a perdere tra personaggi politici schierati su fronti opposti ma accomunati tutti dalla fallimentare gestione del dossier “Terme Luigiane”.

    La stagione saltata

    Ma mettiamo sul piatto qualche cifra, dal momento che questa vicenda ha avuto conseguenze ben più sostanziose di un chiacchiericcio politico. L’impasse generata dal mancato accordo ha fatto saltare la stagione termale ed ha lasciato sul lastrico i 250 lavoratori dello stabilimento termale. E non è possibile quantificare con precisione quante prestazioni socio-sanitarie e servizi termali sono stati cancellati, quanti turisti sono stati indotti a cambiare destinazione e a quanto ammonta il danno prodotto agli oltre mille lavoratori dell’indotto che ruota attorno alle Terme Luigiane. Altrimenti, dati alla mano, avremmo la fotografia di un collasso socio-economico di proporzioni gigantesche.

    Le responsabilità di sindaci e Regione

    Un dato certo è che, di questo pasticciaccio, la politica porta un pezzo importante di responsabilità. I sindaci dei comuni di Guardia Piemontese ed Acquappesa, anzitutto, per avere pervicacemente, di fatto, provocato uno stallo nella vertenza certificato dalla fallimentare gestione della gara indetta per individuare il nuovo gestore dello stabilimento che non a caso è andata deserta. Un fallimento politico-amministrativo certificato adesso dalla pronuncia del Tar.

    Non meno grave è la responsabilità della Regione, proprietaria del solo sfruttamento delle acque termali (legge 40/2009) che non ha voluto – o non ha saputo – creare le condizioni affinché dal 2016, anno di scadenza della subconcessione, potesse essere messo a bando lo sfruttamento delle acque termali, eventualmente anche revocando la concessione ai Comuni alla luce delle continue inadempienze rispetto a scadenze e cronoprogrammi.

    Un voto in controtendenza

    Una disfatta su tutta la linea: le Terme Luigiane sono diventate l’emblema di una politica compiacente, inadeguata e irresponsabile che provoca danni, cancella posti di lavoro e non si preoccupa di rispondere del proprio operato.
    Per una degna conclusione di questa brutta storia, torniamo alle ultime Amministrative di ottobre. Perché nonostante tutto quello che è accaduto e il ruolo svolto nell’affaire delle Terme, il sindaco uscente di Guardia Piemontese, Vincenzo Rocchetti, si ricandida e viene rieletto a pieni voti.

  • Troppe inchieste su di loro, i sindaci non ci stanno più

    Troppe inchieste su di loro, i sindaci non ci stanno più

    I principali reati contestati ai sindaci sono abuso d’ufficio, peculato, voto di scambio, corruzione, falso in atto pubblico. Finire un mandato senza un processo a proprio carico sembra ormai un caso più unico che raro: a ritrovarsi indagati per l’allagamento di un sottopasso, una mancata manutenzione stradale o per un bimbo che si fa male a scuola è un attimo.

    L’Anci ha lanciato una petizione a tutela dei primi cittadini che chiede al Parlamento di rivedere il Testo unico degli enti locali.
    Più della metà dei sindaci calabresi ha aderito all’iniziativa nazionale (212 su 404).

    CLICCA QUI PER L’ELENCO DEI SINDACI CALABRESI CHE HANNO FIRMATO LA PETIZIONE

    «Non chiediamo immunità o impunità – è scritto nell’appello – ma domandiamo: possono i sindaci rispondere personalmente e penalmente di valutazioni non ascrivibili alle loro competenze? Possono essere condannati per aver fatto il loro lavoro?».
    Alla petizione Anci hanno aderito tutti i sindaci dei capoluoghi di provincia. E ad eccezione di Maria Limardo (Vibo Valentia) e Francesco Voce (Crotone), eletti di recente, tutti gli altri portano sulle spalle procedimenti giudiziari importanti.

    Reggio Calabria: Falcomatà

    Un anno e dieci mesi di reclusione: è la condanna chiesta dai pm della Procura di Reggio Calabria nei confronti del sindaco Giuseppe Falcomatà. Il reggino è imputato per abuso d’ufficio e falso nel processo su presunte irregolarità nelle procedure di affidamento del Grand Hotel Miramare. Al centro del processo, l’affidamento di uno dei palazzi storici della città all’imprenditore Paolo Zagarella. Il Comune aveva assegnato la gestione a Zagarella dopo che quest’ultimo, durante la campagna elettorale del 2014, aveva concesso i suoi locali per la segreteria di Falcomatà. Secondo l’accusa, sindaco e assessori avrebbero violato «i doveri di imparzialità, trasparenza e buona amministrazione».

    Falcomatà
    Il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà

    Per i pm, i membri della Giunta hanno adottato una delibera con la quale «statuivano l’ammissibilità della proposta proveniente dall’associazione Il Sottoscala» mentre avrebbero dovuto predisporre un bando pubblico. Gli imputati hanno spiegato che la delibera era un atto di indirizzo. Ma per la Procura «non c’era nessun atto di indirizzo, ma un atto di immediata concessione: il gioiello di famiglia si era trasformato in un affare di famiglia. Non è stata mala-gestio, ma una gestio finalizzata a raggiungere un determinato obiettivo e il sindaco è stato il regista». La sentenza è prevista per il 19 novembre.

    Catanzaro: Abramo

    Doppia inchiesta per il sindaco di Catanzaro. Sergio Abramo è imputato per abuso d’ufficio nel processo Multopoli relativo ai presunti illeciti legati all’annullamento di contravvenzioni per le violazioni del Codice della strada che coinvolge anche Mimmo Tallini. Per il primo cittadino nei giorni scorsi è arrivata la richiesta di assoluzione. Per l’ex presidente del Consiglio Regionale, invece, la richiesta di condanna è di un anno e sei mesi. La sentenza è prevista il 12 novembre.

    È di corruzione, invece, l’ipotesi di reato contestata al sindaco sulla gestione dei pontili mobili nel porto di Catanzaro Lido. Abramo, giunto al suo quarto mandato, è accusato di aver intascato un’indebita somma di denaro tramite il nipote allo scopo di favorire nella realizzazione delle opere l’imprenditore Raoul Mellea, titolare della Navylos.

    Cosenza: Occhiuto

    Un processo dietro l’altro per l’ormai ex primo cittadino di Cosenza, Mario Occhiuto. È stato rinviato a giudizio per l’inchiesta “Piazza sicura” che nell’aprile del 2020 portò al provvedimento di sequestro preventivo di Piazza Bilotti per gli atti che riguardavano la procedura di collaudo dei lavori di riqualificazione e rifunzionalizzazione ricreativo- culturale dell’opera, compresa la realizzazione del parcheggio interrato. Lavori per un investimento di oltre 15,7 milioni di euro, di cui quasi 12 di finanziamento pubblico e 3,7 a carico di privati. Le accuse agli imputati vanno dal falso ideologico alla turbata libertà della scelta del contraente e rivelazione del segreto di ufficio fino al falso materiale commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici e mancanza del certificato di collaudo.

    Occhiuto è stato prosciolto invece da ogni accusa nell’ambito dell’inchiesta “Passepartout” condotta dalla Procura di Catanzaro su presunte irregolarità in alcuni appalti nel territorio di Cosenza, tra cui quelli relativi alla realizzazione della metropolitana leggera e del nuovo ospedale.
    Risulta iscritto nel registro degli indagati e dovrà rispondere di truffa ai danni del Comune, falso e peculato per la vicenda legata ai rimborsi per missioni mai effettuate. Al centro, le spese sostenute tra il 2013 e il 2016 per una serie di missioni istituzionali (biglietti aerei, ristoranti…) rimborsate da Palazzo dei Bruzi che però non si sarebbero mai svolte. La Corte dei Conti, inoltre, lo ha condannato in primo grado ritenendolo colpevole di un danno erariale da circa 260mila euro relativo agli emolumenti del suo staff.

    Occhiuto
    Mario Occhiuto
    L’assessorato sospetto

    Sul capo di Mario Occhiuto infine pende un procedimento per associazione a delinquere transnazionale. L’ex primo inquilino di Palazzo dei Bruzi, è stato rinviato a giudizio dal Gup del Tribunale di Roma, nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pm Alberto Galanti, sui rapporti tra il sindaco, l’ex ministro per l’ambiente Corrado Clini e la sua compagna Martina Hauser, componente della giunta di Palazzo dei Bruzi nella prima parte della consiliatura del 2011.
    Secondo l’accusa, Mario Occhiuto avrebbe ricevuto ingenti finanziamenti per realizzare progetti esteri cofinanziati dal ministero dell’Ambiente, in qualità di architetto e in cambio Occhiuto avrebbe nominato assessore della sua prima giunta proprio la compagna di Clini, Martina Hauser.

    L’altra sponda del Campagnano: Manna

    Non è riconducibile alla sua attività di amministratore locale il procedimento a carico di Marcello Manna, sindaco di Rende. L’accusa contestata dal pm all’avvocato Manna, già presidente della Camera penale di Cosenza, è corruzione in atti giudiziari. Il magistrato inquirente ha firmato e fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari contestando al giudice Petrini di aver ricevuto da Manna 5000 euro al fine di decretare l’assoluzione, in secondo grado di giudizio, del boss di Rende, Francesco Patitucci, dalla imputazione di concorso nell’omicidio di Luca Bruni, reggente dell’omonimo clan di Cosenza, assassinato nel gennaio del 2012 alla periferia di Rende.

    Manna ha sempre respinto ogni accusa. Agli atti d’inchiesta è allegato un filmato girato dalla Guardia di finanza nel quale si vede il penalista cosentino dare una cartella al giudice. Sul contenuto della cartella le dichiarazioni rese dagli indagati sono discordi e inconciliabili.

    I piccoli comuni

    Non importa se l’ente amministrato è grande o piccolo, i reati non fanno distinzione. Peculato, falso ideologico e abuso d’ufficio sono i reati contestati a Vincenzo Rocchetti, primo cittadino di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza. Rocchetti è coinvolto in un’inchiesta sulla gestione delle procedure di assegnazione di un’abitazione di edilizia popolare.
    Il tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato invece l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti del sindaco di San Nicola Arcella, Barbara Mele, facendo decadere le accuse di collusione e turbativa d’asta.

    Lieto fine

    Il mostro in prima pagina sempre e chissenefrega se poi non lo era. Capita infatti che dopo decenni i sindaci vengano assolti e con fatica tentano di ripulire la loro immagine. Assolta dall’accusa di concorso in associazione mafiosa l’ex sindaco di Corigliano, Pasqualina Straface, nell’ambito dell’inchiesta Santa Tecla che aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale. Per Straface da poco si sono aperte le porte del Consiglio regionale.

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    Pasqualina Straface

    La Cassazione ha riabilitato anche il sindaco di Cassano, Gianni Papasso. La suprema Corte ha chiarito che non è stato lui il responsabile dello scioglimento del precedente consiglio comunale. Decisione che gli ha permesso di candidarsi alla guida della città – con successo – per la terza volta.

    Dopo sette anni è finito anche il calvario di Carolina Girasole. L’ex sindaca di Isola Capo Rizzuto è stata assolta dalla Corte di Cassazione, che ha confermato le sentenze del Tribunale di Crotone e della Corte d’Appello di Catanzaro. Si è conclusa così una vicenda giudiziaria scaturita dall’operazione Insula, coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese.

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    Carolina Girasole

    Eletta nel 2008 a capo di una coalizione di centrosinistra, Girasole era stata arrestata e posta ai domiciliari nel dicembre del 2013, insieme al marito, Franco Pugliese, e ad altre 11 persone. L’accusa era: voto di scambio politico-mafioso, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Sulla donna, l’ombra dei legami con la cosca Arena, che – secondo i magistrati della Dda di Catanzaro – l’avrebbe aiutata a diventare sindaca per ottenere favori nella gestione dei beni confiscati, con l’intento di restarne in possesso.

    Fuori dal carcere

    Dopo sette mesi esatti dall’arresto del 19 dicembre 2019 nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott, Gianluca Callipo, ex sindaco di Pizzo è tornato in libertà. La sesta sezione della Corte di Cassazione ha infatti annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere accogliendo il ricorso presentato dai suoi avvocati. ll primo cittadino, secondo l’accusa, avrebbe tenuto «condotte amministrative illecite».

    Così facendo avrebbe favorito la ‘ndrangheta garantendo benefici ad alcuni indagati nella gestione di attività imprenditoriali. Amaro lo sfogo di Callipo, ex presidente Anci Calabria: «Ho imparato che non basta essere onesti e rispettosi della legge per essere sempre considerati tali. Ho imparato che ogni azione, anche la più rigorosa e ligia al dovere, può essere travisata e diventare una “colpa” da dover spiegare».

    Chi spera ancora: Lucano

    Un nuvola nera sul modello Riace. Condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di reclusione nel processo “Xenia” sui presunti illeciti nella gestione dei migranti, l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano che dovrà anche restituire 500mila euro di finanziamenti ricevuti dall’Unione europea e dal Governo. La pena inflitta a Lucano è quasi il doppio di quella chiesta dalla pubblica accusa (7 anni e 11 mesi).

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    Mimmo Lucano

    Lucano era imputato di associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Questa è una vicenda inaudita. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso. Mi aspettavo un’assoluzione», ha detto Lucano a commento della sentenza. «Grazie, comunque, lo stesso – ha aggiunto – ai miei avvocati per il lavoro che hanno svolto. Io, tra l’altro, non avrei avuto modo di pagare altri legali, non avendo disponibilità economica». Tra i legali di Lucano, Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano.

    L’eterno dilemma

    «Ogni volta che un sindaco firma un atto rischia di commettere abuso d’ufficio. Se non firma, rischia l’omissione di atti d’ufficio», ha commentato di recente il presidente nazionale Anci, Antonio De Caro. Fare o non fare, questo è il problema per l’amministratore pubblico. Una riforma del ruolo dei sindaci che chiarisca definitivamente le responsabilità personali, professionali, giuridiche e anche economiche probabilmente è necessaria.