Autore: Silvio Nocera

  • GENTE IN ASPROMONTE | Finché c’è scuola c’è speranza… per il grecanico

    GENTE IN ASPROMONTE | Finché c’è scuola c’è speranza… per il grecanico

    Visitare la Bovesìa, con i suoi centri spopolati, è come fare un salto nel tempo. Tra l’alternarsi dei gialli, dei verdi, di quei marroni sovrastati dal bagliore delle rocce bianche della fiumara Amendolea, ogni metro percorso racconta pezzi di una storia spezzata. Pezzi di comunità sparite che si sono lasciate alle spalle un passato di compattezza ed unità che non c’è più.

    grecanico-grido-lingua-rischia-scomparire
    La piazzetta di Gallicianò

    Arrivando nella piazzetta di Gallicianò, comune di Condofuri, alveo di una delle tante varianti linguistiche del grecanico, una bandiera greca sventola solitaria.
    Gallicianò è un paese ormai per lo più vuoto. Eppure è ancora teatro di manifestazioni culturali come quella cui sono venuto a partecipare: la presentazione del progetto europeo Coling, un percorso di ricerca e di studio internazionale per la valorizzazione, il rafforzamento e la rivitalizzazione del greco di Calabria come lingua minoritaria. La mia visita segue quella di qualche mese fa a To Ddomàdi Grèko, la settimana di formazione linguistica intensiva che da alcuni anni si svolge a Bova Marina e in cui si sono formati molti dei collaboratori di Coling.

    To Ddomàdi Grèko

    «Negli ultimi 50 anni la nostra associazione si è battuta per la tutela, la promozione e la valorizzazione della grecità calabra. Da nove anni, ogni agosto, realizziamo a Bova un corso di grecanico che è in realtà percorso formativo full immersion di una settimana. Partiti in 15, oggi siamo in 70, l’interesse va via via crescendo ed ospitiamo giovani e adulti di Reggio, provenienti da altre regioni di Italia e stranieri. Abbiamo creato un’iniziativa che combina la pura formazione linguistica alla riscoperta di tradizioni, cultura e territorio. La lingua è il collante che ci fa incontrare, confrontarci, dialogare».

    Danilo Brancati firma gli attestati di partecipazione alla Settimana Greca di Bova

    Danilo Brancati è il presidente di Jalò tu Vua, una delle più longeve associazioni culturali che, dagli anni Settanta, si occupa di quest’ambito. La sua associazione è l’ideatrice di quest’iniziativa che trasporta la formazione classica in uno spazio totale di apprendimento collaborativo. E promuove l’incontro tra gli ultimi nativi parlanti ed i neofiti.
    Grazie a questo impegno, la Bovesìa ha fatto scuola. Me lo racconta Gian Lorenzo Vacca, attivista salentino e ricercatore del progetto Coling: «La Calabria Greca per me è un pezzo di cuore perché è dove ho capito qual era la mia strada. Guardando il lavoro dei ragazzi di Jalò tu Vua, ho capito che il modello funzionava e poteva essere replicabile. Ho formato un gruppo di appassionati, abbiamo rilevato l’associazione Grika Milume, siamo venuti a partecipare ai lavori di To Ddomàdi Grèko e, nel giro di un anno, nel 2021, abbiamo organizzato la prima edizione della Settimana Greco-salentina, I Ddomàda Grika. Senza questa esperienza calabrese non saremmo stati qui a parlarne adesso».

    Una lingua deve vivere

    «Per noi era importante insegnare una lingua che sta scomparendo, ma non volevamo che avvenisse in un contesto accademico. La lingua non vive – non solo – attraverso lo studio di regole grammaticali. Vive se viene usata. In un confronto costante con i pochi parlanti nativi ancora in vita. Perché consente di entrare in contatto con quel sistema culturale, valoriale, di saperi giunto fino a noi. Che esisterà fin quando ci sarà anche un solo parlante. Di parlanti oggi ne abbiamo persi parecchi. Per questo è importante trasmettere questo patrimonio».

    danilo-brancati
    Danilo Brancati

    Il problema per Danilo non è (solo) legato al numero di parlanti effettivi, ma all’approccio con cui una lingua e la sua cultura di riferimento vengono vissute. A prescindere dal numero. «Quest’anno abbiamo ampliato l’offerta formativa ed esperienziale che Jalò tu Vua propone. Alle classi standard – principianti, livello intermedio, avanzato – e a quelle per bambini che prevedono forme di apprendimento giocoso, si è aggiunta quella rivolta agli insegnanti di latino e greco. Vogliamo favorire connessioni culturali tra il sapere autoctono e quello che si studia ad esempio nei Licei classici».

    Studenti dialogano con i grecanici anziani

    Il progetto Coling

    To Ddomàdi Grèko si è rivelata un laboratorio di ricerca e applicazione didattico-linguistici anche nel progetto “Coling – Lingue minoritarie, maggiori opportunità. Ricerca collaborativa, coinvolgimento della comunità e strumenti didattici innovativi”, il primo del genere a mettere in contatto la comunità dei Greci di Calabria con l’accademia. Coordinato dall’Università di Varsavia, con il contributo di Università e centri di ricerca europei e del Gruppo di Azione Locale Area Grecanica, il progetto ha svolto una ricerca collaborativa assieme alla comunità dei parlanti greco-calabri, elaborando metodologie e strumenti didattici nuovi per un insegnamento a 360 gradi del grecanico fin dalla più tenera età.

    Un momento della presentazione del progetto Coling

    Cofinanziato con oltre 1 milione di euro e partito nel 2014, si è chiuso a fine settembre a Gallicianò con la presentazione di risultati: un manuale grammaticale, un corso on line di lingua grecanica., un videogioco, due giochi da tavolo educativi, schede di apprendimento linguistico per l’infanzia. Oltre all’elaborazione di un sistema di standardizzazione ortografica delle varianti linguistiche greco-calabre.

    Una comunità di parlanti in agonia

    A chiarirmi la complessità della situazione è Salvino Nucera, intellettuale, poeta, autore grecanico di Chorio di Roghudi e antesignano della battaglia per la tutela della minoranza greco-calabra. «Oggi i grecanici sono circa un migliaio, di cui parlanti 300 scarsi». Uno stillicidio che nei secoli ha degradato il greco di Calabria da lingua predominante di tradizione orale in tutto l’Aspromonte a macchia culturale resistente.
    Un processo lungo, durato secoli, in cui la compattezza della grecità culturale e linguistica entra in crisi: il declino politico e culturale di Bisanzio, la diffusione del rito latino nella liturgia e nella predicazione della Chiesa, il tramonto del monachesimo basiliano e, più recentemente, le ragioni unitarie, la propaganda fascista, l’emigrazione, la delocalizzazione, il pubblico ludibrio e il senso di inferiorità culturale percepito assestano un colpo quasi mortale a questo “spazio” culturale. Oggi i grecanici sono una comunità sfilacciata, a volte sparsa, quasi frutto di una diaspora e preda di un inesorabile disfacimento.

    Salvino Nucera

    Salvino Nucera, il poeta greco-calabro 

    «Sono contento che una nuova generazione volenterosa e curiosa stia proseguendo sulle nostre orme, perché per me si è trattato di un impegno e di una passione per la vita».
    Salvino Nucera non è solo colui che, assieme ad Alessandro Serra, fondatore di Teatropersona, sta traducendo le tragedie di Euripide in greco di Calabria. È anche l’antesignano che, tra gli anni Settanta e Ottanta, assieme agli allora ragazzi dell’associazione Jonica si batte per la tutela della minoranza greca. Ed è tra coloro che hanno riaperto la stagione della produzione scritta in grecanico.

    «L’ultimo precedente è databile alla fine del Seicento: un testo scritto da un sindaco bovese pro-tempore. Nel 1981 Giovanni Andrea Crupi pubblica La Glossa di Bova, traduzione di cento favole esopiche in greco di Calabria. Nel 1986 esce il mio primo libro. All’inizio pensavo in dialetto, scrivevo in grecanico e ritraducevo in italiano. Poi ho capito che avrei dovuto partire pensando direttamente in greco».
    Dal nucleo originario di Jonica si staccarono una serie di cellule. E andarono a costituire organizzazioni diverse: Apodiafazzi, Comelca – Comunità greca di Calabria -, Jalo to Vua, per citarne qualcuna. Ma qualcosa secondo Salvino non ha funzionato.

    I fondi della legge 482 

    «C’è stata poca sinergia. I fondi stanziati dalla Provincia di Reggio Calabria attraverso la legge 482 per le minoranze linguistiche hanno scatenato gelosie e sono stati male utilizzati. L’impatto di quanto finanziato è stato limitato. Ha prevalso lo spirito greco della divisione. Faccio un esempio: i corsi di lingua grecanica promossi dalla Provincia come specializzazione per la Pubblica Amministrazione venivano pagati profumatamente. Spesso però i partecipanti non figuravano e il controllo era scarso. Successivamente con quei fondi il GAL Area Grecanica realizzò alcune pubblicazioni. Una la feci anche io con Rubbettino. Poi poco altro». Tuttavia, dopo la recente presentazione del piano regionale di dimensionamento scolastico, appellandosi alla 482, i sindaci dell’area Grecanica sono riusciti a scongiurare la chiusura di alcune scuole. Infatti il piano prevede agevolazioni per le aree delle minoranze linguistiche, fissando a 600 anziché a 1000 studenti la soglia sotto cui attuare il ridimensionamento.

    Diversa la situazione della comunità arbëreshe che, con i suoi oltre 50mila membri (fonte Wikepedia) e con impegno e peso politico ben diversi, ha raggiunto importanti obiettivi. Uno su tutti: il nuovo contratto di servizio RAI 2023 -2028 garantirà produzione e distribuzione di trasmissioni e contenuti in arbëreshë. Anche il presidente Occhiuto ha ritenuto l’Arbëria di tale importanza da assegnare a Pasqualina Straface la delega ai rapporti tra il Consiglio Regionale e le comunità arbëreshë. Con buona pace di Danilo, i numeri contano, eccome!

    Al di là di una legge regionale vigente che tutela lingua e patrimoni delle minoranze calabresi, le differenze sono molte. Tanto che la stessa Straface ha accennato a una prossima riforma del provvedimento, i cui lavori vanno avanti dallo scorso aprile.

    L’esposto contro il Bando 

    Oggi intanto presso la Corte dei Conti pende un esposto contro l’avviso pubblicato lo scorso febbraio dalla Città Metropolitana di Reggio. Poco meno di 100mila euro per associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro impegnate nella tutela del greco di Calabria. Il bando prevede l’attivazione di 10 sportelli linguistici con interprete/traduttore per le sedi dei comuni di Bagaladi, Bova, Bova Marina, Cardeto, Condofuri, Melito Porto Salvo, Reggio Calabria, Roccaforte del Greco, Roghudi e Staiti.
    Peccato che lo faccia incaricando enti terzi cui verrebbe delegata la verifica dei requisiti di idoneità. Tra questi anche la “qualifica di interprete e traduttore di lingua greco-calabra”.

    Lo stesso Danilo Brancati, raccontandomi l’attività di Jalò tu Vua nelle scuole, aveva sollevato tutte le criticità del caso. A cominciare dall’assenza di un sistema di certificazione della conoscenza di una lingua tramandata oralmente. L’avviso, anche secondo il Movimento Federativo delle Minoranze Linguistiche, rischierebbe di «alimentare pratiche clientelari sotto le mentite spoglie della promozione e della valorizzazione della lingua greco-calabra».

    Daniele Castrizio

    La ricetta di Castrizio

    Nel frattempo chi può e sa, fa sui territori. E chi non le manda a dire è il professor Daniele Castrizio, storico, archeologo, docente di numismatica all’Università di Messina e neo-direttore del Museo della Lingua Greca di Bova Gherard Rohlfs: «Siamo ormai all’anno zero. Non c’è visione, né progettualità. Io ho tutta l’intenzione di riorganizzare il Museo di Bova. Per cui mi chiedo e chiedo: quale progetto abbiamo per la lingua e l’universo grecanico? Ritengo la questione della lingua parlata una battaglia ormai persa».

    Che fare allora? «Riconosco e apprezzo l’impegno di Jalò tu Vua che sta effettuando un’attività di rivitalizzazione eccezionale, ma adesso dobbiamo puntare sulla valorizzazione di questa nostra grecità: filoxenia, enogastronomia, archeologia, monumenti, territorio. Dobbiamo spiegare che cosa vuol dire essere grecanici, costruendo una narrazione del territorio che non viene praticata da nessuno e che, spesso, quando c’è stata, ha prodotto dei falsi storici. Pensa che nella versione cattolica i greci di Calabria sarebbero piccole comunità insediatesi nel Settecento, quando invece un filone di studi ha dimostrato come la presenza greca in Calabria sia millenaria».

    Piccoli alunni della Settimana Greca a Bova

    DNA greco-calabro

    Castrizio porta diversi esempi: «Prendi i risultati della mappatura del DNA della Bovesìa condotte da Giovanni Romeo dell’Università di Bologna: un DNA talmente antico da essere privo di elementi italici, slavi, dori o joni e simile a quello degli abitanti di Creta. Prendi le fonti storiche – in ultimo Dionigi di Alicarnasso – che attestano che 14 generazioni prima della guerra di Troia gli Arcadi si mossero verso il Sud Italia. Oppure prendi gli studi di John Robb che dimostrano la presenza dei grecanici prima del periodo miceneo. O, ancora, prendi anche solo un mero dato linguistico: ci sono parole di greco-calabro che si trovano nei poemi omerici e addirittura nella Lineare B. Quanti sanno che la produzione di seta del Reggino, protetto da 11 fortificazioni, rappresentava il cuore economico dell’impero Romano? Quando Reggio cadde in mano ai normanni la moneta si deprezzò del 30%».

    Il nuovo ruolo del Museo Rohlfs

    «Sono cose che andrebbero raccontate, così come andrebbe raccontato che le comunità dell’Arbëria sono originariamente greche, tanto che adottano il rito religioso greco. Bisogna abbandonare il particolare delle singole narrazioni con un’operazione di verità e trasparenza che restituisca la memoria e la dignità necessarie per decodificare, valorizzare e raccontare il territorio».
    Castrizio ha tutta l’intenzione di dare nuovo impulso all’azione del Museo della Lingua Greca: «Voglio fare diventare il museo di Bova un museo Storico. Sto organizzando una prima mostra, suddivisa in tre aree: storia e archeologia, linguistica e territorio. Nel frattempo stiamo programmando una serie di attività educative con le scuole. E puntiamo ad aprire il Museo al territorio, per trasformarlo in un centro di produzione culturale».

    Premere di più sugli attrattori culturali

    L’idea di Castrizio sembra fare il paio con le linee della nuova programmazione regionale che puntano sugli attrattori culturali: meno opere murarie e maggiori investimenti culturali. In un contesto in cui i parlanti sono ormai sparuti e i numeri delle nascite tracciano un orizzonte grigio, la rivitalizzazione linguistica rischia di rivelarsi un tentativo per ritardare una morte annunciata.
    I (pochi) nuovi parlanti, sempre meno autoctoni, avulsi da un contesto che incoraggia un uso quotidiano e indefesso del grecanico, trasmetteranno ai propri figli quanto appreso o lo terranno per sé? Combinare invece l’apprendimento linguistico con un’azione più incisiva nelle scuole e una strategia più ampia di narrazione e valorizzazione della grecità calabrese potrebbe migliorare la situazione.

    Studenti di grecanico
  • GENTE IN ASPROMONTE | Ripartire da Bova per salvare la cultura greca

    GENTE IN ASPROMONTE | Ripartire da Bova per salvare la cultura greca

    Bromu. Parpatulu: Pari ca veni d’a paddecaria. Zotico [Villano. Vagabondo. Sembra tu venga dalla terra dei greci. Zotico] : è la condizione in cui i grecanici hanno vissuto il progressivo sfilacciamento – e il vilipendio – della loro cultura.
    Bova, Vua, ne è la capitale, prima per tradizione, ora per vocazione. Raccontarla oggi non è semplice. Oltre al rispetto verso la sua storia, Bova è l’emblema del pieno e del vuoto, dei suoi conflitti. Dei suoi accatastamenti culturali. È simbolo dell’orgoglio delle minoranze, della lotta per la sopravvivenza contro il degrado, della fierezza del riconoscersi.
    A Bova ho viaggiato molto e ogni volta ho incontrato attori diversi: amministratori, attivisti, professionisti, operatori della cultura, commercianti e turisti.
    Ognuno mi ha fornito un punto di vista diverso per comprendere. Il mio intento era raccogliere storie di restati e ritornati per capire se esistesse davvero il “modello Bova” e se potesse essere utilizzato per ispirare strategie di sviluppo delle aree interne. Poi ho avuto il contatto di Alessandra e alle categorie dei restati e dei ritornati si è aggiunta quella degli arrivati.

    Alessandra Ghibaudi: da Genova a Bova

    «Vivo a Bova dal 2004, sono esperta di sviluppo locale e sono consulente del Gal (Gruppo di azione locale) Area Grecanica. Non sono un’oriunda. Sono nata a Genova e fino ad allora avevo vissuto a Como. Sono capitata qui per caso, dopo un master in sviluppo locale all’Università di Milano che offriva la possibilità di farvi uno stage. Poi ho deciso di rimanere. Adesso mi considero calabrese. Mio marito è un greco di Calabria».
    Nella sua casa, che è anche un b&b affacciato sui costoni dell’Aspromonte, Alessandra usa la prima persona plurale. Noi. E nelle sue parole si riflette lo sguardo di chi ha saputo guardare questo territorio isolato con gli occhi delle opportunità.

    La storia di un arrivo 

    «La dimensione a misura d’uomo, il patrimonio naturalistico e culturale, il fermento di rinnovamento che percepivo nei ragazzi del luogo mi hanno affascinata. Mio marito era uno di questi. Guida ufficiale del Parco Aspromonte, aveva realizzato la cooperativa San Leo che si occupa di ricettività, enogastronomia e trekking in montagna. Con lo stage mi è stato chiaro che Bova aveva una strategia di sviluppo. Ho capito che sarebbe diventata la mia nuova casa. Per chi sapeva oltrepassare le narrazioni discriminatorie e stereotipate che l’hanno caratterizzata, la Calabria, e quest’area in particolare, era una terra piena di opportunità inesplorate».
    Una narrazione poco mutata e ancora replicata che passa dai sequestri, alle maxi-inchieste, alle serie tv, al sottosviluppo.
    «Tutti i miei – continua Alessandra – biasimavano la mia scelta. Me ne sono fregata forte delle mie competenze sulla progettazione con i fondi pubblici. Sono stata fortunata, perché, a distanza di tempo, ho potuto constatare che la Calabria non è meritocratica e forse anche questa è una concausa dei suoi ritardi. Ma i valori di prossimità, la sussidiarietà tra le persone, il senso di comunità mi hanno rapita».

    bova-area-grecanica-sfida-futuro-aspromonte
    La Rocca di Bova

    Ospitalità internazionale made in Bova

    Una porta si apre. Entra un ospite straniero. Alessandra si alza e fornisce qualche indicazione sulla ristorazione in inglese.
    «Nonostante e proprio perché mi occupassi di sviluppo locale, con mio marito, abbiamo aperto un b&b. Questo ci permette di avere scambi interessanti con i tanti che scelgono Bova come meta di turismo, attratti dalla sua storia, la sua lingua, la possibilità di sperimentare itinerari di nicchia, quasi esotici, combinati con esperienze naturalistiche vissute in Aspromonte. È un elemento importantissimo per il nostro lavoro: ci aiuta a comprendere ciò che realmente un turista esperienziale cerca. Questo mi dà molti spunti per pianificare progetti a vantaggio di tutta la comunità. Mi fa mantenere lo sguardo sempre vigile e aggiornato sui bisogni e sulle opportunità».

    L’impegno nel Gal

    Alessandra è una progettista: traduce idee in processi, azioni, opere, servizi finanziabili.
    «Il mio è un lavoro che incide. Si opera in team per e con la comunità: Comuni, associazioni, enti del terzo settore, imprese. Gal Area Grecanica è una società consortile pubblico-privata che lavora come un’agenzia di sviluppo. Conta nella sua governance i Comuni dell’area, diverse aziende, associazioni del versante agricolo e culturale. Partecipiamo ai bandi regionali con approccio Leader. Questi assi riguardano lo sviluppo locale rurale: in particolare, la misura 19 dell’ultima programmazione regionale. Sono bandi tarati su piccoli territori, simili alle linee di intervento del Programma di sviluppo rurale. È essenziale sapere come muoversi. Il che significa non disperdere le energie applicandosi a tutte le call, ma individuare quelle che collimano con la strategia di sviluppo dei territori interessati. E Bova ha questa strategia».

    bova-area-grecanica-sfida-futuro-aspromonte
    Una targa in lingua grecanica

    Bova tra ieri e oggi

    Nonostante i suoi limiti, oggi Bova rappresenta un modello di proto-sviluppo.
    Ha solo 500 abitanti e i servizi essenziali a rischio chiusura. Non ha un presidio medico ma ha un endemico deficit del mercato del lavoro. Tuttavia, la piccola comunità grecanica è inserita nella rete dei borghi più belli d’Italia. Quindi è quella a cui “dovremmo guardare per capire come fare”.
    Mi hanno ripetuto questo refrain in quasi tutte le realtà con cui sono venuto a contatto.
    Arroccata a oltre 900 metri sul mare, la capitale dell’antica Bovesìa è il centro nevralgico della cultura della Calabria greca e un esempio cui molti operatori e amministratori dell’area grecanica guardano.
    Tra Bagaladi, Bruzzano Zeffirio, Cardeto, Ferruzzano, Montebello Ionico, Palizzi, Roccaforte del Greco, Roghudi, San Lorenzo e Staiti, Bova spicca. Fucina di contaminazioni in cui si incrociano Oriente e Occidente, cattolicesimo ed ebraismo, negli anni ha dimostrato come un paese sperduto dell’Aspromonte, con tortuose vie di accesso, abbia lavorato sul proprio rilancio.
    Oggi a Bova si fa turismo: è nata una rete di ospitalità diffusa. Inoltre, esistono due musei – quello della lingua greca dedicato a Gherard Rohlfs e quello della Paleontologia e delle Scienze naturali dell’Aspromonte -, una biblioteca, una giudecca e progetti per la rivitalizzazione del grecanico, di cui mi occuperò a parte.

    Bova e non solo: Naturaliter in prima linea 

    In questo processo è stata determinante Naturaliter, cooperativa con sede a Bova dedicata al turismo escursionistico, all’ospitalità e all’offerta di pacchetti cuciti su misura.
    La sua formula è inedita: il coinvolgimento attivo della comunità nelle dinamiche di accoglienza.
    In particolare vuole favorire e implementare la cooperazione tra le comunità locali nelle aree scarsamente popolate del Mediterraneo, sulla base di uno sviluppo eco-compatibile e di occasioni di interattività socio-culturale con i viaggiatori della natura.

    Andrea Laurenzano

    Il sentiero dell’Inglese

    Spiega Andrea Laurenzano, uno dei fondatori: «Il lancio del Sentiero dell’Inglese ha dato una grande spinta. Per noi è essenziale puntare sul coinvolgimento di chi abita i territori. Questo coinvolgimento consente un’esperienza immersiva a 360 gradi e dà impulso alle economie locali. In secondo luogo contribuisce a promuovere i territori ospitanti per chi arriva, dall’altra fa capire agli autoctoni il valore delle terre che abitano, invogliandoli a investire e a crederci. Perché se arrivano turisti dalla Svizzera, dalla Baviera o dal Nord Europa significa che qualcosa di bello ci deve essere. Qualcosa che a volte noi stessi non siamo più capaci di – o non siamo stati abituati a – vedere. Perciò, ad esempio, per i servizi logistici, preferiamo sopportare costi superiori, ad esempio per il noleggio di transfer, piuttosto che fornirci da una singola ditta. Ad oggi siamo una delle poche agenzie di viaggi a piedi con sede all’interno del Parco Aspromonte».

    Il ruolo muto dell’Aspromonte

    Che il Parco rappresenti un’opportunità è noto. Secondo i dati raccolti da Naturaliter nel 2013 (gli unici oggi disponibili) il nuovo turista è un viaggiatore adulto, esigente in termini di standard di qualità, con interessi legati a percorsi culturali, religiosi gastronomici e sensibile all’ecosostenibilità.
    Tra il 2013 e il 2014 le presenze turistiche sono balzate dalle 4 alle 5 mila presenze, così ripartite: 60% italiani, 20% francesi, 15% svizzeri e 5% americani, inglesi e tedeschi.
    Questi numeri, come conferma Andrea senza stime ufficiali, continuano a crescere. L’Aspromonte è il centro di questo movimento.
    «Bova è già all’interno del Parco ed è lo snodo di antichi sentieri che collegano tutti i paesi grecanici. Nel bene e nel male l’Aspromonte – dice Alessandra – è la storia di questo luogo. Una storia che ha permesso di vivere a queste comunità e nel frattempo le ha mortificate. Quando comunicavo a mia suocera che saremmo andati a fare un giro ai campi di Bova, per prima cosa si chiedeva quale disgrazia fosse successa. Credo che la nascita del Parco abbia lanciato un nuovo messaggio: pensiamo e agiamo questa montagna in modo diverso. Ho imparato, attraversandola, che non è un luogo scontato, con tappe obbligate, ma un posto in cui, quando raggiungi una meta, hai l’impressione di essere l’unico e il solo. E questo è il segreto del suo grande fascino. Tutti elementi che le nuove generazioni hanno compreso molto bene».

    Santo Casile alla Festa delle Pupazze

    Quale strada per Bova: il parere di Santo Casile

    Che Bova abbia saputo indicare un percorso è assodato. Filippo Paino, neo-sindaco di Condofuri e Presidente del Gal, indica un dato: «il reddito di Bova cresce».
    Su Bova fa il punto Santo Casile, primo cittadino e greco-parlante: «Ho in mente una strategia legata al turismo.
    Siamo già parte della rete dei Borghi più belli d’Italia e questo ci ha dato una grossa mano. Abbiamo una buona rete di ospitalità, il turismo escursionistico funziona bene e il bagaglio della cultura grecanica e della sua promozione fa il resto.
    Bova è inoltre beneficiaria di un finanziamento di 1.500.000 di euro sul Por 2013-2020 per il progetto Borgo della Filoxenia che stiamo finendo di implementare. Abbiamo movimentato investimenti pubblici per circa 5 milioni di euro. La metà dei lavori è stata già consegnata.
    Di questi 1 milione e 250 mila sono serviti a irregimentare le risorse idriche rurali. 2 milioni e 700 mila per interventi contro il rischio idrogeologico. Ma i problemi sono tanti e riguardano diversi aspetti. Con l’inverno demografico che stiamo vivendo, Bova sparirà in dieci anni. Come sta succedendo a Staiti, dove ha chiuso anche il museo delle icone bizantine. O a Roccaforte del Greco».

    Servizi a rischio e poco lavoro

    Dei 500 abitanti del paese, 140 sono ultraottantenni. Manca completamente un presidio medico stabile, i servizi, (le poste, ad esempio) sono a rischio chiusura perché il numero di abitanti rischia di andare sotto soglia.
    Il lavoro, organizzato in unità produttive e filiere scarseggia ed è una delle cause di una continua emorragia demografica che le statistiche hanno fotografato senza pietà: in Calabria in 10 anni la popolazione si è ridotta del 5,3% .
    Nel frattempo nell’ultimo decennio, secondo i dati della Snai (Strategia nazionale per le aree interne)-Area Grecanica, la Calabria ha perso il 21% di aziende agricole e i comuni grecanici sono arrivati a meno 25,12%.

    Un dettaglio del borgo di Bova

    Casile sottolinea che «L’unico investimento produttivo partito riguarda la filiera del suino nero di Calabria: 3 milioni e mezzo per installare un allevamento che, nelle migliori prospettive, creerà appena 20 posti di lavoro. Nel frattempo l’agricoltura resta al palo a causa della mancanza di acqua. E la persistenza di allevamenti è spesso solo dovuta al contributo statale dato agli allevatori: 1.200 euro per capo all’anno. I nostri cittadini reclamano una maggiore attenzione ai loro diritti costituzionali, come quello alla salute che è poco garantito. Con la Snai verrà realizzata una Casa della Salute in uno dei tre vecchi capannoni di un ex corpo di fabbrica del territorio. La paura maggiore riguarda gli anziani: in caso di emergenza, rischiano di morire perché non esiste un presidio medico vicino».
    Non dimentico nemmeno le parole di Pasquale Faenza che mi aveva ammonito su ristrutturazioni selvagge del patrimonio architettonico o sulla promozione di un greco più pubblicizzato che vivo. Questa denuncia non è nuova: l’aveva fatta anni addietro Paolo Martino nel suo articolo “L’affaire Bovesía: un singolare irredentismo”.

    Snai Area Grecanica: una goccia nel mare

    Bova e l’intera area grecanica rappresentano un pezzo importante della Snai.
    Sono una delle aree pilota in cui il governo investe con fondi regionali, nazionali e comunitari. A questi si aggiunge il Pnrr.
    Filippo Paino chiarisce: «La Snai locale, a rilento nell’attuazione, punta a rafforzare i servizi essenziali che negli anni sono scomparsi. La domanda di fondo è: riusciamo a rallentare e invertire la desertificazione? Nella nostra idea questi fondi devono creare le condizioni per cui sia di nuovo appetibile abitare queste aree.
    L’obiettivo a lungo termine è riportare residenti. Cerchiamo di farlo investendo nel potenziamento dei servizi sanitari e scolastici e, parallelamente, finanziando infrastrutture di collegamento tra i territori.
    Un esempio per tutti è il progetto di Smart School a Bagaladi: una struttura che rafforza l’offerta scolastica per l’intero comprensorio in termini di prestazione, qualità e prossimità. E con la quale coprire il fabbisogno di istruzione della zona del Tuccio. Bagaladi dovrebbe ospitare studenti di Roccaforte, Chorìo e Fossato. Perciò abbiamo previsto un finanziamento che realizzi una strada tra quel paese e Fossato con una coerenza negli investimenti.
    A prescindere dal criterio di economicità. Bova oggi, con la nuova strada, è meglio collegata alla marina. Arrivarci e spostarsi è più agevole e veloce. Però bisogna anche avere l’ardire di restare e di dare il buon esempio».

    Carmen Barbalace

    Le condizioni per restare

    Per restare, tuttavia, serve il lavoro. Che manca.
    Nonostante Paino mi abbia annunciato che il Gal ha promosso 2 cooperative di comunità e che altre 5 siano pronte a essere finanziate, Casile dice di non vedere al momento altra strada percorribile se non il turismo. Che comunque non può arrivare a creare massa critica per lo sviluppo strutturale di un territorio.
    La vera strategia sarebbe diversificare, puntando su settori complementari.
    Carmen Barbalace, dirigente della Regione Calabria per il settore Borghi, è molto chiara: «Dobbiamo fare in modo che i fondi già spesi o in procinto di esserlo per gli interventi programmati rappresentino davvero un investimento senza diventare una mera spesa che poi resterebbe un vuoto a perdere. Abbiamo necessità di definire in modo chiaro cosa è un borgo, che è quello che è mancato nella vecchia programmazione. Dobbiamo perseguire la formazione e la transizione digitale».
    Ma per operare nell’economia digitale servono le infrastrutture: copertura capillare della rete e banda larga. In Calabria il progetto Bul punta a dotare la Regione della banda larga. Ma, i dati di Infratel sull’avanzamento al 31 agosto 2023, raccontano un forte ritardo per l’area.
    Tra i comuni collaudati per l’area grecanica c’è solo Condofuri.

    Veduta di Gallicianò

    Ripartire dagli stranieri per riportare gli altri

    Attendere la realizzazione e l’impatto degli investimenti programmati potrebbe voler dire arrivare troppo tardi. I tanti braccianti o invisibili immigrati che vivono nelle aree interne potrebbero rappresentare un tassello importante.
    Senza buonismi o pauperismi. Con il pragmatismo che serve a elaborare un piano di inclusione reale: ad esempio partendo dal loro coinvolgimento, insieme ai pochi giovani rimasti, nei progetti di aging attivo già sperimentati con successo dalla Regione. O dalla promozione di cooperazione mista tra italiani e stranieri per creare posti di lavoro. Nei piccoli paesi, colmi di terre abbandonate o a rischio abbandono, nei piccoli centri dove è più facile instaurare solide relazioni sociali all’insegna dell’apprendimento e del riconoscimento reciproco, forse questa potrebbe essere una via per fermare il trend. In attesa che investimenti, opere, servizi ed effetti delle attuali strategie portino il resto dei loro frutti.

  • Così salveremo l’Aspromonte. Parla Pino Putortì

    Così salveremo l’Aspromonte. Parla Pino Putortì

    «Il Parco per me è un ritorno». Pino Putortì, dallo scorso settembre nuovo direttore dell’Ente Parco Aspromonte, descrive così il reincarico alla guida amministrativa dell’Ente.
    Già direttore sotto la presidenza di Tonino Perna, un passato alla direzione generale dell’Asp di Palmi prima dell’accorpamento con Reggio, Putortì parla con franchezza della situazione del Parco.

    Dalla stampa e da varie testimonianze, si ricava l’impressione che il Parco sia in perenne polemica con operatori ed esperti del settore. La dura nota dello scorso 28 luglio non lascia dubbi.

    «Credo che l’attuale Ente Parco non sia amato».

    ente-parco-aspromonte-putorti-poco-personale-troppa-litigiosita
    Pino Putortì, il direttore dell’Ente Parco dell’Aspromonte

    Parliamo degli incendi?

    «Quest’anno, non appena è scoppiato quello in zona Polsi, ci sono stati interventi immediati: cinque canadair hanno impedito che l’incendio diventasse “di chioma”.
    Il Parco può lavorare sul Piano antincendi, cosa che già fa. Non ha però competenze di intervento né risorse dedicate. Soprattutto, non possiede il patrimonio che custodisce.
    La sua funzione è fare da pungolo. E può operare in vari modi. Ad esempio, con incentivi ai privati e risorse ai Comuni per la pulizia dei boschi.
    Torniamo ai roghi. I dati a disposizione consentono di individuare un andamento ciclico del fuoco. Al riguardo, si può attuare una serie di azioni che rafforzino il monitoraggio e la prevenzione.
    Una delle criticità del 2021 ha riguardato i Dos (direttori operativi dello spegnimento). Mi era stato riferito che era personale formato da poco e con poca esperienza. Ma non posso averne certezza».

    L’intervento per limitare i disastri è solo l’ultimo anello di una catena che si è comunque rivelata debole. Ma la prevenzione è tutt’altro e dovrebbe essere la priorità…

    «Bisogna ricordare che ogni incendio è una storia a sé e dipende da variabili diverse. In ogni caso, Calabria Verde quest’anno ha fatto il proprio lavoro».

    Un canadair in azione durante i roghi dell’estate 2021

    Prima no?

    «Io lavoravo in Prefettura. Leo Autelitano, attuale presidente del Parco in carica dal 2018, chiese il nostro intervento. Assieme ai vigili del fuoco, abbiamo preso la situazione in mano. Purtroppo, devo ricordare un problema non proprio leggero. Stando a quanto riferitomi da terzi, Calabria Verde forniva coordinate errate per cui i mezzi antincendio scaricavano acqua dove non era necessario».

    Sempre nella nota di luglio l’Ente Parco ha illustrato una serie di attività.

    «Siamo partiti con il progetto Pastori custodi, esperienziali ed enogastronomici, volto a valorizzare l’antica cultura della transumanza e sensibilizzare il territorio al rispetto ed alla difesa della natura e della montagna».

    [Nda: Questa linea risulta già percorsa in passato, nelle gestioni di Tonino Perna e di Giuseppe Bombino, con il progetto pilota Pastori custodi. Quest’iniziativa puntava sulla prevenzione. Infatti, nel 2017, mentre Sila e Pollino bruciavano, in Aspromonte non ci furono disastri. Alla presentazione di quel progetto partecipò anche il prefetto. Nel 2018, con l’avvicendamento alla presidenza tra Bombino e Leo Autelitano, quella sperimentazione, che sarebbe dovuta finire nel Piano Antincendi, cadde].

    ente-parco-aspromonte-putorti-poco-personale-troppa-litigiosita
    Leo Autelitano, il presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte

    Il funzionamento dei Parchi può essere migliorato?

    «Ritengo che gli attuali strumenti a disposizione non garantiscano appieno le finalità della legge 394 del 1991.
    Di più: lo stesso sistema dei Parchi in Italia meriterebbe una seria revisione. Certo, il legislatore ha avuto una buona intuizione sulla governance, e ha creato un certo equilibrio di pesi e contrappesi. Tuttavia, una statistica recente rivela che in 19 parchi su 20 si registra uno scontro tra direttori e presidenti».

    Anche all’Ente Parco dell’Aspromonte?

    «Ci sono momenti di forte dialettica. Ma è nell’ordine delle cose».

    Entriamo più nel dettaglio: come funzionano i Parchi?

    La governance dei parchi è fatta di diversi organi. Tra questi, presidente, consiglio direttivo e direttore amministrativo. L’ultimo propone, i primi due dispongono».

    Tonino Perna, ex presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte

    E qual è il rapporto tra il Parco e gli enti locali?

    «La Comunità del Parco è costituita da Regione, Città Metropolitana e Comuni del Parco. Questa designa quattro componenti del consiglio direttivo.
    La norma prevede che i componenti designati siano esperti. Laddove, invece, sono sostituiti dai sindaci può capitare che qualcuno tenda a perorare le proprie cause o a favorire il proprio territorio».

    Sempre la politica di mezzo…

    «Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e quello dell’Economia sono organi vigilanti. C’è sempre un gioco della politica. Inevitabile che a volte si siano chiusi gli occhi e si siano avallate azioni da evitare».

    Questo può valere per tutte le nomine. Compresa quella del direttore. Lei che ruolo ha?

    «Il direttore fa da garante e mette le firme».

    Come interpreta il suo ruolo?

    «Voglio fare in modo che il Parco faccia un salto di qualità e che tutti – organi dell’ente, operatori, associazioni, esperti, sindaci, comunità – capiscano che occorre lavorare insieme in una visione condivisa.
    È necessario restituire l’Aspromonte ai suoi protagonisti. Alcune guide del Parco, ad esempio, sono un nostro patrimonio. Il Parco ha il dovere di dialogarci.
    Non bisogna disperdere l’eco positiva a livello internazionale che abbiamo riscontrato dopo la partecipazione alla Bit di Verona. Dobbiamo tutelare la bellezza e promuovere le economie».

    incendi-aspromonte-2021
    Quel che resta degli alberi bruciati in Aspromonte nell’estate 2021

    Quali sono oggi le grandi criticità del Parco Aspromonte?

    «Sono di tre ordini: governance del territorio, pianificazione e programmazione e risorse umane. Oltre a un forte deficit di comunicazione».

    Spieghi…

    «Quando parlo di governance mi riferisco a una oggettiva difficoltà di gestione di un territorio vasto e complesso come l’area protetta del Parco. Questa difficoltà impatta direttamente sul secondo aspetto, la necessità di revisione di strumenti di pianificazione».

    Quali strumenti?

    «Il piano del Parco, il regolamento, il piano di sviluppo socioeconomico e la zonizzazione, su cui stiamo cercando di intervenire con fatica,
    Alcune linee guida erano state messe insieme, forse un po’ sommariamente. Bisogna rafforzare tutta la pianificazione e intervenire in modo serio su un nuovo perimetraggio delle zone che bilanci protezione, tutela e sviluppo del territorio.
    Non è pensabile, ad esempio, che zone di diversa tipologia confinino in maniera diretta, come accade ora. Questo produce confusione e alimenta gli ostacoli alla governance dei territori. Il danno è stato compiuto anni fa. Recentemente abbiamo approvato il Piao (Piano integrato di attività e organizzazione) 2023-2025 con il nucleo della nuova programmazione».

    Giuseppe Bombino, altro ex presidente del Parco dell’Aspromonte

    [Nda: sotto la precedente presidenza Autelitano, l’allora ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, sentito il parere di Regione, Provincia e Comuni competenti, emanava un decreto che riperimetrava il Parco: dai 76.000 ai 64.153 ettari attuali. Quest’operazione diminuiva l’area protetta, e ne ridisegnava la geografia con quella zonizzazione su cui oggi si vuole intervenire]

    Ha detto «a fatica»: perché?

    «L’organigramma dell’Ente Parco è ridotto all’osso. Attualmente, e con difficoltà, riusciamo a coprire solo l’ordinario.
    Il parco ha perso nove risorse per provvedimenti di mobilità concessi in regime di finanza invariata. Ciò significa che non ci sono i fondi per assumere nuove risorse se non sostituendole con la mobilità in entrata.
    il Parco allo stato attuale è depauperato in modo quasi irreversibile. Stiamo tentando di risalire la china. Sono poi in corso questioni che non è il caso di approfondire in questa sede».

    Di nuovo: perché?

    «La situazione è delicata».

    [Nda: che lo sia davvero risulta da diverse fonti. Da notizie riservate, sarebbe in corso una serie di accertamenti presso i ministeri competenti e l’Avvocatura dello Stato su mobilità e assunzioni.
    In particolare, sulle procedure di stabilizzazione degli lsu volute dal presidente. Questi, a sua volta, avrebbe presentato un altro esposto alla Procura della Repubblica.
    Inoltre lo stesso Piao fotografa uno stato dell’ente non in perfetta salute.
    Durissima la parte del documento dedicata alla situazione del personale: «Si è venuta evidenziando una scarsa conoscenza delle competenze del personale e l’assenza di una banca dati delle competenze». Inoltre, «resta di particolare attenzione il monitoraggio del benessere interno ed il clima lavorativo all’interno dell’organizzazione, specie a fronte di una evidente conflittualità interna». Questo quadro la dice lunga, in attesa delle pronunce degli organi competenti e delle valutazioni della Procura].

    Alberi dell’Aspromonte a due anni dell’incendio

    Quale idea vuole portare avanti?

    «Un Parco per tutti. Lavorare su quello che può garantire il futuro e proteggere la bellezza anche attraverso lo sviluppo delle comunità locali. Bisogna dare piena attuazione agli obiettivi delineati nella legge 394. Il fine della conservazione per me è questo».

    Cosa dobbiamo attenderci?

    «Sono in corso una serie di attività e una proficua interlocuzione con la Regione. Abbiamo presentato alla dirigenza del Settore parchi ed aree naturali quattro schede per un valore tra i 6 e i 7 milioni. In più, dopo un’attenta revisione del bilancio, risulta un avanzo di 5 milioni e 200mila euro che verranno allocati per diversi interventi».

    La sfida più grande?

    «Accessibilità e sistema della mobilità verso il Parco in un’ottica di intermodalità».

     Come si vede tra un anno?

    «Se le operazioni che sto cercando di realizzare andranno in porto, sarò dove mi trovo adesso. Altrimenti, ormai vicino alla pensione, sarò felice di dedicarmi alla pesca».

    È stanco?

    «Conduco una battaglia quotidiana e non nascondo le mie difficoltà».

  • Non è mafia ma quasi: l’ascesa dei clan rom a Reggio Calabria

    Non è mafia ma quasi: l’ascesa dei clan rom a Reggio Calabria

    Le dichiarazioni del pentito Vittorio Giuseppe Fregona sulla criminalità rom di Reggio Calabria sono l’ultimo dei tre tasselli che delineano una mutata morfologia della ’ndrangheta in Calabria.
    Addirittura una nuova “geopolitica” criminale in cui emergono e si rafforzano inediti equilibri di potere.
    Seguiamo questa trama in tre tappe.

    criminalita-rom-ascesa-clan-nomadi-regno-ndrangheta
    Il tribunale di Reggio Calabria

    Criminalità rom: una storia in tre tappe

    Nel 2005 Arcangelo Badolati, nel suo volume I segreti dei boss (Klipper, Cosenza 2008) affronta la criminalità del Cosentino, con riferimenti specifici al mutato ruolo dei clan rom nelle gerarchie di malavita. Badolati, nello specifico, approfondisce i fatti relativi all’indagine Lauro e alla faida di Cassano (2002-2003).
    Il 18 aprile 2023 a Catanzaro la Procura arresta 62 cittadini rom. Nelle ordinanze di custodia cautelare, relative all’operazione coordinata dal procuratore Gratteri, il gip Filippo Aragona contesta per la prima volta il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
    Inoltre, stesso Gratteri parla apertamente di intercettazioni che testimoniano l’affiliazione dei rom alla ’ndrangheta con tanto di battesimo.
    Il 12 maggio 2023 nel processo Epicentro il pentito Fregona, interrogato dal pm Walter Ignazitto, delinea un salto di qualità dei clan rom di Arghillà.

    Droga e case popolari: l’impero della criminalità rom

    I dettagli della deposizione riguardano l’ingresso di questi clan nel mercato degli stupefacenti con il benestare delle cosche di Catona e la gestione abusiva degli alloggi popolari. Lo stesso pentito, inoltre, dichiara di essere a conoscenza di riti di affiliazione alle ’ndrine reggine.
    Il quadro tracciato da Fregona testimonierebbe la nuova autonomia dei clan rom nella gestione di attività illecite. E quindi il loro affrancamento dalle ’ndrine storiche come i Serraino, celebrati di recente anche su Amazon Prime. Anche a Reggio Calabria, sotto l’apparente coltre di immobilismo, qualcosa si muoverebbe. O meglio si sarebbe già mosso.
    Il caso di Reggio Calabria aprirebbe un nuovo squarcio sulle dinamiche con cui la ‘ndrangheta sta mutando assetto e organizzazione in tutta la regione. E i primi esiti del caso Ventura suffragano le dichiarazioni di Fregona.

    mamma-eroina-mafia-princess
    Maria Serraino e la nipote Marisa in un singolare ritratto di famiglia

    Caso Ventura: troppa violenza per un alloggio

    A Reggio nel 2022 Patrizio Bevilacqua riceve una condanna in primo grado a 5 anni e 6 mesi per estorsione insieme all’ex moglie Anna Maria Boemi.
    È la sentenza 1369 sul noto caso della famiglia Ventura.
    Come appartenente alla Polizia Penitenziaria, Vincenzo Ventura era regolare assegnatario di un alloggio popolare al rione Marconi.
    Ma la sua famiglia fu costretta ad abbandonare l’appartamento dopo attacchi verbali e fisici, minacce di morte e danneggiamenti. Poi l’immobile fu occupato abusivamente dai rom. Questi lamentarono, con diversi comunicati e in vari servizi tv, l’illegittimità dello sgombero ordinato dal Tribunale.
    Il caso Ventura resta una vicenda travagliata e violenta dai cui atti processuali emergono rapporti tra Bevilacqua ed esponenti del comando dei Vigili urbani di Reggio Calabria.

    criminalita-rom-ascesa-clan-nomadi-regno-ndrangheta
    L’alloggio popolare della famiglia Ventura nel quartiere Marconi devastato dai vandali

    Case popolari: il mercato della criminalità rom

    Durante l’audizione di Ventura del 7 aprile 2016 in Commissione controllo e garanzia, l’allora delegato al Patrimonio edilizio del Comune di Reggio, Giovanni Minniti, dichiarava di conoscere la vicenda e i suoi protagonisti e sottolineava che «nel tempo in cui è stato assessore e delegato è venuto a conoscenza su alcune vicende legate alla vendita degli alloggi. Ci troviamo a constatare che c’è un “Mercato delle case”, che con un gioco maldestro e pericoloso [è] gestito dalle famiglie dei Nomadi, circa 300 alloggi del Patrimonio Edilizio venduti in modo poco chiaro». Da allora poco si è mosso.

    Alloggi popolari: quel disordine non è un caso

    Il 12 giugno 2020 la Terza commissione speciale permanente politiche sociali e del lavoro si riuniva per discutere di patrimonio edilizio ed edilizia residenziale pubblica. I verbali della dirigente, l’avvocata Fedora Squillaci, disegnano un quadro quantomeno caotico.
    Squillaci parla di un settore di difficile gestione, a cominciare dalla sistemazione dell’archivio, di ruoli notificati a deceduti ancora risultanti titolari di alloggio, di ostilità dei dipendenti del settore, di carenza nell’organico.
    La dirigente afferma che «c’era anche chi faceva visitare gli appartamenti ai nomadi con la conseguenza che il giorno dopo venivano occupati abusivamente […] non lo posso dimostrare ma sono convinta che c’è un mercato dietro al patrimonio degli alloggi Erp, c’è un premeditato disordine, caos e ingovernabilità che consente di fare ciò che si vuole […] Su 3.000 alloggi c’è un’altissima percentuale di abusivismo». Ivi compresi i beni confiscati.
    Emerge un quadro desolante: un ipotetico mercato degli alloggi probabilmente gestito in modo violento e “imprenditoriale”, protetto da legami opachi con altrettanto ipotetiche ramificazioni nel municipio. Che di questo si tratti non c’è ancora certezza. Ma le suggestioni sono tantissime.

    Case popolari nel rione Marconi

    Le tariffe quartiere per quartiere

    Alcuni bene informati parlano espressamente di mercato, di gestione dei rom e di divisione in territori: da Arghillà al Rione Marconi. E c’è chi ipotizza tariffe che vanno dai 3.000 ai 10.000 euro, per prestazioni di vario tipo.
    Ad esempio, la possibilità di scegliere l’alloggio con una maggiorazione dei prezzi e quella di ottenerlo comunque, magari con l’“intervento” dei rom, se è già occupato.
    Questo prezzario certificherebbe un’organizzazione stabile col benestare della ’ndrangheta. E ribadirebbe che i clan rom sarebbero ormai affiliati e non più semplice manovalanza.

    Vita e carriera di Patrizio Bevilacqua

    Bevilacqua, oggi interdetto a vita dai pubblici uffici, correva per le Amministrative reggine del 2011 nel movimento Pace di Massimo Ripepi, uno dei leader dell’attuale opposizione.
    Bevilacqua, almeno fino alla pandemia – riferiscono alcune fonti -, e comunque a procedimento in corso, sarebbe stato inoltre alle dipendenze di Eduardo Lamberti Castronuovo, noto imprenditore reggino, già assessore al Comune di Reggio e poi sindaco di Procopio.
    Il 5 dicembre 2012, in un servizio di Rtv, Lamberti, tra l’altro editore della testata, dichiarò che «ad uno di loro [rom] ho affidato le chiavi di casa […] Si chiama Patrizio, lo potete incontrare tutti». Parlava di Patrizio Bevilacqua.
    Definire criminali tutti i rom è, come dice Lamberti, uno stereotipo. Ma fa quantomeno specie che il protagonista di vicende opache poi attenzionate dalla magistratura mantenesse determinati rapporti con una personalità arcinota della vita pubblica reggina. Cioè di una città in cui tutti si conoscono.

    La Questura di Reggio Calabria

    Non è mafia… quasi

    Ora, la sentenza 1369 contro cui Bevilacqua e Boemi hanno fatto appello, contestava ai condannati una forma di consorteria con ignoti, ma non arrivava al delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
    Ma, se le ipotesi sono concrete, anche a Reggio Calabria si viene delineando un nuovo ruolo e una rafforzata capacità da parte dei clan rom. Presidiare il territorio, intimidire, minacciare, gestire (in associazione) un vero e proprio racket delle case popolari con una metodologia malavitosa studiata, concordata, attuata, forti di connivenze anche all’interno delle pubbliche amministrazioni.
    Se non è mafia, questa, ci somiglia assai.

  • GENTE IN ASPROMONTE | Non solo natura: un patrimonio d’arte nel cuore della montagna

    GENTE IN ASPROMONTE | Non solo natura: un patrimonio d’arte nel cuore della montagna

    L’Aspromonte ha avuto un suo Rinascimento. Qualcuno direbbe che ha contribuito in modo sostanziale allo sviluppo di quello italiano.
    Pochi sanno infatti che i borghi della Montagna Lucente ospitano un vero e proprio patrimonio diffuso di beni storico-artistici, spesso celati, comunque poco conosciuti. O addirittura sequestrati perché all’interno di immobili inaccessibili o a rischio crollo.
    Che i beni artistici italiani non siano valorizzati a dovere è noto. Ma che l’Aspromonte nasconda opere scultoree di rilevanza nazionale e mondiale, lo sanno in pochi. Anzi pochissimi Pasquale Faenza, storico dell’arte e già direttore del Museo Rohlfs della Lingua Greca di Bova, ha aperto a me e a molti questa finestra.
    Partito con l’intento di scandagliare il cosiddetto modello Bova e di inserire il suo museo in una più ampia narrazione della capitale della Calabria greca, avevo sondato qualche conoscenza per ampliare lo spettro della mia ricerca.
    Tra i contattati c’era Pasquale. Con lui il discorso è caduto sui beni culturali che rendono l’Aspromonte di per sé opera d’arte, quasi un museo a cielo aperto.

     

    L’arte d’Aspromonte: dal Rinascimento al Barocco

    È una torrida mattina di luglio. Il sole è già implacabile e l’aria comincia a rarefarsi. Seduto davanti a una tazza di caffè troppo calda, tra il vociare degli astanti, ascolto Pasquale.
    «Proprio dall’Aspromonte sorge il Rinascimento. Boccaccio e Petrarca imparano il greco attraverso Barlaham di Seminara, padre dell’Umanesimo, e Leonzio Pilato, tra i primi promotori dello studio della lingua greca nell’Europa occidentale e traduttore di Omero.
    È il tempo in cui la Calabria con il suo monachesimo è très d’union tra Costantinopoli e l’Europa cristiana.
    In questo contesto l’Aspromonte ottiene un ruolo di primo piano. Grande contenitore di legname e pece e sito di produzione della seta, è una terra florida per commerci e interscambi, sede di cenacoli culturali pari a quelli del Centro Italia.
    Fioriscono botteghe, vengono prodotte e fatte circolare opere d’arte di pregio per arricchire i moltissimi luoghi di culto che insistono su quei territori. Tutto questo ci porta a comprendere il ruolo che ha avuto questa montagna non solo per la Penisola, ma per l’intera area mediterranea».

    Un passato eterno tra riti e simbologie 

    Pasquale si riferisce al periodo tra ’400 e ’600. In questa epoca la Calabria ha un ruolo centrale nella crescita demografica ed economica del Paese.
    È un momento in cui «esisteva un’economia che oggi non c’è più, ma che è stata fondamentale per la nascita di questi movimenti culturali».
    Le tracce di questo passato, oggetto di una devozione popolare estremamente radicata, si riflettono nei culti mariani e nella rappresentazione dei santi guerrieri e degli elementi che li corredano.
    Ad esempio, San Leo con la palla di pece in mano, o le varie Madonne che ostendono le mele, ’i pumiceddhi, tipiche di queste latitudini. O San Teodoro e San Michele, miliziani, emblema di difesa dalle invasioni saracene.
    Questa simbologia svela le ricchezze e le criticità di un intero territorio, fino ad arrivare al culto pagano della Grande Madre e della fertilità, cristallizzato nell’effige della Madonna di Polsi. O nelle Pupazze di Bova. Oppure nella raffigurazione di Sant’Anna e sua figlia.

    arte-aspromonte-tesoro-opere-rinascimento-barocco
    La Madonna con Bambino di Giuseppe Bottone

    Arte d’Aspromonte: capolavori nascosti

    Insieme alla Fondazione Scopelliti, Pasquale promuove Capolavori d’Aspromonte. questo progetto, a sua volta, deriva da Rinascimento di Aspromonte, ideato e gestito qualche anno fa insieme a Giuseppe Bombino, allora presidente del Parco.
    «Tutto è iniziato col restauro dell’Annunciazione di Gagini nella chiesa di Bagaladi condotto assieme all’antropologa Patrizia Giancotti e promossa poi con la realizzazione di contenuti digitali collegati a un QR code. È stato un grande successo».
    Capolavori d’Aspromonte, continua Pasquale, «parte da quell’esperienza e nasce per valorizzare il patrimonio storico-artistico poco noto e diffuso in tutto l’Aspromonte.
    Ogni centro storico possiede un’opera d’arte databile tra ’400, ’500 e ’600.
    Da Gagini, a Montorsoli a Pietro Bernini, i nostri borghi traboccano di opere importantissime che ci consentono di creare percorsi di conoscenza e riscoperta per rileggere il Rinascimento italiano sotto una nuova luce. Attraverso una lente che esce dal seminato del toscano-centrismo.
    La storia dell’arte è stata letta partendo dalle grandi capitali degli Stati italiani, ma quello che conosciamo è solo una parte».

    Arte d’Aspromonte: un percorso tra i borghi

    La lista dei siti dove sono presenti sculture marmoree databili tra XV e XVII secolo è lunga e articolata.
    Passa dalle ultime colline che diradano verso il mare fino al cuore della montagna.
    Sono cinquantadue borghi che vanno da Bova a Pentedattilo, da Scilla a Seminara, da Bagaladi a Roccaforte del Greco, da Gallicianò ad Africo Vecchio, da Caulonia a Stilo, da Oppido Mamertina a Terranova, da Sant’Eufemia a Palizzi.
    In alcuni di questi siti sono state già organizzate escursioni e molte altre sono già programmate.
    In un luogo in cui germinano le proto-filiere del turismo lento, Pasquale ha un obiettivo: unire i percorsi e arricchire le escursioni naturalistiche con un’offerta più sfaccettata.
    «La meta finale è potenziare la fruizione turistica coinvolgendo le guide turistiche. In particolare, le guide del Parco, che conoscono l’Aspromonte e lo battono quotidianamente.
    La Fondazione finanzierà la redazione della guida che sto compilando in due versioni, cartacea e digitale. Una volta tracciati i siti e individuati i percorsi, le guide diverranno veri e propri moltiplicatori di nuovi viaggi di senso. La creazione di sentieri della cultura attorno a percorsi naturalistici già battuti, apre scenari nuovi. Questi sono collegati a un Rinascimento aspromontano sconosciuto. Ciò rappresenta di per sé una notizia e, in seguito a studi dedicati, potrebbe riservare grandi sorprese», prosegue Pasquale.

    arte-aspromonte-tesoro-opere-rinascimento-barocco
    La Madonna della Candelora di Giuseppe Bottone

    Tutti gli ostacoli da eliminare

    Proprio lo studio e la ricerca sono il primo ostacolo.
    «Sul territorio mancano gli enti che se ne occupino. Non mi pare che le Università calabresi abbiano mai aperto un filone di studio e ricerca sul tema né che l’Accademia di Belle Arti di Reggio abbia prodotto pubblicazioni dedicate.
    Guarda invece l’escursionismo naturalistico: molte tra le guide hanno solidi studi di agraria alle spalle e l’Università Mediterranea ha sempre fatto la sua parte.
    La carenza di approfondimento scientifico sui beni culturali in Aspromonte intacca l’avvio di un percorso che punta alla valorizzazione e all’apertura di nuovi comparti del mercato turistico».
    A ciò si aggiungono altre criticità non proprio secondarie: i siti che ospitano tale patrimonio artistico sono spesso inaccessibili.
    Sono chiese secondarie, a volte fatiscenti, che soffrono la mancanza di parroci e personale.
    «Nelle chiese dei territori più isolati, tutto va gestito con cautela. Ma l’indotto economico potrebbe diventare uno sprone per far riaprire quei luoghi. Basta vedere quello che è successo a Pietrapennata di Palizzi».
    Nella chiesa dello Spirito Santo è conservata la Madonna dell’Alica, un gruppo marmoreo cinquecentesco attribuito ad Antonello Gagini nel periodo della maturità.
    «La chiesa era inaccessibile e pericolante. Con il coinvolgimento del Fai, della comunità e del parroco di Palizzi, abbiamo puntellato il tetto pericolante e abbiamo organizzato delle escursioni.
    E poi, grazie al tramite di una guida, alcune donne del luogo hanno preparato e venduto le colazioni. Tutto molto alla buona, ma questo inizio ha fatto comprendere il ruolo di traino che un bene turistico può esercitare. Il web, poi, può fare il resto».
    Lo stesso meccanismo è stato avviato anche ad Ardore con la Madonna della Grotta di Bombile, o ad Oppido con le opere custodite nella diocesi, dove due parroci hanno incentivato la valorizzazione di questi patrimoni.

    La Madonna della Grotta di Antonello Gagini

    Etnografia e arte in Aspromonte: oltre il turismo lento

    Alla base serve un lavoro amplio che va dallo studio alla catalogazione, dall’aggiornamento alla divulgazione.
    Con incursioni che si spostano dalla storia dell’arte all’etnografia. Perché il patrimonio diffuso in Aspromonte non ha solo un valore artistico, ma soprattutto etnografico.
    «Più che altrove, in Aspromonte sono rimasti una forte devozione popolare, un senso di comunità mai sopito e una ritualità che ancora si tramanda vividamente.
    Al valore storico-artistico del territorio si associa la devozione popolare che lo rende vivo e lo trasforma in vero e proprio bene immateriale.
    Sul settore etnografico la Calabria è scoperta. A parte il lavoro svolto all’Unical da Vito Teti, oggi in pensione, c’è stato poco. In questo momento ci saranno uno o due etnografi presso le Soprintendenze. Da direttore del Museo Rohlfs ho dovuto realizzare in autonomia le schede di catalogo. È un vero peccato: l’aspetto che potrebbe avere maggiormente successo è anche quello poco studiato».
    Il passaggio verso la valorizzazione etnografica – che oggi è il grande richiamo all’arcaico o all’esotico – è un percorso lungo e non facile.
    «Significa lavorare sulle e con le comunità, solitamente gelose e diffidenti se si sentono esautorate del ruolo di protagoniste assolute. È un lungo lavoro di preparazione, ascolto, confronto e persuasione.
    Ma quando inizi a comprendere il valore dell’effige di devozione che caratterizza il tuo paese, il ruolo che ha avuto, ad esempio, il tuo antenato, quello della tua comunità, fino ad arrivare a quello della Regione in un contesto mediterraneo allargato, riscopri un tesoro.
    Il fatto che una nuova generazione possa conoscere il proprio Rinascimento o il processo di sviluppo della Calabria, arricchisce i centri storici e i borghi che rischiano di diventare contenitori vuoti, pieni magari di neonate botteghe, ma privi di contenuti. È questo percorso che crea il valore aggiunto di un brand autentico».

    Arte: quale brand per l’Aspromonte

    In una recente intervista, Francesco Aiello, docente di Politica economica dell’Unical, è stato netto: non è possibile mettere a punto un sistema turistico basato solo sul turismo lento.
    In una breve conversazione telefonica con chi scrive, il prof di Arcavacata ha affermato: «Chi sostiene che il turismo lento possa arrivare a costituire il 13% del Pil regionale non dice la verità.
    Oggi registriamo una forchetta che va dal 4 al 5% con margini di miglioramento. Ma il bacino di utenza del turismo lento non può spingere la quota parte del nostro prodotto interno lordo a una doppia cifra.
    Serve piuttosto lavorare su strategie in grado di caratterizzare il sistema montagna, differenziandolo dall’offerta presente in altri territori. Perché scegliere Camigliatello o Gambarie invece di Roccaraso?»
    Questo induce una riflessione sul fatidico brand Aspromonte di cui avevo parlato con Tiziana Pizzati a Samo.
    Anche Pasquale insiste molto su questo tema: «La nostra cultura (e la conseguente narrazione) si è sempre fermata all’archeologia, ad una Magna Grecia più raccontata che “resuscitata”.
    Così quando arrivi in Calabria, in particolare nel Reggino, ti aspetteresti di vederla, ma non la trovi. Non puoi basare l’identità su un elemento commerciale, come sono vissuti i Bronzi di Riace a Reggio. Se a questo aggiungi che la popolazione calabrese, in media, ignora la propria storia, il cerchio si chiude».
    Quest’esperienza, quindi, rischia di sconfinare nella mitopoietica. Certo, un percorso di promozione turistica è iniziato. Tuttavia, questa lenta operazione ha una grande lacuna. Spiega ancora Pasquale «Non puoi pensare di creare una crescita turistica di lungo periodo se non hai portatori autentici di quel vissuto, testimoni viventi, presenti, narranti e agenti di una storia cristallizzata in opere, rituali e costumi di cui ignori origini e sviluppi.
    Non puoi permetterti di basare una strategia di sviluppo sull’idea del selvaggio e sul dramma dell’abbandono.
    Se invece lavori per potenziare questi luoghi, esaltandone la cifra culturale ed etnografica, puoi creare un modello autenticamente sostenibile con ampli margini di crescita. Puoi intercettare nuovi target e utenze: penso ad appassionati di arte, operatori del settore, e così via. Ecco perché è necessario insistere sulla formazione delle comunità e dei suoi membri. Solo questa riscoperta può scardinare un senso di inferiorità interiorizzato».

    Domenico Guarna

    La voce delle guide

    Su tale aspetto concorda Domenico Guarna, giornalista e guida escursionistica Agae: «Il turismo è una scienza sociale ed economica e da tale va trattata. Ciò implica studiare operazioni scientifiche basate su dati, proiezioni, valutazioni di mercato.
    Inoltre, occorre coinvolgere le comunità, altrimenti si rischiano danni. Resta il fatto che non conosciamo quello che abbiamo e quindi non siamo in grado di presentarlo».
    Domenico si riferisce a un fatto accaduto a Montebello Jonico. Lì era in programma il restauro della statua marmorea della chiesa madre. La comunità era stata informata e coinvolta in modo troppo blando.
    Ne scaturì una polemica, dovuta alla paura che l’opera fosse sottratta e mai restituita. Le posizioni si irrigidirono e, nonostante i tardivi incontri di mediazione, quel restauro non andò in porto.

    Raccontare la montagna: la forza del sapere

    «In territori come i nostri le guide hanno un valore specifico. Luoghi abbandonati, privi di elementi che ne facilitino la decodifica, hanno bisogno di un racconto competente. Serve un ripensamento del paradigma economico: oltrepassare il turismo lento o l’organizzazione di un evento culturale spot per costruire delle vere e proprie economie», continua Domenico.
    La parola chiave è mettere a sistema perché, ad esempio, ad oggi manca un circuito unitario dei beni storico-culturali: «L’inaccessibilità di certi posti non può più essere tollerata. Guarda cosa succede con l’area archeologica Griso Laboccetta di Reggio.
    Perché per quest’area, come per innumerevoli altre in città o in Aspromonte, non è stato studiato un sistema di ingresso a ciclo unico?
    E perché dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato il bando guide emanato dalla Città Metropolitana, competente in materia turistica, nessuno è intervenuto per colmare il vuoto legislativo evidenziato? E dire che il numero delle guide turistiche in Calabria è talmente esiguo da necessitare un rimpolpamento», chiosa Domenico.

    L’Epifania di Giovambattista Mazzolo

    Aspromonte: il programma che non c’è 

    Che a tutto questo si sommi un deficit di pianificazione da parte degli enti pubblici non è una novità.
    Così, al riguardo, Pasquale: «Le istituzioni non sono mai riuscite a creare itinerari fruibili. Pensa che sui parchi archeologici avevo iniziato un lavoro per fare riemergere la biodiversità archeologica.
    Funzionava così: mentre si effettuava uno scavo, con il supporto di botanici e genetisti, venivano utilizzati i pollini rinvenuti per recuperare certe piante che poi dovevano essere coltivate.
    Questo ti permetteva di ricreare l’ambiente originario e di mettere a punto diverse produzioni (fichi antichi, nocciole, ecc) da vendere all’interno del parco stesso o presso i circuiti museali. Il parco stesso diventava un’azienda. Avevo proposto l’idea al Parco Archeologico di Locri. In diversi mi avevano risposto che non era una strada percorribile. Oggi lo sta facendo Pompei…», chiude Pasquale.

    Chiese Aperte

    Per parte sua, la Diocesi di Reggio, attraverso l’Ufficio per i Beni Culturali guidato da Don Mimmo Rodà, ha promosso il progetto Chiese Aperte.
    Dal 2012 al 2017 l’iniziativa ha formato circa 300 volontari nel quadro della valorizzazione degli edifici di culto di rilievo storico per farne operatori turistici delle loro stesse chiese di appartenenza.
    Il tutto con un obiettivo finale: spingere i beneficiari di quella formazione a realizzare cooperative e associazioni in grado di dare impulso al settore del turismo culturale e religioso.
    Secondo Lucia Lojacono, direttrice del Museo diocesano di Reggio Calabria, «non si è riusciti ad avviare queste forme organizzate.
    È necessario ripartire con forme di intervento diverse. Ad oggi restiamo una componente fondamentale nel sistema beni culturali: costituiamo la Consulta regionale in costante dialogo con Regione e Soprintendenza e siamo sollecitati a produrre elenchi dei beni su cui intervenire prioritariamente». Anche perché, spiega Don Rodà, «abbiamo una flessione importante dei proventi dell’8×1000, utilizzati per finanziare Chiese Aperte.
    Il deficit di fondi ci impedisce di intervenire come vorremmo e non siamo in grado di coprire da soli le spese per il restauro delle chiese secondarie. A maggior ragione abbiamo bisogno di un cofinanziamento da parte delle comunità residenti.
    Ma c’è una notizia: abbiamo sottoscritto un protocollo con la Regione che ci permette di partecipare ai bandi europei di finanziamento, impossibile fino a ieri perché, come enti ecclesiastici, non eravamo assimilati agli altri enti privati. Abbiamo aderito con convinzione al progetto Capolavori d’Aspromonte a cui partecipiamo attraverso le diocesi di Oppido-Palmi e Locri-Gerace».

    Don Mimmo Rodà, il direttore dell’Ufficio Beni culturali della diocesi di Reggio Calabria

    Le amministrazioni facciano la loro parte

    Carenza di personale, poco coordinamento pubblico, esiguità di fondi, deficit di pianificazione, incapacità di promuovere sistemi di cooperative legate al privato sociale sono le principali criticità. Mescolare un approccio misto bottom-up e up-bottom potrebbe costituire una soluzione per rafforzare quanto già in atto e per cui è essenziale la regia delle amministrazioni pubbliche – Regione, Province, Comuni, Parco Aspromonte – soprattutto in termini di strategie e di processi a lungo termine di project financing.

  • Emergenza incendi: l’Aspromonte rinasce mentre Reggio brucia

    Emergenza incendi: l’Aspromonte rinasce mentre Reggio brucia

    Incendi a Reggio. Ricorderemo il 2023 come un nuovo annus horribilis. 
    Quasi negli stessi giorni in cui nel 2021 sono andati in cenere oltre 8.000 ettari di aree protette in Aspromonte, le fiamme hanno divorato vaste aree del Reggino e lambito tutto il perimetro del capoluogo.

    Incendi: a Reggio un record infame

    Alcuni dati elaborati da Legambiente sulle rilevazioni satellitari Effis sono utili a tracciare il disastro: su base nazionale le province più colpite risultano Palermo, Agrigento, Reggio Calabria, Messina e Siracusa. Messe insieme, fanno il 75,62% del totale distrutto da incendi di vegetazione dall’1 gennaio al 27 luglio di quest’anno.
    In questo stesso periodo, nella sola provincia di Reggio Calabria c’è l’86,44% di tutte le superfici arse nella nostra Regione.
    Il dato reggino fa ancora più impressione confrontato alle altre province italiane interessate dai roghi. Sono 6.388 gli ettari di vegetazione persi e corrispondono al 12,43% su base nazionale.
    È un triste primato, secondo solo a Palermo coi suoi 17.957 ettari distrutti (il 34,95% a livello nazionale).

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    Alberi dell’Aspromonte a due anni dell’incendio

    Incendi a Reggio: l’assemblea e la marcia

    Proprio a Mosorrofa, una delle aree più colpite nel Reggino, in queste ore si è tenuta un’assemblea pubblica di confronto sui danni verificatisi.
    La marcia per l’Aspromonte indetta per lo scorso 29 luglio dall’Associazione delle Guide Ufficiali del Parco e organizzata già dai mesi precedenti ha avuto la curiosa coincidenza di realizzarsi a ridosso dell’emergenza roghi 2023. Il fuoco, in questo caso (e per fortuna!) ha interessato solo relativamente l’area del Parco di Aspromonte. Ma ha inevitabilmente alimentato feroci polemiche sui soliti nervi scoperti: il sottodimensionamento di Calabria Verde e del corpo dei Vigili del fuoco, la carenza di mezzi, i ristori, l’abbandono percepito dalla cittadinanza.

    Aspromonte: una ripresa lenta

    Ho partecipato anch’io alla marcia, un’iniziativa per la memoria e un tentativo di fare comunità per rafforzare un presidio di tutela diffuso. Vedere con i propri occhi un prato di felci in cui svettano carcasse di vegetazione carbonizzata, un tempo foreste di pini larici ultracentenari, dà la misura del disastro occorso.
    È il primo passo di un lungo percorso appena iniziato, che mira al coinvolgimento di tutti gli attori del territorio, secondo quanto annunciato dall’Associazione delle Guide. Un passo per posizionarsi saldamente ai blocchi di partenza, ma che appare timido.

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    Escursionisti in marcia

    La testimonianza delle guide

    Secondo Luca Lombardi, presidente dell’organizzazione, non esistono ristori per un tale patrimonio andato perso. Tuttavia, qualcosa è cambiato: «Appena partiti gli incendi che hanno interessato l’area di San Luca, in via informale mi ha contattato un funzionario del Parco che, a margine di una conversazione privata, ha tenuto a informarmi delle azioni di contrasto al fuoco in corso. Una cosa mai accaduta prima».
    Giunti a ridosso di Roccaforte del Greco, dopo diversi chilometri di cammino abbiamo potuto toccare con mano cosa fosse rimasto dopo il passaggio del fuoco: nulla.

    Il parere della studiosa

    Piuttosto dura, al riguardo, la particolare testimonianza dell’entomologa Elvira Castiglione: «Al di là della perdita di un patrimonio inestimabile e al netto del fatto che la Natura ha capacità rigenerative ben superiori ai danni causati dall’uomo, la ricostituzione di quell’ecosistema sarà lunga e non è detto che produca gli stessi risultati». Così esordisce la studiosa, che si chiede: «Ci saranno le stesse condizioni che hanno portato ad avere delle foreste originarie con i caratteristici giganti di pino laricio distrutti?».
    «Come gruppo di ricerca del Laboratorio Lea del Dipartimento patrimonio architettura e urbanistica dell’Università di Reggio Calabria, abbiamo realizzato uno studio entomologico nell’area di Acatti», spiega Castiglione.
    Eccolo lo studio in dettaglio: «Abbiamo campionato insetti di tre aree diverse: una impattata dagli incendi di chioma, una di transizione e una incombusta. A due anni l’area è stata lentamente ripopolata da 19 specie di insetti contro le 28 precedentemente presenti nella parte incombusta e le 21 di quella di transizione».
    Il risultato non è esaltante: «Sono scomparse le specie più tipiche della foresta, oggi sostituite da quelle più comuni che rappresentano le cosiddette specie pioniere, i coleotteri stafilinidi del genere Ocypus meno specializzati. Gli Ocypus Italicus che sono la specie caratteristica della lettiera del bosco sono spariti completamente, sono invece arrivati i “fratellini” Ocypus Olens. Cioè la specie che troviamo nei nostri giardini, o nelle nostre cantine».

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    L’entomologa Elvira Castiglione (la seconda da sinistra)

    Parla il generale Battaglia

    Riusciranno questi insetti ad aprire la strada al nuovo ecosistema in formazione? Qualche segnale positivo lo danno le felci, a cui seguiranno le ginestre. A patto che l’area non sia interessata dal pascolo abusivo.
    Cosa che, purtroppo, è all’ordine del giorno: lo scampanio di vacche e capre in piena zona A (tutela integrale) ci ha accompagnato per lunga parte del nostro tragitto. Non è un dettaglio: svela, invece, lo scarso monitoraggio di una montagna per lo più desertificata.
    Lo ha detto chiaramente il generale Giuseppe Battaglia, già alla guida del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, autore e escursionista esperto: «Il problema degli incendi è complesso e sfaccettato. Da una parte è vero che un territorio abbandonato diventa preda di piccoli e grandi interessi; dall’altra il principio di emulazione ha un forte impatto. Qualche anno fa arrestammo in flagranza un anziano. Davanti al giudice dichiarò che stava appiccando il fuoco per proteggere le centinaia di capi del suo bestiame dagli attacchi dei lupi. Non solo non aveva quel numero di animali, ma fu sostenuto da una testimonianza che attestava le sue affermazioni. Dopo aver affrontato la carcerazione domiciliare, fece causa per ingiusta detenzione e vinse. Danno e beffa».

    Incendi a Reggio: l’ipotesi di Bombardieri

    In un recente incontro pubblico il procuratore Giovanni Bombardieri ha inquadrato il fenomeno come particolare e variegato e non imputabile a una strategia complessiva delle criminalità. Dolo, colpa, errore umano, emulazione sono alla base di certi disastri. La scarsa prevenzione, unita alla difficoltà di individuare strategie investigative efficaci e a deficit culturali rendono il tema di difficile gestione. In poche parole non è sufficiente inquadrare la questione in termini investigativi e repressivi, ma formare alleanze tra tutti gli attori del territorio coinvolti.

    Un momento dell’escursione commemorativa degli incendi del 2021

    I guai di Calabria Verde

    Calabria Verde si porta dietro enormi problemi legati a una finanza dissestata, all’esiguità del personale (8.076 unità iniziali passate alle circa 5.800 di oggi con 4.000 di questi addetti alla forestazione) e alla carenza di ricambio generazionale.
    La storia dell’azienda è costellata di fallimenti operativi, scandali, dimissioni, commissariamenti, arresti.
    La proposta di una sua trasformazione in ente pubblico economico operante secondo il diritto privato potrebbe avere diversi risvolti.
    I sindacati, al riguardo, parlano dei pericoli dell’esternalizzazione. Tuttavia, il cambio di natura giuridica potrebbe risolvere altri problemi, tra cui l’ampliamento dell’organico.
    A causa del dissesto pluriennale – un buco da 80 milioni non rendicontati e un bilancio non approvato da almeno tre anni – mancano i fondi per le assunzioni. I sindacati oscillano tra il timore che vengano intaccati i diritti contrattuali e la paura che i fondi pubblici per il contrasto al dissesto idrogeologico finiscano altrove. Questi timori che potrebbero cadere ove la vigilanza dello Stato e del ministero competente funzionasse a dovere.

    L’intervento del Parco

    Lo scorso 28 luglio l’Ente Parco Aspromonte ha diramato una nota in cui vengono elencate le azioni intraprese a tutela della riserva naturale. Queste vanno dal monitoraggio, dai contratti di responsabilità con enti di protezione civile e del terzo settore, alle pianificazioni di settore, alla piattaforma per il potenziamento dell’intervento aereo per antincendio e soccorso pubblico.
    Una nota doverosa e minuziosa se non fosse per certi toni e una chiosa finale poco istituzionale.

    Incendi a Reggio: una coincidenza?

    I roghi di Reggio, va da sé, hanno caratteristiche diverse da quelli del 2021 in Aspromonte.
    Oggi, a parte l’incendio nel sottobosco di San Luca, il territorio del Parco non è stato intaccato. E comunque gli interventi tempestivi hanno contenuto i danni. Resta una domanda inquietante: perché gli incendi reggini sono esplosi proprio nei giorni del picco di calore e con il forte vento di scirocco? Cioè proprio quando le fiamme potevano fare più danni, com’è puntualmente avvenuto?
    Anche considerando tutte le variabili in gioco, si prova grande difficoltà a ritenere tutto questo una sfortunata ed aberrante coincidenza. O no?

    Gli scheletri degli alberi carbonizzati nel Parco

    Un problema culturale

    Che ci sia un enorme problema culturale è palese. È lo stesso problema che tra gli anni ’80 e ’90 minacciava i rapaci migratori sullo Stretto.
    Le Guide hanno ribadito che, dentro o fuori dal Parco, Reggio e provincia vanno tutelate come aree a maggiore biodiversità di tutto il Mediterraneo. Zone collinari comprese, dove trovano rifugio flora e fauna specialistica di rilevanza europea. «Dal singolo cittadino ai massimi livelli, tutti sono coinvolti e devono ritenersi necessari nella tematica, dalla prevenzione allo spegnimento, fino alle indagini successive».

  • La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    Alle sei di questa mattina Reggio Calabria era avvolta dal fumo e dall’odore acre degli incendi ancora in corso che hanno divorato l’hinterland cittadino. Nonostante un morto, intere aree distrutte, la costa Viola sfregiata, l’emergenza è ancora in corso. Da tutto il giorno, e ancora mentre scrivo, l’eco dell’elisoccorso e dei canadair che volano senza sosta rimbomba in tutta la città. L’aria è irrespirabile, come lo era ieri e come lo è stata stanotte.

    Se non fosse chiara la dimensione del disastro che sta colpendo la Calabria e la Sicilia, è sufficiente andare a dare uno sguardo alle mappe del fuoco in tempo reale sul sito della Nasa. Non esistono ammende, riparazioni, mea culpa. Colpire un territorio con questi atti che devono essere inquadrati come vere e proprie condotte terroristiche significa causare danni irreparabili e permanenti che causeranno effetti per gli anni a venire. Non solo in termini di salvaguardia di flora e fauna (e basterebbe quello), ma di costi sociali che si riverberano in tutti gli ambiti.

    L’eterna litania sugli incendi in Calabria

    Adesso ricominceremo con le solite litanie circa le cause di questa ecatombe. In un indistinto e maleodorante vociare da bar, la sequela sarebbe più o meno questa, con alla base sempre il vile danaro: accesso ai fondi europei per la riforestazione, compensi per le missioni in emergenza delle flotte aeree dedicate, rigenerazione dei pascoli, lavoro dei forestali (la proposta di privatizzazione di Calabria Verde cade proprio a fagiuolo), riaccatastamento delle aree agricole e/o boschive in terreni edificabili (ipotesi lunare per la legislazione che tutela le aree ambientali), piromania, roghi colposi nati da errore umano e tramutatisi in disastro ambientale, criminalità organizzata e perfino micragnose ripicche tra vicini di casa per ragioni di varia natura tra cui il deprezzamento dei terreni coinvolti per una più conveniente compravendita.

    Un canadair in azione durante gli incendi dell’estate 2021 in Calabria

    Forse ognuno di questi punti contiene un pezzetto di verità. Ma la verità in questo caso serve a poco. Le indagini per il disastro del fuoco dell’estate 2021 in Aspromonte si sono chiuse con un nulla di fatto. Nessun colpevole, ma un rimpallo di eventuali responsabilità la cui scia arriva al fuoco di oggi, giorno in cui piangiamo un morto, diverse abitazioni minacciate, interi poderi divorati dalle fiamme, boschi ridotti in cenere, linee ferroviarie e arterie stradali interrotte.

    Gestire (male) l’emergenza, nulla più

    Ma il senso vero, la desertificazione delle aree interne, dei costoni di montagna, lasciati alla rovina dell’abbandono, battuti e vissuti più da nessuno, senza coltivazioni, senza uomini che le preservano, non si azzarda a tirarlo fuori nessuno. Parliamo del massimo comune denominatore che rende queste catastrofi sempre più drammatiche.
    Non c’è nessuno che abbia interesse a preservarle e tutelarle se non come cocci di una bomboniera che è comunque andata in frantumi. Territori senza uomini e vallate deserte continueranno a subire questa sorte perché nessuno ha la lungimiranza di programmare strategie adeguate e di lungo termine. Non ci sono droni che tengano. Ci si limita a cercare di gestire – male – l’emergenza. Fin quando non ci sarà più nulla da gestire.

    https://www.facebook.com/rbocchiuto/videos/266892979396507

    Nel frattempo in queste ore non ho sentito un politico, che sia uno, spendere una parola, manifestare solidarietà, o annunciare provvedimenti concreti. In compenso abbiamo tutti visto i video social del presidente Occhiuto alle prese con i droni davanti a una stazione di monitoraggio video. Ma si sa che oggi vale in comunicazione quella strana legge per cui un esempio, che è poi il pallido simulacro di una realtà falsa e distorta, diventa per antonomasia la scopa politica paradigmatica con cui mettere il resto della polvere sotto un tappeto di vuota sostanza. Il medium è andato ben oltre il messaggio.

    Terrorismo e social network

    Vorremmo invece vedere pienamente applicato l’articolo 423 bis del codice penale, inasprito con il DL 120/2021, che punisce gli atti incendiari boschivi con al reclusione da 5 a 10 anni. Vorremmo la certezza della pena, vorremmo indagini approfondite capaci di individuare e punire aspramente chi colpisce il nostro futuro. E non basta: vorremmo che, per la rincorsa che hanno preso gli stravolgimenti climatici che continuano ad essere negati da personaggi come il ministro Salvini (basta scorrere i suoi ultimi post social), simili atti fossero equiparati ad atti terroristici.
    Vorremo questo e tanto altro. Vorremo, ma ci limitiamo a postare.

  • GENTE IN ASPROMONTE | Il Sud che avanza tra la Locride e lo Stilaro

    GENTE IN ASPROMONTE | Il Sud che avanza tra la Locride e lo Stilaro

    U rigugghiu. L’argento vivo nelle vene, frutto di una rabbia da trasformare in opportunità. Mi accolgono quasi a quest’urlo i ragazzi di We are South: Giulia Montepaone, Aldo Pipicelli, Adele Murace, Guerino Nisticò, Sofia de Matteis, Raffaele Dolce, Annalisa Fiorenza, Valentina Murace, Giorgio Pascolo e Luca Napoli.
    Formano una rete che unisce gli ultimi paesi della Locride con i primi del catanzarese. Qualcosa che va oltre le cooperative o le iniziative dei singoli borghi e che cerca di fare modello e sistema.

    Che cos’è We are South

    We Are South non è solo una rete, ma un metodo di collaborazione, uno standard di qualità affiancato dall’adesione a una certa etica, l’essere partecipi e solidali.
    Resistenza. Resilienza. Coraggio. Sotto questo marchio si lavora nel rispetto delle stesse mission e vision: l’esigenza di fare comunità lavorando sui luoghi e sulle persone, il rispetto e la tutela dell’ambiente, la salvaguardia e la diffusione dei patrimoni, la cultura biologica.
    É una storia che va raccontata per due motivi: rappresenta una best practice e costituisce una cinghia di trasmissione tra le anime della Calabria.

    Vallata-Stilaro
    La vallata dello Stilaro

    Siamo in una terra di confine, periferia della periferia, a cavallo tra Aspromonte e Serre: la valle dello Stilaro. Ma anche qui qualcosa si muove. Bivongi, Stilo, Monasterace, assieme a Guardavalle, Santa Caterina dello Ionio e Badolato sono il cuore di questo nuovo ecosistema. Lavorano insieme sotto un unico marchio per promuovere quei territori, ricucendo ferite e connettendo persone. Il loro brand nasce per facilitare le persone a riconoscere lo standard e i valori comuni, attraverso un marchio e un logo che dall’identità visiva, la forma, si proietta in sostanza.

    Lo Stilaro fa rete

    La tappa a Samo e Natile, mi aveva messo di fronte a molti interrogativi e altrettanti dubbi: il rapporto tra autentico e mitopoietico, il marketing territoriale, i legami di comunità, la resilienza e la questione femminile.
    Quando ho scoperto che nello Stilaro c’era qualcosa che rappresentava un altro passo in avanti nello sviluppo di processi di rete per la rigenerazione territoriale, sono partito per Bivongi.
    Remoto borgo di centenari che, assieme a Stilo e Pazzano, domina la vallata dello Stilaro. Bivongi è un abitato nascosto in mezzo alle ultime pendici dell’Aspromonte. Un luogo di acque termali, di cascate e di vecchie miniere. Un toponimo incerto che Rohlfs fa risalire al greco Boβὸγγες presente nel Brebion, documento greco del 1050 circa, ritrovato nella biblioteca privata dei conti Capialbi a Vibo Valentia.

    bivongi-we-are.aouth
    Uno scorcio della piccola Bivongi, paese dei centenari

    Avevo preso appuntamento con Adele Murace, artigiana orafa, ambientalista, attivista, femminista e animatrice di We are South. Arrivando dalla marina e risalendo la vallata, una curva dopo l’altra, questa terra remota sembrava schiudersi con verecondia agli occhi del viaggiatore, tra il bianco abbagliante delle rocce e l’ampio greto di un fiume, un tempo navigabile, che oggi mostra le sue nudità. Era molto caldo e il verde intenso delle foreste che si arrampicavano sulla montagna circondava un borgo che sembrava appeso e sospeso tra le pendici della vallata.

    La (nuova) vita di Adele

    Al mio arrivo Adele mi ha accolto con un gran sorriso, dandomi il benvenuto. Durante i primi contatti al telefono mi aveva accennato del suo impegno a 360 gradi. E, soprattutto, di questa necessità di raccontare queste terre con uno spirito diverso, nuovo, lontano dal senso di vergogna e di inferiorità che i suoi stessi abitanti avevano fatto proprio.
    «Avevo capito che la narrazione, un nuovo storytelling poteva contribuire a cambiare la percezione negativa, il senso di arrendevolezza e la prostrazione che molti di noi hanno interiorizzato. Sul mio canale Instagram avevo realizzato la rubrica SudProud: interviste per raccontare storie di riscatto e di vittoria dei calabresi e diventare esempio per tutti noi. Avevo ragione. Dopo i primi video i miei follower locali avevano iniziato a scrivermi. Tutti dicevano la stessa cosa: grazie per gli esempi che ci hai mostrato. Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anche io».

    Adele è una ritornata: «Ho vissuto qualche anno al nord dove ho lavorato in fabbrica e aziende. Il senso di malessere che provavo mi ha riportato a casa dove ho costruito la vita che desidero. Oggi sono un’artigiana orafa, ho la mia azienda, mi auto-gestisco e questo mi permette di potermi anche muovere sul territorio».
    Adele, come gli altri membri di We are South, non è solo una partiva IVA che ha deciso di investire nella sua terra.

    Tartarughe, consultori e bimbi a scuola

    È una donna che combatte per salvaguardarla e promuoverla: «Sono impegnata sul territorio perché credo che sia imprescindibile. Durante la pandemia abbiamo costituito il gruppo WWF Stilaro Vibo Valentia, sollecitati da chi ci diceva che, con ogni probabilità, le Caretta Caretta venivano a nidificare anche alla nostra marina. Mancava però un monitoraggio strutturato che confermasse la teoria, poi risultata vera. Quell’anno trovammo venti nidi. Oggi, dal gruppetto sparuto che eravamo, siamo in cinquanta: tuteliamo gli ecosistemi marini, quelli montani e quelli dunari. Parte delle mie battaglie è dedicata alle donne e alla condizione femminile nella Locride. Ho promosso la riapertura del consultorio di Bivongi e continuo a lottare per la piena applicazione della legge 405. E si sa che istruzione, sanità e infrastrutture forniscono le condizioni minime per vivere nelle aree periferiche».

    we-are-south-caretta-caretta
    Alla ricerca delle Caretta Caretta

    Nel documento appena approvato dalla Regione per la riprogrammazione della rete sanitaria territoriale il consultorio di Bivongi entrerebbe nel cosiddetto “modello spoke” assieme a tutti gli altri 6 consultori della Locride: 36 ore settimanali lavorative garantite coperte da ostetrica, assistente sociale e oss. Non sono previsti però psicologi né ginecologi: «Avanzeremo queste proposte di modifica, cui anche Occhiuto ieri ha aperto, e chiederemo la disposizione di strumentazione di prevenzione».
    Ma la sanità non è tutto. «L’ultimo autobus che parte da Bivongi esce alle 16.30 mentre l’ultimo che entra arriva alle 21. Il prossimo anno la scuola elementare non aprirà perché ci sono solo 4 bambini. Come cittadini, non comprendiamo i limiti a una collaborazione tra paesi attigui per salvare la presenza di un servizio così importante in tutti e tre».

    We are South: tutti insieme appassionatamente

    U rigugghiu di Adele è lo stesso sentimento di cui a turno mi parlano Guerino, Annalisa, Giulia e Aldo ed è quello che ha impresso un’accelerazione definitiva ai loro progetti di vita. Perché, mi dice, «ho imparato negli anni che, se ognuno fa la sua parte, l’entusiasmo può essere contagioso. Si chiama legge dell’attrazione e il territorio sta rispondendo bene».
    Uniti sotto un unico brand che raffigura i Bronzi di Riace, stanno ricostruendo sulle macerie dell’abbandono e della sfiducia, ognuno con le proprie competenze.

    Giulia-Montepaone-we-are-south
    Giulia Montepaone

    Guerino, badolatese, restato, cresciuto a pane e politica, rappresenta la memoria storica della vallata e ha una lunga militanza nei movimenti dal basso.
    Valentina, ritornata nel 2020 per affiancare il padre nella gestione dei vitigni eroici di famiglia, un passato come top manager del Marriot di Venezia, ha deciso di mettere a frutto l’esperienza maturata trasmettendo un metodo organizzativo per rafforzare percorsi di turismo etico.
    Aldo, restato, è un disegnatore e un grafico, ha creato il logo della rete e gestisce una nota pagina social con cui divulga proverbi calabresi. Giulia, botanica, è impegnata nella difesa dei sistemi dunari e botanici.
    Annalisa, albergatrice e ristoratrice, ha resistito alle minacce del racket. «Il pilastro di legalità che non ha mai mollato e che continua a rimettersi in gioco», sottolinea Adele. «Andiamo da Guerino», mi esorta.

    Piccolo è bello, ma serve una strategia

    Dalla montagna, scendiamo al mare dove lui ci aspetta. «Oggi questo isolamento, questa marginalità, può diventare punto di forza. Ma, attenzione, pensare di ripopolare un paese interno per come era è una mera masturbazione intellettuale. Invece con diverse attività, strategie, progetti i borghi possono essere resi vivibili sia per chi ancora ci risiede, sia per chi potrebbe venirci. Servono però piani strategici nazionali e internazionali. Quelli tanto sbandierati durante il periodo pandemico. Tutto fumo e niente arrosto.

    Guerino-Nisticò-we-are-south
    Guerino Nisticò

    Guerino è un fiume in piena: «L’Italia è tutta una questione meridionale. Anzi è la questione meridionale di una nuova questione europea. Noi siamo il sud del sud dell’Europa. Sotto la presidenza Oliverio fu presentato il progetto Crossing per la ripopolazione dei borghi: 136 milioni di euro per un fallimento totale. Ora ci si riempie la bocca di PNRR. Sulla misura A (420 milioni da ripartire tra Regioni e Province Autonome, ndr) il comune di Gerace ha ottenuto un finanziamento di 20 milioni di euro. Per la misura B (580 milioni su base nazionale da dividere tra 229 borghi, ndr) sono stati stanziati 11 milioni di euro da suddividere per 133 progetti. Ma di che cosa stiamo parlando?!?».

    Aree interne e finanziamenti

    Secondo le linee guida del Governo, Gerace sarebbe stato scelto come borgo “pilota” a rischio abbandono. Una sorta di laboratorio in cui sperimentare per ricalibrare o riapplicare. La questione delle aree interne rappresenta in effetti un vero vaso di Pandora. Fabrizio Barca, da ministro, aveva intuito l’importanza del tema e aveva elaborato la Strategia Nazionale per le Aree Interne, poi resa strutturale dal collega Provenzano. La nuova programmazione 2021-2027 inserisce nella strategia 56 nuove aree che si vanno ad aggiungere alle 67 del settennato precedente: 1904 Comuni e una popolazione di più di 4 milioni e mezzo di persone. A questo si aggiunguno i 15 milioni per il 2023 previsti dalla cosiddetta “legge salva borghi.

    Per le aree interne, la Calabria vanta un ampliamento: a quelle già presenti, tra cui la Jonio–Serre riconfermata nella nuova programmazione, se ne sono aggiunte altre. Tra queste quella del Versante Tirrenico Aspromonte. La Regione, tramite il Dipartimento Programmazione, stabilisce criteri e linee guida degli interventi assegnando la competenza sui bandi ai diversi settori di pertinenza: turismo, mobilità, ecc. Un tema che va inserito in una più generale analisi della capacità di spesa dei fondi europei, per cui la Calabria non ha mai brillato.

    L’Ue non basta

    Il documento presentato dall’ISTAT Vent’anni di mancata convergenza sulle politiche di coesione per il Sud fotografa un peggioramento generalizzato del sistema-Italia con picchi negativi al Sud e in Calabria. Un dato che, affiancato alle recenti tendenze demografiche, «fa presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa». Secondo la Commissaria UE alle Politiche Regionali Ferreira «da sola la politica di coesione non può guidare lo sviluppo di un’intera regione o di un paese». Traduzione: servono investimenti pubblici nazionali.
    Bisogna migliorare «la capacità dei beneficiari e degli enti intermedi di pianificare gli investimenti, costruire linee progettuali e svolgere procedure di gara» In proposito, «nel quadro finanziario 2021-2027 vengono stanziati 1,2 miliardi di euro per lo sviluppo delle capacità amministrative e l’assistenza tecnica che si concentra interamente sui beneficiari e sugli organismi di attuazione nel Sud».

    La cittadella regionale di Germaneto

    Dopo un’analisi di contesto la Regione Calabria ha deciso di investire per lo più sui progetti per l’invecchiamento attivo. Alcune fonti mi hanno confermato che i progetti di aging e telemedicina, su cui investe SNAI Calabria, sono risultati vincenti. La logica rispecchia la conformazione della popolazione delle aree interne, per lo più anziana, su cui si è deciso di investire (1.200 milioni su fondi PNRR) attivando progetti di assistenza capaci di incentivare un’economia basata sull’alleanza tra giovani e anziani.

    Il sistema Badolato

    Si tratta di uno dei modelli possibili. Guerino mi dice che a Badolato da anni esiste un sistema rodato: case a 1 euro e accoglienza degli stranieri. Il borgo è rinato grazie al turismo residenziale a alla comparsa di nuovi nuclei familiari. È stata scongiurata la chiusura della scuola. «We are South lavora in questa direzione. Questo gruppo che abbiamo creato, si innesta su percorsi attivi da tempo. Il nostro innato senso di accoglienza e ospitalità facilita e aiuta certi percorsi di incoming. Siamo esperti in turismo relazionale e puntiamo all’internazionalizzazione di questi territori. Il confronto con l’altro può aiutare questi luoghi a evolvere il proprio modo di pensare e di pensarsi. Ci sono storie simili alla nostra in tutta la Calabria: un processo che si è velocizzato negli ultimi 5 anni».

    panoramica_badolato-borgo
    Badolato, uno dei paesi nella rete We are South

    Salutato Guerino ci spostiamo da Annalisa, la prima a immaginare un filo che unisse tutti i paesi di questo progetto assieme ad Adele: «Siamo partite con i mercatini di Natale e poi tutto è venuto da sé». Annalisa è albergatrice e ristoratrice e membro del consorzio GOEL. 67 ettari all’interno del parco archeologico dell’antica Kaulon affacciati sul promontorio di Punta Stilo a un passo da dove, nel 2012, Francesco Scuteri, “l’archeologo scalzo”, Direttore del Museo di Arte contemporanea di Bivongi, ha ritrovato il mosaico del drago, delfino e ippocampo, uno dei più grandi e importanti dell’età greca.

    «Collaboravamo già per la vendita degli agrumi, ma ho aderito al consorzio nel 2013 dopo il secondo attentato incendiario del 2012 che ha distrutto il tetto e il primo piano del nostro agriturismo». Sospesi a picco sul mare in questo luogo ucciso e rinato sette volte, mi pare di avere davanti lo spirito di un’araba fenice magnogreca. Annalisa non si è mai arresa.

    Bio, attentati e solidarietà

    «Produciamo tutto quello che vendiamo, anche il pane e la pasta realizzati con farine calabresi. Faccio il bio dal 2013. Dei sette attentati subiti, due sono stati devastanti: nel 2015 è stato dato a fuoco il capannone con tutta l’attrezzatura, trattore compreso. GOEL ci ha aiutato facendo letteralmente da scudo. Stare all’interno di una cooperativa ti scherma. Non sei più solo. Sono stati loro a spingerci a raccontare la nostra storia. Abbiamo poi creato fondo, anche con piccole donazioni, che consentisse alle vittime del racket di ripartire, perché la difficoltà maggiore delle vittime è ricominciare. Finché non terminano le indagini l’assicurazione non risarcisce. Siamo arrivati a 70.000 euro».

    Annalisa-fiorenza-we-are-south
    Annalisa Fiorenza

    Il rogo risaliva al 31 ottobre di quell’anno e abbiamo deciso che a dicembre avremmo inaugurato il nuovo trattore acquistato con la Festa della Ripartenza. Ci sono stati anche due ministri. Questa reazione cosi forte ha evidentemente spiazzato. Non c’è stato più alcun attentato. Quello che mi ha lasciato l’amaro in bocca è che a sostenerci sono venuti da fuori, perché sul territorio si ha paura. Abbiamo comunicato che è possibile trasformare il dolore in una storia vincente. Ed è l’esempio che cerchiamo di veicolare anche con We are South».

    We are South: l’unione fa la forza

    Ospitalità, tutela, valorizzazione e promozione dei territori, riconversione della rabbia in opportunità rappresentano ormai i topoi che, tappa dopo tappa, ricorrono. Ma, in questo caso, We are South sviluppa quanto fatto sia a Natile, sia a Samo. I ragazzi hanno capito che l’unione fa la forza, che occorre mettere in rete i borghi e che, per ottenere risultati, è imprescindibile coinvolgere le comunità. Solo attraverso questo passaggio le reti si rafforzano, le economie nascono e si trasformano in ecosistemi di crescita. Ed è solo così che una qualsiasi forma di brand diventa autentica e incarna quello che Guerino chiama lo spirito del luogo.

    bivongi-2
    Un altro scorcio di Bivongi

    «Qualche tempo fa, a Bivongi, fu avviato il progetto albergo della longevità: furono realizzati 40 posti letto, un ristorante e un’enoteca con standard da 4 stelle. La comunità non era pronta, le infrastrutture e l’apparato politico nemmeno. Ad oggi rimane davvero poco di quel sogno. Noi possiamo fare il nostro, come stiamo dimostrando. Ma c’è bisogno di coraggio politico».
    È lo stesso messaggio che mi ha indirizzato Monsignor Bregantini: le persone, le reti, le imprese, le comunità, il terzo settore possono fare molto. Ma serve una regia politica chiara, coraggiosa, visionaria. Quella che ad oggi in Calabria e in Italia continua a latitare.

  • Gente in Aspromonte | Le amazzoni greche di Samo e Natile

    Gente in Aspromonte | Le amazzoni greche di Samo e Natile

    Questa puntata tutta al femminile si svolge nella Calabria greca tra Natile di Careri e Samo e racconta la storia di due generazioni di donne, due imprenditrici dell’Aspromonte. Avevo già conosciuto Tiziana, nella due giorni di Samo. Tuttavia, la decisione di dare un “taglio” di genere è nato dopo l’incontro con Annamaria a Natile Vecchio, durante la salita a Pietra Cappa, il cuore dell’Aspromonte, la Madre.
    La prima è la Presidente della Pro Loco di Careri, la seconda la giovane Presidente della Cooperativa Aspromonte: hanno in comune senso di appartenenza e di comunità, amore per l’accoglienza e la bellezza, voglia di costruire a casa loro. E la tessitura. Su questi terreni si incrociano memoria, rapporto con le istituzioni, lavoro contro lo spopolamento, strategie di sviluppo.

    imprenditrici-aspromonte-due-donne-lotta-territorio
    Il monolite

    Annamaria, la promoter della montagna

    «Sono stata sempre una ribelle anticonformista e non mi sono mai arresa. Nasco nel 1964. Nella mia gioventù la montagna era off-limits.
    Le donne ci andavano solo con gli uomini per raccogliere le ghiande. Per il resto era considerata pericolosa, specie per le ragazze. Della montagna ricordo di aver sempre sentito il richiamo forse perché legato al senso del proibito, ma era l’era dei sequestri. Gli anni tra l’85 e l’86 sono stati quelli in cui con un picnic di Pasquetta organizzato in località San Giorgio, comune di San Luca, quasi per scherzo, abbiamo aperto le porte della montagna.
    E poi piano, piano si è strutturato un giro di appassionati, grazie ai primi pionieri: il professor Domenico Minuto, Alfonso Picone Chiodo, l’avvocato Francesco Bevilacqua che già frequentavano la montagna e, da studiosi, ci hanno fatto scoprire un patrimonio che nemmeno noi conoscevamo. Scoprire di esserne i custodi ci ha dato orgoglio e ha rafforzato il nostro senso di appartenenza. Da lì in poi è partito il mio impegno». Così esordisce Annamaria Sergi, sarta e promoter della sua terra.

    imprenditrici-aspromonte-due-donne-lotta-territorio
    Annamaria Sergi e Giuseppe Bombino

    Natile, la speranza dopo l’abbandono

    Siamo sotto Pietra Cappa, in località Natile Vecchio, nella famosa vallata delle Grandi Pietre, pregna di sacro, già battuta dagli eremiti. Ci sono Demi d’Arrigo di Aspromontewild – la nostra guida -, Nino Morabito di Legambiente, il prof Giuseppe Bombino.
    Frazione del comune di Careri e figlio della arcaica Pandore, Natile è una comunità evacuata e sradicata, segnata dai terremoti del 1783 e del 1908 e ferita dall’alluvione del 1951. Dopodiché a tutti gli effetti “delocalizzata”. É la stessa storia che ho sentito ripetere ad Africo Vecchio.
    Il monolite domina su di noi. Le lame d’argento della luce di mezzogiorno ci catapultano in una dimensione quasi lunare: intorno a noi la macchia mediterranea si inerpica ai costoni di roccia lucente.
    Il cuore dell’Aspromonte pulsa con il suo ritmo nascosto, il battito ancestrale di primavera che sale direttamente dalle viscere della terra e percuote tutta la vallata. Qualche falco pellegrino volteggia. Pietra Cappa, Pietra Lunga e Pietra Castello sembrano essere piovute dal cielo, conficcate come enormi chiodi nel terreno.

    Il picnic diventa un ristorante

    «A Natile manca tutto, non ci sono servizi, né punti di ristoro, né strutture ricettive. Abbiamo cercato di trasformare le criticità in opportunità.
    Allora ci siamo inventate il ristorante all’aperto: organizziamo picnic in montagna e rispolveriamo tutto quello che le nostre nonne facevano quando andavamo a mietere il grano: mettevano tutto nella cesta e partivano.
    Facciamo cultura a tavola, accompagnando il nostro piatto con la storia della nostra comunità e delle nostre famiglie, quella di una cultura povera, contadina e accogliente. E raccontare il passato ci consente di ricrearlo nel presente, riattualizzandolo. Non siamo le servette. Siamo le donne che dominano la tavola.
    Per me è un onore condividere il mio sapere con gli altri. Non mi sono mai fatta ingabbiare in certi stereotipi. Il mio obiettivo è dare nuove opportunità alla mia terra, aprendo opportunità di crescita e lavoro», mi dice Annamaria al nostro rientro dal monolite. Assieme alle donne della sua Pro Loco ha preparato il pranzo picnic.
    C’è il tovagliato, posate di metallo e bicchieri di vetro «perchè il plastic free è il futuro e al futuro si va educati tutti, specie chi viene a visitare il nostro territorio». Il menu è fatto di preparati a chilometro zero. Il pranzo, che è il suo modo di prendersi cura, diventa occasione di scambio, confronto e racconto.

    Escursionisti a Pietracappa

    Una Pro Loco per cambiare

    «La mia missione è accogliere. Vengo da un passato all’interno della parrocchia: sono stata catechista, corista e membro del consiglio pastorale. É stato il mio impegno fino a quando mi sono accorta che forse c’era più bisogno di me fuori dalla Chiesa.
    La storia della nostra Pro Loco inizia a ottobre del 2014, grazie alla vacanza della sede di Careri. Veniamo avvisate con pochissimo anticipo.
    In tre giorni istituiamo la nuova associazione. I tempi stretti ci hanno impedito di effettuare tutta la procedura di evidenza pubblica. Chi non è stato coinvolto si è sentito escluso. Quella di Natile è una Pro Loco fatta prevalentemente da donne, che hanno deciso di mettersi a servizio della loro comunità, nonostante gli scetticismi di tanti. Anzi proprio quel pensare “sunnu fimmini, c’hannu a fari?”, quel sottovalutarci, ci ha consentito di agire al meglio».
    Perché Annamaria è ciò che fatto: già vicepresidente regionale e coordinatrice delle Pro Loco reggine, nove anni di impegno sul territorio a contatto con le scuole, con i turisti, gli studiosi, gli artisti. Ha organizzato seminari di studio sulla tradizione greco-bizantina di Natile, laboratori didattici con le scuole, eventi culturali. Un punto di riferimento sul territorio per ricercatori e turisti.

    Cibo e tessuti: piccole economie aspromontane

    «Assistiamo gli escursionisti che vengono da fuori, divulghiamo e promuoviamo la nostra terra e i suoi prodotti a chilometro zero. Quando organizziamo un pranzo quello che presentiamo deve essere di altissima qualità.
    Questo ci consente di coinvolgere le nostre famiglie, i nostri produttori, aziende agricole e piccole realtà trasformative che realizzano i prodotti di nicchia che ordiniamo per i pasti: pane, olio, ortaggi, formaggi, salumi, carne, frutta, dolci.
    Non presentiamo nulla che non sia stato valutato. Perché tu sei noi e noi ci mettiamo la faccia. Abbiamo anche realizzato dei laboratori di tessitura in alcuni “catoi” del paese. Il telaio, come in molti altri borghi della zona, era parte fondamentale della nostra cultura». E non manca la citazione dotta: «Le vostre donne si vestivano di nero perché portavano il lutto a vita, ma sognavano a colori. Se voi aprite i vostri bauli le coperte che tessete sono zeppe di verde smeraldo, giallo ocra, blu mare, rosso scarlatto». Questa frase a effetto, riferisce Annamaria, proviene da Tito Squillace, medico, attivista, presidente dell’associazione ellenofona Jalò tu Vua di Bova.

    imprenditrici-aspromonte-due-donne-lotta-territorio
    Un telaio domestico

    Imprenditrici in Aspromonte contro l’abbandono

    Cura, ospitalità, istanze di rete: sono gli ingredienti di Annamaria per contrastare il senso di sfiducia e abbandono appiccicato ai natilesi come un lenzuolo bagnato: «Il medico condotto che veniva a fare ambulatorio una volta a settimana non viene più. Viviamo in un territorio isolato che porta ancora le cicatrici della stagione dei sequestri.
    Ai tempi di Cesare Casella, Natile fu invasa. Lo Stato inviò la cavalleria dei carabinieri: ragazzini impreparati e terrorizzati dall’idea di stare nel cuore della ’ndrangheta.
    Sono giunti e hanno spaccato tutto quello che dovevano spaccare, facendo di tutta l’erba un fascio e commettendo un errore: imporsi con violenza senza curarsi dei legami e dei meccanismi di una piccola comunità sempre abituata ad arrangiarsi e proteggersi con i propri mezzi.
    Si è avuta la sensazione di uno Stato mai percepito come garante o collante. Una madre presente per giudicarti, senza accompagnarti. La mancanza dello Stato nelle sue articolazioni ha minato anche la fiducia dell’essere parte di una collettività che insieme può costruire qualcosa di migliore. Perché stai dando risposta alle esigenze di tutti.
    Questo ha inciso negativamente sulla capacità di fare comunità. A un livello economico si è tradotto nella riduzione della percentuale del fenomeno cooperativo che, di per sé, si basa sulla fiducia. Noi, poi, non siamo stati capaci di reagire. L’assistenzialismo ha fatto il resto: se a Natile 48 famiglie su 50 hanno la sicurezza del posto fisso alla Forestale, è più facile accomodarsi che prendere iniziative economiche. Io questa sono e non ho intenzione di fermarmi».

    Tiziana: dal sociale alla microimpresa

    Su questa ancestrale filoxenia punta anche Tiziana Pizzati, attivista e imprenditrice, quando usa l’immagine dell’abbraccio: accogliere significa abbracciare.
    Tiziana rappresenta la generazione più giovane: poco più che trentenne, a Samo ha creato un sistema di accoglienza diffusa e una cooperativa per la trasformazione di prodotti agroalimentari.
    Collabora con le Guide del Parco e con gli operatori del turismo montano.
    «Ho avuto la fortuna di poter lavorare alle Poste nella mia terra, ma volevo fare di più. Ho preso una laurea in Scienze turistiche con una tesi sul brand Aspromonte e sulla sua drammatica bellezza: un’istantanea su come è oggi la nostra terra, sulle sue prospettive di sviluppo e su ciò su cui dobbiamo investire. Paradossalmente il nostro essere rimasti indietro, oggi ci porta a essere un passo avanti. Voglio rendere vivo quello che ho studiato realizzando un nuovo storytelling».

    Samo: un altro pezzo di antica Grecia

    Ci troviamo a Samo, 300 metri sul livello del mare a 13 km da Bianco. All’ingresso del paese campeggia una stele di metallo con il toponimo grecanico. Anche Samo è un borgo delocalizzato che si allunga come la punta di una lancia nel Parco dell’Aspromonte.
    Fondato intorno al 432 a. C. in località Rudina a ridosso della fiumara La Verde, allora navigabile, da coloni dell’isola di Samos, il paese onora questo passato ed è gemellato con il suo omonimo greco.
    Invaso e distrutto dai Saraceni, teatro di terremoti, è stato più volte spostato fino all’abbandono dell’insediamento di Precacore per assumere i connotati attuali.
    «Sentiamo forte la nostra grecità. Lavoriamo per valorizzare il nostro passato: cerchiamo di renderlo seducente e contemporaneo. Ciò significa creare nuovi posti di lavoro contro lo spopolamento. Sogniamo non un Aspromonte fisico, ma culturale. Un orizzonte condiviso».

    Imprenditrici in Aspromonte: restanza al femminile

    Tiziana, e Annamaria sono le “restate” che combattono: rappresentano la forza, l’orgoglio e la resilienza delle donne d’Aspromonte, quelle che la letteratura ha descritto sempre come un passo indietro.
    Sono il volto umano del femminino sacro che da Persefone è transitato nel mondo cristiano. Bova, con le sue Pupazze, è l’emblema. Sono restanti e persistenti. Incarnano il doppio e l’unità: due donne, due leader, la Madre e la Figlia. Rappresentano i due passaggi di crescita: una ancora immersa nell’associazionismo, l’altra transitata nel sociale e poi saltata verso la piccola imprenditoria.

    Tessuti di Samo

    Creare per non partire

    «Quando ti ritrovi a vivere con un gruppo di coetanei in un paese di settecento anime hai due possibilità: spostarti o creare qualcosa. Noi abbiamo scelto la seconda strada: ci siamo riuniti, abbiamo formato la Pro Loco e per sei anni abbiamo promosso il territorio. Poi ci siamo accorti che col sociale puoi fare tante cose, ma solo fino a un certo punto».
    Così nel 2016 «abbiamo fondato la Cooperativa Aspromonte. Il lavoro fatto dal prof Bombino durante la sua presidenza all’Ente Parco portò a un fiorire di cooperative giovanili. Oggi sento che manca quel meccanismo capace di lavorare a più livelli e per chi, come me, collabora sia col Parco che con i Comuni per la manutenzione di sentieri e segnaletica, è triste». Si riferisce al lavoro fatto per la candidatura dell’Ente Parco Aspromonte a Global Geopark Unesco.

    L’ospitalità (green) prima di tutto

    «Siamo partiti con l’idea di creare ospitalità diffusa per camminatori ed escursionisti: per noi era naturale prenderci cura dello straniero. Poi con i risparmi di questa attività abbiamo creato un laboratorio di trasformazione dei prodotti alimentari. A parte le conserve, realizziamo il Kypris, liquore al mirto locale raccolto e lavorato in giornata. Abbiamo molte idee, pochi soldi e la burocrazia non ci aiuta».
    Nel 2018 la cooperativa ha chiesto un contributo per l’acquisto dei macchinari per il laboratorio di trasformazione agroalimentare a valere sui fondi per i giovani inseriti nelle azioni per le aree svantaggiate del Piano di Sviluppo Rurale.
    Il progetto, approvato nel 2022 non è stato finanziato in attesa dei ricorsi per l’aggiornamento delle graduatorie: «nel frattempo abbiamo acquistato tutto di tasca nostra».

    Una tessitrice grecanica

    Quelle belle stoffe bizantine

    E poi c’è la tessitura, perché Samo è la capitale del ricamo bizantino a motivi floreali: «Nell’area della Calabria greca fino alla prima metà del Novecento il telaio era fonte di reddito. Fimmina di telaru, gioa e onuri di lu focularu. Si può dire che in ogni casa ci fosse un telaio. A Samo però venivano realizzati ricami più complessi: le geometrie si alternavano ai tipici motivi floreali intrecciati con con ginestra, lino o seta. Oltre che per le coperte, Samo è conosciuto per le sue pezzare e le sue strisce: filati fino a undici metri dati in dote e preparati per essere stesi all’ingresso della sposa in chiesa».
    Si tratta di un’arte che sta scomparendo e su cui lei punta: «con il progetto Telaio in Aspromonte abbiamo mostrato alle scuole il processo completo di lavorazione della ginestra per la tessitura, dalla pulitura all’orditura, come avveniva fino alla metà degli anni Cinquanta. Mi piacerebbe realizzare una scuola di tessitura per tramandare una competenza che sta per estinguersi, ma da cui provengono manufatti tessili di altissima qualità».

    La cantastorie e la tessitrice

    Tiziana ha mostrato l’arcano e il contemporaneo.
    Prima mi ha introdotto a casa di Agata, superstite cantora di età indefinibile, una stufa a legno, la tv a tutto volume e la memoria di Pico della Mirandola, capace di recitare storie e leggende dell’antica Samo in un poema epico dialettale direttamente ispirato alla Chanson D’Asperomont.
    Poi mi ha introdotto a casa di Maria, la mastra tessitrice di cui vedete i lavori in foto. Quindi ha filmato è ha realizzato una story acchiappaclic per arricchire di contenuti il profilo Instagram della cooperativa, 1.835 follower. Una risorsa che prima non c’era.
    Una recente ricerca dell’Unical sulle condizioni delle quattro aree pilota calabresi della Snai rimarca un difficile accesso ai servizi, una desertificazione sanitaria e un invecchiamento misto al calo della popolazione.

    La vallata delle Grandi Pietre

    Salvare la Calabria greca? Si può

    La riqualificazione della vita di queste aree non può passare solo attraverso il turismo: ci vogliono i servizi e una nuova strategia gestionale. E poi ogni altra forma di politica territoriale possibile, turismo e animazione culturale compresi. Serve una visione.
    Il 28 luglio 2021 la Regione ha approvato il Sistema di gestione e controllo per l’utilizzo dei fondi nazionali della Strategia nazionale aree interne Snai che «punta a rafforzare la struttura demografica dei sistemi locali delle Aree Interne (intese come sistemi intercomunali) e ad assicurare un livello di benessere e inclusione sociale dei loro cittadini, attraverso l’incremento della domanda di lavoro e il miglior utilizzo del capitale territoriale».
    Vi rientra a pieno titolo l’area Grecanica. Il modello d’azione della Snai prevede «di favorire la piena attivazione degli attori locali (istituzioni, imprese, associazioni, ecc.), che sono chiamati ad assumere ruoli e responsabilità centrali nella definizione delle politiche di intervento».
    Vedremo se e quanto questo approccio multistakeholder verrà rispettato.

    Tiziana Pizzati

    Imprenditrici che resistono in Aspromonte

    Nel frattempo Annamaria e Tiziana lavorano sui territori per cambiare il senso di rabbia e di abbandono in gratitudine, aumentare il livello di consapevolezza dei loro concittadini, accrescere fiducia e opportunità, creare prospettiva di sviluppo.
    Entrambe reclamano attenzione alle aree interne da parte delle istituzioni: chiedono strade, servizi, fondi, affiancamento. Entrambe lavorano per aggregare e per ricreare. E in questa tensione tra l’appartenere, il riconoscersi, il ricreare e il fare c’è l’eterno dilemma del pendolo che oscilla tra autentico e mitopoietico: il secondo è necessariamente destinato a sostituire il primo laddove i vissuti e i saperi scompaiono. Uno storytelling che non si scrosti al primo imprevisto deve raccontare non una vetrina ovattata, ma tradizioni, vite, quotidianità autenticamente presenti.

  • GENTE IN ASPROMONTE | Quarant’anni di guerra ai bracconieri

    GENTE IN ASPROMONTE | Quarant’anni di guerra ai bracconieri

    «Ancora, a distanza di anni, non capisco come si potesse sparare dalle terrazze e dai balconi della città migliaia di colpi contro i falchi pecchiaioli e di come non venisse attivato un servizio di garanzia dell’ordine pubblico. Questura e Prefettura dov’erano?».
    Quegli spari stridevano con ciò che Nino Morabito, dirigente di Legambiente e ambientalista reggino di lungo corso chiama «il silenzio che regnava sovrano». Nino ha tanto contribuito ad abbattere del 99% il fenomeno della caccia illegale dei cosiddetti adorni durante la migrazione riproduttiva.

    È uno dei partecipanti all’uscita verso Pietra Cappa, che racconterò nella prossima puntata, ed è un ex consigliere dell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte. Non ha mezzi termini sulle condizioni della media valle e della montagna: «Vedo, a dispetto degli obblighi di legge, intere aree prive dei controlli minimi, in piena zona A (tutela integrale, ndr.). Cose che, con le opportune scelte del caso, l’accesso culturale, col supporto delle guide, sarebbe sacrosanta. Ancor oggi comanda lo scempio del pascolo abbandonato, delle stalle abusive e delle attività illegali che dovrebbe essere punito e represso».

    rapaci-aspromonte-ambientalisti-contro-bracconieri
    Cacciatori (regolari) all’opera in Aspromonte

    Rapaci migratori: dallo Stretto all’Aspromonte

    La storia di oggi riguarda lui e il movimento creato a tutela dei rapaci che ogni anno, a primavera, passano dallo Stretto di Messina sorvolando l’Aspromonte per dirigersi a nord fino in Scandinavia e a est, in Europa centro-orientale, sulla rotta del Conero e delle Prealpi orientali. Questa storia ha radici antiche ed è figlia degli anni Ottanta, quando Reggio somigliava più a Beirut che a una qualsiasi città italiana.
    Sono gli anni della guerra di mafia, della passeggiata del Lungomare Falcomatà ancora inesistente, dei soldi facili, dell’eccesso. A Reggio in primavera si spara. Anche in piena città. Dalle terrazze e dai balconi.

    Migliaia di rapaci transitano per la riproduzione da sud a nord con picchi di passaggio di migliaia di esemplari selvatici tra il 20 aprile e il 20 maggio di ogni anno. La migrazione è da sempre un momento critico nella loro vita: c’è un alto rischio di morte che per alcune specie supera anche il 50% della loro popolazione.
    Siamo negli anni Ottanta e «sul solo versante calabrese ci sono dalle 13mila alle 15mila persone che sparano».

    Lo stretto di Messina, insieme al Canale di Sicilia, al Bosforo e allo Stretto di Gibilterra, è uno dei crocevia nella migrazione dei rapaci sull’asse Nord-Sud/Sud-Nord.
    Questo perché «per oltrepassare il Mediterraneo senza disperdere troppe energie necessarie per il lungo viaggio, i rapaci – che oltretutto non sono uccelli acquatici e non possiedono il piumaggio reso impermeabile da secrezioni di apposite ghiandole – devono attraversare il mare utilizzando i corridoi più stretti per sfruttare le correnti ascensionali favorite dalla presenza non della superficie omogenea dell’acqua, ma dalla diversità della terra sottostante», racconta Nino.

    «Il fenomeno è facilmente osservabile nel «territorio che va da Pellaro a Palmi a seconda delle condizioni meteo. A meno che non subentrino venti intensi sul canale di Sicilia dai quadranti di Sud e Sud-Est particolarmente proibitivi per attraversare 150-200 km di mare per i rapaci. Questo li costringe ad attendere anche diversi giorni consecutivi nel versante tunisino e libico senza lasciare la costa, in attesa del momento giusto per partire», chiarisce Nino.

    rapaci-aspromonte-ambientalisti-contro-bracconieri
    Nino Morabito

    Reggio città occupata

    Negli anni Ottanta Reggio è un territorio in emergenza e lo resterà per buona parte dei Novanta. Faide e attentati spingono lo Stato a mandare contingenti di bersaglieri a presidiare una città che appare fuori controllo.
    La caccia illegale all’adorno è un fenomeno più che diffuso. «Era una consuetudine delle vecchie generazioni legata alla tradizione delle cacce primaverili rese illegali dopo il 1977, dato che era biologicamente errato cacciare la fauna selvatica che si spostava per riprodursi. C’era poi una componente simbolica legata a forme di goliardia e competizione così come di iniziazione maschile, che sconfinava fino a veri e propri atti di dominio sul territorio. Non è un caso che una buona percentuale dei fermati negli anni, sparasse con un’arma con la matricola abrasa».

    rapaci-aspromonte-ambientalisti-contro-bracconieri
    Rapaci in Aspromonte (foto di Peter Horne)

    «Tutto questo non doveva per forza significare che i soggetti in questione fossero propriamente malavitosi, ma che si aggirassero in certi coni d’ombra di confine, questo sì. Più in generale mi sono accorto che vigeva una sorta di impercettibilità di una pratica che, pur illegale, veniva considerata come qualcosa a cui proprio non si poteva rinunciare. Mentre le forze dell’ordine restavano immobili», aggiunge Nino.

    Inizia la battaglia per i rapaci

    Quella che sarebbe diventata la battaglia di Nino inizia in Sicilia nel 1984 con le denunce dell’appena quindicenne Anna Giordano, determinata figlia dell’allora direttore del Cnr di Messina. Parliamo di una giovane appartenente a una famiglia di cultura elevata che ha sostenuto le sue scelte.
    Anna, assieme a un’altra ragazzina poco più piccola, Deborah Ricciardi, denuncia lo sterminio di rapaci e comincia a lottare. Il 1984 è l’anno in cui si svolge il primo campo di attivisti per il monitoraggio e la tutela della migrazione dei rapaci, dove è presente anche la Lipu cui Anna, assieme ad altri attivisti siciliani, ha aderito. Contemporaneamente sul versante calabrese, si formano i primi gruppi con le stesse procedure: adesione alla Lipu e organizzazione dei primi presidi che sfociano nel primo campo calabrese. Siamo nel 1985.

    Attivisti in azione contro i bracconieri

    La caccia illegale di rapaci in Aspromonte

    La caccia illegale di rapaci è un fenomeno complesso fatto di dimensioni diverse e intersecate che permeano le comunità: sociale, economica, culturale. Nino mi racconta che «durante la migrazione di ritorno, tra agosto e settembre, i rapaci tengono quota e possono essere scorti solo dall’Aspromonte. Invece in primavera, all’andata, gli uccelli perdono quota nell’attraversare lo Stretto».

    «I rapaci passano a migliaia e puoi vederli vicinissimi, anche a sei o sette metri di distanza, specialmente da Archi, Gallico, Catona e Campo Calabro. Sono facili prede. In passato, tra retaggi culturali, simbologie, goliardia, il fenomeno, almeno all’inizio, generava un’economia di scala. Le migliaia di tiratori affittavano postazioni di tiro, compravano colazioni, avevano disposizione rudimentali laboratori di tassidermia abusiva, spesso nel retro delle stesse armerie che vendevano loro fucili e cartucce». «Inoltre si era sviluppata un’economia indiretta di accompagnamento perché molti dei borghi e delle frazioni in cui si svolgeva la caccia allestivano veri e propri eventi finali con tanto di teatrini e feste di paese dove si celebrava il migliore e si dileggiava il peggior cacciatore», prosegue Nino.

    rapaci-aspromonte-ambientalisti-contro-bracconieri
    Un volontario inglese antibracconaggio

    I feroci bracconieri degli anni Ottanta

    Negli anni Ottanta «la tensione era altissima: insulti e aggressioni verbali e fisiche erano all’ordine del giorno. Battevamo a macchina i comunicati stampa e li inviavamo via fax. Il Corpo forestale dello Stato raccoglieva personale da diverse parti d’Italia e lo convogliava in Calabria. La resistenza sociale era diffusa e si respirava un clima di guerriglia. Anche noi, come altri attivisti, ci siamo ritrovati le automobili distrutte a bastonate».
    L’impegno di Nino inizia durante la sua formazione universitaria a Parma, ateneo allora noto per nomi di altissimo profilo legati all’etologia: Danilo Mainardi, più conosciuto come divulgatore di Quark, ma anche Sandro Lovari per gli ungulati, Sergio Frugis per l’ornitologia, Gandolfi per l’ittiologia.

    «Coinvolsi alcuni colleghi a venire a darci una mano e, tra chi aderì, ci fu il figlio di un senatore democristiano che avrebbe poi dovuto proseguire la propria ricerca naturalistica in Africa. Durante un’uscita del nostro gruppo sopra l’acquedotto di Gallico, un gruppo di sei o sette bracconieri, raggiunti i volontari, distrusse la loro auto a colpi di pietre e bastone. Ogni giorno gli elicotteri scortavano le pattuglie che smontavano e dovevano fare rientro al quartier generale della Forestale allestito a Gambarie. Fino al 1995 le forze dell’ordine avevano l’ordine di presentarsi in assetto antisommossa: casco, giubbotto antiproiettile, mitraglietta. Quell’episodio ha cambiato la percezione del problema e del rischio», spiega il dirigente di Legambiente.

    Stormo di uccelli migratori

    L’attentato di Gambarie contro la Forestale

    Nino si riferisce all’attentato a colpi di lupara diretto contro la camionetta dei forestali, nel quale uno degli agenti, colpito alla gola, ha perso l’uso delle corde vocali e ha rischiato la vita.
    «Prima dell’88 eravamo assediati. Facevamo osservazione e monitoraggio in zona Santa Trada con decine e decine di persone che ci insultavano, mentre annotavamo numeri e passaggi: “Scrivilu, curnutu! 10 falchi… scrivattillu, sifiliticu!”. Noi eravamo lì a preservare il territorio e i bracconieri, che ci consideravano un corpo estraneo, ci sfidavano, ci osservavano, come facevamo noi, e studiavano le nostre mosse. Dopo aver pernottato in una struttura a Catona ed esserci ritrovate le auto distrutte abbiamo cambiato strategia: le macchine le affittavamo e ci spostammo a dormire a Lazzaro. Io facevo questa vita un mese e mezzo all’anno. Senza il nostro pungolo non ci sarebbe stata la reazione del territorio e delle Istituzioni».

    Mi racconta la sua versione Stefania Davani, attivista romana che incontro un pomeriggio di metà maggio trascorso sulla media valle del Reggino per assistere al passaggio dei migratori.
    «Ricordo benissimo quel periodo. La tensione, la paura, gli assalti». Erano gli anni del monitoraggio strutturato, dei gruppi vasti divisi in diverse postazioni di osservazione da nord a sud dello Stretto. «Durante uno di questi scontri con i cacciatori un gruppo di attivisti stranieri inseguiti fino in spiaggia, fu costretto sotto una sassaiola a gettarsi in mare con i vestiti addosso e uno di loro rischiò di annegare», spiega Stefania.

    Una migrazione sullo Stretto

    Gli stranieri contro i cacciatori

    Gli stranieri sono l’altra parte di questa storia. Stefania è sposata con uno di loro, l’inglese Peter Horne, che viene da anni in Calabria per monitorare i rapaci.
    «Mi occupavo già di tutela dell’avifauna in Gran Bretagna. Con mia moglie abbiamo questa comune passione. I primi anni qui sono stati terribili, Oggi, rispetto all’inizio, gli attacchi a Reggio e in Sicilia sono molto diminuiti. Questo è frutto di un lavoro congiunto fatto da attivisti e Carabinieri forestali. I rapaci non sono dei calabresi, dei siciliani, dei tedeschi o degli inglesi. Sono un patrimonio comune, europeo e mondiale, da difendere tutti insieme. Anche loro rappresentano il nostro futuro».

    Gli attivisti stranieri sono il grimaldello che Nino ha usato per piegare il bracconaggio: «Avevamo contattato organizzazioni amiche e gruppi di attivisti stranieri sensibili al tema. Li abbiamo di quanto stavamo facendo e gli abbiamo chiesto aiuto. Loro avevano aderito e le strutture competenti dei loro Paesi di provenienza avevano comunicato alle rispettive ambasciate che cittadini inglesi, tedeschi, svedesi, ecc. si stavano recando a Reggio Calabria per fare attivismo. Le stesse ambasciate avvisavano le autorità italiane che i loro cittadini potevano trovarsi in situazioni di rischio. Lo Stato fu chiamato a intervenire. Fu questa strategia l’arma bianca che ci fece ottenere una vittoria impensabile».

    Gli anni Novanta

    Le aggressioni fisiche sono proseguite anche negli anni Novanta.
    «C’erano ancora zone impraticabili e rischiose, tipo Rosalì o Calanna. Eppure, qualcosa cambiava. Lo Stato si muoveva, c’erano maggiore sensibilizzazione e consapevolezza, i rapaci erano protetti dal 1972, l’Unione Europea era intervenuta nel 1979 con la Direttiva Uccelli e l’Italia aveva promulgato la relativa ultima legge confermativa 157/1992».
    «Il dibattito pubblico nazionale e internazionale su questi temi si era imposto, il contrasto tramite fermi di polizia e sanzioni era serrato. Il risultato fu che, dopo i primi anni ’90, la partecipazione alle cacce diminuì. Molti che sparavano senza capire bene i rischi di varia natura (ordine pubblico, minaccia alla biodiversità, illegalità, sanzioni) si erano improvvisamente svegliati dal loro torpore e avevano preso coscienza».

    A colpi di arresti e di interrogazioni parlamentari la situazione si è normalizzata: «La normativa europea ci ha molto aiutato. I maggiori controlli e pressione, il monitoraggio e il lavoro degli attivisti hanno permesso grandi risultati. E, una volta diminuiti i tiratori, abbiamo cominciato a muoverci più agevolmente. In pochi anni il 50% dei bracconieri ha smesso di sparare».

    Tra gli episodi assurdi che Nino ricorda due in particolare rendono la consistenza del fenomeno. Innanzitutto, i mandati di consigliere comunale e regionale svolti dall’avvocato Francesco Tavilla dal ’95 al 2000 «con il solo proclama “viva la caccia agli adorni”», già ampiamente vietata. Poi l’interrogazione parlamentare «a seguito del decesso per infarto di un tiratore su una terrazza di Reggio Calabria, provocato – a dire degli onorevoli – dallo spavento per il sorvolo di un elicottero della Forestale».

    Attivisti di Legambiente

    La situazione oggi

    «Oggi rimangono un centinaio di irriducibili, comprese le aree interne (Solano, Villa Mesa, Calanna). Il fenomeno è stato abbattuto del 99%».
    I risultati sono eloquenti: «Il falco pecchiaiolo è ricresciuto in maniera significativa; sono tornate le cicogne, che erano quasi scomparse e hanno ricominciato a nidificare. Lo stesso dicasi per i falchi di palude, i grillai, le albanelle minori, il cuculo, il lodolaio», mi racconta Nino.

    La guerra però non è vinta: «Il bracconaggio è abbattuto ma cova sottotraccia. Bisogna tenere alto il controllo. Dato che il fenomeno è contratto, siamo organizzati in modo diverso: operiamo in modo dinamico e con azioni veloci. Raccogliamo indizi in diverse aree per fornire il quadro più completo possibile alle forze dell’ordine».
    Gli episodi ci sono ancora: «Quello beccato l’anno scorso era uscito dalla galera da sei mesi dove era finito per associazione mafiosa». La battaglia è importante perché colpisce i simboli, «toglie finestre di espressione con cui si può pretendere e presupporre che l’illegalità vinca. Non ha più un valore economico, ma sociale. È come le vacche sacre: un simbolo potente da debellare», chiarisce Nino.

    Uccelli migratori nel tramonto

    Una battaglia di civiltà tra ambiente, legalità e turismo

    Un valore sociale che fiorisce nelle mani delle nuove generazioni. Secondo Peter «c’è un fattore culturale legato all’avvicendarsi delle nuove generazioni: loro hanno ben chiaro che il mondo ha risorse limitate e che quello che abbiamo va salvaguardato». Ancor di più oggi, davanti agli stravolgimenti climatici, alle alluvioni e alle siccità ampiamente documentate.
    Il birdwatching e il monitoraggio dell’avifauna sono un presidio di legalità ed educazione per un intero territorio. Già: dimostrare che lo Stato pone un argine ai fenomeni illegali è un segnale importantissimo per territori come il nostro. Rappresenta la speranza di una comunità che non deve arrendersi. Un comparto su cui costruire nuovi percorsi turistici dedicati a un spettacolo visibile in pochissime aree al mondo, in cui lo Stretto e l’Aspromonte dominano.