Autore: Sergio Pelaia

  • Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

    Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

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    L’opposizione in consiglio regionale sembra sia fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i selfie. Amalia Bruni, che continua a proporsi come leader del fronte Pd-M5S, non mostra però la dimestichezza di un Matteo Salvini con la pratica dell’autoscatto e la compattezza da lei ostentata il 13 aprile si è sbriciolata appena una settimana dopo.

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    Amalia Bruni durante la campagna elettorale per le Regionali perse del 2021

    La prima Caporetto del centrosinistra non si scorda mai

    Il voto sull’Authority acqua-rifiuti voluta da Roberto Occhiuto, differito a dopo Pasqua per quelle che lo stesso governatore ha definito «imboscate regolamentari» della minoranza, si è tradotto nella Caporetto del primo scorcio di legislatura per il centrosinistra. Bruni aveva addirittura messo insieme non solo i dem e i pentastellati, ma anche i consiglieri di De Magistris, nel fronte rivoluzionario dei combattenti anti-multiutility. Solo che proprio dal M5S, ormai ipergovernista non solo a Roma, è arrivato l’appoggio che non ti aspetti – o forse sì – al provvedimento simbolo del new deal accentratore del Duca Conte.

    C’era una volta il Movimento 5 stelle

    Il fatto è noto ed è già oggetto di stupite e articolate analisi da parte degli osservatori della politica regionale. Il capogruppo grillino, Davide Tavernise, in Aula si è astenuto, mostrando qualche pudore in più rispetto al collega-portavoce-cittadino-consigliere Francesco Afflitto, che ha addirittura votato a favore. Secondo i rilievi procedurali sollevati nella seduta pre-pasquale, alla maggioranza servivano 21 voti, che avrebbe avuto già allora non fossero stati assenti in 3. Dopo gli stravizi di Pasquetta la creatura di Occhiuto si è ritrovata con 22 sostenitori.

    Un certo clamore lo ha aggiunto la circostanza che Afflitto sia anche presidente della Commissione di Vigilanza – il collega di DeMa Antonio Lo Schiavo ha minacciato di abbandonarne la vicepresidenza – ovvero l’unico organismo che, vista la funzione (teorica) di controllo «sugli atti di programmazione economico-sociale della Regione e degli enti ed aziende dalla stessa dipendenti», per prassi viene presieduto da un componente dell’opposizione. Che attualmente – alla luce degli ultimi sviluppi, ma in verità fin dal suo esordio da provvisorio presidente del Consiglio in qualità di consigliere anziano – non sembra, diciamo, esattamente un barricadero. E nemmeno un occhiuto – chissà se “occhiutiano” – censore dell’operato del centrodestra.

    Da Afflitto a Morrone

    Non è neanche questa una novità. La Vigilanza condivide con l’Antimafia la denominazione di commissione «speciale» e una scarsamente riconosciuta utilità, ma è nelle cose che per concedere la sua Presidenza all’opposizione la maggioranza in Consiglio debba scansarsi un attimo. Lo dimostrano le votazioni: Afflitto è stato eletto presidente con 8 voti a favore e 14 schede bianche. Dunque ha avuto il sostegno di Pd e M5S e anche un tacito ma evidente semaforo verde dal centrodestra a guida Occhiuto. A cui, dicono i soliti maligni, ieri avrebbe reso un favore politico magari mettendosi in condizione di riceverne qualche altro.

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    Ennio Morrone presiede la Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella (2018)

    Roba da corridoio, certo, voci di sottobosco difficilmente dimostrabili. Come quelle che accompagnarono, ai tempi della presidenza di Mario Oliverio, la scalata alla Vigilanza di Ennio Morrone. Allora in Forza Italia, il suocero dell’attuale consigliera di FdI Luciana de Francesco ottenne 16 preferenze su 31 votanti. Non serviva dunque essere né strateghi né giocatori di poker per ipotizzare una qualche cointeressenza politica col centrosinistra. Tra l’altro in precedenza era stato assessore nella giunta regionale di Agazio Loiero.

    Giannetta e Forza Italia pigliatutto

    In mezzo c’è stata la (tragicamente breve) parentesi della Presidenza di Jole Santelli. La coalizione che la sosteneva aveva appetiti tali da aver dovuto creare, per tentare di saziarli, una commissione nuova di zecca. Dunque si può immaginare cosa si fece della Vigilanza: un sol boccone. Non certo lasciato all’opposizione – che disertò polemicamente le votazioni – ma dato in pasto al forzista Domenico Giannetta.

    Con lui in un anno, tra il 2020 e il 2021, si sono tenute 10 riunioni della Vigilanza. Non risulta abbiano fatto perdere il sonno a chi governava la Cittadella. Con Morrone tra il 2015 e il 2019 ce n’erano state 36. Ben altri numeri, in era Scopelliti, aveva raggiunto l’avvocato Aurelio Chizzoniti – subentrato nel 2013 in Consiglio ad Antonio Rappoccio e preceduto alla Presidenza da Giulio Serra, entrambi di maggioranza – con 51 sedute tra il 2010 e il 2014.

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    Straface, Lo Schiavo e Afflitto in Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella

    Difeso dalla Straface

    Sotto la presidenza di Afflitto la Vigilanza si è finora riunita tre volte. La prima seduta è durata 16 minuti (inizio lavori h. 11,49, fine lavori h. 12,05). La seconda un’ora e un quarto e la terza un’ora e mezza, compresi i saluti e l’approvazione dei verbali delle sedute precedenti. Nessun provvedimento trattato. Uniche audizioni, quelle del commissario della Sorical Cataldo Calabretta e del delegato del dg del dipartimento Ambiente della Regione.

    In quest’ultima occasione – si legge nel resoconto del 22 febbraio scorso  – Pasqualina Straface (Forza Italia) ha illustrato la situazione di Sorical. E Amalia Bruni ha proposto che la questione fosse «affrontata in una apposita seduta di Consiglio regionale». Tutti d’accordo.

    In Aula è poi finita così: a difendere il pentastellato e «il proficuo lavoro» della Commissione da lui presieduta è stata proprio la consigliera forzista. Mentre Occhiuto ha portato a casa la sua legge sì con una settimana di ritardo, ma spaccando l’opposizione. Sembrano lontanissimi – ma era il 2015 – i tempi in cui l’M5S calabrese diceva che affidare la Vigilanza a uno come Morrone equivalesse ad «affidare a Dracula la gestione del centro trasfusioni». Oggi loro stessi pare abbiano trovato chi può regalare ben altre soddisfazioni. Al centrodestra.

  • Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

    Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

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    La vicenda, certamente poco seria e non si sa quanto grave, richiama subito il celebre aforisma di Ennio Flaiano. E viene in mente anche una battuta – già cult – dell’ultimo film di Paolo Sorrentino. Ma prima, per ricondurre tutto alla sua reale misura, forse è meglio soppesare le dichiarazioni che stanno rinfocolando la polemica tra Catanzaro e Reggio. Che ricaccia la Calabria indietro di 50 anni, se non ai tempi delle Calabrie degli Aragonesi (Citeriore e Ulteriore) e poi dei Borboni (Ulteriore I e II).

    Quanto ce ne fosse bisogno, in un momento storico come quello attuale, è superfluo rilevarlo. Ma si sa: quando ci sono elezioni in ballo la frizione che regola l’emissione di comunicati stampa scappa sempre un po’ troppo. Dunque eccoci qua, catapultati all’indietro in un surreale dibattito che contrappone il centro e la punta della periferia d’Italia.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Catanzaro vuole pure il consiglio regionale

    L’apriti cielo si materializza con un’uscita del “Comitato elettorale Valerio Donato Sindaco”. I sostenitori del prof catanzarese, fuoriuscito dal Pd e ora appoggiato dal centrodestra, la buttano lì: «Giunta e Consiglio regionale devono essere riuniti presso la stessa sede, quella naturale, ossia Catanzaro». Presentata come una «battaglia concreta per la riduzione reale dei costi della politica», risponderebbe a «un fatto di correttezza istituzionale giacché il capoluogo della regione deve essere messo nelle condizioni di esercitare pienamente il proprio ruolo».

    La sortita prende le mosse da un antefatto, anzi da due collegati tra loro. Il primo: l’11 aprile si tiene alla Cittadella regionale di Catanzaro una riunione del «Coordinamento dei presidenti delle Commissioni per le Politiche europee delle Assemblee legislative delle Regioni». Prima e dopo non mancano i comunicati di giubilo perché la riunione si svolge «per la prima volta in Calabria».

    Lo strappo istituzionale

    Il secondo: due giorni dopo si riunisce il consiglio regionale e in apertura il capogruppo (reggino) del Pd Nicola Irto parla (nel video in basso dal minuto 16) di «strappo istituzionale»  perché «la sede naturale» di quella riunione era l’Astronave di Reggio. Raccoglie «il monito» il presidente (catanzarese) del Consiglio Filippo Mancuso che dice di aver già chiarito il «malinteso» con il presidente (catanzarese) della commissione competente, Antonio Montuoro.

    Si tratta di una questione definita con sarcasmo «assai urgente» dal Comitato di Donato, che con un certo sprezzo del dileggio appena usato parla di «polemica forse non molto qualificante» e lancia l’ormai famigerata proposta di cui proprio tutti, da Praia a Mare a Melito Porto Salvo, non potevano fare a meno.

    Segue, immancabile come un buffet dopo un meeting aziendale, una delle pratiche in cui eccelliamo da tempo immemore: la levata di scudi. Dalla sponda calabrese dello Stretto si alza un coro unanime di «giù le mani dal consiglio regionale». Gli stessi partiti che sostengono o sono dati come vicini a Donato insorgono.

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    Ciccio Franco, uno dei protagonisti del Moti di Reggio

    «Non stuzzicate la città di Reggio»

    Peppe Neri (capogruppo di FdI a Palazzo Campanella) quasi rievoca i moti del 1970 contro Catanzaro capoluogo: la sede del Consiglio a Reggio «assicura quell’equilibrio istituzionale che la storia ha decretato non senza tensioni». Il deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro definisce «grottesche» le dichiarazioni di Donato e ipotizza che le abbia rilasciate «dopo un’allegra serata con gli amici».

    Mancuso ha provato a stoppare le polemiche bollandole come «surreali e divisive», ma un assessore comunale a lui vicino, Francesco Longo, ha rincarato la dose: «Ha fatto non bene, ma benissimo il comitato elettorale di Valerio Donato a ribadire che per evitare ulteriori “sgarbi istituzionali” basterebbe riportare il Consiglio Regionale a Catanzaro». Probabilmente però vince tutto il sindaco facente funzioni di Reggio Calabria, Paolo Brunetti: «Si è deciso 50 anni fa di portare il capoluogo a Catanzaro. Ormai avevamo metabolizzato la cosa, però non stuzzicate la città di Reggio. Non fateci rispolverare l’idea d’avere qui la Giunta…»

    Vabbè: forse non ci si poteva aspettare molto altro dal Paese dei campanili e da una regione in cui si litiga pure per un lampione tra rioni e rughe di piccoli paesi. Ma far girare ancora, dopo mezzo secolo di fallimentare regionalismo, il disco rotto del «popu-campanilismo» (la definizione è del giornalista Giuseppe Smorto) è esattamente il contrario di ciò che davvero ci servirebbe: un po’ di sincera solidarietà e di sana ironia. Allora proviamo, per una volta, a non disunirci. E soprattutto a non prenderci sempre così tanto sul serio.

  • Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

    Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

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    Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.

    Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.

    Le Province dall’Italia preunitaria a oggi

    Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.

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    Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia

    Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.

    In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.

    Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro

    A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.

    Centrodestra alla riscossa

    I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma  il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.

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    Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza

     

    Reggio in attesa di funzioni

    Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.

    Vibo e i conti che non tornano

    La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.

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    Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco

    La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.

    Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto

    Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.

    Sede_Provincia_di_CatanzaroSulle disgrazie politiche del centrosinistra un po’ ovunque e da ultimo a Cosenza, così come sull’esordio non felicissimo della presidente Succurro che ha subito assegnato un incarico (gratuito) al marito, non serve indugiare oltre. Può invece essere utile ragionare sui contorni del limbo politico-amministrativo in cui sono stati costretti questi enti, schiacciati tra Regioni e Comuni e menomati da interventi legislativi molto discutibili.

    Cinque miliardi in meno per le Province

    Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».

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    La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria

    La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.

    Due settori chiave

    Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.

    Il paradosso delle nuove Province

    Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.

    Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.

  • Non solo Affruntata, riti e polemiche della Settimana Santa in Calabria

    Non solo Affruntata, riti e polemiche della Settimana Santa in Calabria

    Come le liturgie laiche di ogni giorno, anche i riti “santi” hanno subìto con la pandemia una sospensione e non saranno certamente più gli stessi. Ora, dopo due anni di stop, stanno per riprendere. Ma sono già al centro di decisioni discutibili e immancabili polemiche. È una questione di simboli, soprattutto, e di sentimenti. I riti della Settimana Santa in Calabria ne sono pieni. Sono tantissimi e chi ci crede li vive con una dose di pathos a volte eccessiva, ma direttamente proporzionale allo scetticismo – non di rado fondato sul pregiudizio – di chi non ci crede.

    Processione a San Luca (foto Angelo Maggio 2004)

    Tra fede e teatralità, le manifestazioni religiose pubbliche sono sempre state occasione per definire e ribadire rapporti di potere reali. Da ben prima che esistesse la ‘ndrangheta, che ne ha poi fatto uso per ostentare il suo dominio. E questi riti sono anche occasioni in cui, attraverso la drammatizzazione, le comunità mettono in scena se stesse, rivelando dinamiche interne che normalmente sono nascoste, tacite o sopite.

    Affruntata di Calabria

    Uno dei riti più diffusi, nella Calabria centrale e meridionale, è quello delle Affruntate. Tra Catanzarese, Vibonese e Reggino ce ne sono diverse con varianti notevoli. Cambiano nomi e dettagli di contesto: Cumprunta, Cunfruntata, Svilata, ‘Ncrinata a Dasà (dove si fa il martedì, mentre nella vicina Arena il lunedì). A Bagnara invece pare fosse l’unica festa in cui le due congreghe non litigavano. Ma i protagonisti del rito sono quasi sempre gli stessi: i simulacri della Madonna Addolorata, di San Giovanni evangelista e del Cristo risorto, a cui in alcuni paesi si aggiungono altre figure evangeliche, come la Maddalena o gli angeli.

    È la rappresentazione dell’incontro, preannunciato da San Giovanni, tra la Madre e il Figlio resuscitato. Con una forte componente simbolica che richiama la dinamica tra ordine divino e umano, la lotta tra la morte e la vita. Il rito è probabilmente collegabile alle “sacre rappresentazioni” del Medioevo e del Cinquecento, anche se in molti centri è arrivato nella seconda metà dell’Ottocento. Vi si riscontrano analogie con le liturgie della Settimana Santa della Sicilia, di Malta e di alcune regioni della Spagna.

    Più di tre secoli fa uno dei più noti e accreditati storici della Calabria seicentesca, Padre Giovanni Fiore da Cropani, raccontava stupito in Della Calabria Illustrata come, la domenica di Pasqua, «si accresce la festa nella città di Gerace con una processione di mattina col concorso di quasi tutta la città, e l’uno e l’altro clero secolare e regolare, nella quale con mirabile artificio s’incontrano insieme la Vergine da lutto con Cristo Sagramentato: al cui incontro svestita la Madre de’ suoi lutti, adora il suo carissimo Figliuolo: incontro qual riempie di molta tenerezza d’affetto i circostanti».

    Vangeli canonici e apocrifi

    Fiore da Cropani è stato citato dallo studioso e missionario scalabriniano Maffeo Pretto che, con La pietà popolare in Calabria, ha tentato una ricostruzione resa difficile dall’impossibilità «di tracciare una storia documentata» dell’Affruntata. I vangeli canonici, infatti, non fanno riferimento all’incontro di Cristo risorto con la Madre. Se ne fa invece menzione nei vangeli apocrifi. Pretto cita, in particolare, il Vangelo di Gamaliele – e poi c’è la liturgia pasquale bizantina in cui ricorre la seconda annunciazione. Infine Pretto ricorda l’uso dei gesuiti di tenere delle recite nelle piazze durante le processioni, chiedendosi se l’Affruntata non sia sorta in tale contesto.

    È certamente fondamentale il ruolo dei portantini. Sono loro a dover raccontare, unicamente con i gesti perché si tratta di una processione “muta”, l’ansia dell’attesa, l’incredulità iniziale, la “pasqua” che esplode quando Maria viene “svelata” dal manto nero e si mostra nel bianco (o azzurro) della Resurrezione.

    Affruntata: la processione annullata dal vescovo a Stefanaconi e Sant’Onofrio

    Sant’Onofrio e Stefanaconi, due piccoli centri alle porte di Vibo, sono finiti nel 2014 sulle prime pagine nazionali perché le autorità civili decisero, a causa della presenza di presunti affiliati alle ‘ndrine tra i portatori delle statue, di affidare questo compito ai volontari della Protezione civile. Decisione accettata, malvolentieri, dai fedeli di Stefanaconi. Rigettata, invece, dalla comunità di Sant’Onofrio che, d’accordo con il vescovo e il parroco dell’epoca, preferì annullare del tutto la processione.

    L’Affruntata “replicata” in Piemonte 

    Non era mai successo prima, mentre nel 2010, sempre a Sant’Onofrio, il rito subì un rinvio di una settimana dopo che la porta di casa del priore dell’arciconfraternita che lo organizza era stata presa a pistolettate. Il pentito Andrea Mantella racconta che l’Affruntata si faceva anche a Carmagnola perché lì sarebbe stata attiva una succursale piemontese del clan Bonavota. Proprio un loro uomo, in passato, avrebbe presieduto il comitato organizzatore. La comunità santonofrese si è però poi riappropriata della sua tradizione. Ora sembra risanata rispetto alle vicende negative degli anni passati.

    La presenza delle cosche nelle processioni

    Al di là dei singoli casi, il fenomeno a cui ricondurle non è certamente nuovo. La ‘ndrangheta ha affermato la sua forza solo nel secolo scorso. E la presenza delle cosche in questi riti non è che il riflesso del loro dominio reale sul territorio. Le manifestazioni di religiosità popolare, invece, detengono un potenziale “propagandistico” che i potenti di turno sfruttano da sempre per manifestare la propria superiorità. La spiritualità, anche nelle sue manifestazioni folkloriche è dunque, storicamente, un vero e proprio instrumentum regni.

    La “missa alla ‘mberza” a Serra San Bruno

    Un elemento costitutivo di certi riti è poi la loro fisicità. A Serra San Bruno, per esempio, dopo una funzione chiamata missa alla ‘mberza – non una vera e propria messa, bensì una liturgia in cui all’adorazione della croce seguono le letture e l’Eucaristia – il Venerdì Santo c’è il rito della Schiovazziuoni. Si tratta della rappresentazione della deposizione di Cristo morto. I confratelli dell’arciconfraternita dell’Addolorata liberano materialmente dai chiodi la stautua e la depongono dalla croce. Adgiano poi Cristo sulla naca, che ogni anno ha un allestimento ornamentale diverso da cui dipende molto del prestigio del priore in carica, e lo portano in processione il sabato mattina.

    La certosa di Serra San Bruno (foto Raffaele Timpano)

    Stop ai Vattienti di Nocera Terinese

    Ancora più corporea è la tradizione dei Vattienti di Nocera Terinese – simile ai Battenti di Verbicaro – la cui origine si fa risalire almeno agli inizi del XVII secolo. Un corteo di uomini segue la statua raffigurante la madre di Cristo e alcuni di loro si flagellano le gambe con il “cardo” e la “rosa”, pezzi di sughero su cui si conficcano dei vetri. I vattienti «inevitabilmente iniziano a sanguinare e con il sangue vengono macchiate le mura e le porte delle case attraversate dalla processione».

    Non sono parole di uno storico locale. È un passaggio dell’ordinanza dei commissari che guidano il Comune di Nocera Terinese. Un Comune sciolto per mafia dopo l’inchiesta “Alibante”. I commissari hanno vietato il rito valutandone le modalità «in assoluto contrasto con le primarie esigenze di tutela della salute pubblica e salubrità dell’ambiente, unitamente alla notoria attrazione alla manifestazione di un considerevole flusso di persone».

    Si può immaginare il disappunto della comunità che deve rinunciare alla cruenta tradizione anche quando lo stato di emergenza Covid si è concluso. È però nelle prerogative dei commissari – che assumono le competenze di sindaco, giunta e consiglio – prendere simili decisioni. E si può immaginare anche quanto un ligio funzionario prefettizio possa essere poco sensibile – e poco propenso ad assumersene la responsabilità – alle dinamiche collettive che stanno davanti e dietro al rito, nonché alle relazioni che vi si intrecciano intorno.

    Il dolce lungo 500 metri a Siderno

    A Siderno, riporta il Reggino.it, a causa dei contagi da Covid sono saltate tutte le celebrazioni civili e religiose, compresa la preparazione della Sguta di Pasquetta, un dolce che nella città della Locride ha raggiunto nel 2019 il record di lunghezza: 537 metri e 92 centimetri certificati da un notaio, con conferma di un posto nel Guinness dei primati. A Caulonia invece l’arciconfraternita dell’Immacolata ha deciso di non far portare le “sue” statue in processione perché la chiesa ricade in un’area interdetta per rischio idrogeologico e l’accordo col Comune per un «corridoio sicuro» è saltato.

    Il vescovo di Cosenza contro «balletti di statue e santi»

    Fede e potere, insomma, non sempre vanno a braccetto. E ci vuole una buona dose di coraggio per chi nella Chiesa – e sono in molti anche nelle alte sfere – cerca di lasciarsi alle spalle alcune usanze dai contorni piuttosto pagani. Certamente ne ha avuto parecchio un prete siciliano, il parroco di Ribera Antonio Nuara. Ha proposto su Facebook di «abolire tutte le processioni» che si svolgono dalle sue parti. Forse più facile la provocazione dell’arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano, Francescantonio Nolè, che intervistato da LaC ha sentenziato – evidentemente con qualche ragione – che «la fede vera non ha bisogno di balletti tra statue dei santi». Nel suo territorio però non si segnalano Affruntate.

  • Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Tutto slitta a dopo Pasqua. Se ne parlerà nella seduta del 19 aprile. La discussione del consiglio regionale sulla multiutility che dovrebbe governare in futuro il ciclo di acqua e rifiuti, sostituendosi di fatto agli Ato provinciali e all’Autorità idrica della Calabria, si era di fatto chiusa. Mancava solo il voto.

    Tutto sembrava andare liscio verso l’approvazione, quando il consigliere del Pd Ernesto Alecci ha sollevato un problema procedurale: per leggi di questo genere, istitutive di un nuovo ente, probabilmente ci vuole una maggioranza qualificata, ovvero il voto favorevole di 21 consiglieri. Panico. Seduta in stand by e poi colpo di scena: il presidente Filippo Mancuso comunica la decisione, di concerto con la Giunta, di rinviare la trattazione del provvedimento alla prossima seduta.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    La seduta lampo in Commissione Bilancio

    È uno stop a sorpresa, di natura diversa da quello paventato nei giorni scorsi – ne avevamo scritto qui – fino a quando il punto, dopo una seduta della Commissione Bilancio in zona Cesarini durata solo 8 minuti, era stato inserito all’odg. Ora la questione riguarda lo stesso iter da seguire in Aula. E di certo non ne sarà contento Roberto Occhiuto che, fino all’ultimo, ha manifestato esplicitamente la volontà di non voler perdere altro tempo.

    Tre ore di dibattito e poi lo stop

    Invece dovrà ancora aspettare per assistere alla creazione della multiutility che, nei suoi propositi, dovrà governare il ciclo di acqua e rifiuti in un unico ambito territoriale regionale. La legge costitutiva dell’Authority è, al pari dell’Azienda zero per la sanità, un provvedimento che Roberto Occhiuto ha posto come pietra miliare sul suo cammino da presidente della Regione. La coalizione di centrodestra, rinfrancata da una pizza serale alla Cittadella, non aveva tradito in Aula nessuna sbavatura difendendo l’Authority dai rilievi dell’opposizione. Ma dopo una discussione di circa tre ore e una lunga sospensione si è deciso di rinviare la votazione.

    Cosa cambierebbe con la multiutility di Occhiuto

    L’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, ente di governance a cui dovrebbero partecipare obbligatoriamente tutti i 404 Comuni calabresi, a dispetto delle attese non è nata oggi. La legge portata in Consiglio prevede che entro dieci giorni dall’entrata in vigore Occhiuto nomini un commissario straordinario. Quest’ultimo rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari (il direttore generale, il consiglio direttivo d’ambito, il revisore dei conti).

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolti di diritto e decadranno.

    Tutti gli uomini del presidente

    La multiutility sarà dotata di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. A costituire il consiglio direttivo sono 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi, gli altri rappresentanti li eleggeranno, con criteri proporzionali alla popolazione, tutti i sindaci calabresi. Il dg, che dura in carica 5 anni, sarà sempre il presidente della Regione a nominarlo. E nominerà anche «il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse» formandolo sulla base di una direttiva della giunta regionale.

    Il nodo della Sorical

    Resta il problema dell’acquisizione delle quote private di Sorical. Il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha evidenziato perplessità sui costi di funzionamento dell’Autorità. Si prevede siano a carico di quota parte delle tariffe dei servizi senza però che qualcuno li abbia quantificati. Ma non mancano anche alcuni dubbi sul passaggio della legge che, in poche righe, autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati.

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    L’acquedotto Abatemarco (dal sito Sorical)

    L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto che gestisce le risorse idriche calabresi. Sorical è in liquidazione. Ma nella relazione descrittiva che accompagna la legge non c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie «né appare chiaro – hanno rilevato gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria». Sull’idrico c’è una trattativa ancora tutta da chiudere. Occhiuto sta cercando di convincere a cedere le azioni i referenti di un fondo governativo tedesco a cui la Depfa Bank ha ceduto i crediti (85 milioni di euro) che vantava verso Sorical.

    Occhiuto vuole oneri e onori

    Lo stesso Occhiuto in Aula non ha fatto riferimento al caso Sorical. Ha risposto, però, all’opposizione rivendicando per sé la nomina del dg dell’Authority – nel modello emiliano, mutuato per questa legge, la rappresentanza legale spetta invece al presidente, che viene nominato dai sindaci – e dicendo in sostanza che «se il governo regionale assume degli impegni vuole scegliere chi questi impegni li deve realizzare». Il concetto è chiaro: Occhiuto sta mettendo la faccia per intervenire su problemi atavici e, dunque, con le grane si prende anche il potere.

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    Roberto Occhiuto

    «Non è una riforma contro sindaci e autonomie locali – ha assicurato – ma proprio loro hanno lamentato per anni di essere stati lasciati soli in questi due ambiti su cui oggi il governo regionale ha il coraggio di intervenire». Dunque massimo rispetto «per la concertazione», anche se l’Anci è stata convocata due giorni prima del Consiglio. Ma su certe cose, specie con il Pnrr alle porte e la Calabria che su acqua e rifiuti «non ha avuto ancora un centesimo», non si può tentennare. Il 19 maggio scade il bando che potrebbe far recuperare i 104 milioni persi a causa dell’errore fatale all’Aic sul bando React Eu. Ma il Duca Conte per ora deve inchinarsi alle procedure e aspettare almeno un’altra settimana.

  • Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Qualcosa dev’essere andato storto. A cosa sia dovuto il cortocircuito tra il vertice della Giunta e quello del Consiglio regionale nessuno, almeno ufficialmente, lo dice. Ma che in questi giorni si sia verificato lo raccontano i fatti. È importante metterli in fila, perché sono fatti che riguardano uno dei provvedimenti più importanti annunciati da quando Roberto Occhiuto è presidente della Calabria, quello sulla creazione di un’unica Autorità di gestione per acqua e rifiuti.

    Sabato scorso, durante la convention nazionale di Forza Italia che ha segnato il ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi, poco prima dell’ora di pranzo è stato il turno di alcuni presidenti di Regione. Occhiuto, introdotto da un gongolante Maurizio Gasparri, ha guadagnato il pulpito azzurro tra gli applausi e ha cominciato a distribuire elogi ai ministri del suo partito.

    I tre grazie

    Uno: «Grazie a Brunetta in Calabria non si assume più con commissioni regionali ma tramite il Formez». Due: «Grazie a Mara Carfagna per il costante supporto relativo alle risorse del Fondo di sviluppo e coesione». Tre: «Grazie a Mariastella Gelmini che è il “censore” delle leggi delle Regioni: molte delle cose che stiamo facendo in Calabria le stiamo facendo attraverso leggi di riforma importanti, che, se non avessimo un rapporto così collaborativo con il governo, spesso passerebbero attraverso la scure dell’incostituzionalità, invece lo risolviamo prima».

    Proprio sulla scia del terzo ringraziamento Occhiuto ha portato ad esempio la legge che punta ad accentrare in una sola Authority – di cui lui nominerà il capo – la gestione del servizio idrico e del ciclo dei rifiuti. Sono settori che in Calabria rappresentano «un problema da 20 anni», mentre «noi – ha aggiunto il presidente della Regione – in pochi mesi stiamo facendo questa riforma e mercoledì la approveremo in Consiglio regionale» (lo dice qui, da 1:59:00 in poi).

    La multiutility in Consiglio? Scomparsa

    Insomma, se uno che ha il vento in poppa come Occhiuto annuncia da un palco così importante che mercoledì si approva la legge, vuol dire che mercoledì si approva la legge. Invece no: nell’ordine del giorno della seduta di consiglio regionale del 13 aprile il punto su acqua e rifiuti scompare dai radar. Ci sono provvedimenti importanti, come quelli riguardanti il nuovo Por 2021-2027 che implica una spesa superiore ai 3 miliardi di euro. Ma tra i 10 punti all’odg di acqua e rifiuti non si fa menzione.

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    Una seduta del Consiglio regionale

    Eppure il disegno di legge approvato dalla giunta su proposta di Occhiuto a Reggio ci è arrivato già da un po’. Per la precisione è stato depositato alla Segreteria dell’Assemblea il 25 marzo, il 6 aprile è passato in Commissione Ambiente e l’8 sarebbe dovuto passare per il parere della Commissione Bilancio, ma questo step era stato dato per saltato per andare subito in Aula. Invece niente.

    I dubbi del Settore Assistenza giuridica

    Anzi: nel frattempo il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha prodotto un parere che non è esattamente un pollice alzato per il ddl di Occhiuto. Il dirigente di Palazzo Campanella Antonio Cortellaro inanella nella sua scheda di analisi tecnico-normativa diversi dubbi. Segnala alcuni errori sui riferimenti normativi. Esprime varie perplessità.

    Lo fa, per esempio, sul comma che prevede che i costi di funzionamento dell’Autorità siano a carico di quota parte delle tariffe del servizio idrico e dei rifiuti «nella misura definita dallo Statuto». Questi costi, rileva l’ufficio del Consiglio regionale, non sono neanche «quantificati». Dunque, della questione sarebbe bene che si occupasse la competente Commissione Bilancio. La cui seduta è però saltata.

    La questione Sorical in poche righe

    I dubbi più corposi riguardano il passaggio in cui il ddl che in poche righe autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati. L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto (53,5% della Regione, 46,5% del socio privato) che gestisce le risorse idriche calabresi.

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    Cataldo Calabretta, commissario della Sorical

    La stessa Sorical è in liquidazione ma neanche nella relazione descrittiva che accompagna la proposta di legge c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie. «Né appare chiaro – rilevano gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria».

    La trattativa da chiudere

    La matassa dell’idrico ha a che fare con le condizioni poste sulle quote da una banca con sede in Irlanda che ha ceduto i crediti nei confronti di Sorical a un Fondo governativo tedesco. Con loro Occhiuto sta cercando di trattare per rendere pubbliche tutte le quote di Sorical. E solo dopo che ci sarà riuscito potrà prendere davvero forma la multiutility di cui parla fin dalla campagna elettorale.

    Se ci riuscisse avrebbe in mano le chiavi di un’enorme macchina amministrativa che accentrerebbe due settori da sempre ingovernabili. Si aggiungerebbero alla gestione della sanità su cui Occhiuto, proprio dalla convention forzista, ha chiesto al governo di avere poteri ancora maggiori. Mentre su acqua e rifiuti, almeno per ora, di ritorno da Roma dovrà capire cosa sia successo sulla strada che dalla Cittadella porta a Palazzo Campanella.

  • Economia e coronavirus: un affare di famiglie

    Economia e coronavirus: un affare di famiglie

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    Nei mesi bui del 2020, quelli del lockdown, la già stagnante economia calabrese ha avuto un calo del Pil di circa 9 punti percentuali. Paura, incertezza, emergenza: sono situazioni che le cosche della ‘ndrangheta «hanno sempre dimostrato di saper sfruttare a proprio vantaggio». Come? Ovvio: con i soldi. «Massimizzando i profitti ed orientando gli investimenti verso contesti in forte difficoltà finanziaria».

    Lo scrive chiaramente la Dia nella relazione inviata al Parlamento: una radiografia sull’attività delle mafie nel primo semestre del 2021 che, però, parte proprio dallo shock economico che la pandemia ha prodotto per capire come e quanto organizzazioni finanziariamente potentissime come la ‘ndrangheta ci abbiano guadagnato.

    L’area grigia

    Con il covid un sistema produttivo che era già fragile e indebitato ha avuto un improvviso, ulteriore bisogno di liquidità. Nel mercato del credito – dice il Rapporto della Banca d’Italia su “L’economia della Calabria” – c’è stato un «forte rallentamento osservato nei finanziamenti destinati alle famiglie». E la mafia calabrese ha sempre saputo proporsi come un sostegno per le famiglie in difficoltà. La “filantropia” della ‘ndrangheta, però, non è ovviamente gratis. La si paga a tempo debito.

    C’è poi un altro aspetto che la Dia ribadisce, quello della famigerata area grigia: «Le cosche continuano a dimostrarsi abili nel relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti la cui opera è strumentale al raggiungimento di precisi obiettivi illeciti».

    Il record delle interdittive antimafia? In Calabria

    Cose note, certo. Come non sorprende che la Calabria abbia il record delle interdittive antimafia (134 su 455 in tutta Italia, +18,49% rispetto al 2020) proprio nei settori maggiormente provati dalla pandemia e dunque più a rischio infiltrazione.

    Si tratta comunque di premesse necessarie per focalizzare altri dati, forse meno d’impatto rispetto alle classiche mappe sulla spartizione territoriale delle province calabresi o alle considerazioni sugli agganci con i colletti bianchi. Non perché siano più o meno importanti, ma perché ne sono la diretta conseguenza.

    La ‘ndrangheta con la droga, le armi, l’usura, le estorsioni, gli appalti pubblici e quant’altro fa una montagna soldi, così tanti da non sapere dove metterli. Ed è qui che entra in gioco l’attività antiriciclaggio che la Dia effettua partendo dalle segnalazioni che provengono sia dall’estero che dal territorio nazionale attraverso le Financial Intelligence Unit (F.I.U.) e l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia.

    Nel primo semestre dell’anno scorso sono state segnalate 11.915 operazioni finanziarie sospette, delle quali 2.459 di diretta attinenza alla criminalità mafiosa e 9.456 riferibili ai cosiddetti reati spia (per esempio impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, usura, estorsione, danneggiamento seguito da incendio ecc.).

    Segnalazioni di operazioni sospette (percentuali tra quelli di diretta attinenza alle mafie e reati spia)

    Sos, ma non è una richiesta d’aiuto

    Le 11.915 s.o.s. (segnalazione di operazione sospetta) constano di 374.764 operazioni finanziarie, un numero che risulta più che raddoppiato rispetto al 1° semestre del 2020. La maggior parte (circa l’85%) avviene attraverso ricariche di carte di pagamento (47%), trasferimento di fondi (23%) e bonifici (15%). Il maggior numero delle operazioni finanziarie riferite a segnalazioni sospette potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata è stato registrato nelle regioni del Nord (141.000, ovvero il 37%), seguite da quelle meridionali (107.504, 29%), centrali (89.466, 24%) e insulari (33.187, 9%).

    La preferenza per i territori più ricchi

    In Calabria ci sono state nel periodo in esame 13.518 operazioni finanziarie relative a s.o.s – si tratta del 3,6% rispetto al dato nazionale – delle quali 6.503 ritenute direttamente attinenti alla criminalità organizzata e 7.015 a reati spia. Il “record” è della Campania con un totale di 62.701 operazioni relative a segnalazioni sospette (16,73%), seguono la Lombardia con 58.705 (15,66%) e il Lazio (58.022, 15,48%). È insomma evidente come, pur essendo il 3,6% una percentuale non insignificante per una regione economicamente disastrata, le mafie riciclino su tutto il territorio nazionale prediligendo i territori più ricchi, quelli ritenuti più redditizi dal punto di vista degli investimenti.

    Riciclaggio all’estero

    Guardando alle ramificazioni estere i dati sul riciclaggio si confermano nel primo semestre 2021 «in continua crescita» rispetto agli anni precedenti: 852 note provenienti dalle F.I.U. estere (fra queste sono ricomprese anche 25 informative che «delineano alcuni possibili profili di anomalia di movimentazioni e transazioni finanziarie connesse all’emergenza epidemiologica Covid-19»), di cui 266 richieste di scambi informativi e 586 trasmissioni di informazioni con conseguente attività di analisi e di approfondimento dei dati che ha riguardato oltre 3.200 persone fisiche e oltre 2.600 persone giuridiche segnalate.

    Prestanome e Bitcoin

    L’analisi delle informazioni su fondi ritenuti di provenienza illecita collocati in altri Paesi da persone indagate in Italia in alcuni casi fornisce, secondo la Dia, «validi contributi per riconoscere ipotesi di intestazione fittizia a prestanome o di interposizione di società di comodo e la titolarità effettiva dei patrimoni da parte dei soggetti coinvolti anche in considerazione della rinnovata morfologia dei mezzi di pagamento e di movimentazioni finanziarie». Per questi scopi si fa ricorso a «numerosi» tipi di “money transfer” o alle valute virtuali, le ormai note criptovalute «fra cui spiccano i Bitcoin, le svariate Altcoins e i crypto-asset».

    ‘Ndrangheta Spa

    Mettendo insieme questi e altri elementi emersi da indagini e segnalazioni la Dia descrive il vasto panorama dell’imprenditoria mafiosa come «sempre più caratterizzato dalla presenza di holding criminali». Che accumulano risorse tanto ingenti da risultare «di gran lunga superiori» rispetto a quelle che servirebbero per «corrispondere ai bisogni dei loro associati, a sostenere i costi di mantenimento delle proprie strutture ed a promuovere l’avvio d’ulteriori attività delittuose».

    Le mafie, insomma, fanno molti più soldi di quanti ne servano per gestire se stessa e i propri business. Così «la maggior parte» dei fondi illeciti viene investita «nel tessuto produttivo e commerciale per costituire profitti apparentemente leciti». Grazie ai soldi, dunque, la ‘ndrangheta si mimetizza e si sovrappone alle imprese sia sul piano sociale che su quello finanziario. E senza esporsi al cosiddetto «rischio d’impresa».

  • Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Quando si parla di spazzatura, in Calabria, i propositi sono sempre buoni, ma le certezze sono davvero poche. Per provare a capirci qualcosa conviene dunque partire dalle seconde. Innanzitutto: la Regione non ha al momento adottato nessun nuovo Piano rifiuti. In Calabria è in vigore quello approvato nel 2016 e modificato nel 2019. La giunta Santelli aveva licenziato delle Linee guida di aggiornamento su proposta del “Capitano Ultimo” ma sono rimaste solo un atto di indirizzo. «Il Piano che cambierà la Regione» vagheggiato a novembre 2020 dall’allora assessore Sergio de Caprio in realtà non è mai neanche arrivato in consiglio regionale.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Probabilmente invece ci arriverà, senza grandi ostacoli, quello annunciato da Roberto Occhiuto: la sua giunta ha approvato una delibera con gli indirizzi per un Piano stralcio. Prima di andare a vedere quali siano, proviamo a ragionare su qualche altro dato certo. Il più drammatico riguarda la raccolta differenziata, l’unica via per uscire dal medioevo delle discariche che tutti da anni dicono di voler seguire – lo impone la legge – senza riuscirci.

    Differenziata ferma al 52%

    Nel 2020 (la fonte è la Regione) i calabresi hanno prodotto 715.976 tonnellate di rifiuti urbani (381,3 kg per abitante) ma la differenziata si è fermata a 373.610 tonnellate. Rispetto al 2013 i rifiuti prodotti sono diminuiti (erano 829.792 tonnellate, 422,8 kg per abitante) ed è aumentata la differenziata (erano 122.844 tonnellate). Però siamo ancora al 52,2%, molto poco se si pensa che il target del 65% si doveva raggiungere nel 2012. Esatto: siamo in enorme ritardo rispetto a un obiettivo che andava centrato già 10 anni fa. E che il Piano rifiuti del 2016, quello ancora in vigore, aveva fissato per il 2020.

    Cosenza: rifiuti in Svezia per 300 euro a tonnellata

    Proprio il 2020, scrive il dipartimento regionale Ambiente, è l’anno che ha sancito «la cronicizzazione dell’emergenza per l’esaurimento delle discariche pubbliche e private». Risultato? Sono state incenerite fuori regione 67mila tonnellate di rifiuti, a cui se ne aggiungono altre 2mila conferite in discariche extra-regionali. A costi, dice sempre la Regione, «esorbitanti». Un esempio: la provincia più grande della Calabria, quella di Cosenza, per parecchi mesi ha spedito la sua spazzatura a Mantova e addirittura in Svezia. Al modico prezzo di oltre 300 euro a tonnellata. Il canale svedese si è bloccato da qualche settimana a causa della guerra e, ora, si rischia una nuova emergenza nell’emergenza.

    Emergenza rifiuti in Calabria mai finita

    Già. E pensare che in teoria il settore calabrese sarebbe rientrato nella «gestione ordinaria» dal 2013. Lo stato di emergenza dei rifiuti in Calabria era stato proclamato nel 1997 ed è ufficialmente scaduto il 31 dicembre 2011. Ma nei fatti è sempre rimasto tale. Con un’altra certezza: una montagna di denaro pubblico è stata spesa senza mai fare passi avanti. È utile anche su questo guardare ai numeri, tenendo a mente che il servizio viene coperto con la tassa (Tari) pagata dai cittadini. Nel 2019 i rifiuti calabresi ci sono costati 168,44 euro per abitante (fonte: Catasto rifiuti Ispra su un campione del 42% dei Comuni). Il che significa 319 milioni di euro in un anno. I costi di gestione sono andati quasi sempre crescendo nel decennio: nel 2013 si spendevano 124,15 euro per abitante (245,8 milioni all’anno).

    Sommando i costi per abitante del Catasto Ispra, dopo averli moltiplicati per i residenti rilevati di anno in anno, viene fuori che tra il 2012 e il 2019 la gestione dei rifiuti calabresi è costata in totale oltre 2,2 miliardi di euro. Ancora prima, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in più di 13 anni di commissariamento le spese erano «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».

    Il termovalorizzatore da raddoppiare

    Già in quel dossier, datato maggio 2011, si parlava del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Sul quale ora Occhiuto vuole puntare per renderlo «più performante e meno inquinante».
    Al di là dell’ammissione implicita del presidente della Regione – «meno inquinante» significa che attualmente inquina e in futuro lo farà pure, ma di meno, e prima poi bisognerà farci i conti – a descrivere la situazione è il documento tecnico allegato dal dipartimento Ambiente alla manifestazione d’interesse per il project financing.

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Si parte dal «malfunzionamento» attuale del termovalorizzatore – termine meno inquietante dell’«inceneritore» comunque ricorrente anche in questi atti – che «incenerisce quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata di 120mila tonnellate all’anno». A Gioia Tauro viene trattato per produrre energia solo il combustibile solido secondario, l’attuale tecnologia «non consente di termovalorizzare gli scarti di lavorazione». Negli ultimi due anni, inoltre, si sono registrati «continui fermi impianto».

    Il grande problema resta sempre e comunque la mancanza di impianti pubblici sul territorio. Il Piano del 2016 ne prevedeva diversi riuniti in 8 «ecodistretti», ma risulta che «nessuna attività è stata avviata» per quello di Cosenza e le sue due discariche di servizio, così come per quelle previste a Lamezia, Crotone, Siderno e per l’impianto che dovrebbe sorgere nella Piana. «Bloccato», invece, l’iter per la discarica di Melicuccà. Ma secondo il dipartimento la configurazione degli ecodistretti va «integralmente confermata».

    Rifiuti in Calabria? Incenerire per non differenziare

    Quindi l’unica novità, al netto dell’aggiornamento dei target per la differenziata (65% nel 2023, 70% nel 2025 e 75% nel 2030), è il maggiore ricorso all’incenerimento dei rifiuti a Gioia Tauro. Dove, con l’entrata a regime delle ulteriori linee «completate ad oggi all’80%», si dovrebbe arrivare, secondo la Regione, a una «valorizzazione energetica» di circa 270mila tonnellate all’anno, garantendo così «l’autosufficienza» con il trattamento di tutti i rifiuti urbani residui e degli scarti della differenziata. Il termovalorizzatore, di proprietà della Regione, nel Piano stralcio dovrà essere individuato come «di rilevante interesse strategico regionale» e servire tutta la Calabria. Una previsione che, guardando ai propositi sulla differenziata, appare contraddittoria: se dobbiamo incenerire di più vuol dire che pensiamo che non differenzieremo di più.

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    Ecco come si presenta dall’alto e come è suddiviso l’impianto di Gioia Tauro

    Quando la giunta Spirlì voleva stoppare i privati…a parole

    Due digressioni necessarie. La prima: la Ue dice che entro il 2035 dovrà andare in discarica non più del 10% del totale dei rifiuti urbani, mentre la Calabria è oggi oltre il 44%. La seconda: il Tar ha annullato un’ordinanza – l’ennesima «contingibile e urgente» – emanata dalla giunta Spirlì a luglio 2021 dando ragione al Comune e all’Ato di Crotone. Rappresentati dall’avvocato Gaetano Liperoti, gli enti crotonesi si sono opposti alla decisione di portare in discarica fino a 600 tonnellate al giorno pagando 180 euro a tonnellata (dunque fino a oltre 100mila euro ogni 24 ore).

    Si tratta della stessa giunta che aveva garantito di voler stoppare i privati. E che nella stessa ordinanza ammetteva che avremmo pagato nei mesi successivi «prezzi esorbitanti» per portare i rifiuti fuori dalla Calabria. Secondo il Tar però non si possono «adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti». L’emergenza è dunque diventata così stabile da costituire, illegittimamente, la normalità.

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    Un’altra immagine dall’alto del complesso che ospita il termovalorizzatore di Gioia

    Addio Ato, ecco la multiutility di Occhiuto

    C’è poi un’ulteriore, grossa novità: gli Ato provinciali verranno soppressi con l’entrata in vigore della «multiutility» che gestirà l’intero ciclo di acqua e rifiuti. Si tratta di un cambio di rotta rispetto all’impostazione che stava andando nella direzione della gestione locale consorziata tra i Comuni. Alcuni territori sono effettivamente bloccati perfino nella scelta dei luoghi per gli ecodistretti, ma altri stavano facendo dei passi avanti. Adesso, mentre continuiamo a pagare bei soldoni per lo smaltimento, inseguiremo l’autosufficienza incenerendo in un solo impianto i rifiuti di tutta la regione. Ma dimenticando che la normativa europea e il Codice dell’ambiente (art. 182 bis) fissano anche il principio di prossimità: i rifiuti andrebbero smaltiti «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta».

  • La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    Il liceo Morelli dista da quel palazzo, costruito su antichi resti romani, poco più di cento passi. E quello che è accaduto a Vibo in queste poche decine di metri ha molto a che fare con l’idea di «insegnare la bellezza». Senza rispolverare la retorica su Peppino Impastato, che in realtà certe parole non le ha mai pronunciate, si tratta comunque di una storia che fa pensare. Perché riguarda la bellezza e, soprattutto, il coraggio di non girarsi dall’altra parte.

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    Il liceo Morelli di Vibo Valentia

    A spasso nella storia di Vibo

    Parla proprio di questo, ai suoi ragazzi, Maria Concetta Preta, docente di Lettere, Latino e Greco del Classico di Vibo. Della bellezza passata, di quella nascosta e anche di quella ricoperta da cemento e collusioni. La professoressa ha promosso nelle scorse settimane una «Marcia per i Beni culturali» che ha portato i suoi studenti «in cammino per il diritto alla Cultura e alla Bellezza».

    Lo hanno fatto richiamando l’articolo 9 della Costituzione e andando, fisicamente, in alcuni luoghi simbolo del patrimonio archeologico vibonese. Il Tempio Greco al Belvedere, le Aree sacre del Cofino e del Cofinello, il Museo “Capialbi”, le Mura Greche di Hipponion. Gli studenti vorrebbero adottare una porzione di queste mura (nell’ambito del progetto “La scuola adotta un Monumento”, che passa per un concorso nazionale promosso dalla Fondazione Napoli 99), ma per il momento lo hanno potuto fare solo simbolicamente.

    Il Parco archeologico invaso dalla vegetazione

    Nessuno infatti ha aperto loro i cancelli del Parco archeologico perché, hanno risposto dalla Soprintendenza, il sito «risulta inagibile a causa di alta vegetazione che ingombra gran parte del percorso di visita e la vista stessa dei monumenti». Insomma sono necessari dei lavori di manutenzione straordinaria per i quali la Soprintendenza «sta provvedendo», mentre quella ordinaria spetta al Comune che ha pure garantito che se ne occuperà.

    Una tappa non ufficiale

    «Vedremo se mai si riuscirà a visitare il percorso messo in luce da Paolo Orsi nelle campagne di scavo fatte tra 1916 e 1921», commenta la professoressa Preta, che non demorde. Alla Marcia con gli studenti è stata pure aggiunta una “tappa” non ufficiale: sono andati proprio davanti al palazzo, di cui si parla nelle carte dell’inchiesta “Rinascita-Scott” e nel maxiprocesso che ne è scaturito, ricostruendone la controversa vicenda. Su I Calabresi ne abbiamo scritto raccontando gli agganci di un presunto factotum dei Mancuso e il senso del dovere di chi ha provato a ostacolarlo.

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    I resti di epoca romana catalogati prima che ci costruissero un palazzo sopra

    Alla fine lui ce l’ha fatta, ha superato i vincoli e fatto erigere il suo palazzo nel luogo in cui c’erano i resti di un’antica strada e di una villa di epoca romana. Però il fatto che la vicenda sia emersa non è rimasto isolato. C’è stato un seguito grazie alla coscienza sociale di docenti come Maria Concetta Preta che, nella sua «didattica all’aperto» votata alle «competenze», all’«ascolto» e al «pensiero critico», ha ricordato le luci del patrimonio culturale vibonese senza nasconderne le ombre.

    Una lezione per i cittadini di domani

    «Tappa irrinunciabile», commenta la prof sui social. «Non si parla d’altro – aggiunge – quando si tocca l’articolo 9 della Costituzione Italiana e la didattica trasversale sulla Legalità. Dovere della scuola è far leggere criticamente e civilmente la storia antica e presente della propria civitas. La narrazione di Hipponion/Valentia e di Vibo non può ignorare questi argomenti. È un dovere etico dei docenti, prim’ancora cittadini! A chi consegneremo il nostro testimone, se non prepariamo un pochino i giovani, facendo aprire loro gli occhi?».
    Ad affrontare di recente la questione del “palazzo della discordia” è stata anche una docente di Istituzioni di diritto pubblico dell’Unical, Donatella Loprieno. Ne ha parlato diffusamente durante un corso promosso dal Consorzio Macramè con Legacoop Calabria e il Forum del Terzo settore Calabria.

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    Il “palazzo della discordia”

    L’interrogazione a Franceschini dopo gli articoli su I Calabresi

    Il titolo della sessione era “La criminalità organizzata impoverisce la democrazia costituzionale?”. La risposta, questa sì, è retorica. Ma prima o poi, visti i contorni imbarazzanti per gli uffici che da lui dipendono, potrebbe provare a darla anche il ministro della Cultura Dario Franceschini. A lui è infatti rivolta l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato del Misto Francesco Sapia dopo i nostri articoli.

  • Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    A dirla tutta non incute il timore del Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, né il suo ufficio in cima alla Cittadella è avvolto dal bagliore alienante in cui Fantozzi si ritrova nel finale del suo primo film. Però, a leggere bene le carte senza badare troppo alla narrazione social, Roberto Occhiuto sembra muoversi proprio come il Galattico padrone assoluto della Megaditta che il ragioniere più famoso del cinema italiano appellava «maestà» o «santità».

    È pur vero che, al netto dei calcoli su astensionisti e residenti all’estero, lo ha scelto un popolo che da 50 anni chiede invano di essere ben governato. E va anche detto che in tutte le principali emergenze che schiacciano la Calabria è la Regione l’unico ente che può metterci i soldi. Dunque è anche comprensibile, alla luce dei fallimenti del passato, che chi la guida tenda a prendersi, oltre che le grane, anche il potere. Ma nel caso di Roberto Occhiuto il tasso di accentramento ha già raggiunto in pochi mesi livelli che i suoi predecessori nemmeno si sognavano.

    Roberto Occhiuto mega presidente galattico

    Oltre ai superpoteri nella sanità in Calabria quale commissario e creatore dell’Azienda zero, è pronto un nuovo disegno che darà a Occhiuto il bastone del comando anche in materia di acqua e rifiuti. Non li gestirà lui direttamente. Ma certamente chi lo farà sarà una sua diretta emanazione, una protesi burocratica che assorbirà le competenze che ora sono di altri e rispondono ad altri.

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    La sede della Regione Calabria a Germaneto

    Il disegno di legge approvato in Giunta (potete immaginare su proposta di chi), è arrivato fresco fresco al Consiglio regionale. Si intitola “Organizzazione dei servizi pubblici locali dell’ambiente”. Passerà dall’esame di merito della quarta Commissione (Ambiente) e dovrà avere il parere della seconda (Bilancio). Dopodiché approderà nell’Aula di Palazzo Campanella. Dove, al di là di qualche emendamento che dovrà avere sempre l’ok del Megadirettore, si può star certi che scivolerà liscio verso l’approvazione.

    Rifiuti e acqua in Calabria: Occhiuto e la multiutility

    La proposta prevede la creazione dell’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, con la partecipazione obbligatoria di tutti i Comuni della regione. Si tratta della «multiutility» di cui Occhiuto parla fin dalla campagna elettorale. Accorperà in un unico ente sia l’Autorità idrica della Calabria (Aic) che i cinque Ambiti territoriali ottimali (Ato) che, molto in teoria, dovrebbero gestire il ciclo dei rifiuti in Calabria. L’Aic è oggi l’ente di governo d’ambito dell’acqua. È entrata in funzione dopo enormi ritardi e, mentre progettava di affidare il servizio idrico a un’azienda speciale consortile, è incappata nella figuraccia del bando per l’ammodernamento delle reti idriche, risultandone esclusa per la mancanza di un allegato.

    Ora l’Aic verrà soppressa, proprio come gli Ato che nelle cinque province stavano tentando, a vario titolo con scarsi risultati, di dare un’accelerata a quei nuovi impianti che da anni non si riescono a realizzare per tirare fuori la gestione della spazzatura dal medioevo delle discariche. Il passaggio è ovviamente anche politico. L’idrico è stretto tra le velleità dell’Aic guidata da Marcello Manna e le difficoltà societarie della Sorical – il ddl autorizza Fincalabra ad acquisire le quote dei privatiaffidata al leghista Cataldo Calabretta. Allo stesso modo gli Ato sono bloccati dalle tante vertenze territoriali e dalle rivendicazioni dei vari sindaci.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Via tutti, comando io

    La soluzione? Semplice: via tutti, in Calabria su acqua e rifiuti comanda Occhiuto. Che, se la legge verrà approvata così com’è, entro dieci giorni dall’entrata in vigore nominerà un commissario straordinario alla guida della Megauthority. Il commissario rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari – tra poco vedremo quali sono – e comunque per non più di 6 mesi, eventualmente rinnovabili.

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolte di diritto e decadranno.

    La multiutility c’est moi

    Sarà dotata, la multiutility, di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. Über alles, insomma. Gli organi, dicevamo, sono: direttore generale (indovinate da chi sarà nominato…), consiglio direttivo d’ambito, revisore dei conti.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Il consiglio direttivo è costituito da 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi e gli altri rappresentanti verranno eletti, con criteri proporzionali alla popolazione, da tutti i sindaci calabresi. Il giorno delle elezioni lo stabilirà con decreto il presidente della Giunta regionale. Lo stesso Occhiuto, come detto, una volta «sentito il consiglio direttivo», nominerà anche il dg, che dura in carica 5 anni. La Regione avrà il potere di vigilanza sugli atti dell’Autorità, il Consiglio regionale eserciterà il controllo sull’attuazione della legge istitutiva e valuterà i risultati che ne scaturiranno.

    Il popolo e il Duca Conte 

    Ma attenzione: nel disegno di legge c’è spazio anche per un articolo intitolato «Tutela degli utenti e partecipazione». Che non si dica che ci si dimentica del popolo. Testuale: «In rappresentanza degli interessi degli utenti dei servizi, ai fini del controllo della qualità del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani, presso il Consiglio direttivo d’ambito dell’Autorità è istituito il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse».

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    Fantozzi nell’ufficio del mega direttore galattico

    Ok. Ma chi decide la composizione del Comitato? «È nominato con decreto del presidente della Regione ed è formato sulla base di una direttiva della giunta regionale». Le istanze dei cittadini-contribuenti sono insomma nella proverbiale botte di ferro, anche stavolta ci pensa il Duca Conte Roberto Occhiuto. Intanto, per noialtri inferiori, resta il sogno di trovare nel prossimo Burc un decreto che dispone, per l’ultimo piano della Cittadella, l’acquisto di un acquario in cui far nuotare i dipendenti e di una poltrona in pelle umana.