Autore: Saverio Paletta

  • Oliverio ricatta, il Pd prova a evitare il disastro

    Oliverio ricatta, il Pd prova a evitare il disastro

    La doppia sortita di Mario Oliverio e Giuseppe Aieta contribuisce a seminare altro caos nel centrosinistra. Dopo la discesa in campo post ferragostana dell’ex governatore, arriva l’invito all’unità e alla pacificazione, almeno per limitare i danni.
    I due, il consigliere uscente e l’ex presidente, hanno giocato a “poliziotto buono e poliziotto cattivo”: il primo ha esortato i “compagni” a cercare la concordia in chiave anti destra, il secondo ha lanciato un ricatto vero e proprio. Si farà da parte, ha detto senza troppi giri di parole, solo se gli altri due competitor faranno altrettanto.
    Questo appello, oltre che tardivo, risulta senz’altro irricevibile per de Magistris, il quale si è spinto troppo avanti per fermarsi ora. Ma è altrettanto irricevibile per Amalia Bruni?

    Sei scatole mezze vuote

    Allo stato dell’arte, le liste schierate a fianco della scienziata sarebbero sei: quel che resta del Pd, il Movimento 5 Stelle – che, detto francamente, non ha mai avuto presa sul territorio e non ha neppure le statistiche a favore -, le due liste di Carlo Tansi (Tesoro Calabria e Calabria Libera) e il Psi, che ricambia coi suoi piccoli numeri la benedizione dello stato maggiore dem alla candidatura di Franz Caruso a sindaco di Cosenza. Più la lista del presidente, che rischia di essere la vera grana.

    A differenza del suo predecessore Pippo Callipo, che aveva esperienze e frequentazioni forti, Bruni è una neofita della politica “politicata”, e soffre di un problema doppio: la penuria di candidature forti al di fuori del Pd (le quali, presumibilmente, si sfogheranno nella lista di bandiera) e la mancanza di strutture organizzate che possano attrarre la società civile. Per riempire le sue liste personali le resterebbero gli amministratori locali. Ma chi sarebbe disposto a rischiare in una contesa percepita comunque come perdente?

    I tre dell’Ave Maria

    Infatti, si sarebbero impegnati a dare una mano tre consiglieri uscenti: il cosentino Graziano Di Natale, il catanzarese Francesco Pitaro e il reggino Marcello Anastasi.
    I tre hanno un dato in comune: sono stati eletti nelle liste di Io resto in Calabria, il movimento civico del Re del tonno.
    Ma questo non fa di loro dei civici “puri”. Senz’altro non lo è Graziano Di Natale, che mastica la politica con competenza (e in maniera piuttosto incallita): è il genero dell’ex big Mario Pirillo – che è un pezzo della storia politica del Tirreno cosentino – ed è il “dominus” incontrastato del circolo del Pd di Paola, la città in cui ha iniziato la propria fulminea ascesa politica.

    Tuttavia, il consigliere uscente non ha rinnovato la tessera di partito per presentarsi come civico (e, suggeriscono i maligni, per non doversi misurare coi big del Pd). Meglio la lista del presidente, che però non può essere lasciata vuota, perché quando si perde il quorum è più difficile da raggiungere.
    Di Natale, forte dell’esperienza che manca alla neurologa, si starebbe dando un gran da fare per reclutare candidati, senza andare troppo per il sottile: infatti, riferiscono i bene informati, si sarebbe rivolto a Marcello Manna, il sindaco di Rende.

    L’interrogativo, a questo punto, è banale e sconcertante allo stesso tempo: a cosa è dovuta questa richiesta a un primo cittadino che regge la propria amministrazione su una maggioranza di centrodestra, piena tra l’altro di recalcitranti fedelissimi della famiglia Occhiuto e dell’assessore regionale uscente Gianluca Gallo?
    La risposta non è banalissima: alla sostanziale impraticabilità del capoluogo e di buona parte dei Comuni dell’hinterland, presidiati con piglio militare da Carlo Guccione e Nicola Adamo.

    Il caos cosentino

    Manna, ovviamente, non si sarebbe sbilanciato. Anzi, riferiscono sempre i bene informati, che il sindaco rendese sarebbe intenzionato ad agire come nel 2020, cioè a restare fuori dalla contesa per non restarne travolto. Tanto più che è diventato rappresentante dell’Anci Calabria col voto di sessantasette sindaci. Un po’ pochi, visto che i primi cittadini con diritto al voto sono più di quattrocento. Ma, c’è da notare, tra questi i sostenitori di area dem sono stati praticamente la maggioranza.

    I nomi disponibili per una candidatura con la Bruni nella città universitaria sarebbero due, uno più impraticabile dell’altro: Fabrizio Totera e Ariosto Artese. Il primo, infatti, è legato a Nicola Adamo, che sull’area urbana di Cosenza gioca la partita della sopravvivenza politica, il secondo è diviso tra due lealtà. La prima è di natura familiare: Ariosto è il fratello di Annamaria Artese, assessora nella giunta di Manna. La seconda è costituita dal legame con i Gentile, in particolare con l’ex senatore Tonino.
    Il bottino, per di Natale, insomma si preannuncerebbe magro.

    Inutile pescare fuori Rende, neppure dove qualche realtà grossa vicina al Pd ci sarebbe. Ad esempio, il popoloso Comune di Luzzi. In effetti, Umberto Federico, il sindaco del paese della Valle del Crati, sarebbe pronto a candidarsi, ma lo farebbe nel Pd, in ticket con Enza Bruno Bossio, la moglie di Adamo.
    Quest’ultima, inoltre, sarebbe in ticket anche con Franco Iacucci, l’attuale presidente della Provincia, su cui ha puntato le proprie fiches Carlo Guccione.
    Un triangolo delicato, il cui baricentro è a Cosenza, dove lo stato maggiore del Pd gioca la partita della vita.

    Squilibri precari

    Proprio da Cosenza arriva la prova della fragilità della coalizione di Amalia Bruni. Com’è noto, il Pd si è schierato, non senza qualche difficoltà, a favore della candidatura a sindaco di Franz Caruso.
    Tuttavia, c’è chi non gradisce troppo il penalista cosentino, espresso formalmente dal Psi ma graditissimo da Nicola Adamo: Carlo Tansi e i Cinquestelle, che sono al lavoro, nemmeno troppo sottotraccia, per spingere la candidatura di Bianca Rende, la quale non ha gradito di candidarsi in ticket con Caruso.

    Tansi, che non è mai stato tenero con Adamo (anzi, lo considera uno dei pezzi più estremi del Put), ha abbassato i toni dopo aver fatto l’accordo con Bruni. E, al momento, non è dato sapere se ha intenzione di esternare qualcosa sulla candidatura di Enza Bruno Bossio. la quale, va detto, è in regola sia coi criteri del codice etico del Pd sia con quelli della Commissione antimafia.

    Sotto ricatto

    Questo gioco di intrecci, che rischia di far collassare il Pd proprio a partire da Cosenza, fa capire l’efficacia del “ricatto” di Oliverio.
    In un’eventuale contesa, l’ex presidente comprometterebbe in maniera irrimediabile le liste di Bruni, che rischierebbe addirittura di arrivare terza. E forse è proprio questo il «bagno di sangue» di cui ha parlato Giuseppe Aieta.

    Tra liste deboli (quelle di Tansi e dei grillini) o di difficile compilazione, pollai diventati troppo stretti per galli troppo forti (il Pd) e residui di vecchie glorie (Psi), le possibilità di evitare che la sconfitta si tramuti in disastro sono diventate poche.
    E sembra un beffardo paradosso che l’unica mano tesa arrivi da chi sa benissimo di non avere più nulla da perdere e gioca al tanto peggio tanto meglio, perché anche il crollo del Pd sarebbe un suo successo.
    Oliverio ha fatto il suo gioco con grande efficacia. Chi è disposto, ora, a vedere le sue carte?

  • Lega: 300 in fuga da Salvini, ma c’è già chi li aspetta

    Lega: 300 in fuga da Salvini, ma c’è già chi li aspetta

    Per fortuna, Leo Battaglia è vivo e lotta con noi, altrimenti sai che noia a Ferragosto. Grazie alla sua trovata, ispirata al trash più spettacolare, ha dato di che parlare ad avversari, ambientalisti e benpensanti e ha fatto ridere tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza dei calabresi.
    Il lancio delle mascherine chirurgiche con sponsor elettorale dall’elicottero sulle spiagge dell’Alto Jonio cosentino ha movimentato le cronache politiche, altrimenti scarne, di questo periodo.

    Dalla Lega non c’è alcun imbarazzo apparente per il gesto di Battaglia, famoso nel passato per aver fatto imbrattare le pareti pubbliche e i cavalcavia coi suoi spot elettorali. Anzi, c’è chi dice con un certo candore che in politica contano anche i voti e l’esponente cosentino ne pesa oltre duemila. Di questi tempi, oro zecchino.
    E sono proprio i voti la croce e delizia della Lega calabrese.

    Candidature big e militanti in fuga

    Si può anche pensare tutto il male possibile della Lega. Ma al partito di Salvini occorre riconoscere un merito: è l’unica formazione politica di centrodestra in cui la militanza ha ancora un valore.
    E, non a caso, la fuga dei trecento militanti, capitanati dall’ex segretario provinciale di Cosenza ed ex vicesegretario regionale Bernardo Spadafora ha destato non poco scalpore e qualche preoccupazione.

    Il capitano Salvini, impegnato a promuovere il suo nuovo corso moderato, non sembra eccessivamente turbato. Anzi, la sua unica preoccupazione, a detta dei bene informati, è presentare in tempo utile liste confezionate con un occhio particolare ai voti. E pazienza se qualcuno si fa venire il mal di pancia: in politica, secondo il cinico capitano, contano anche i risultati. Quindi, pazienza se si perde un pezzo di base.

    I vertici calabresi del Carroccio (cioè la terna capitanata da Giacomo Saccomanno e composta da Roy Biase e Cataldo Calabretta), si sono dati un bel da fare per bilanciare tutti gli equilibri e quadrare più cerchi possibili, aiutati in questa missione dal recente tour elettorale del leader nazionale, giunto in Calabria per promuovere i referendum sulla giustizia ma anche per fare campagna acquisti.

    Il salto sul Carroccio del vincitore

    Iniziamo da Cosenza, dove il Carroccio schiererà in lista, oltre al menzionato Battaglia, il consigliere uscente Pietro Molinaro (che tra l’altro figurerebbe tra gli affetti da mal di pancia, per via del mancato assessorato all’Agricoltura), Antonio Russo, il sindaco di Mirto Crosia, e Simona Loizzo, la cui candidatura è stata presentata con una mega conferenza stampa.

    Secondo i malevoli, Loizzo sarebbe anche un’interfaccia di Pino Gentile, la cui candidatura è in discussione a causa di un processo in cui il big cosentino è tuttora alla sbarra. Quindi, con grande probabilità, la famiglia politica più forte di Cosenza darà il proprio contributo elettorale proprio attraverso la dentista cosentina, che vanta di suo un forte radicamento nella Sanità che conta.

    simona-loizzo-lega
    Simona Loizzo, già gentiliana DOCG, sarà nelle liste della Lega alle prossime Regionali

    Un discorso a parte merita la candidatura di Mariano Casella, ex consigliere comunale di Diamante, imprenditore e amministratore del supermercato Conad a Diamante. Casella è anche il fratello di Anna Francesca, la giovane ex vicesindaca di Diamante e moglie di Ernesto Magorno, attuale sindaco del centro dell’alto Tirreno cosentino, ex segretario regionale del Pd e attuale senatore di Italia Viva.

    Si è vociferato a lungo dei tentativi (falliti) di Magorno di portare il suo partito nel centrodestra. Ora, con tutta probabilità, il senatore ha calato il suo carico di briscola. Le ragioni di partito saranno sacre senz’altro, ma per lui è importante avere amici anche nelle forze che, con molta probabilità, governeranno la Regione. Perciò ha preso il toro per le corna, ha bypassato le forze centriste e ha bussato direttamente a destra: un Salvini è per sempre. O quasi.

    Nel resto della Calabria vale la militanza

    Nel collegio di Catanzaro, invece, il Carroccio ha schierato in prima fila il suo dirigente Antonio Macrì e i consiglieri regionali uscenti Filippo Mancuso e Pietro Raso. Un asset elettorale decisamente più di partito.
    Un discorso simile vale per Reggio, dove risulta confermata Tilde Minasi. Squadra vincente non si cambia? Certo. Ma anche logica ferrea di partito più ragion politica.

    La Lega, infatti, deve confermare i risultati dalla Sila Greca in giù e acchiappare quanto può a Cosenza, dove l’emorragia dei trecento può creare qualche guaio.
    A partire, magari dalle Amministrative del capoluogo bruzio, perché tra le defezioni si registra quella del consigliere comunale cosentino Vincenzo Granata, esponente del Carroccio a Palazzo dei Bruzi, già incaricato di compilare la lista per le prossime comunali.

    L’abbandono di Granata, fratello di Maximiliano, attuale presidente del Consorzio Vallecrati, ha a che fare più con ragioni di equilibrio politico che di militanza ideologica: a differenza degli ammutinati di Spadafora, Granata non ha una matrice destrorsa e c’è chi lo considera più vicino agli Occhiuto (Mario o Roberto non importa) che ai vertici regionali leghisti.

    Dove andranno a finire i dissidenti?

    Un rifugio possibile per i dissidenti potrebbe essere Fratelli d’Italia, che si ostina a esibire nel simbolo la mitica fiamma tricolore (per quanto ridotta a poca cosa, più piccola che nel simbolo della ex An).
    Ma nel partito della Meloni, gonfiatosi nei sondaggi grazie a una campagna acquisti aggressiva e incauta, la militanza non è proprio uno degli elementi forti. Resterebbero i mini partiti, cioè i seguaci di Maurizio Lupi e di Giovanni Toti.

    Per quel che riguarda Noi con l’Italia di Lupi, ci sarebbe poco da fare: le liste sono quasi completate e l’orientamento è decisamente centrista. Qualcosa, invece, si muoverebbe in Coraggio Italia, il movimento federato che fa capo a Toti e a Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia.

    brugnaro-toti
    Luigi Brugnaro e Giovanni Toti

    Anche questo movimento starebbe preparando proprie liste. E per il collegio di Cosenza spunta già un nome: Alfredo Iorio, calabrese trapiantato a Roma già vicino alla Lega. Anzi, vicinissimo, visto che è stato l’uomo ombra di Vincenzo Sofo durante le ultime europee e poi, durante le Regionali 2020, di Pietro Molinaro. Che sia lui il Mosè a cui toccherà il compito di portare i dissidenti verso qualche improbabile terra promessa?

    Neodemocristiani alla carica

    I seguaci di Maurizio Lupi si sono dati un gran da fare e, quatti quatti, hanno quasi completato le liste per le Regionali e si preparano ad aggredire anche Cosenza.
    Noi con l’Italia vanta un organigramma regionale non numeroso ma compatto, in cui c’è lo zampino di Pino Galati, un altro evergreen del centrismo calabrese, intenzionato a “morire democristiano” (infatti, ha smentito come gossip ferragostani le voci che lo darebbero pronto a inciuciare con Salvini…).

    Lo stato maggiore dei lupacchiotti calabri è costituito da altri tre evergreen: il cosentino Franco Pichierri, già notabile dell’Udc, e aspirante sindaco di Cosenza, il vibonese Michele Ranieli, che gestisce il collegio di Catanzaro-Vibo-Crotone (insomma, la “Grande Catanzaro”), e il reggino Nino Foti, già parlamentare azzurro.

    Pichierri si è mosso in due direzioni: ha preparato due liste (una con la sigla di partito e l’altra personale) con cui tenterà l’avventura a Palazzo dei Bruzi in “amichevole concorrenza” col centrodestra e ha compilato la lista per il più importante collegio elettorale regionale.
    Ne fanno parte l’ex sindaco di Acri Nicola Tenuta e il big della Cisl Franco Sergio, già consigliere regionale con Oliverio.

    A Catanzaro, invece, sono schierati Concetta Stanizzi, avvocata e presidente provinciale della Lega italiana tumori, Tea Mirarchi, consigliera comunale di Soverato, Tranquillo Paradiso, consigliere comunale di Lamezia, e Levino Rajani, presidente provinciale dell’Ordine dei farmacisti di Crotone.
    Più delicati gli equilibri a Reggio, dove figura il nome di Maria Tarzia.

    Conto alla rovescia

    Secondo i bene informati la Commissione Antimafia è già all’opera sui nominativi inviati dai responsabili calabresi e dovrebbe fornire il suo responso nei primi giorni della prossima settimana.
    Ovviamente, a chi ne ha fatto richiesta, visto che i Masanielli di de Magistris hanno risposto picche in maniera sdegnata: il loro codice etico sarebbe più forte del regolamento della Commissione parlamentare.
    Mario Oliverio, invece, si è limitato ad annunciare la propria candidatura con due liste a supporto e non è dato sapere se aderirà alla sfida “legalitaria” lanciata da Roberto Occhiuto.
    Il conto alla rovescia per confermare o smentire il totonomi è iniziato…

  • Il supereroe calabrese da Roghudi con furore

    Il supereroe calabrese da Roghudi con furore

    Italiano è bello, calabrese, a volte, più bello. Ciò vale, almeno, per i fumetti e per i supereroi, che, a dispetto dell’anglofilia del settore, rendono benissimo non solo a stelle e strisce ma possono vestire con efficacia il tricolore e l’azzurro, grazie anche agli stimoli tenebrosi delle tradizioni popolari italiane. Ne è un esempio Traku, un super(anti)eroe calabrese doc. Dannatissimo, giusto e tormentato, ricorda un po’ Ghost Rider e un po’ Spawn. Conditi, però, con un bel po’ di peperoncino e, a seconda dei gusti, ’nduja o sardella.

    Nascita di un supereroe

    È il caso di raccontarne la genesi, anch’essa un concentrato di calabresità piccantissima.
    È notte, a Roghudi Vecchio, l’inquietante ghost town abbandonata dopo le frane dei primi anni ’70. C’è di che aver paura di questo borgo dove, narrano le leggende, è possibile ascoltare ancora i lamenti dei fantasmi dei bambini precipitati nel dirupo. E si può avvertire la presenza delle Naràde, creature mostruose, metà donne e metà asine, che uccidevano le donne del borgo per accoppiarsi coi loro uomini. Poi, c’è ’a Rocca du Traku, la Rocca del Drago. È un macigno dalla forma di rettile a tre occhi in cui, tramanda un’altra leggenda, sarebbe imprigionato un essere mitologico che decide il destino del paese, anche ora che è deserto.

    Achille Romeo, detto Tony, non ha paura delle leggende. Semmai teme di più i vivi: è il rampollo di una famiglia mafiosa e vive da anni sotto protezione. È tornato a Roghudi in incognito, spinto dalla curiosità e dalla nostalgia. Proprio per sottrarsi a eventuali ritorsioni, ha deciso di passare la notte in un casolare fatiscente del borgo fantasma. Precauzione inutile: i picciotti lo raggiungono con l’intenzione di fargli la pelle. Il giovane riesce a sottrarsi, inforca la sua moto e si lancia a tutta velocità. Ma non c’è nulla da fare: gli sgherri lo inseguono e riescono ad acciuffarlo proprio vicino alla Rocca du Traku. Quindi, aprono il fuoco sul giovane, che sente arrivare la sua ora.

    Fin qui, la storia ricorda un mafia movie un po’ pulp. Ma nei fumetti, come in certi film, scene e ambientazioni cambiano a velocità fulminea. Il sangue del ragazzo cola sulla rocca e risveglia lo spirito del Drago, imprigionato lì da millenni. Una folgore illumina le tenebre di bagliori sinistri e, quando il lampo e il fumo si diradano, il ragazzo riemerge illeso e trasformato: indossa un’armatura blu scura screziata di giallo fosforescente. I sicari giacciono ai suoi piedi, dilaniati e semicarbonizzati.
    Traku, risvegliato dal plurisecolare torpore, è tornato in vita grazie al giovane Tony.

    Traku, supereroe di Roghudi, area grecanica della provincia di Reggio Calabria
    Traku, supereroe di Roghudi, area grecanica della provincia di Reggio Calabria
    Gli italiani lo fanno meglio

    «Forse è il nostro personaggio più tosto», spiega Chiara Mognetti, imprenditrice passata dal marketing ai fumetti e titolare della Emmetre Edizioni, una casa editrice del Novarese che gestisce assieme a suo marito Fabritio De Fabritiis, sceneggiatore e disegnatore bonelliano di lungo corso (sue le tavole di Dragonero Adventures e Zagor-I racconti di Darkwood).
    Traku fa parte di un’iniziativa editoriale intelligente, nata quasi per scommessa: «Io e mio marito ci chiedevamo se fosse possibile creare una linea di supereroi completamente italiana», spiega ancora Mognetti.

    Non che il fantastico, l’horror e la fantascienza made in Italy non esistessero prima. Ma, precisa l’editrice, «l’ambientazione e i personaggi restano comunque anglofoni: si pensi a Dylan Dog, che è inglese, o a Nathan Never, che è di ispirazione americana».
    Invece, i Guardiani Italiani, l’esercito soprannaturale con cui la Emmetre aggredisce da anni il mercato dei fumetti, sono italiani al cento per cento.

    La serie si basa su un’intuizione semplice, anche se non originalissima (qualcosa di simile l’aveva fatto Italo Calvino con le sue Fiabe Italiane): lo scavo nell’immaginario fantastico delle varie tradizioni popolari della Penisola e la loro rielaborazione in chiave non più letteraria ma fantascientifica. Ed ecco che, a partire da Capitan Novara (poi Capitan Nova), il firmamento dei supereroi si è tinto gradualmente di azzurro.

     

    I Guardiani Italiani sono quaranta, tutti ispirati alle leggende di altrettante parti d’Italia. Dalla fine dello scorso decennio popolano i graphic novel della piccola e combattiva casa editrice indipendente. Qualcuno è scanzonato, come Comandante Italia. Qualcun altro è tragico, come Sa Bisera, antieroina sarda ispirata alla tradizione delle Femmine Accabadore (donne assoldate dai familiari di malati terminali per dare l’eutanasia ai propri cari). Qualcun altro, ancora, evoca in maniera sfacciata i luoghi comuni delle zone di provenienza: così è per Vesuvius (indovinate un po’?) e Legio X (anche questo è facile…).
    Tutti quanti sono il prodotto dell’immaginazione e delle matite di De Fabritiis. Ma le storie sono disegnate da Eduardo Mello, un giovane fumettista siciliano (classe ’88) che vanta collaborazioni con realtà di livello internazionale, non ultima la Marvel.

    Superpoteri contro le ’ndrine?

    Cambiamo scenario. Siamo nel porto di Gioia Tauro. Appollaiato sopra alcuni container, un uomo che indossa un’armatura rossa aspetta il momento opportuno per entrare in azione. È Pietro Mancini, un poliziotto di Perugia. Grazie all’intervento di una misteriosa confraternita, è diventato Grifo, un altro supereroe tosto, caratterizzato da una terribile tendenza alla depressione.

    Grifo si trova in Calabria per indagare sul traffico della prostituzione, gestito dalla mafia nigeriana con la protezione della Santa (i riferimenti non sono casuali).
    All’improvviso, il supereroe salta addosso a due picciotti malcapitati, che fanno la guardia a un container per metterli fuori combattimento. Ma è con l’arrivo di Traku che lo scontro degenera in carneficina: il supereroe calabrese non ha, evidentemente, le preoccupazioni umanitarie del suo collega umbro. E, a massacro compiuto, commenta: «Rilassati, quei figli di puttana meritavano di crepare». Neppure Grifo è un maestro d’eleganza. Lo rivela la risposta truce che fornisce al collega, anzi compare, che gli chiede come avesse convinto il suo informatore a “cantare”, visto che «la Santa conta pochi pentiti»: «Gli ho infilato la testa nel cesso».

    Quest’episodio, contenuto in L’era di Empire-Volume 1, uno dei primi albi di Guardiani Italiani, segna l’esordio di Traku. Ambientazione e suggestione tricolori, ma stile americano, veloce e nervoso: la Emmetre rovescia così la lezione della Bonelli (che, al contrario, italianizzava personaggi e scenari angloamericani) e proietta il nostro immaginario in una narrazione internazionale. E c’è da dire che la trasformazione di Gioia Tauro e del suo porto in una novella Gotham del Mediterraneo funziona alla grande.

    Resta solo una domanda, che forse non fa onore a molti dei nostri “creativi”: possibile che una piccola casa editrice piemontese, abituata a finanziarsi col crowdfunding e a operare nel mercato si sia dimostrata più efficace nel giocare con gli aspetti più suggestivi del nostro immaginario regionale di tante, spesso inutilmente strapagate, agenzie nostrane?
    La risposta ai lettori.

  • A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    La moda moralista dell’ultimo periodo istiga ad accusare chi cambia partito e schieramento, additato puntualmente come “cambiacasacca” e, in maniera più evergreen, “voltagabbana”.
    Ma chi toccherebbe Dorina Bianchi? Lei è esente da accuse, perché ritiratasi dalla politica per fare la funzionaria del Ministero della Sanità.
    Eppure, finché è durata la sua corsa, la bionda di Crotone è stata il parametro dell’instabilità politica calabrese: diventata parlamentare con il Ccd nel 2001, passa nell’Udc, quindi nella Margherita dopo essere transitata nel gruppo Misto.
    La scelta è felice: diventa deputata grazie all’Ulivo nel 2006. Quindi batte il ferro finché è caldo e aderisce al Pd, di cui diventa prima dirigente nazionale (2007), poi senatrice (2008).

    Nel 2011 tenta il ritorno a destra, candidandosi a sindaca di Crotone con uno spezzone di Udc e Pdl. Non ce la fa, ma capisce dove soffia il vento e aderisce al Pdl, grazie al quale ridiventa deputata nel 2013.
    Ma la stella di Berlusconi ormai declina, quindi la Nostra rivira a sinistra, in maniera più scaltra: aderisce alla scissione di Ncd e quindi al governo Renzi, di cui nel 2016 diventa sottosegretaria alla Cultura e al Turismo.
    Molla la presa nel 2018.

    Lei è la meno peggio tra tutti gli accusati di opportunismo: a suo carico non c’è un’inchiesta giudiziaria né uno scandalo giornalistico. Neppure un gossip privato, che, data la sua bellezza, ci starebbe. Solo una navigazione a vista, gestita con gran fiuto, tra schieramenti e partiti, che le ha consentito di stare a galla nella Roma “che conta” per quasi diciotto anni. Colpa sua? No. Semmai, dei partiti che gliel’hanno permesso e dei cittadini che l’hanno votata. Molti dei quali, c’è da scommettere, tuonano ora contro l’incoerenza…

    Lo schema

    Per capirci meglio, fissiamo uno spazio (rettangolare, quadrato o circolare non importa) e due punti alle sue estremità. Chiamiamo questi punti “destra” e “sinistra” (oppure “a” e “b”: fa lo stesso) e proviamo a osservare i movimenti dei politici tra l’uno e l’altro.
    A volte, si ha l’impressione di osservare un pendolo che oscilla con cronometrica precisione, come un metronomo o il ciondolo dell’ipnotista. Altre volte, i movimenti sono così frenetici e irregolari che si rischia di diventare strabici a seguirli.
    In altri casi, invece, il passaggio è uno solo, ma fatto con tanta gradualità da risultare impercettibile.

    Il problema non sono i politici che oscillano, ruotano, orbitano e fanno persino piroette pur di prendersi la poltrona. Il problema, ripetiamo, sono i partiti che, pur di piazzare bandierine accolgono di tutto senza andare per il sottile.
    L’involuzione è colpa loro: con la crisi della Prima repubblica si sono “alleggeriti”, hanno perso o ridimensionato strutture, perché il vecchio sistema tangentizio a base collettiva è finito e ne ha preso il posto uno a gestione individuale e familiare, e non riescono a controllare i territori in maniera capillare. Anzi, ne sono ostaggi.

    Chi ha capito tutto questo per tempo è stato Clemente Mastella, il vero vate della trasformazione politica italiana dalla partitocrazia al nuovo feudalesimo. Il suo Udeur, concepito come contenitore vuoto per traghettare esponenti e voti da destra a sinistra (e viceversa), ha fatto scuola.
    Tant’è che in più d’uno ha tentato di seguire le orme del Maestro. Tra tutti, spicca Giorgia Meloni. Ma il paragone tra un vecchio volpone democristiano e una non più giovane postmissina è davvero infelice: Mastella è uscito da tutti i guai, fa il sindaco di Benevento e i sui trascorsi sembrano dimenticati. Per la sora Giorgia i problemi sembrano all’inizio e molti di questi sono calabresi…

    Pino Gentile, un socialista è per sempre

    «Mio fratello è un papa», ha dichiarato con una delle sue battute al fulmicotone l’ex senatore cosentino Tonino Gentile. E aveva ragione: quella dei Gentile non è una corrente politica né un indirizzo filosofico (che tra l’altro c’è già e non garantisce alcun potere).
    È una confessione religiosa che conta tanti, fedelissimi adepti. Non ha inquisizioni perché è eretica di suo, a patto che l’eresia sia stabilita dai vertici.

    La carriera di Pino Gentile è semplicemente fantastica: nato nel vecchio Psi, grazie a cui è diventato un leader cittadino e una presenza fissa di Palazzo dei Bruzi, è riuscito a diventare sindaco nel Pri. Col collasso della Prima repubblica e col ritorno di Giacomo Mancini, Gentile fiuta l’aria e tenta di entrare in Forza Italia, diventata il più grosso rifugio per socialisti senza fissa dimora ma dalle grandi capacità elettorali.
    Ci riesce dopo aver scalzato i fratelli Occhiuto, che si rifugiano nelle sigle ex democristiane (Ccd prima e Udc poi).

    Il quindicennio in Fi è l’età dell’oro per l’ex sindaco, che ricopre a più riprese incarichi importanti in Regione e riesce a pesare anche dall’opposizione. Tanto più che il suo “sistema” viene puntellato a Roma dal fratello Tonino.
    La loro svolta avviene col passaggio a Ncd, grazie al quale approdano alla corte di Renzi, che nomina il senatore suo sottosegretario. È una nomina effimera, che termina dopo pochi giorni in seguito al cosiddetto “Oragate”, lo scandalo sollevato dall’ex quotidiano “L’Ora della Calabria”. Dopo un’ultima presenza nel partito di Alfano, i Gentile tornano in Forza Italia.

    Ma il loro consenso elettorale non basta più: Andrea, il figlio di Tonino, è travolto dallo tsunami grillino e non riesce a diventare deputato alle ultime Politiche. L’anziano Pino, invece, non rientra in Consiglio regionale, a dispetto di ottomila e rotte preferenze. Nonostante il fiuto innegabile, aveva sbagliato lista.
    Ora Pino, dopo aver incontrato difficoltà politiche (aggravate da qualche intoppo giudiziario) parrebbe intenzionato a bussare alla Lega, o in prima persona e in ticket con la fedelissima Simona Loizzo, o per interposta persona, cioè attraverso la sola Loizzo.

    Ennio Morrone, il mastelliano di Calabria

    Più trasversale dei Gentile, la dinastia dei Morrone è un esempio da manuale di sopravvivenza politica attraverso la gestione del potere.
    Ennio Morrone nasce come ingegnere e imprenditore di area socialista. Diventa consigliere alla fine della Prima repubblica e poi transita col vecchio Giacomo Mancini.
    La sua ascesa vera inizia con I Democratici, grazie ai quali diventa deputato. Poi passa nell’Udeur, che lo fa eleggere prima in Regione e poi di nuovo in Parlamento a metà anni Zero.

    È il momento d’oro, in cui il potere di Ennio diventa dinastico: suo fratello Aurelio è vicesindaco di Cosenza e i suoi interessi di imprenditore si estendono alla Sanità privata, un settore in cui acquista più cliniche.
    Finita la stagione mastelliana, il Nostro aderisce a Forza Italia, con cui diventa consigliere regionale, mentre suo figlio Luca entra a Palazzo dei Bruzi come presidente del Consiglio Comunale.

    Poi gli interessi di famiglia si spostano di nuovo, perché dopo la sfiducia a Mario Occhiuto gli ambienti cosentini di Forza Italia diventano meno praticabili per i Morrone. Infatti, Luca aderisce a Fratelli d’Italia (non prima di essersi candidato a sostegno del democrat Guccione nelle amministrative 2016), con cui diventa vicepresidente del Consiglio regionale. Tuttavia, la nuova linea legalitaria di Giorgia Meloni gli ha creato qualche difficoltà: Morrone jr, infatti, è rimasto impigliato nell’inchiesta Passepartout e rischia l’incandidabilità. Ma niente paura: secondo voci accreditate (e riportate da tutti i media) avrebbe deciso di candidare la moglie al posto suo. Ancora non si sa dove.

    Roberto Occhiuto, Dc nonostante tutto

    «Non moriremo democristiani», recitava un vecchio slogan che Roberto Occhiuto sembra aver fatto suo, ma interpretandolo in maniera democristiana.
    Formatosi nei gruppi giovanili della Dc tenta l’ingresso in Forza Italia, ma i Gentile gli sbarrano il passo. Quindi ripiega nel Ccd e poi nell’Udc, grazie al quale diventa consigliere regionale e, in seguito deputato.

    Il suo capolavoro politico risale al 2011, quando è all’opposizione a Roma assieme a Casini ma governa in Calabria con Berlusconi. Suo fratello Mario diventa sindaco di Cosenza e l’Udc ha un peso notevole nella giunta regionale di Scopelliti.
    In seguito al collasso del Pdl, rientra in Forza Italia, dove diventa deputato e leader regionale. Si prepara a conquistare la Regione, ma i suoi interessi cosentini sembrano spostarsi verso Fdi, a cui ha fatto aderire Francesco Caruso, sodale di suo fratello Mario. Un tentativo di colonizzazione, a cui il partito della Meloni, per quel che abbiamo già detto, si presta benissimo.

    Pietro Fuda e abbiamo detto tutto

    Per Fuda basta il giudizio tranchant di Maurizio Gasparri: occorrerebbe mettere uno stop ai cambi di schieramento, dopo tre volte uno resta dov’è.
    Fuda è un altro miracolo politico: grazie a lui Siderno è stata per un decennio buono la capitale degli equilibri politici calabresi. Nato a sinistra, Fuda transita nel centrodestra, alternandosi tra la guida della sua cittadina e le alchimie parlamentari. Torna a sinistra con Loiero e poi si avvicina all’Italia del Meridione di Orlandino Greco, che dopo essere stato oliveriano (da ex giovane missino) si è avvicinato al centrodestra.

    Fuda, secondo i bene informati, sarebbe intenzionato a candidarsi con la Lega. Questa scelta avrebbe imbestialito il dirigente cosentino Mimmo Frammartino, che ha mollato Idm. Questo è l’ennesimo cambio anche per Frammartino, che prima di diventare sodale di Greco era stato nell’area socialista e poi nel Pd. C’è da pensare che, date le dichiarazioni, almeno non passerà nel centrodestra.

    Ernesto Magorno, renziano anche suo malgrado

    Più lineare, ma non meno vertiginosa l’evoluzione politica di Magorno, nato socialista, poi approdato al Pd, di cui è stato segretario negli anni d’oro del renzismo.
    Di recente ha lasciato il Pd per aderire a Italia viva, il partito del suo capo. E ha tentato di avvicinarsi al centrodestra in vista delle prossime regionali. Purtroppo per lui, gli ha sbarrato la strada quel poco di base di cui dispone in Calabria il suo stesso partito. Il motivo è semplice: Renzi, seppur criticissimo verso il Pd, non se la sente di fare lo strappo. E Magorno deve abbozzare. Per ora…

    Cambiacasacca per necessità

    Non sempre si cambia per opportunismo o potere. A volte, è questione di sopravvivenza. Così è per Giuseppe Giudiceandrea, brillante esponente della sinistra calabrese. Formatosi nelle sigle postcomuniste (Rifondazione e poi Sel), Giudiceandrea ha aderito al Pd, con cui ha fatto il consigliere regionale nell’era Oliverio.
    Ora si è schierato con de Magistris e forse non c’è da dargli tutti i torti, perché il Pd ha una rara capacità di divorare i suoi figli, specie se giovani, come ha capito sulla sua pelle Nicola Irto. Per andare coi Masanielli, Giudiceandrea ha fatto leva su Azzurra, l’associazione d’area che fa capo alla Boldrini. Non è dato sapere se sia ancora nel Pd.

    Questa casa non è un albergo?

    La colpa è dei partiti, che prima sono diventati alberghi a ore e adesso mirano a trasformarsi in camping, in cui sostare il minimo necessario per dormire un po’ o infrattarsi.
    I più funzionali alla bisogna sono ciò che resta dell’Udc e Fdi, che per sopravvivere o crescere, hanno preso di tutto. Coprendosi di figuracce a cui la sola Meloni tenta di rimediare, forse tardi e male. I casi di Creazzo, transitato da sinistra a destra e finito sotto inchiesta per presunti legami ’ndranghetistici, e quello, recentissimo, di Nicola Paris, sono esempi da manuale di come non si dovrebbe selezionare. Esempi da cui i partiti 4.0 sembrano non voler imparare niente…

  • Incandidabili o quasi, chi davvero resta fuori?

    Incandidabili o quasi, chi davvero resta fuori?

    Con l’adozione dell’emendamento al Codice di autoregolamentazione della Commissione antimafia, Roberto Occhiuto ha ottenuto quattro risultati notevoli.
    Il primo: ha ridimensionato la narrazione legalitaria e antimafia di Luigi de Magistris, i cui seguaci usano le espressioni “massomafia” e “massomafiosi” più di quanto non faccia un messicano con gli habanero nel chili.

    Il secondo: ha prevenuto le polemiche che scoppiano a orologeria a liste chiuse o, peggio, a elezioni finite, quando iniziano di solito a girare tra i giornalisti dossier a carico di chiunque si appresti a vincere o a governare.

    Il terzo: ha rigettato la palla nel campo avversario. Loro accusano gli altri di connivenze e altre pratiche poco belle? E allora che sottopongano anch’essi le proprie liste al vaglio della Commissione guidata da quel giacobino di Nicola Morra.
    Il quarto, e forse per il leader azzurro più importante: ha ottenuto un controllo più stretto sulla propria coalizione.

    Cronologia di un emendamento

    Che sia così, ci sono pochi motivi di dubitarne, soprattutto per un dettaglio cronologico non proprio irrilevante: l’emendamento, pensato e annunciato di fatto da Occhiuto a metà luglio e proposto da Wanda Ferro, è passato all’unanimità il 5 agosto. Tuttavia, sin dalla settimana prima gli aspiranti consiglieri del centrodestra hanno ricevuto un prestampato in cui gli si chiedeva di confermare la disponibilità generica a candidarsi (cioè senza indicare liste specifiche) e, quindi, a farsi valutare da Morra & co.

    Per il resto, il Codice di autoregolamentazione è immutato. La Commissione controlla se i candidati non siano stati rinviati a giudizio per reati di tipo mafioso (associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno e varie forme di corruzione elettorale legate alla criminalità organizzata), più altri crimini non necessariamente mafiosi ma collegati alle attività politica e amministrativa (corruzione, concussione, associazione a delinquere semplice e altri) o di tipo privato ma tali da rovinare la reputazione di un politico (ne è un esempio la bancarotta fraudolenta).

    Severino ma non troppo

    I criteri della Commissione antimafia sono più bassi rispetto a quelli della legge Severino, che per “bruciare” amministratori e rappresentanti politici richiede almeno la condanna in primo grado. In compenso, la valutazione dell’organo parlamentare è decisamente meno dura, perché non è vincolante: i partiti possono non tenerne conto e candidare lo stesso i presunti impresentabili.

    Ma ciò non vuol dire che sia una supercazzola, perché le valutazioni sono pubbliche. Quindi, chi non le segue si espone al ludibrio dei cittadini.
    Di sicuro Roberto Occhiuto ha capitalizzato questa logica, a dirla tutta un po’ distorta, della legalità e dell’etica pubblica. E pensare il contrario significherebbe sottovalutare la sua intelligenza politica.

    L’Orlandino furioso

    L’unico che ha intuito i rischi di questo gioco cinico – e potenzialmente assassino – è Orlandino Greco, il quale si è chiamato fuori. L’ex consigliere regionale oliveriano, sotto processo con le accuse di concorso esterno e di corruzione elettorale, ha dichiarato di rinunciare a candidarsi per evitare che il suo movimento – Italia del Meridione – subisse le facili strumentalizzazioni della propria condizione di imputato.

    Eppure, la posizione di Greco non sarebbe incompatibile con la legge Severino. Finora, infatti, l’ex sindaco di Castrolibero non è stato condannato, i fatti contestatigli sono vecchi (risalgono a tredici anni fa) e ha incassato ottimi risultati processuali dal Riesame e dalla Cassazione.

    Di padre in figlio… e in nuora

    Anche altri potenziali incandidabili potrebbero candidarsi senza problemi in base alla Severino. È, per fare un esempio vistoso, il caso di Luca Morrone, figlio di Ennio, ex presidente del Consiglio comunale di Cosenza e consigliere regionale uscente.
    Morrone jr è tuttora alla sbarra a Catanzaro nel processo Passepartout con l’accusa di corruzione elettorale: nel 2016 avrebbe sfiduciato il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto in cambio di benefici politici.

    A sentire i maligni, che coincidono coi beneinformati, Roberto Occhiuto non vedrebbe di buonissimo occhio il rampollo del potentato cosentino anche a causa della congiura di Palazzo dei Bruzi, che fece decadere suo fratello sei mesi prima della fine naturale del suo mandato di primo cittadino.

    Tuttavia, Luca Morrone non è condannato e, a dar retta agli addetti ai lavori, potrebbe uscire senza danni dal processo, dove finora non sarebbero emersi i benefici politici ottenuti per la pugnalata al sindaco.
    Ad ogni buon conto, avrebbe deciso di aggirare l’ostacolo candidando sua moglie Luciana De Francesco. Non è dato sapere se in Fdi o altrove, però, perché Morrone Jr e Orsomarso non sono quel che si dice culo e camicia (nera).

    Un trattamento non proprio Gentile

    Un discorso simile vale per il superbig Pino Gentile, ancora sotto processo per vicende riconducibili al suo ruolo di assessore nell’era Scopelliti.
    In realtà, tutti i procedimenti che lo riguardano sono prossimi alla prescrizione. Tra essi, quello legato alla vicenda delle case popolari di Cosenza, che a suo tempo fece scalpore.
    Gentile ha dalla sua un bel po’ di voti, che potrebbero tornare utili anche per le amministrative cosentine.

    Ma le accuse di cui è tuttora oggetto sollevano un interrogativo delicato: che accadrebbe se Occhiuto, dietro “consiglio” della Commissione antimafia, non candidasse l’anziano leader e questi uscisse dal processo, per prescrizione o assoluzione? I casi borderline non finiscono qui.

    Parenti serpenti

    Visto che la Commissione antimafia non emette verdetti giudiziari ma solo valutazioni politiche, è obbligatorio qualche dubbio: come comportarsi nei confronti di chi è solo indagato oppure “vociferato” in maniera pesante?
    Ancora: che accadrebbe se si consentisse la candidatura di persone solo indagate e se queste, una volta elette, venissero rinviate a giudizio? Le vicende recenti di Nicola Paris, finito in manette per concorso esterno e scambio elettorale, e di Raffaele Sainato, indagato per mafia, sono altre due bucce di banana per il centrodestra. Di sicuro non saranno ricandidati, perché le accuse sono troppo fresche e pesanti.

    Ma, senza scomodare le ’ndrine reggine, emergono altri casi dubbi. Uno è Piercarlo Chiappetta, consigliere comunale di Cosenza e occhiutiano di acciaio (tra le varie, è cognato proprio di Roberto Occhiuto) e potenziale candidato della lista del presidente del centrodestra. L’altro, nello schieramento opposto, è l’oliveriano Giuseppe Aieta, consigliere regionale uscente e conteso tra l’area Pd e i Masanielli di de Magistris.

    Il primo è risultato indagato per una presunta bancarotta fraudolenta. Le accuse a suo carico non sono leggerissime, visto che gli inquirenti hanno posto sotto sequestro anche beni riconducibili a lui. Il secondo è indagato per corruzione elettorale.
    Nessuno dei due è rinviato a giudizio e, per elementare garantismo, si augura e entrambi di uscire illesi dalle inchieste. Ma, per ripetere la domanda retorica, che accadrebbe se fossero candidati nonostante la pesantezza delle accuse e poi, una volta eletti, finissero sotto processo?

    Politica batte legalità

    Il parere della Commissione antimafia è, stringi stringi, una moral suasion che rafforza la decisione di non candidare qualcuno. Ma questa resta comunque una decisione politica su cui, nella maggior parte dei casi, pesano altri fattori, spesso più determinanti della legalità.
    Questo vale a destra come a sinistra. E vale per tutta la Calabria, dove si invoca la legalità perché ce n’è poca e si urla contro la mafia perché ce n’è troppa. E lo si fa, in entrambi i casi, per motivi politici.

    I cittadini calabresi si avviano all’election day con l’ennesimo convitato di pietra: la Commissione di Nicola Morra, a cui toccherà ridisegnare la mappa politica per evitare che lo faccia con più numeri e capacità qualche Procura, antimafia e non.
    E pazienza se questa attività si riveli funzionale soprattutto a disegni di potere ed equilibri politici: in Calabria capita anche di peggio.

  • Legnochimica, 13 anni di indagini per un disastro senza colpevoli?

    Legnochimica, 13 anni di indagini per un disastro senza colpevoli?

    Non è retorico parlare di un processo infinito per i fatti di Legnochimica, la ex mini Fiat cosentina trasformatasi in ecomostro dopo la fine della produzione.
    Il processo, in corso dal 2016 davanti al Tribunale di Cosenza, è l’esito di una serie di inchieste giudiziarie iniziate nel 2009, in seguito agli incendi sospetti scoppiati in quel che resta dell’ex fabbrica di pannelli in Ledorex a partire dall’agosto del 2008.
    Tredici anni di indagini: un po’ tanti per un sospetto disastro ambientale.
    Purtroppo, rischiano di non essere retoriche altre espressioni, con cui viene bollato l’ex sito industriale di contrada Lecco, nel cuore di Rende, circa trenta ettari schiacciati tra lo stabilimento di Calabra Maceri e quello di Silva Team, un’azienda specializzata nella produzione di peptina: “terra dei fuochi calabrese”, “Ilva cosentina” e via discorrendo.

    Tre indizi faranno una prova?

    Ancora oggi c’è chi contesta la pericolosità del sito. Lo hanno fatto alcuni funzionari dell’Arpacal, sentiti come teste nel 2019 durante il dibattimento in cui è rimasto alla sbarra un solo imputato: il commercialista Pasquale Bilotta, ex liquidatore dei beni della società di Mondovì, attualmente in fallimento per incapienza.
    E, dall’altro lato, c’è chi insiste sulla pericolosità estrema di questi terreni, soprattutto perché gli indizi e le suggestioni non mancano, purtroppo.

    legnochimica-rende
    Le acque nere di uno dei laghetti nei terreni dell’ex Legnochimica a Rende

    C’è l’odore nauseabondo che promana dai terreni e dai tre laghi artificiali in cui fino all’inizio del millennio venivano trattati i materiali. Ci sono le fiamme, che si levano alte e inquietanti dalle acque di questi bacini non appena sale la temperatura.
    E ci sono le morti sospette. Dieci in un anno e mezzo circa. Tutte per tumori alle parti molli. Tutte nella stessa zona: via Settimo, un angolo di un chilometro e mezzo che cinge l’ex stabilimento.
    L’ultima parola, con ogni certezza, spetterà ai magistrati cosentini.
    Vogliamo scommettere su come andrà a finire?

    La storia delle inchieste

    Nessuna dietrologia e nessun complotto. La Procura di Cosenza ha indagato su due elementi distinti ma collegati: l’ipotesi di disastro ambientale, attribuibile senz’altro all’attività di Legnochimica, e, ovviamente, la ricerca del colpevole.
    Il presunto colpevole, Pasquale Bilotta, in questo caso è quello che è rimasto col classico cerino in mano.

    Infatti, Bilotta ha una sola responsabilità: aver rilevato il ruolo di commissario liquidatore che fu di Palmiro Pellicori, tra l’altro l’ultimo amministratore di Legnochimica.
    Pellicori è stato il primo indagato in questa vicenda complessa. L’inchiesta a suo carico, avviata dopo le denunce dei residenti e delle associazioni che li rappresentavano (il comitato Romore e l’associazione Crocevia) si fermò nel 2012, in seguito alla sua morte per leucemia.

    tribunale-cosenza
    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Questa inchiesta ha lasciato un’eredità pesante e, finora, insuperata: la perizia di Gino Mirocle Crisci, geologo di vaglia e all’epoca non ancora rettore dell’Università della Calabria. Questo documento, importante e inquietante allo stesso tempo, finì archiviato con l’indagine. E si è risvegliato con l’indagine riaperta a inizio 2016.
    Nel frattempo, nessuno ha prodotto un altro documento valido o fatto quel che si poteva (e doveva) fare: un piano di caratterizzazione credibile ed efficace e avviare la bonifica. Sempre nel frattempo, gli abitanti della zona industriale, ma anche quelli della vicina e popolosa Quattromiglia, sono stati investiti dai miasmi. E, come già detto, alcuni hanno iniziato a morire di tumore.

    Occorre, a questo punto, fissare bene un concetto: una cosa è una ctu, cioè una consulenza tecnica redatta per conto della Procura che indaga; un’altra un piano di caratterizzazione, cioè una relazione tecnica sulle condizioni della zona su cui si sospetta l’inquinamento e di cui si intende promuovere la bonifica.
    Nel caso di Legnochimica, la ctu e i tentativi di caratterizzazione non solo non coincidono, ma arrivano quasi a risultati opposti. Secondo la prima, l’area dell’ex stabilimento sarebbe praticamente compromessa, per i secondi, invece, l’inquinamento c’è, ma non sarebbe pericoloso.

    La perizia Crisci

    Non è il caso di scendere nei dettagli tecnici, che ci si riserva di approfondire.
    In estrema sintesi, è sufficiente dire che la perizia di Crisci è un elaborato di non troppe pagine (circa una quarantina) zeppe di dati, con cui l’ex rettore dell’Unical relazionava all’autorità giudiziaria i risultati della sua indagine.
    I contenuti sono spaventosi: Crisci riferisce di quantità di cloro, metalli pesanti, ferro, zinco e nichel in quantità abnormi, superiori fino al centinaio di volte i limiti massimi stabiliti dalle normative ambientali.

    Attenzione a un dettaglio: già nel 2005 e nel 2008 i primi rilievi affidati ai tecnici dell’Arpacal parlavano di forte concentrazione di sostanze cancerogene nell’area.
    E allora una domanda è spontanea: come mai l’Arpacal ha cambiato idea?
    Ma prima di procedere è doveroso rispondere a un’altra domanda: come ha fatto Crisci a ottenere questi risultati?

    In realtà, il primo a essere insoddisfatto di questa perizia è proprio il suo autore: in più occasioni l’ex rettore ha dichiarato che le sue ricerche sono state incomplete per l’insufficienza dei fondi a sua disposizione. Ma, a dispetto di questa insufficienza, ha lavorato tanto: ha effettuato prelievi d’acqua fino a dieci metri di profondità e prelevato porzioni di terreno fino a trenta metri.
    Crisci avrà fatto poco, ma gli altri, cioè l’Arpacal e i tecnici incaricati da Legnochimica, hanno fatto di meno. Per il primo, il sito è pericoloso. Per gli altri no.

    La perizia alternativa

    Nel 2014 Rende cambia. L’amministrazione comunale guidata da Marcello Manna inizia un rapporto delicato e pericoloso con la società di Mondovì per arrivare alla bonifica in tempi brevi.
    Il costo della bonifica sarebbe di circa sei milioni e mezzo, ma l’azienda prende tempo e propone soluzioni che definire low cost è davvero poco: dal Piemonte arrivano proposte di interventi per un massimo di 650mila euro. Più che un divario, un burrone. E Bilotta, ovviamente, difende gli interessi dell’azienda che rappresenta.

    comune-rende
    La sede del Comune di Rende

    Il balletto dura fino al 2016, quando la Procura, sommersa dalle denunce, riapre l’inchiesta e recupera la perizia di Crisci.
    Tutto risolto? Neanche per sogno, perché la perizia viene messa in discussione.
    La procuratrice aggiunta Marisa Manzini nomina un nuovo consulente: è il chimico Giovanni Sindona, anche lui docente dell’Unical e già protagonista dell’inchiesta sull’ex Pertusola di Crotone, altro grave disastro ambientale tutto calabrese.

    Purtroppo, Sindona fu al centro di un’altra inchiesta, non proprio bellissima: riguardava una presunta truffa ai danni dello Stato.
    Per amor di verità, è doveroso dire che la posizione del prof di Arcavacata fu archiviata. Ma, sempre per amor di verità, è importante ricordare che in quell’inchiesta finirono in manette otto persone, alcune delle quali legate proprio all’ex Legnochimica.

    La perizia Sindona non è mai uscita. Sei mesi dopo il ricevimento dell’incarico, il chimico dell’Unical si limitò a dire che i lavori procedevano a rilento ma che comunque i primi risultati erano diversi da quelli ricavati da Crisci. Risultato: la Procura revocò l’incarico a Sindona e riprese la perizia Crisci tal quale.
    Quali fossero le differenze tra questo lavoro incompiuto e la relazione dell’ex rettore non è dato sapere. Né può spiegarlo Sindona, passato a miglior vita all’inizio del 2020.

    La relazione Straface

    Nel frattempo, l’amministrazione Manna non è stata con le mani in mano. Non avrebbe potuto, anche perché il sindaco, il suo assessore all’Ambiente e il dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune erano finiti sotto inchiesta assieme a Bilotta.
    Ma per fortuna, a differenza del commercialista, le loro posizioni furono archiviate.
    Il Comune di Rende, nel 2017 erogò una borsa di studio a favore dell’Unical, da cui è derivata la perizia del professor Salvatore Straface, anch’essa un esempio di incompletezza, tra l’altro giustificata: i cinquantamila euro messi a disposizione dal municipio sono bastati sì e no per alcuni prelievi e scavi superficiali.
    I risultati? Neanche a dirlo, completamente divergenti dalla perizia Crisci: l’inquinamento c’è, ma non è pericoloso. Peccato solo che i pochi mezzi non giustificano risultati così perentori.

    Un finale annunciato?

    È il momento di riprendere la scommessa fatta all’inizio. Il processo a carico di Bilotta potrebbe finire in una maniera tipicamente all’italiana: certificherebbe un disastro senza colpevoli, perché la strategia della difesa, a quanto si è appreso dalle cronache, mira più a sfilare l’imputato dall’accusa di disastro ambientale che a negare il disastro.

    Sarebbe l’ennesima beffa per i cittadini di Rende e per tutti coloro che hanno a cuore l’ambiente. Legnochimica è andata in fallimento, non potrà provvedere alla bonifica in nessuna misura. E difficilmente potrà farlo il Comune, le cui casse sono in crisi da anni.
    Intanto altre persone della zona sono morte, sempre di tumore, accrescendo il bilancio macabro che riguarda gli abitanti della zona e gli ex dipendenti dell’azienda, tra cui le neoplasie hanno mietuto non poche vittime.
    Ma queste sono altre storie, su cui si ritornerà a breve.

  • Occhiuto tra alibi di Ferro e ritorni di… Fiamma

    Occhiuto tra alibi di Ferro e ritorni di… Fiamma

    A Roma verranno sciolti a breve gli ultimi nodi del centrodestra. E questi nodi non dovrebbero riguardare (o non del tutto) le Regionali. Infatti, stando ai bene informati, resta confermato, al momento, il ticket Occhiuto-Spirlì. Non solo per una questione di continuità amministrativa ma anche di cinica Realpolitik. Grazie ai suoi irriverenti coming out, il presidente facente funzioni è diventato un’icona gay particolare, un simbolo di quella parte del mondo Lgbt che non si identifica nelle frange “estreme” o – parole sue – nelle «lobby frocie».

    E questo ruolo dell’ex vicejole ha assunto un valore politico non proprio secondario in seguito allo stop al ddl Zan, ottenuto da Lega e Forza Italia e poi da Italia Viva con innegabile abilità nella manovra parlamentare.
    Il centrodestra (tranne Fdi) e i renziani hanno evitato il muro contro muro con una soluzione efficace: la proposta di una versione attenuata del ddl antiomofobia.
    Il risultato, tra l’altro prevedibilissimo, è arrivato subito. Gli ambienti gender si sono spaccati. E la fazione (incluse alcune importanti componenti dell’Arci) che riteneva eccessiva la proposta di Zan si è schierata con Renzi o avvicinata al centrodestra.

    In questo scenario, il recupero di Spirlì risulterebbe funzionale all’accreditamento di una destra più gender friendly o, comunque, non omofoba.
    Oltre i simbolismi, resta la prosaica necessità di non turbare troppo gli equilibri della coalizione, soprattutto tra Lega e Fdi, e quelli interni alla Lega. Mantenere Spirlì nella casella di vice scoraggerebbe gli appetiti dei centometristi del voto, vecchi e nuovi. E garantirebbe a Salvini, legato da amicizia personale all’attuale facente funzioni, un ruolo di controllo.

    L’armata

    È difficile definirla “gioiosa” o “invincibile”, ma comunque l’armata c’è. E, salvo sorprese dell’ultimo minuto, sembra vincente. Già: il problema di Roberto Occhiuto non è la penuria ma la sovrabbondanza.
    L’aspirante governatore non deve dare la caccia ai candidati, ma cercare di collocarli senza far danni. Così, ad esempio, per Pino Gentile, di cui è ancora dubbia la candidatura in Fi, per un problema politico non secondario: la lista azzurra stando a voci attendibili, si annuncia fortissima nel collegio Calabria Nord. E di questa forza è un indizio più che consistente la presenza dell’assessore uscente Gianluca Gallo.

    In questa situazione, l’eventuale compresenza di due big del calibro di Gallo e dell’evergreen Gentile diventerebbe un deterrente per altri candidati potenziali. Che temerebbero, non a torto, di restare schiacciati tra i due moloch.
    Tuttavia, di Gentile non si può fare a meno, perché la sua presenza resta determinante per gli equilibri politici delle imminenti amministrative di Cosenza, l’altro piatto dell’election day calabrese. Ad ogni buon conto, problemi di spazio non ce ne sono. Occhiuto e il suo staff hanno a disposizione sette simboli per almeno sei liste, quasi tutte collegate ai partiti.

    Le liste

    Vediamole nel dettaglio. Di Forza Italia si è già detto. Ma sono in fase avanzata anche le liste di Lega, Fratelli d’Italia e Udc. Resta un dubbio sulle liste politiche minori: “Cambiamo!”, che si rifà al movimento di Giovanni Toti, e “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi. Queste due liste sono appetibili, almeno sulla carta, per i calibri medi, tra cui l’ex big dell’Udc cosentino Franco Pichierri. Che, appunto, si starebbe dando un gran da fare per assicurare una bandierina calabrese a Lupi.

    Altri notabili si sarebbero rivolti invece al governatore della Liguria, per capitalizzare al massimo i propri voti in liste che, sperano, superino il 4%. Il rischio sarebbe di scatenare competizioni feroci all’ultimo voto e di creare “liste Coca Cola” costruite attorno a pochi candidati. Per scongiurarlo, lo stato maggiore occhiutiano ipotizza di fondere i simboli di Toti e Lupi in una sola lista.
    A proposito di personalismi, l’aspirante governatore coltiverebbe una mossa di marketing: spersonalizzare la lista del presidente, che si chiamerebbe Azzurri.

    Legalità…

    In non pochi hanno notato l’ambiguità della mossa tentata da Roberto Occhiuto a metà luglio: la richiesta di un vaglio preventivo delle liste da parte della Commissione antimafia per espellerne gli incandidabili. Una richiesta quantomeno strana, soprattutto nel momento in cui il centrodestra spingeva (e spinge tuttora) compatto sulla riforma Cartabia e sul depotenziamento della legge Severino.

    Che Occhiuto facesse sul serio, lo si evince da un particolare: da circa una settimana girano tra gli aspiranti candidati dei moduli con cui si richiede loro una generica disponibilità a candidarsi. E, quindi, a farsi vagliare dalla Commissione guidata dal gelido Nicola Morra.
    La tempistica ha giocato a favore di Occhiuto. La modifica, proposta dalla meloniana Wanda Ferro, al codice di autoregolamentazione dell’Antimafia è passata da circa un giorno. Ora l’aspirante governatore, che ha giocato d’anticipo, ha la possibilità di dire dei no motivati.

    … e opportunismi

    Quanto in questi eventuali “no” pesino le ragioni legalitarie e quanto le dinamiche politiche è difficile da dire. Certo è che, a ben guardare, non c’è quasi un big del centrodestra che non abbia qualche peccatuccio, più o meno veniale (o venale…).
    E questi peccati verrebbero senz’altro notati, visto che il codice di autoregolamentazione non si ferma alle ipotesi di reato degli articoli 416bis e ter. Comprende anche l’associazione a delinquere semplice, i reati contro la pubblica amministrazione (concussione e corruzione innanzitutto), ma anche reati comuni come estorsione e usura. Mancano gli ormai banali abusi di ufficio (un amministratore che non ne abbia almeno uno è quasi uno sfigato…).

    Per attivare la Commissione basta il semplice rinvio a giudizio e, dato non secondario, le sue valutazioni sono politiche e non giudiziarie. E, soprattutto, non vincolanti.
    Detto altrimenti: Occhiuto e i suoi competitors non sarebbero obbligati a “espellere” nessuno, perché l’eventuale parere negativo dell’Antimafia fornirebbe solo un’autorevole pezza di appoggio per negare una candidatura.
    Ci fermiamo qui: gli scenari aperti da questa novità meritano un approfondimento a parte.

    Il nodo Cosenza

    Lo ripetiamo fino alla nausea: le Regionali si vincono e si perdono nel Cosentino. E per il centrodestra le Amministrative di Cosenza hanno lo stesso peso che per l’area Pd.
    Rispetto alle Regionali, la corsa a Palazzo dei Bruzi è un piatto modesto: un secondo magro, quasi un contorno. Un municipio dissestato in cui i conti si ostinano a restare in rosso e una città in decrescita demografica sono poco appetibili.

    Eppure, i big che contano sono tutti cosentini (le famiglie Occhiuto, Gentile e Morrone) o hanno a Cosenza il loro quartier generale (Fausto Orsomarso). La contesa interna si annuncia accesa e ci sono già le premesse, che ruotano attorno a un dato certo: il candidato sindaco tocca a Fratelli d’Italia. Un ostacolo non insormontabile, visto che il partito degli ex An ha strutture così minime da far sembrare il vecchio Udeur di Mastella un mostro di solidità.

    Fiammella, fiamma e super fiamma

    Infatti, Mario Occhiuto ha designato come proprio successore il mite Francesco Caruso, dopo averne propiziato l’adesione a Fdi, motivata in maniera non proprio banale. Il delfino del sindaco, infatti, è figlio del compianto Roberto Caruso, deputato di An a inizio millennio. Il giovane sodale di Occhiuto non avrà il piglio e l’attitudine del missino, ma ne ha comunque i galloni.

    Sempre a proposito di fiamme, Fausto Orsomarso insiste invece sulla candidatura di Pietro Manna, il quale non ha forti esperienze politiche dirette (è un segretario comunale, con trascorsi da dirigente regionale nell’era Scopelliti). Ha, però, un pedigree missino di tutto rispetto: appartiene all’ultima generazione del Fronte della Gioventù cosentino, di cui ha fatto parte assieme all’ex vicesindaco Luciano Vigna e allo stesso Orsomarso. Camerati di merende.

    Resta in campo, sempre a proposito di fiamma, la candidatura di Fabrizio Falvo, già consigliere provinciale e più volte consigliere comunale. Professionista stimato, Falvo è l’erede di una tradizione familiare importante: suo padre, l’ex deputato Benito, è stato per decenni sinonimo di destra, a Cosenza e non solo. Per lui simpatizza essenzialmente Luca Morrone, che tuttavia si allineerebbe senza problemi alle decisioni della coalizione (più realisticamente, ai diktat dello stato maggiore).

    Una variabile a questa partita interna alla destra, la porta il già menzionato Franco Pichierri, che per puntellare le sue ambizioni regionali, starebbe preparando più liste a Cosenza. Anche nel centrodestra il quadro è complesso. Forse non incasinato come quello del Pd e di chi gli fa concorrenza a sinistra, ma comunque divertente.

  • Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    La supercandidata civica Amalia Bruni ha iniziato a scaldare i motori in maniera aggressiva. Sa che deve recuperare terreno a sinistra, dove i Masanielli di de Magistris sono piuttosto avanti, e mettere in riga lo schieramento che si sta completando a fatica attorno a lei.
    La sua ricetta è piuttosto semplice: il civismo (a cui si è già accennato), appena curvato in chiave tecnocratica e dirigista, progressismo quel che basta e, ovviamente, tanta tanta etica, dentro e fuori i codici, proposti da Tansi e dal Pd.
    Ma l’etica è moneta usurata: l’ha invocata Roberto Occhiuto (che però si è limitato all’antimafia), la predica Tansi da due anni, è nel dna dei grillini (per il poco che pesano a livello territoriale), ne fa una bandiera il quasi ex sindaco di Napoli.

    Semmai, a questo punto, l’interrogativo vero è un altro: quanto potrà reggere tanto afflato di fronte ai compromessi che i big dovranno accettare, perché le liste si devono pur riempire e le elezioni si affrontano coi voti?
    «Io ci metto la faccia, quindi decido io», ha dichiarato la Bruni la sera del due agosto in occasione del suo primo bagno di folla a Lamezia.

    Ma la scelta dei candidati può essere una questione decisamente più prosaica: come si fa a dire no a chi si presenta con un carico di consensi? Ed è davvero così facile imporre regole ai partiti, che, anche se malridotti come il Pd calabrese, restano macchine organizzative di cui non si può fare a meno, soprattutto quando manca poco al voto?

    L’asticella

    Non è solo una questione di casellario giudiziale. Un altro aspetto determinante è quello, piuttosto grillino, del numero di mandati già svolti. Al riguardo, è praticamente certo che il centrosinistra della Bruni (come, del resto, quello dei Masanielli), abbia fissato in due il limite dei mandati. Detto altrimenti: chi ha fatto due mandati è dentro, chi più di due è fuori.

    Per quel che riguarda il Pd, l’esclusione eccellente sarebbe una: Carlo Guccione, che di mandati in Consiglio regionale ne ha svolti già tre. Il suo girovita, perciò, sarebbe piuttosto largo per passare sotto l’asticella. Viceversa, possono ballare tranquillamente il limbo Mimmo Bevacqua, Graziano Di Natale e altri centometristi del voto per frenare l’emorragia a sinistra.

    Questo limite, intendiamoci, non implica necessariamente il ricambio: Bevacqua, per esempio, prima di approdare a Palazzo Campanella, è stato dirigente di lungo corso della Margherita e poi del Pd e consigliere provinciale di Cosenza per altre due consiliature.
    Ma resta l’unica misura praticabile, per non sacrificare troppo l’esperienza politica – che sarà diventata un marchio d’infamia, ma serve – e, soprattutto, il legame coi territori.

    La partita cosentina

    A proposito di territori, la scienziata di Lamezia dovrà fare i conti con gli equilibri cosentini. Anche per questa tornata elettorale vale la regola secondo cui la Regione si vince o si perde a Cosenza, dove il Pd vanta ancora buoni numeri, sia a livello provinciale sia a livello cittadino.
    E il problema che le si pone non è piccolo né leggero, visto che il capoluogo andrà anch’esso al voto. Quindi, quel che succederà alle Amministrative cosentine sarà determinante per i risultati regionali.

    Si è già parlato, a proposito della corsa a Palazzo dei Bruzi, del ticket tra Franz Caruso, principe del Foro ed esponente storico dell’area socialista, e Bianca Rende, esponente dell’ala popolare (leggi: ex Dc) e vicina alla famiglia Covello. Questo ticket avrebbe la benedizione dei vertici Dem cosentini, in particolare di Francesco Boccia.

    Ma la partita non finisce qui, perché c’è un’altra presenza illustre che scalpita per giocarsi la partita a sindaco: Giacomo Mancini, che avrebbe ancora la benedizione di Tommaso Guzzi, segretario del IV circolo cittadino del Pd, che racchiude i seguaci di Carlo Guccione. La candidatura dell’ex assessore regionale avrebbe avuto la benedizione, tra le altre, di Marco Miccoli, ex commissario del Pd, uscito di scena dopo la sconfitta a Roma.
    Ma tutto lascia pensare che la mente dell’operazione sia stato Carlo Guccione.

    Il vespaio

    Parlare di Guccione a Cosenza significa evocare un attrito di lunghissimo corso: quello tra l’ex assessore di Oliverio e Nicola Adamo.
    I maligni, che coincidono coi bene informati, sussurrano che i due big abbiano messo da parte i vecchi livori, in seguito alla dissidenza di Mario Oliverio, che si appresterebbe a travasare i candidati e gli uscenti di Dp (la storica lista civetta dei centrosinistra calabrese e cosentino) nella coalizione di De Magistris.
    Questa dissidenza mutila senz’altro l’area Pd nell’enorme territorio provinciale, dove l’ex governatore è stato sempre fortissimo e popolare. Ma lascia campo libero nel capoluogo, dove il big resta Nicola Adamo, che, pur non occupando da un pezzo posizioni istituzionali e a dispetto dei guai giudiziari, mantiene un forte ascendente.

    Per venire a capo di tanta complessità, è importante completare la mappa politica. Franz Caruso è legatissimo da sempre a Luigi Incarnato, ex assessore dell’era Loiero, commissario della Sorical e segretario regionale del Partito socialista. Incarnato, a sua volta, è vicino ad Adamo, col quale ha collaborato a stretto contatto sempre, soprattutto nelle situazioni più delicate.

    Basti ricordare quel che accadde nel 2011, quando il Pd si spaccò in due in seguito alla lite tra Oliverio e Adamo: Incarnato mise a disposizione il marchietto del Psi per accogliere i candidati del Pd che non si erano allineati alla scelta di appoggiare la candidatura a sindaco di Enzo Paolini (allora “campione” di Oliverio e Guccione) e sostenne la ricandidatura di Salvatore Perugini. Sembra un secolo fa, ma certe dinamiche di provincia sono dure a modificarsi.
    Mancini, al contrario, è un outsider, che tenta per la terza volta la candidatura a sindaco, sulla base della sua tradizione ed esperienza politica.

    Il nodo si scioglie?

    A questo punto si capisce benissimo come dietro le candidature di Caruso e Mancini covino le dinamiche tra Adamo e Guccione. Se davvero i due, come sussurrano i malevoli, hanno fatto pace, una candidatura è di troppo.
    Tramontata l’ipotesi della coalizione sociale vagheggiata da Miccoli, che avrebbe dovuto includere le sinistre radicali e i movimenti civici, prende quota la candidatura di Caruso. Anche senza ticket perché, si apprende da credibilissime voci, Bianca Rende (che tra l’altro non risulta iscritta ad alcun partito) non sarebbe disposta ad accettare il ruolo di vice.

    A favore della candidatura dell’avvocatissimo pende anche un sondaggio commissionato da Boccia, che lo darebbe per favorito. Ovviamente, questo sondaggio non è stato accolto bene da tutti. E, anzi, qualcuno lo avrebbe contestato. In particolare, Luigi Aloe, coordinatore cosentino dei Cinquestelle, e Saverio Greco, altro socialista storico vicino da sempre a Giacomo Mancini. Una rondine non fa primavera. E nemmeno due, considerato che si vota in autunno.
    Come nei film e telefilm Highlander, ne resterà solo uno. Anche perché sulla candidatura di Caruso reggono (ancora…) gli equilibri cosentini e le loro importanti proiezioni sulle Regionali.

    Verso palazzo Campanella

    I dolci (magnifici i cannoli) e i gelati in riva allo Stretto sono irrinunciabili per chiunque faccia politica in Calabria.
    Ad esempio, lo sono per Franco Iacucci, sindaco storico di Aiello Calabro con un importante passato nel Pci, presidente della Provincia di Cosenza. Oliveriano storico, ha rotto col suo leader e cerca di trovare la propria nicchia nel Pd sgombro dall’illustre sangiovannese. In prima battuta, Iacucci portava (e porta tuttora: è solo questione di convinzione) Felice D’Alessandro, attuale sindaco di Rovito e consigliere provinciale di Cosenza. D’Alessandro, forte di un buon risultato alle Regionali 2020 preso proprio nel capoluogo, carezzerebbe l’idea dell’assalto a Palazzo dei Bruzi.

    Tuttavia, la pax Adamo-Guccione ha il suo peso. E, soprattutto, una posta: le liste per il Consiglio regionale. Iacucci, infatti, sarebbe l’erede di Guccione a palazzo Campanella. Adamo, invece, carezza ancora l’idea di mandare la deputata Enza Bruno Bossio (che, come sanno anche i muri, è sua moglie) in Consiglio regionale.
    Nessuno dei due è fresco di politica, non Iacucci né la Bruno Bossio. Ma entrambi hanno due elementi a favore, a prova di codice etico: nessun incidente giudiziario in corso né una presenza, se non da “turisti politici” nel palazzone reggino.

    La forma è salva, almeno per Bruni e Tansi, gli unici ad aver parlato di codice etico.
    Tant’è: le guerre e i matrimoni nascono sempre dalle passioni. Le paci, invece, dagli interessi e dalle necessità. E l’area del Pd ne ha almeno tre: limitare i danni, che comunque ci saranno (e non pochi), tutelare posizioni politiche e tenere più caselle possibili, in attesa di tempi migliori (e, al momento, per soddisfare le indicazioni romane).
    Il dissestato Comune di Cosenza, in questo casino, può diventare benissimo la classica Parigi che vale una messa…

  • De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    Ormai, anche a destra fanno il totoscommesse su de Magistris. E in tanti si dicono convinti che il quasi ex sindaco di Napoli non solo supererà il quorum, ma rischia di salire sul secondo gradino del podio e dare una bella botta al resto del centrosinistra.
    Almeno questa è l’impressione emersa dalla recentissima riunione dei Masanielli calabresi, svoltasi all’Hotel 501 di Vibo Valentia.

    Una prova di partenza mica male per l’ex pm di Why Not?, che dopo mesi di iperattivismo sul territorio calabrese, ha quasi messo a punto la squadra con cui tenterà la conquista di Germaneto e ha aperto il dialogo elettorale anche a destra, dopo aver consolidato il rapporto a distanza con l’ex governatore Mario Oliverio.

    La corsa in solitaria

    I tempi del Tandem – il simbolo bizzarro che rappresentava l’alleanza burrascosa con l’istrionico Carlo Tansi – sembrano lontanissimi. Anzi, pare proprio che il divorzio dal ricercatore del Cnr abbia fatto bene a de Magistris, che ha subito qualche improperio dall’ex sodale ma, a giudicare dal tenore del dibattito social, ha guadagnato in credibilità. Segno che, a volte, perdere certi compagni di strada giova. E non poco.

    E giova anche correre da soli, come dimostra l’esperienza elettorale di Napoli. Mentre gli altri litigavano (a sinistra) e negoziavano (a destra), lui ha percorso in lungo e largo la Calabria. Ha esibito un livello di comunicazione e toni tutto sommato accettabili, senza sbilanciamenti eccessivi – e facili – sui versanti populista e giustizialista. Ha gestito un rapporto diretto con gli elettori (al momento potenziali) che ha iniziato a dare più frutti del previsto.
    Infatti, de Magistris non solo non si è fatto vampirizzare dall’ex sodale e dai potenziali avversari a sinistra, ma li ha vampirizzati.

    Il ruolo di Oliverio

    Stando a una succosa indiscrezione, avrebbero bussato alla sua porta un bel po’ di ex tansiani, evidentemente stressati dalla navigazione bizzarra e a vista del loro timoniere. E, al riguardo, c’è chi parla di una potenziale lista fatta di ex seguaci del visconte della tettonica a zolle, che si aggiungerebbero a Ugo Vetere.
    Dalla riunione vibonese sembra, inoltre, confermata la liaison con Oliverio. All’incontro hanno presenziato due esponenti di spicco dell’ex sinistra Pd: il vibonese Antonio Lo Schiavo e l’ex consigliere regionale cosentino Giuseppe Giudiceandrea.

    Il simbolo di questo schieramento, che potrebbe indebolire non poco i “compagni coltelli” del centrosinistra di Amalia Bruni è Liberamente progressisti.
    L’unico dubbio, in merito, è se a questo simbolo corrisponderà una lista di oliveriani o se questi si sparpaglieranno in tutto lo schieramento. Come ha spiegato Giggino, si tenta di evitare squilibri tra liste troppo forti e liste che non lo sono abbastanza. Detto altrimenti, i Masanielli mirano a massimizzare il bottino e, per farlo, spalmano le forze in maniera più uniforme possibile.

    Le liste

    Ancora non c’è nulla di certo, ma da quel che emerge, de Magistris potrebbe schierare da un minimo di sette a un massimo di nove liste.
    Iniziamo da quelle certe. Innanzitutto, ci sono le quattro liste demagistrisiane: De Magistris presidente, Dema, Uniti per de Magistris, Per la Calabria con De Magistris.
    Seguono le tre liste “politiche”, cioè la già menzionata Liberamente progressisti, Un’altra Calabria è possibile, ispirata a Mimmo Lucano, ed Equità per la Calabria, che contiene esponenti del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, il partito “terronista” fondato due anni fa da Pino Aprile.

    A proposito dei terronisti, emerge un dettaglio troppo simpatico per non menzionarlo e non riguarda la leadership del giornalista pugliese, ridottasi a un’onorificenza platonica. Tocca, semmai, le scelte politiche globali, che risultano contraddittorie: infatti, mentre i terronisti appoggiano de Magistris, a Napoli ne avversano il candidato da lui indicato come proprio successore. Regione che vai, terrone che trovi.
    Resta il dubbio per Primavera della Calabria (il laboratorio politico di Anna Falcone) e per Calabria resistente e solidale, che potrebbero limitarsi a un fiancheggiamento esterno.
    In ogni caso, nove simboli sembrano un sintomo di ottima salute.

    Compagni coltelli

    Ancora trapela poco sul centrosinistra che si ostina a dirsi “ufficiale” ma che rischia di restare in braghe di tela. Da un lato, resta ai “bruniani” la possibilità di compilare liste forti grazie ai consiglieri uscenti, che vantano sulla carta ancora buoni numeri, come i cosentini Carlo Guccione e Mimmo Bevacqua. Ma non è detto che questi numeri possano tradursi in una somma algebrica, per almeno due fattori non proprio irrilevanti.

    Il primo: in non pochi, a sinistra, percepiscono la candidatura della scienziata come un maquillage elettorale per salvare il salvabile. Quindi una domanda è d’obbligo: è possibile votare chi ha gestito potere con la consapevolezza che difficilmente lo gestirà di nuovo? E ancora, sotto il profilo più “ideologico”: gli arrabbiati di sinistra, possono ritenere ancora valido il richiamo dei notabili di un’area politica, quella che gravita attorno al Pd, che ha perso ruoli e credibilità dal post renzismo in poi?

    Il secondo fattore riguarda Tansi, che al momento sembra aver trovato pace. Ma non troppa: infatti, ha chiesto la sottoscrizione di un codice etico tosto, a cui, ora come ora, non arriverebbero neppure i grillini. Ma chi chiederà di fare un passo indietro ai candidati che risultassero incompatibili con questo codice?
    E non finisce qui, perché i bene informati sussurrano altro, non senza una certa malignità. La liaison tra Tansi e la Bruni avrebbe una pronuba di non poco conto, la ministra dell’Università Maria Cristina Messa, medico con una gavetta accademica importante.

    Insomma, una roba tra scienziati per cercare di uscire con le ossa meno rotte possibile dallo scontro imminente con Roberto Occhiuto a destra e de Magistris a sinistra. Missione non facile, insistono i maligni. Che poi propinano altri retroscena, stavolta romani: i big del Pd si sarebbero rivolti a Letta perché provi a ricucire lo strappo con Oliverio e tutti amici come prima. O, almeno, meno nemici di prima, perché il nuovo divorzio tra l’ex governatore e il big cosentino Nicola Adamo rischia di fare più danni della vecchia lite del 2011, quando a causa dei loro dissidi Cosenza finì in mano di Mario Occhiuto.

    Per concludere

    Se son rose fioriranno. Ma a sinistra si vede soprattutto un roveto, in cui si lotta al coltello per arrivare secondi e prendere più seggi possibile.
    De Magistris, dopo un tour regionale iniziato in salita, inizia a schierare le truppe. Occhiuto lavora di fino per cucire gli strappi con i meloniani. Quel che resta dell’area Pd, invece, annaspa tra i soliti segreti brezneviani e le consuete contraddizioni.
    Non è detto che la sfiga sia di sinistra, come sosteneva Gaber. Ma di sicuro il casino lo è.

  • Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    C’è un retroscena di alcuni mesi fa che potrebbe gettare luci (e proiettare ombre) sull’attuale bailamme del centrodestra calabrese, che si appresta, fatti salvi sorprese e terremoti, a vincere le prossime Regionali. Con un unico problema sul tappeto: il quanto.

    Riavvolgiamo il nastro. Il dietro le quinte risalirebbe alla scorsa primavera e avrebbe due protagoniste: Wanda Ferro e Giorgia Meloni. Quest’ultima, stando ai bene informati, avrebbe gelato la combattiva deputata, che covava da tempo l’ambizione a succedere alla scomparsa Jole Santelli, magari per prendersi una rivincita sulle sfigate Amministrative del 2014.
    Nulla da fare, avrebbe detto la ducessa di Trastevere: fino alle prossime politiche, meglio evitare la Calabria, fonte di guai.
    Che per Fdi, tra l’altro, non sono stati pochi né leggeri: si pensi agli indagati e agli ammanettati eccellenti, frutto spesso di una campagna acquisti non troppo cauta (come nel caso di Giancarlo Pittelli, all’epoca di Rinascita Scott fresco di trasloco da Forza Italia).

    La Calabria, tra le varie controindicazioni di cui i politici romani devono tener conto, ha anche la facilità con cui avvengono indagini e arresti. Lo diciamo con tutto il garantismo possibile, ma pure con la consapevolezza che in politica e per l’opinione pubblica le manette sono sempre micidiali, anche quando l’ammanettato viene prosciolto. E allora, come mai – è proprio il caso di dire – questo ritorno di fiamma? La risposta è, ovviamente, nei corridoi della Roma “che conta”.

    La pietra di scambio

    Si è detto e ridetto che la scintilla sarebbe esplosa per la mancata assegnazione ai meloniani della poltrona in Rai. Ma è solo una scintilla e forse neppure troppo grande per provocare tanto incendio.
    Secondo gli addetti ai lavori il problema vero riguarderebbe le prossime Politiche e starebbe nel mix micidiale tra il patto di coalizione che lega il partito degli ex An con Lega e Fi e la composizione del prossimo Parlamento, dimezzato dal referendum dello scorso autunno. Un cocktail da cui le ambizioni della Giorgia nazionale potrebbero subire un drastico ridimensionamento. Vediamo come.

    Il patto politico prevedeva che seggi e collegi dovrebbero essere distribuiti in base alle proporzioni elettorali ottenute nel 2018. Se fosse confermato, la ducessa incapperebbe male: a lei toccherebbe poco meno del cinque per cento della torta, che varrebbe meno di una guarnizione di zucchero in un Parlamento bonsai.
    Questo timore, motivatissimo, potrebbe spiegare tutte le mosse della Nostra, che si è arroccata a destra, restando all’opposizione mentre gli altri si apprestavano a sostenere Draghi, e ha radicalizzato le proprie posizioni pur continuando a governare nelle realtà regionali e locali in cui il centrodestra è in maggioranze.
    A parti e geografia invertite, sembra lo stesso scenario del 2011.

    Di lotta e di governo

    Nel 2011 l’anomalia non era l’Italia ma la Calabria. Qui Roberto Occhiuto, che era all’opposizione a Roma, aveva piazzato l’Udc in posizioni di governo, in cambio di notevoli dividendi politici: assessorati regionali (anche per placare gli appetiti degli avversari interni, reali e potenziali, a partire dai Trematerra), postazioni di comando a tutti i livelli, il Comune di Cosenza, passato per la prima volta a destra (inclusa quella ex neofascista) grazie a Mario Occhiuto.
    Oggi si è rovesciato tutto: Giorgina governa nelle realtà locali assieme agli alleati romani, ma è la principale oppositrice di Draghi. Anche lei, come Roberto Occhiuto 1.0, di lotta e di governo. Nel frattempo, fa di più: la campagna acquisti, innanzitutto tra gli alleati part time e dove può.
    Così facendo, è lievitata nei sondaggi, che la danno, a seconda dei casi e delle committenze, per prima o per primissima.

    Ma con questi chiari di luna l’insidia è dietro l’angolo, perché ti puoi gonfiare di voti e restare marginale lo stesso. E, peggio ancora, se non hai strutture forti di partito ma ti affidi ai consensi dei notabili vecchi (qui da noi i Morrone) e più o meno nuovi (l’immarcescibile Fausto Orsomarso), rischi l’evaporazione.
    A tacere di un altro rischio: l’iperattivismo delle Procure, che in Calabria sono scatenate e promettono fuoco e fiamme.
    Ce n’è abbastanza per dire che la Calabria non è solo pericolosa ma può portare pure sfiga: come dare torto alla Meloni?
    E allora l’unica soluzione sarebbe: arraffare più voti e ruoli sul territorio per rivenderli bene a Roma, anche, se e quando (come ora) serve, a costo di far saltare il banco.

    Dinamiche (im)politiche

    Dunque, si risveglia Giorgia, si risveglia Wanda – che, a dirla tutta, forse non ha mai dormito – e rialzano la posta. Va da sé che anche un bambino capirebbe che è solo un modo di apparare le cose. Un messaggio non troppo a distanza per far capire agli attuali alleati part time che o mollano qualche osso oppure iniziano i problemi.
    Intendiamoci, la Calabria resta una terra “maledetta” da cui guardarsi a vista, per chi è abituato a negoziare in certi ristoranti della Roma bene. Tuttavia, da noi si gioca la partita più grossa, tolto ovviamente il big match della Capitale: la Regione, dove la vittoria dovrebbe essere cosa fatta, più 83 Comuni, di cui il più importante è Cosenza.

    Partita grossa e complicata: Cosenza sarà pure una città declinante, a livello economico e demografico, ma resta il capoluogo di una provincia che è metà regione e, soprattutto, è il quartier generale della famiglia Occhiuto.
    Non è un caso che, per completare il puzzle, siano utilissimi anche i retroscena cosentini. Uno, in particolare, riguarda la scelta del “campione” che dovrebbe prendere il posto del non più candidabile Mario Occhiuto: il mite e fine Francesco Caruso, che dovrebbe rivendicare l’eredità dell’archistar, il quale per ringraziare gli farebbe da vice.

    La voce più accreditata sostiene che, per meglio indorare la pillola con alcuni potentati cosentini, Roberto Occhiuto avrebbe tentato di attribuire la candidatura di Caruso a Fratelli d’Italia.
    E i meloniani forse accetterebbero, perché i loro big cosentini (i Morrone e Fausto Orsomarso) sono proiettati sulla scala regionale, e lascerebbero spazio per un’altra partita delicata, che farebbe comodo a Roberto Occhiuto: l’affaire Gentile.

    Pino Gentile, il terzo comodo

    La famiglia Gentile sta a Cosenza come l’Impero Ottomano alla vecchia Europa: sono declinanti ma vitali e, soprattutto, controllano ancora molti voti. Nessuno, ancora, può evitare di fare i conti con loro, non foss’altro per aggirarli o affrontarli. Meglio, quando si può, averli alleati. E quest’alleanza per Roberto Occhiuto è una necessità forte, anche per dinamiche politiche che non dipendono da lui.

    Infatti, Andrea Gentile, figlio di Tonino l’ex senatore di Fi ed ex big di Ncd, è il primo dei non eletti di Cosenza alla Camera. Quindi, se Roberto diventasse governatore e lasciasse il posto, Gentile Jr entrerebbe a Montecitorio e risveglierebbe il potere della vecchia dinastia cosentina.
    Non a caso, Pino Gentile sarebbe pronto con una lista per appoggiare Occhiuto nella scalata a Germaneto e a fornire il suo appoggio anche a Cosenza.
    Un equilibrio delicatissimo da gestire perché i calabresi hanno capito benissimo una cosa: la Calabria si vince o si perde da Cosenza e dalla sua provincia. E questo sin dai tempi di Loiero.

    Tiriamo le somme

    E la Meloni, quindi la Ferro, in tutto questo? Fanno in Calabria quel che fanno in tutto il resto d’Italia, dove governano o stanno all’opposizione col resto del centrodestra: rompono le scatole per ottenere di più.
    In questo caso, la Calabria pesa come un Comune del Lazio o una Provincia della Lombardia: è una pietra di scambio. Può essere barattata con più seggi alle prossime Politiche o con un congruo numero di assessorati a Roma, la città in cui il mandibolone del Duce resta un’icona pop in vari strati della popolazione.

    In Calabria, Fdi ha, al momento, il massimo che poteva ottenere nel 2020: la vicepresidenza del Consiglio regionale, l’assessorato chiave del Turismo e le Ferrovie della Calabria, appaltate anch’esse a Fausto Orsomarso.
    Gli analisti sono convinti che la quadra si dovrebbe trovare con la cessione della presidenza o della vicepresidenza, probabilmente alla scalpitante Wanda, che al momento è anche la campionessa di Catanzaro, senz’altro per meriti suoi ma anche per i guai giudiziari capitati a Mimmo Tallini.
    I bene informati riferiscono di recenti consultazioni romane di Roberto Occhiuto per risolvere il problema e a breve avremo la risposta al quesito che affanna la politica calabrese: quanti dividendi dovranno cedere a Roma per consentirgli di governare la Calabria?