Autore: Pietro Spirito

  • Zes al palo, ora servono oasi nel deserto industriale

    Zes al palo, ora servono oasi nel deserto industriale

    Nella definizione degli incentivi per le Zes (zone economiche speciali) si è perso un sacco di tempo. La legge aveva individuato subito il credito di imposta sugli investimenti come attrattore delle imprese. Ci sono poi voluti due anni per stabilire che il meccanismo per l’assegnazione del credito di imposta poteva funzionare in modo automatico, senza passaggi di approvazione preventiva.

    Qualche tempo in più è stato necessario per stabilire che anche le imprese di logistica erano destinatarie del credito di imposta, e quindi comprese nel perimetro dei soggetti che potevano beneficiare del pacchetto localizzativo delle ZES. Era una contraddizione in termini che da un lato si considerassero i porti e le aree logistiche come il cuore del sistema insediativo delle imprese, escludendo dall’altro il settore che doveva costituire la centralità dell’azione di politica industriale.

    Semplificazione all’italiana

    Sul nodo della semplificazione amministrativa, che costituisce in tutto il mondo uno degli assi fondamentali per la competitività delle ZES, sono stati spesi fiumi di inchiostro nel nostro Paese, senza riuscire a sfiorare per quasi quattro anni il tema in modo adeguato.

    Solo con il Governo Draghi, a quattro anni dalla legge, si è giunti alla approvazione della autorizzazione unica per l’insediamento di una impresa. Nelle formulazioni precedenti, l’autorizzazione ZES si sovrapponeva a tutti gli altri procedimenti amministrativi esistenti (trentaquattro!), divenendo sostanzialmente uno strato aggiuntivo di cipolla, con una logica tipicamente nazionale di semplificazione: fare l’opposto del significato della pratica che si intende perseguire.

    C’è la governance, non le azioni

    Sulla governance si è egualmente perso un tempo spendibile in attività più produttive. La legge stabiliva che l’organismo di governo per ciascuna zona economica speciale era il comitato di indirizzo, con a capo il presidente della Autorità di Sistema portuale di riferimento e composto da rappresentanti del presidente del Consiglio e del ministro dei Trasporti.

    Si erano appena insediati i comitati, quando la legge ha stabilito che ogni ZES avrebbe dovuto avere alla guida un commissario straordinario. Sinora solo la zona economica speciale calabrese si trova nella condizione di poter disporre di un assetto di governance completo.
    Ma, ovviamente, disporre di un meccanismo di governo completo, non vuol dire di per sé riuscire ad indirizzare fenomeni economici complessi.

    La legge istitutiva delle zone economiche speciali lascia alle Regioni la possibilità di emanare provvedimenti autonomi e specifici che siano in grado di rafforzare il pacchetto di attrazione per la localizzazione degli investimenti. Allo stato, non risulta alcuna azione messa in campo dalla regione calabrese.
    Nella implementazione dei processo di attuazione, infine, siamo a carissimo amico.

    Non solo economia

    L’esperienza internazionale testimonia che non basta solo chiarezza nel pacchetto localizzativo per poter attrarre le imprese sui territori. A caratterizzare le esperienze di successo è stata la capacità di articolare un sistema di meccanismi e di misure non solo di carattere normativo ed economico, che pure sono indispensabili.
    Serve una azione di marketing e di comunicazione capace di porre in evidenza tutte le qualità dei territori che non sono esplicite negli incentivi economici; la presenza di centri di ricerca all’avanguardia, le caratteristiche del capitale umano, la rete delle istituzioni con le quali si potrà collaborare.

    La fase di attuazione richiede un concerto tra le istituzioni nei diversi livelli di governo, la collaborazione del sistema bancario e finanziario, un tessuto di regole certe nella giustizia capace di affermare la legalità, la collaborazione costante tra imprese ed Università.
    Solo se si determina la convergenza degli strumenti di politica economica con lo strumento della zona economica speciale e se tutte le istituzioni lavorano in maniera coordinata, si possono allora conseguire risultati positivi. Altrimenti, avremo sprecato questa ennesima opportunità.

    Oasi nel deserto

    Per la Calabria, la zona economica speciale è ancora più cruciale che per il resto del Mezzogiorno. Il deserto industriale va popolato almeno con alcune oasi produttive che comincino ad essere fattori di inversione di tendenza, luoghi di sviluppo e di legalità, per dare opportunità ai giovani, per evitare lo spopolamento che prosegue da tempo, per alimentare la crescita del Porto di Gioia Tauro, che non può essere solo luogo di smistamento dei contenitori ma deve diventare anche una finestra logistica per il territorio calabrese.

    Per poter evitare di sprecare questa ennesima opportunità, si tratterà di mettere a sistema la zona economica speciale di Gioia Tauro con il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. Solo se gli investimenti pubblici del PNRR che saranno previsti per la Calabria si incroceranno con il pacchetto localizzativo per l’attrazione del capitale internazionale potranno costruirsi le condizioni per far arretrare il deserto industriale che oggi soffoca ogni opportunità di sviluppo. Per questo serve un patto tra istituzioni, imprenditori, forze sociali. Ma soprattutto serve che la cappa di immobilismo va sradicata da una forte volontà di cambiamento.

    LEGGI QUI LA PRIMA PARTE DELL’ANALISI

  • Zes a Gioia Tauro, tutto quello che non ha funzionato

    Zes a Gioia Tauro, tutto quello che non ha funzionato

    Da quattro anni è stata approvata in Italia la norma primaria che ha istituito le zone economiche speciali nelle regioni meridionali del nostro Paese. La Calabria ne è parte integrante, con la ZES di Gioia Tauro. Il momento è opportuno per tracciare un primo bilancio, per capire quello che non ha funzionato e per indirizzare lo strumento esistente, con gli opportuni correttivi, verso un miglior funzionamento.

    Le aspettative erano inizialmente molto elevate. Si introduceva in Italia uno strumento di politica economica che aveva determinato profondi processi di trasformazione in molte realtà economiche internazionali che, attraverso fiscalità di vantaggio e regole di semplificazione, avevano attratto consistenti investimenti manifatturieri tali da consentire a quei Paesi di entrare nelle catene globali del valore. Sono più di 5.500 le zone economiche speciali nel mondo. Questo numero dovrebbe farci comprendere che esiste una intensa competizione su scala globale tra territori per attrarre gli investimenti internazionali.

    La logistica fondamentale

    L’atteggiamento verso le zone economiche speciali in Italia è oscillato tra il messianismo e l’indifferenza. Per alcuni era una bacchetta magica capace di sovvertire l’arretratezza industriale, per altri non serviva assolutamente a nulla, erano solo chiacchiere di professori astratti.
    Entrambi gli approcci ovviamente non erano funzionali ad un efficace processo di azione amministrativa. Sappiamo bene ormai che le riforme richiedono un lavoro certosino nelle tre fasi che sono fondamentali per il successo di una azione di politica economica: l’analisi delle finalità, la definizione degli strumenti, l’implementazione dei processi di attuazione.

    Sulla definizione degli obiettivi, il legislatore aveva individuato una correlazione tra sviluppo industriale ed armatura logistica. In tutte le esperienze internazionali si era dimostrato che una delle ragioni di attrazione per gli investitori era stata la disponibilità di infrastrutture e servizi per la connettività di elevato livello qualitativo. La logistica, infatti, è diventata, nell’economia della globalizzazione, una delle chiavi fondamentali per la competitività dei territori.

    Per questa ragione i porti delle regioni meridionali, e Gioia Tauro tra questi, sono stati concepiti come l’asse centrale attorno al quale agglomerare gli insediamenti industriali da attrarre. Ovviamente, questo approccio implica di realizzare anche gli investimenti di miglioramento necessari per consolidare la competitività logistica degli scali meridionali, soprattutto in termini di connettività ferroviaria e stradale, assicurando anche una rete di collegamenti con gli interporti.

    Soluzioni differenti per realtà disomogenee
    Nella definizione degli obiettivi è mancata la capacità di calibrare correttamente la lettura dei territori. Il Mezzogiorno non è, ormai da tempo, una realtà omogenea. Comprende regioni che hanno avviato percorsi di nuova industrializzazione, come la Campania e la Puglia, ma anche altre realtà, come la Calabria, che sono purtroppo ancora in una trappola di desertificazione produttiva. Strumenti omogenei di politica economica per realtà disomogenee non sono destinati a determinare la stessa efficacia nei territori più deboli.

    Per attrarre investimenti in Calabria occorre superare specifiche barriere all’entrata per il capitale nazionale ed internazionale. La qualità infrastrutturale del territorio, al di là del porto di Gioia Tauro, non è adeguata. Le interferenze ambientali della criminalità organizzata generano diffidenza e vischiosità che non sono certamente elementi attrattivi per gli investitori. Il tessuto dei servizi pubblici e privati non brilla certo per qualità. Occorre avere consapevolezza che non contano solo gli incentivi economici per entrare nella short list delle decisioni imprenditoriali. Occorre anche affrontare le debolezze strutturali che caratterizzano la realtà economica, sociale ed istituzionale della Calabria.

    Il ruolo delle multinazionali

    C’era anche un’altra questione che è rimasta in ombra nella analisi delle finalità delle zone economiche speciali. L’architettura del sistema industriale internazionale si era riorganizzata sulla base delle catena globali del valore, nella quali totalità dei casi guidate dalle grandi imprese multinazionali, che sono tornate ad occupare la scena centrale proprio per effetto della globalizzazione, ed anche grazie alle zone economiche speciali.
    Fare i conti con questa geografia del potere economico è assolutamente indispensabile se si vogliono generare effetti moltiplicativi nel processo di attrazione degli investimenti. Le esperienze internazionali dimostrano infatti che uno dei fattori di successo delle zone economiche speciali consente nell’attirare soggetti multinazionali, che poi sono in grado di generare altre capacità attrattive.

    Proprio per questa ragione diventa rilevante in modo decisivo il sistema delle regole amministrative e burocratiche con le quali si deve confrontare il mondo industriale. La semplificazione deve essere particolarmente efficace per poter generare effetti attrattivi per le imprese che devono realizzare investimenti significativi.
    Ovviamente, questi meccanismi non si attivano automaticamente, ma richiedono specifici strumenti. Più che incentivi generalizzati a tutti gli operatori, per poter attrarre grandi multinazionali apparirebbe più opportuna una personalizzazione del pacchetto localizzativo mediante lo strumento del contratto di programma, entro un perimetro di compatibilità che può essere stabilito dalla legge.

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  • Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    C’è una questione calabrese nella più ampia questione meridionale. Non appartiene più alla verità dei fatti la descrizione di un Mezzogiorno compatto nella sua arretratezza. Sia pure con un modello geografico a chiazze isolate, qualche territorio meridionale ha intercettato percorsi di nuova industrializzazione e di sviluppo coerente con le traiettorie dell’economia internazionale.

    La Calabria resta un’eccezione. È l’unica regione meridionale che non ha agganciato in nessuna area il treno della nuova industrializzazione. Le due grandi crisi del 2008 e del 2011-2013, unite al blocco pandemico, hanno determinato un complessivo arretramento del tessuto economico e sociale, con una breve tregua durante il biennio 2015-2016. A tempo alternato solo il porto di Gioia Tauro è riuscito ad entrare nel gioco della competizione internazionale, in un ruolo però solo strettamente funzionale alla rete degli scambi mondiali come scalo di transhipment, senza esercitare un ruolo diffusivo sul territorio calabrese.

    Gli effetti del Covid 

    Le misure di distanziamento fisico e la chiusura parziale delle attività durante il 2020, nonché il clima di paura e incertezza legato alla diffusione della pandemia da Covid-19, hanno avuto pesanti ripercussioni sull’economia calabrese, che si trovava già in una fase di sostanziale stagnazione.
    Sulla base dei dati Prometeia, lo scorso anno il PIL calabrese in termini reali sarebbe sceso di circa 9 punti percentuali, un dato sostanzialmente in linea con il resto del Paese. La caduta dell’attività economica è stata particolarmente ampia nel primo semestre del 2020, in connessione anche al blocco più intenso e generalizzato della mobilità.

    Dopo una ripresa nei mesi estivi, le nuove misure di contenimento introdotte per fronteggiare la seconda ondata pandemica avrebbero determinato una ulteriore contrazione, seppure più contenuta rispetto a quanto osservato in primavera.
    Gli investimenti privati in Calabria si sono contratti notevolmente durante la doppia recessione avviatasi nel 2008. In particolare, il calo è stato più intenso a seguito della crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2011.

    Durante la successiva fase di ripresa la dinamica degli investimenti è rimasta debole, a fronte di un parziale recupero registrato a livello nazionale. Nel 2018 gli investimenti privati in Calabria erano inferiori di circa la metà rispetto ai livelli pre-crisi: l’incidenza sul PIL si è notevolmente ridotta, passando da oltre il 20% del 2007 a meno del 13%.
    In base alle stime Istat, nel 2020 il valore aggiunto a prezzi costanti del settore primario è diminuito del 9,1 per cento, in misura più pronunciata rispetto al resto del Paese, risentendo in particolare del forte calo del valore della produzione nell’olivicoltura (-21,6 per cento), che presenta un marcato andamento ciclico.

    La crisi per i privati

    L’emergenza Covid-19 ha avuto rilevanti ripercussioni sull’attività delle imprese. Le indagini di Bankitalia segnalano una diminuzione del fatturato molto diffusa per le aziende operanti in regione, riflettendo essenzialmente il forte calo dei consumi, oltre che i provvedimenti di chiusura e le altre restrizioni adottate per arginare la pandemia.
    Nel contempo, le imprese hanno ulteriormente ridotto i propri livelli di investimento, che già negli anni precedenti erano risultati contenuti, soprattutto con riguardo agli investimenti più avanzati in risorse immateriali e tecnologie digitali.

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    Il settore più colpito dalla crisi pandemica è stato quello dei servizi privati non finanziari, in particolare i trasporti, il commercio al dettaglio non alimentare e il comparto alberghiero e della ristorazione, su cui ha inciso la caduta delle presenze turistiche.
    L’attività produttiva si è ridotta in misura più contenuta nelle costruzioni, che hanno in parte beneficiato di una lieve ripartenza del comparto delle opere pubbliche, ancora tuttavia frenata dai tempi lunghi di realizzazione degli interventi.

    Il brusco calo delle vendite ha accresciuto il fabbisogno di liquidità del sistema produttivo, colmato essenzialmente dai prestiti garantiti dallo Stato e dalle misure di moratoria, che in Calabria sono stati più diffusi della media nazionale.
    Il sostegno pubblico ha contenuto fortemente l’uscita di imprese dal mercato, anche tra quelle maggiormente indebitate e fragili, la cui condizione rimane più esposta alla velocità di uscita dalla crisi.

    Ancora meno lavoro di prima

    Le ricadute della crisi pandemica sul mercato del lavoro sono state rilevanti, annullando il modesto recupero dei livelli occupazionali che si era registrato a partire dal 2016.
    Dopo la sostanziale stasi del 2019, l’occupazione in regione nel 2020 è tornata a diminuire a causa delle ricadute della pandemia di Covid-19. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, la riduzione su base annua del numero degli occupati calabresi è stata del 4,3 per cento, pari ad oltre il doppio di quella rilevata sia a livello nazionale che nel Mezzogiorno (per entrambe, -2,0 per cento).

    Guardando alle dinamiche dell’ultimo decennio, l’unica variazione peggiore risale al 2013 (-6,2 per cento), a seguito della crisi del debito sovrano. Il tasso di occupazione è sceso al 41,1% (era al 42 nel 2019), con una differenza di 17 punti percentuali dal dato medio nazionale.

    Il calo delle posizioni lavorative si è concentrato soprattutto tra gli autonomi e i dipendenti a termine, mentre il calo del lavoro dipendente a tempo indeterminato è stato contrastato da un eccezionale aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali e dal blocco dei licenziamenti. Gli effetti negativi sono risultati più intensi per le categorie caratterizzate già in precedenza da condizioni sfavorevoli sul mercato del lavoro: i giovani, le donne e gli individui meno istruiti.

    Il calo dei redditi da lavoro è stato sensibilmente mitigato dall’introduzione di nuove misure di sostegno economico ai lavoratori e alle famiglie, che si sono aggiunte alla Cassa integrazione guadagni e al Reddito di cittadinanza. Ciononostante, la contrazione dei consumi è risultata accentuata, in connessione sia alle difficoltà nella mobilità sia a motivi precauzionali, che si sono riflessi in un netto incremento della liquidità delle famiglie.

    Servizi e consumi

    Nel settore dei servizi, maggiormente interessato dalle misure di contenimento, il calo dell’attività è stato ancora più pronunciato. Oltre alle restrizioni alla mobilità, ha pesato anche la contrazione dei consumi connessa all’incertezza circa l’evoluzione della crisi, che ha inciso negativamente sulle decisioni di spesa delle famiglie.

    L’indagine della Banca d’Italia, che si concentra sulle imprese dei servizi privati non finanziari con almeno 20 addetti, conferma il diffuso calo dei ricavi; circa due terzi delle imprese partecipanti ha segnalato una riduzione del fatturato rispetto al 2019. Inoltre il 60% delle imprese ha segnalato una riduzione degli investimenti nell’anno e circa metà un calo dei livelli occupazionali.

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    Secondo le stime di Confcommercio, la spesa in termini reali per beni e servizi si sarebbe ridotta di circa il 12%, in linea con il dato nazionale. Sull’andamento ha inciso anche la dinamica dei consumi per beni durevoli: in base ad elaborazioni sui dati dell’Osservatorio Findomestic, sarebbero diminuiti dell’11 per cento rispetto all’anno precedente.
    In particolare, sono diminuite in misura intensa le vendite di autovetture: le immatricolazioni sono fortemente calate tra marzo e luglio dell’anno scorso, come nel resto del Paese, per poi tornare sui livelli precedenti alla caduta nei mesi successivi. In media d’anno il calo è stato del 21 %, a fronte del 28%in Italia.

    La ripresa dei consumi dipende in modo cruciale da una progressiva attenuazione dell’epidemia nei prossimi mesi. È però probabile che il rafforzamento dei consumi sarà lento risentendo della gradualità con cui sarà riassorbita l’incertezza che ha sospinto l’aumento della propensione al risparmio.

    Turismo ed export

    Dopo anni di crescita, i flussi turistici presso gli esercizi ricettivi regionali hanno subito una brusca caduta. In base ai dati dell’Osservatorio turistico della Regione Calabria, le presenze nel 2020 sono diminuite di oltre il 50%. Dopo l’azzeramento quasi totale nei mesi del lockdown, con il miglioramento della situazione sanitaria e la rimozione delle restrizioni agli spostamenti si è assistito da luglio 2020 a un graduale recupero delle presenze di turisti italiani, mentre la forte caduta delle presenze straniere si è protratta.

    In particolare, nei tre mesi da luglio a settembre si sono concentrati quasi il 90% dei pernottamenti dell’anno (70% nel 2019). Tale parziale recupero ha temporaneamente attenuato l’impatto negativo della crisi sull’ampio indotto di operatori economici delle zone balneari (dove si concentrano i flussi turistici regionali), spesso caratterizzati da un elevato ricorso al lavoro stagionale.

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    Nel 2020 le esportazioni di merci hanno subito un deciso calo (-16,2% a prezzi correnti). In virtù dell’andamento negativo dello scorso biennio l’export calabrese è tornato sui valori del 2016. Le vendite, condizionate dagli effetti della pandemia sugli scambi internazionali, sono diminuite in tutti i principali settori di specializzazione regionale, anche nell’agroalimentare che era cresciuto ininterrottamente dal 2015. Pur interessando tutti i principali mercati di sbocco, il calo delle esportazioni risulta particolarmente accentuato nei paesi UE.

    Digital divide, eterno problema

    Molto significativo resta ancora il divario di digitalizzazione che caratterizza la società calabrese. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) riferiti al 2019, l’incidenza delle linee fisse ultraveloci (oltre 100 Megabit/secondo) era in Calabria meno della metà di quella italiana. Il divario con la media nazionale si allarga considerando la domanda di accesso ad internet: secondo i dati Istat, solo due terzi delle famiglie calabresi disponevano di un abbonamento a internet a banda larga, di cui il 41 per cento a rete fissa (in Italia erano rispettivamente 75 e 54%).

    La Calabria risulta inoltre tra le ultime regioni per competenze digitali degli utilizzatori effettivi di internet e nell’uso dei servizi internet; ad esempio, risultano ancora scarsamente impiegati i servizi bancari online. Anche l’adozione delle tecnologie digitali da parte delle imprese calabresi è al di sotto della media nazionale: vi influisce principalmente la bassa quota di aziende che utilizzano tecnologie digitali di livello avanzato.

    Con riferimento all’indice che valuta l’e-government, calcolato considerando i dati riguardanti gli enti locali, la Calabria si attesta molto al di sotto della media italiana nell’offerta di servizi pubblici digitali. Secondo i dati della Corte dei Conti, nel 2019 solo i due terzi dei comuni calabresi offriva almeno un servizio online ai cittadini, mentre l’offerta media italiana di servizi digitali alle imprese attraverso lo Sportello unico per le attività produttive e lo Sportello unico per l’edilizia si attestava al 35% (rispettivamente 77% e 53 % nella media nazionale).
    Un’evidenza analoga emerge con riferimento ai servizi sanitari, in particolare alla scarsa diffusione del fascicolo sanitario elettronico e della telemedicine.

    Le ICT non decollano

    Nel 2018 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili) in Calabria i settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) contribuivano per il 4,2% al valore aggiunto del settore privato non finanziario, una quota inferiore alla media nazionale e in calo nell’ultimo decennio. Anche l’utilizzo dei beni e servizi ICT come input produttivi da parte delle imprese calabresi è inferiore alla media nazionale: in base agli ultimi dati disponibili dell’Irpet, nel 2016 il loro valore in rapporto al PIL era pari in regione al 2,5%, a fronte del 4,4 della media italiana.

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    Secondo i dati del primo Censimento permanente delle imprese condotto dall’Istat nel 2019, nel triennio 2016-18 le imprese calabresi, pur in presenza di investimenti in connettività (connessione a internet e soluzioni in tecnologie basate su internet) superiori al dato nazionale, mostravano tassi di adozione inferiori alla media per tutte le tecnologie digitali più avanzate. Il divario appariva marcato anche nell’uso di servizi cloud e di software gestionali.

    Che fare?

    Intanto prosegue la desertificazione demografica della Calabria, che ha registrato tra il 2002 ed il 2018 altri 700.000 emigranti. Di questo passo, nel 2065 la popolazione regionale sarà poco più di un milione di abitanti.
    Che fare, di fronte ad un panorama calabrese caratterizzato da stagnazione, regressione, mancanza di innovazione? Sono due i fronti aperti su cui fare leva per innescare un sentiero di cambiamento: da un lato la costruzione della zona economica speciale di Gioia Tauro e dall’altro l’implementazione degli investimenti per il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza.
    Questi due strumenti di politica economica vanno saldati in un meccanismo unitario di azione: attrarre investimenti produttivi, industriali e logistici, diventa possibile se si rende il territorio calabrese più competitivo attraverso investimenti adeguati in moderne infrastrutture fisiche e digitali.

    porto-gioia

    La variabile temporale assume una rilevanza decisiva: rinviare l’attuazione dei programmi di modernizzazione alle calende greche sarebbe esiziale. Solo un disegno sinergico fatto di visione e di prospettive può consentire all’economia calabrese di intercettare i meccanismi di generazione delle catene del valore che caratterizzano l’economia internazionale. Guardare alle esperienze del passato fondate solo sulla industrializzazione statale non serve: è anzi controproducente.

    Le liste elettorali per le prossime votazioni regionali non inducono ad alcun ottimismo: prosegue la lunga stagione del gattopardismo e della mediocrità. Sotto questa cenere si nascondono i consueti interessi che hanno affossato la Calabria. Niente di nuovo, per ora, sul fronte meridionale. Il mondo, intanto, va verso tutt’altra direzione. I territori competono per essere compresi dentro le catene globali del valore. Chi ne resta fuori, sarà guidato da altri attori e da altre logiche, che pensano all’interesse di pochi contro l’interesse di tanti.

  • Pnrr ultimo treno di una regione disconnessa

    Pnrr ultimo treno di una regione disconnessa

    Viviamo tempi radicalmente differenti rispetto alle caratteristiche sociali ed economiche che hanno segnato il ventesimo secolo. Eravamo abituati a considerare fondamentali per lo sviluppo le questioni legate all’intervento pubblico per l’avvio della industrializzazione. Ne abbiamo conosciuto la parabola, soprattutto nelle regioni meridionali: dalla stagione della crescita produttiva nelle industrie di base (chimica e siderurgia) sino alla drammatica crisi che ha chiuso quella fase negli ultimi decenni del secolo passato.

    Con la globalizzazione il quadro si è profondamente trasformato. È cominciata una competizione tra territori per attrarre gli investimenti produttivi. Si sono affacciati sulla scena nuovi attori economici, che hanno generato uno scenario radicalmente differente.
    Oggi, come ha efficacemente spiegato il politologo Parag Khanna, la gerarchia della competitività è data dalla rete di connessioni che i diversi territori sono in grado di offrire alla comunità dei cittadini e delle imprese.

    Parag Khanna, politologo e collaboratore della CNN
    Calabria e Mezzogiorno in ritardo

    Le infrastrutture per la mobilità non sono più tanto rilevanti per gli effetti occupazionali immediati durante la fase di costruzione, quanto per la qualità dei servizi connettivi che sono in grado di generare in quella di funzionamento operativo. La lunga stagione keynesiana degli investimenti pubblici anticiclici nelle infrastrutture per rilanciare il motore dell’economia volge al termine. Eppure spesso capita ancora che le scelte vengano effettuate sulla base di criteri ormai non più attuali.
    Oggi sono i territori connessi, fisicamente e telematicamente, a determinare gli esiti della concorrenza internazionale. La Calabria, come del resto l’intero Mezzogiorno, si trova a fronteggiare questa discontinuità di scenario senza essersi per tempo preparata a questa trasformazione.

    Italia a due velocità

    Contano nell’attuale gioco competitivo parametri radicalmente differenti: visione globale delle reti, rapidità di esecuzione degli investimenti, capacità di cucire collegamenti internazionali con reti locali. Cominciamo con la celerità di attuazione dei programmi. Ci sono voluti più di 54 anni, dalla prima progettazione all completamento, per costruire la Salerno-Reggio Calabria. Mentre in otto anni veniva completata l’Autostrada del Sole, si è impiegato quasi sette volte tanto per completare l’asse stradale fondamentale per connettere la Calabria con l’Italia. Sono tempi incompatibili con qualsiasi ragionevolezza infrastrutturale. In più di mezzo secolo, cambia completamente la storia e la geografia dei territori.

    Recuperare il tempo perduto

    Ora lo stesso rischio si corre per la costruzione del nuovo collegamento ferroviario tra Salerno e Reggio Calabria, previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Non c’è dubbio che tale investimento sia necessario, ma è anche urgente. Come è accaduto per la rete autostradale, anche per il sistema ferroviario ad alta velocità si sono realizzati i collegamenti prima nel centro nord del Paese. Ora bisogna recuperare il tempo perduto senza scegliere strade che determinino uno spostamento alle calende greche del completamento dell’opera. Qualche segnale preoccupante invece c’è nel progetto predisposto da Rete Ferroviaria Italiana, almeno per due ragioni.

    Quale alta velocità serve?

    Da un lato si vagheggia la possibilità di realizzare anche nel Sud una rete ad alta capacità, vale a dire in grado di far correre anche i treni merci. L’investimento realizzato al Centro-Nord testimonia che questa scelta è inutile e dannosa. I treni merci non sono in grado di pagare il pedaggio di accesso ad una rete con queste caratteristiche. E difatti nessun treno merci transita oggi sulla rete ad alta capacità. I costi per realizzare una infrastruttura con queste caratteristiche, poi, superano di un terzo quelli di una rete AV dedicata solo ai treni passeggeri.

    Dall’altro lato viene individuato un tracciato interno al territorio calabrese, che richiede la realizzazione di 85 km di gallerie. Non ci vuole un indovino per immaginare che in questo modo, otre ad incrementare di molto i costi, si allunghino di moltissimo i tempi di completamento dell’investimento.
    Varrebbe la pena di ragionare con grande attenzione su questi due punti, se vogliamo che l’investimento nel potenziamento della rete ferroviaria meridionale non sia l’ennesima occasione perduta.

    Il porto di Gioia Tauro

    E veniamo al secondo punto fondamentale, vale a dire la visione globale necessaria per disegnare la rete dei collegamenti capace di posizionare un tessuto economico e sociale nel contesto nazionale ed internazionale.
    Il caso del porto di Gioia Tauro è emblematico in questa direzione. Nasce, come è noto, nell’ambito del fallimentare progetto per costruire il quinto centro siderurgico, e per decenni resta una cattedrale nel deserto. L’intuizione di un imprenditore dotato di visione internazionale, Angelo Ravano, determina una rivitalizzazione del porto, grazie alla sensibilità del primo Governo Prodi.

    Navi cariche di container nel porto di Gioia Tauro

    Lo scalo di Gioia Tauro si inserisce nella rivoluzione delle rotte marittime internazionali, diventando uno dei porti di transhipment capaci di ospitare le grandi navi portacontenitori tra l’Oriente e l’Europa. Poi, dall’inizio del ventunesimo secolo conosce una stagione di rallentamento e di crisi, perché la governance del terminal container attraversa una fase di stagnazione strategica, fino alla ripresa recente con un rilancio della competitività determinato dalla strategia dell’attuale gestore, la seconda compagnia mondiale per traffico di container.

    Quello che manca, perché Gioia Tauro possa giocare un ruolo strutturalmente positivo – per la Calabria e per l’Italia – è un disegno strategico di Paese sulla costruzione di una rete di scali marittimi complementari e competitivi. Più che aver determinato la generazione di un sistema portuale nazionale forte ed unitario, la scelta è stata quella di aver messo in competizione tra loro gli scali italiani, quando invece era piuttosto necessario elevare la scala della competizione su un orizzonte globale.

    Sono mancati a Gioia Tauro quegli investimenti complementari di connessione alla rete ferroviaria e stradale che erano indispensabili per non svolgere soltanto la funzione di transhipment, attività a basso valore aggiunto e basso impatto sul territorio. Senza generare attività logistiche la funzione del porto di Gioia Tauro resterà meno centrale di quanto non possa essere.

    La concorrenza distruttiva tra aeroporti

    Anche per quanto riguarda la rete degli aeroporti non si sono effettuate scelte strategiche e si sono messi in competizione scali limitrofi, all’interno dello stesso territorio regionale calabrese, con l’effetto di dar vita a una concorrenza distruttiva che non ha consentito di generare quella massa critica indispensabile per attirare investitori e compagnie aeree. Tra Lamezia e Reggio Calabria si è assistito nell’arco dei decenni ad una danza di spostamenti di rotte, come accadeva alla sfilate di Mussolini che intendevano mostrare una potenza non vera. L’effetto è stato un depotenziamento ed una marginalizzazione delle connessioni aeree, anch’esse strategiche sia per il turismo sia per il business.

    Per la Calabria, con il PNRR, si apre ora una stagione decisiva per recuperare competitività. Serve puntare sulle reti di connessione per mettere in sintonia il territorio e l’economia con il sistema nazionale ed internazionale. Da un lato, però, occore una analisi strategica degli investimenti necessari, anche nelle caratteristiche tecniche dei progetti. Dall’altro, serve la capacità di realizzarli in tempi che siano compatibili con la ripresa effettiva di competitività.
    Sulla mobilità si gioca la partita decisiva per il futuro della Calabria e del Mezzogiorno. Non si presenterà un’altra occasione come quella che abbiamo di fronte nel prossimo quinquennio.

  • Porti, Sud e PNRR: dov’è la visione strategica?

    Porti, Sud e PNRR: dov’è la visione strategica?

    La questione marittima, quindi dei porti, può costituire una delle opportunità da cogliere per riportare l’economia meridionale in una linea di galleggiamento, dopo i recenti decenni che hanno aumentato il divario rispetto al centro-nord. In un Paese con oltre 8.000 chilometri di coste, la cerniera tra territorio e mondo costituita dai porti è uno degli elementi fondamentali per interpretare il ruolo dell’Italia nell’economia internazionale.
    Eppure, nonostante l’evidente natura strategica della questione, tale tema stenta a trovare il posto di rilievo che dovrebbe avere nella discussione pubblica sulle prospettive dell’Italia. Me ne sono occupato in un recente libro, pubblicato da Guida editore: “Il futuro dei sistemi portuali italiani. Governance, spazi marittimi, lavoro”.

    I porti meridionali sullo sfondo del PNRR

    Anche nel Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) non emergono novità particolarmente significative nella visione del sistema portuale italiano. Prosegue una concezione delle infrastrutture che si disarticola per le diverse modalità, senza un disegno unitario del sistema logistico. Non emerge una prospettiva internazionale in chiave europea e mediterranea. Oggi – ancor di più – si avverte l’esigenza di un progetto geopolitico e geostrategico che sia in grado di collocare gli investimenti infrastrutturali in un perimetro largo composto dalle politiche industriali, logistiche e turistiche su scala internazionale.

    Ancora una volta i porti meridionali, che pure movimentano quasi la metà delle merci in arrivo ed in partenza dal nostro Paese, sono rimasti sullo sfondo di una visione tradizionale, ancorata sostanzialmente all’economia italiana di diversi decenni fa, quando il nostro Paese esprimeva capacità competitiva attraverso le grandi industrie settentrionali ed i distretti del nord est.vIntanto tutto lo scenario si è radicalmente modificato, e noi non abbiamo riflettuto sulle modalità attraverso le quali assicurare una continuità competitiva al sistema produttivo nazionale, nell’era delle catene globali del valore, e nel passaggio dal capitalismo dei territori a quello delle piattaforme.

    Il treno della rivoluzione tecnologia è passato

    L’Italia, ed il Mezzogiorno ancor di più, si è sganciata dal treno della rivoluzione tecnologica, restando in buona parte estranea alla riorganizzazione del capitalismo digitale, se si esclude il decentramento produttivo di alcune industrie alla ricerca tattica di economia di costo. È mancata una visione strategica ed ora se ne vedono le conseguenze, dopo una lunga stasi della produttività totale dei fattori.

    Il sistema portuale ha risentito dell’arretramento competitivo nazionale. Non ha colto le opportunità di crescita, mentre si sono sprecati fiumi di inchiostro sull’Italia quale piattaforma logistica del Mediterraneo. Solo l’intuizione di un imprenditore illuminato, quale è stato Angelo Ravano, ha consentito a Gioia Tauro di intercettare parte dello sviluppo mediterraneo del traffico dei contenitori, nel modello del porto di transhipment che ha intercettato i transiti delle navi madre, di dimensione crescente, oggi sino ai 24.000 contenitori per le unità più grandi.

    I monopolisti del settore

    Ora, in un contesto che rende sempre più solidi i monopoli e gli oligopoli, stiamo consegnando capisaldi decisivi del nostro sistema infrastrutturale ai pochi soggetti che detteranno le condizioni al mercato. Nel caso del trasporto marittimo stanno maturando le condizioni per la realizzazione di un oligopolio bilaterale che stringe legami tra vettori marittimi e terminalisti portuali, particolarmente nel settore dei containers.

    MSC è il secondo armatore al mondo, subito dopo Maersk: tra le due aziende si è formata una alleanza che assieme ad altri due raggruppamenti governa quasi il 90% del traffico containers. La stessa MSC sta raggiungendo un dominio particolarmente esteso nei terminal portuali italiani del Mar Tirreno, con il governo dei terminal containers a Gioia Tauro, Napoli, Civitavecchia, Genova.
    Gioia Tauro, che aveva conosciuto nella seconda metà degli anni Novanta ed all’inizio del nuovo millennio una crescita particolarmente robusta, sta tornando in questi mesi ai livelli di traffico precedenti. Proprio l’acquisizione del terminal da parte di MSC, che prima era azionista al 50%, ha determinato un rilancio delle quantità di contenitori concentrate nel porto calabrese.

    Nel disegno della portualita’ italiana che viene tracciato dal PNRR torna di attualità la vecchia tesi delle due “ascelle” portuali settentrionali, rispettivamente collocate nel Mar Tirreno e nel Mar Adriatico, mentre il resto del sistema è visto sostanzialmente in una funzione ancillare.
    Oltretutto, la quota più rilevante delle risorse destinate agli investimenti nella portualità (3,3 miliardi di euro per la durata del PNRR, sino al 2026) è indirizzata per la realizzazione della diga foranea di Genova, con uno stanziamento previsto di 500 milioni di euro, rispetto ad un costo dell’intero progetto pari, secondo le stime più attendibili, a poco meno di 2 miliardi di euro.

    Il ruolo delle ZES

    La novità più significativa, aggiunta nella fase conclusiva della redazione del PNRR, riguarda il rilancio delle zone economiche speciali (Zes). Il Governo di Mario Draghi, per iniziativa del ministro Mara Carfagna, ha assunto, nell’ambito del Decreto Semplificazioni, l’opportuna iniziativa di varare l’autorizzazione unica per insediare nelle Zes nuovo stabilimenti industriali e logistici: rispetto alle 34 autorizzazioni precedentemente necessarie si tratta di un rilevante passo in avanti per attrarre investimenti e rilanciare lo sviluppo. Questo provvedimento si affianca ai 630 milioni di euro previsti per rafforzare l’armatura infrastrutturale delle Zes, portando a circa 4 miliardi il totale delle risorse stanziate per il sistema portuale italiano nel PNRR.

    Lo strumento delle zone economiche speciali, che sono oggi più di 5.000 nel mondo, costituisce una nuova chiave di politica industriale che ha rappresentato la formula di successo dei porti di Tanger Med in Marocco o Shenzhen in Cina. Anche qui, però, non si può pensare che le zone economiche speciali abbiamo successo se il Paese non sarà in grado di intercettare le catene globali del valore con le quali si articola l’economia mondiale. Un solo dato potrebbe aiutare a riflettere: negli anni settanta del secolo passato operavano circa 7.000 grandi aziende multinazionali. Ora questo munero è arrivato a superare quota 140.000: l’Italia, invece, continua ad essere caratterizzata da medie e piccole imprese, se si esclude qualche caso di aziende che però definiamo “multinazionali tascabili”.

    La Cina è vicina

    La danza del cambiamento è guidata dalla grande dimensione, e gli altri soggetti economici sono sostanzialmente vassalli nella struttura delle catene globali del valore. Senza un riposizionamento economico del tessuto produttivo, nazionale e meridionale, sarà davvero molto difficile tornare a contare nel disegno della geopolitica internazionale, composta da poteri economici che strutturano i mercati, determinando una gerarchia concorrenziale.

    Alla base di un disegno strategico così lacunoso sul sistema portuale italiano esiste una carenza di visione geopolitica e geoeconomica. Per l’intera Unione Europea la partita dei prossimi due decenni si giocherà nel Mediterraneo: un quarto dei traffici marittimi mondiali transitano nel Mare Nostrum, all’interno del quale la Cina ha posizionato le due pedine strategiche di posizionamento nel porto del Pireo e nei porti del Nord-Africa. Dal punto di vista militare la Russia e la Turchia stanno progressivamente incrementando la propria sfera di influenza mediante il ricorso ad una presenza militare sempre più visibile, dalla Siria alla Libia.

    L’Ue e il Mediterraneo

    L’Unione Europea non potrà mai aspirare ad un ruolo nel confronto tra le grandi potenze se non sarà in grado di imporre il proprio punto di vista in casa sua, vale a dire nel sistema mediterraneo. L’Italia potrebbe e dovrebbe svolgere questo ruolo, assieme a Francia, Spagna, Grecia. Il Next Generation EU prevedeva non soltanto azioni nazionali dei singoli membri, ma anche interventi trasversali di diverse Nazioni su temi strategici di interesse comune. Che a nessuno sia venuto in mente di costruire un disegno di consolidamento e di sviluppo per il Southern Range mediterraneo è sintomo di una grave debolezza strategica del pensiero comunitario.

    Nulla si dice sulla necessità strategica di potenziare le autostrade del mare tra la sponda nord e quella Sud del Mediterraneo, così come è stato fatto nel Nord Europa, dove questi collegamenti sono finanziati con risorse comunitarie. Sarebbe nell’interesse comunitario intessere una rete fitta di collegamenti marittimi nello spazio mediterraneo per contrastare l’egemonia cinese.

    Le connessioni, oltre alle infrastrutture, giocano un ruolo di assoluto primo piano nella politica commerciale internazionale, perché determinano opportunità di scambio che possono modificare anche la mappa delle relazioni internazionali dalla quale dipende il confronto concorrenziale tra i grandi blocchi economici.
    Si rischia di perdere una grande occasione che riguarda non solo l’Italia, ma l’intera Europa. Nello spazio economico mediterraneo si gioca una delle partite decisive per il posizionamento geostrategico in un mondo che sarà caratterizzato da una globalizzazione sempre più di natura regionale.

    La principale innovazione contenuta nella ultima versione del PNRR riguarda lo stretto legame che si costruisce tra piano degli investimenti e riforme per la modernizzazione. Sin dall’inizio questo principio costituiva un pilastro nelle linee guida del Next Generation EU.
    Anche per l’organizzazione futura dei porti il disegno riformatore sarà un elemento centrale. Sono previsti una serie di interventi importanti per superare gli immobilismi che hanno rallentato la competitività del sistema italiano. Innanzitutto, la semplificazione normativa dovrebbe consentire tempi di attraversamento minori per la realizzazione degli investimenti.

    Poi sarà definito finalmente un regolamento sulle concessioni che si attende dalla legge 84/94, con la definizione dei criteri in base ai quali saranno assegnate ai privati le concessioni delle attività economiche nei porti.
    Si vedrà come saranno superare le resistenze che si preannunziano già per le concessioni turistico ricreative, per le quali oggi esiste una legge nazionale, in ampio e chiaro contrasto con la normativa comunitaria, che prevede una proroga di queste concessioni al 2033.

    Riforme con una visione

    Proprio sul fronte delle riforme si potrà misurare l’efficacia delle azioni previste dal PNRR. Superare l’ingessamento burocratico – che ha sinora impedito una risposta competitiva dei porti italiani rispetto alla evoluzione dei mercati – sarà la sfida fondamentale per consentire al sistema portuale italiano di supportare il tessuto industriale mediante una adeguata organizzazione logistica.
    Resta però la necessità di allargare la vista, e di considerare il futuro della portualità italiana all’interno di un orizzonte più vasto, connettendola al rilancio industriale, alla logistica, al ridisegno delle relazioni internazionali. Non si tratta solo di costruire infrastrutture. È necessario avere una visione.

    E non dobbiamo nemmeno dimenticare che l’economia nazionale continua ad essere caratterizzata da una componente di produzione sommersa ed illegale. I porti rispecchiano anche queste antiche distorsioni del nostro Paese, anche e soprattutto nel Mezzogiorno. Ed i porti italiani, anche quelli meridionali, si caratterizzano per tutta una serie di traffici illegali: dal traffico di armi a quello della droga, dalle esportazioni di rifiuti pericolosi alla importazioni di prodotti contraffatti.

    Stroncare l’illegalità è un requisito indispensabile per rilanciare la portualità nazionale nello scenario dell’economia globalizzata dei nostri tempi. Oggi invece siamo stretti nella doppia gabbia di un modello economico entrato in crisi irreversibile, e di un sistema che spesso funziona andando oltre la soglia della legalità.

    Il sistema a un bivio

    Il combinato disposto di questi due mali conduce alla marginalizzazione dell’Italia e del suo Mezzogiorno. Le ingenti risorse che l’Unione Europea ha deciso di investire in Italia servono proprio a riscrivere i meccanismi di funzionamento del sistema. I prossimi passi sulle riforme saranno davvero decisivi. I primi tre pilastri che stiamo affrontando riguardano la riforma della giustizia, la legge sulla concorrenza, la riforma delle concessioni. Si vedrà dall’esito finale delle votazioni parlamentari se ne usciremo con adattamenti gattopardeschi oppure se, una volta tanto, decideremo davvero di imboccare la strada, difficile ma necessaria, del cambiamento e della trasformazione.