Autore: Pietro Bellantoni

  • Psicodramma grillino in Calabria: aspettando Giggino o Giuseppe

    Psicodramma grillino in Calabria: aspettando Giggino o Giuseppe

    Il loro è un dramma reale, mica scenico. Non aspettano la comparsa del signor Godot, ma che il signor Giuseppe prevalga sul signor Giggino o viceversa. E che uno dei due, alla fin fine, dica loro che tipo di futuro vivranno.

    Quella del M5S è una vicenda per certi versi beckettiana, solo che nel loro caso è tutto perfettamente comprensibile. Non c’è nonsense nella loro storia: attendono impazienti il momento in cui succederà qualcosa. Ammesso che qualcosa possa davvero succedere.

    Su quella isolata strada di campagna si attardano anche gli 11 parlamentari calabresi. Dietro di loro, un albero continua a perdere le foglie, perché il tempo passa, le elezioni sono vicine e nessuno sa bene da che parte andare: stare col signor Giuseppe o con il signor Giggino? Con Conte o con Di Maio? Con il nuovo corso o con i governisti?

    Come i personaggi di Beckett, i pentastellati sono disorientati, vittime della maledetta paura di non essere rieletti. Allora cercano di posizionarsi nel miglior modo possibile. Ma chi può dire quale sia?

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    L’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

    M5S senza una guida politica

    Non è facile scegliere, soprattutto in questo momento di crisi, interna ed esterna. Il Tribunale di Napoli ha rinviato la decisione sul ricorso presentato da Conte per mettere fine alla sua sospensione da leader del Movimento. Per ora, dunque, i 5 stelle sono privi di una guida politica (l’ex premier ha comunque assicurato che si sottoporrà a una nuova votazione) e tutti i problemi restano sul tappeto, irrisolti: l’alleanza progressista con il Pd alle prossime Politiche si farà? Quale sarà la nuova legge elettorale? Infine, la domanda più assillante di tutte: la regola del doppio mandato sarà cancellata o no?

    La questione è dirimente, considerato che le diverse posizioni sul tema hanno contribuito a generare due fazioni distinte, anche in Calabria.

    Di Maio in gran spolvero

    Conte sarebbe contrario all’eliminazione del tetto e favorevole alla possibilità di concedere deroghe solo in casi particolari («Grillo l’ha detto in più occasioni che per lui il doppio mandato è una regola fondativa del M5S»). Dall’altra parte sta Di Maio, che ha attirato nella sua corrente la stragrande maggioranza dei parlamentari che – come lui – sono già al secondo mandato, oltre ai governisti.

    Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio

    La lotta interna è aspra ed è esplosa in tutta la sua virulenza all’indomani del voto per il Quirinale, culminata poi con le dimissioni di Di Maio dal Comitato di garanzia del Movimento. Solo che, oggi, il ministro degli Esteri – a differenza di Conte, la cui buona stella degli esordi pare averlo abbandonato – sembra in grande spolvero, anche per via della guerra in Ucraina che gli sta regalando una straordinaria esposizione mediatica. Una posizione di forza che il capo della Farnesina, giurano i pentastellati che lo conoscono bene, sfrutterà a suo vantaggio al momento opportuno, anche facendosi trovare pronto nel caso in cui l’ex premier dovesse perdere la leadership del Movimento.

    Conte, dal canto suo, sembra aver fatto dell’attendismo e dell’indeterminatezza le sue regole auree. «Non ha una linea chiara sulle questioni, dal green pass alla guerra, passando per la riforma del catasto. Facciamo fatica a seguirlo, siamo come appesi al niente», dice una parlamentare calabrese, parecchio disorientata.

    Chi sta con chi nel M5S

    Malgrado la confusione, anche tra deputati e senatori eletti tra il Pollino e lo Stretto si sono comunque create due fazioni avversarie, i cui rispettivi perimetri sono tuttavia molto sottili e, spesso, invisibili. Quella di Di Maio è nettamente minoritaria, anche se, da qui a breve, gli ultimi eventi, anche internazionali, potrebbero cambiare i rapporti di forza.

    Dalla parte del ministro sta la sottosegretaria Dalila Nesci, la più governista tra i parlamentari calabresi. Decisamente più incerta la collocazione di Alessandro Melicchio. «È un po’ di qua e un po’ di là, anche se in questo momento pende più dalla parte di Conte», osserva un attento osservatore del Movimento.

    Il parlamntare grillino Massimo Misiti con Giuseppe Conte

    Tra i contiani di ferro figurano di certo il cosentino Massimo Misiti, il vibonese Riccardo Tucci e il catanzarese Paolo Parentela.

    Difficile incasellare con certezza l’ex sottosegretaria Anna Laura Orrico e la deputata Elisa Scutellà, entrambe considerate più vicine a Conte che a Di Maio, così come la crotonese Elisabetta Barbuto.

    Indipendenti, quindi non riconducibili a fazioni, i deputati Federica Dieni (anche per via del delicato ruolo di vicepresidente del Copasir) e Giuseppe d’Ippolito (da sempre attestato sulle posizioni di Grillo più che dei capi politici). Tra i fedelissimi di Conte ci sarebbe anche il senatore Giuseppe Fabio Auddino.

    Il grosso del pattuglione calabrese starebbe quindi con il leader tuttora sospeso. «Ma se domani dovesse essere defenestrato, tutti passerebbero subito con Di Maio», rileva un attivista molto ascoltato del Cosentino.

    Paolo Parentela, parlamentare catanzarese del Movimento 5 stelle

    Poche seggiole disponibili

    Al di là dei posizionamenti, i 5 stelle devono fare i conti con il taglio dei seggi in Parlamento – voluto proprio da loro – e con i risultati poco incoraggianti che riguardano la Calabria.

    Alle ultime Regionali – nonostante, con due eletti, sia riuscito per la prima volta a essere rappresentato in Consiglioil M5S ha preso il 6,5%, meno della metà rispetto al già non esaltante dato nazionale, che oscilla dal 13 al 15%.

    La situazione, insomma, è tutt’altro che rosea. Anche per questo i parlamentari aspettano con ansia che uno tra il signor Giuseppe e il signor Giggino prenda la situazione in mano per tempo, facendo il possibile per aumentare i consensi, decisamente in calo, del Movimento. Le Politiche del 2018, quando i 5 stelle sfondarono il muro del 40%, sembrano lontanissime, elezioni di un’altra era geologica.

    Altre avventure fuori dal M5S

    Da allora, tantissime cose sono cambiate e molti degli eletti – in tutto erano 18 – hanno preso altre strade e tentato, non sempre con successo, altre avventure. È il caso di uno dei cinquestelle un tempo più rappresentativi, Nicola Morra, che rischia di rimanere fuori dal Parlamento perché orfano di partito.

    La sua parabola è emblematica e, forse, consiglia prudenza a tutti quelli che sarebbero tentati di abbandonare il dramma stellato per calcare altre scene. Così, non resta che aspettare. Magari domani succederà qualcosa. Magari.

    Fuori dal Movimento 5 stelle. Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra
  • Lega Calabria «in gravidanza», ansia nel Carroccio per il parto di Salvini

    Lega Calabria «in gravidanza», ansia nel Carroccio per il parto di Salvini

    Più che leghisti, sono legati, praticamente immobili. Il capitano Salvini è, o è stato, alle prese con più di una guerra – quella per il Quirinale, quella interna al centrodestra, quella, personale, vinta contro il Covid, quella propagandistica sull’Ucraina – e così ha giocoforza dovuto abbandonare la compagnia calabrese nelle retrovie, a cimentarsi in piccole ma non trascurabili scaramucce interne e ad aspettare una chiamata alle armi che, assicurano i vertici locali, arriverà molto presto. Solo che nessuno sa dire quando.

    Salvini e l’attesa

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    Ciò che tutti i leghisti ripetono, da Reggio a Cosenza, è che Salvini vuol mettere mano al partito calabrese e riorganizzarlo in vista delle Politiche 2023, appuntamento che la Lega non può fallire. Il punto è che bisogna fare presto, pena una trasformazione pericolosa: da Carroccio lombardo a tipico cartoccio calabrese dentro cui rischiano di finire stracotte le ambizioni di un leader che continua a sognare una Lega nazionale, perfettamente radicata anche in Calabria, e il controsorpasso ai danni di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia.

    La «gravidanza» della Lega

    La disattenzione degli ultimi mesi dell’ex ministro dell’Interno ha infatti creato un clima insieme di nervosismo e di attesa per quello che avverrà. Nino Spirlì, leghista doc e fedelissimo di Salvini, non ama le metafore belliche e, per descrivere il momento, ne usa una pediatrica: «La Lega è in gravidanza e, come succede per tutte le gravidanze, anche questa deve essere rispettata fino al giorno del parto».

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    Matteo Salvini e Nino Spirlì

    Di più l‘ex presidente facente funzioni della Regione Calabria non dice, ma è fin troppo chiaro il suo richiamo al travaglio di un partito che aspetta una maieutica e, in definitiva, una verità da cui ripartire. Anche perché il partito è ancora commissariato. E chi bazzica un po’ gli ambienti della Lega calabrese sa bene quanto sia diffuso il malcontento, dei vertici come dei militanti, verso l’operato del capo regionale, Giacomo Francesco Saccomanno, nominato da Salvini giusto un anno fa.

    «Con lui al 4%, senza al 15%»

    L’avvocato che ha preso il posto del deputato bergamasco Cristian Invernizzi – questa l’accusa più diffusa – avrebbe fatto poco o niente per radicare la Lega nei territori e si muoverebbe sulla scena regionale e nazionale in perfetta autonomia, dunque senza un preventivo confronto con i dirigenti locali. «La sua leadership è barcollante, l’80% degli iscritti calabresi la contesta», conferma un dirigente di primo piano. Opinione non verificabile, ma che viene declinata in forme diverse da altri ufficiali del partito.

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    Giacomo Francesco Saccomanno, contestatissimo commissario della Lega in Calabria

    Uno di loro spiega tutto così: «Non abbiamo riscontri nei territori, ampie aree della regione, come quella di Cosenza, sono senza coordinamento. Saccomanno è al timone da un anno, ma ancora la riorganizzazione interna non è partita. Salvini sa tutto e riceve lamentele continue, ma per ora non si pronuncia». Un giovane quadro del partito è perfino più caustico: «Alle prossime Politiche con Saccomanno prendiamo il 4%, senza di lui arriviamo al 15%». «Tanti militanti – conferma un altro big – aspettano le prossime mosse di Salvini. Nel frattempo, tutto rimane apparentemente fermo». E in questo tempo sospeso ognuno tesse la sua tela.

    Chi vuol essere parlamentare?

    È aumentata, in particolare, l’influenza politica di Filippo Mancuso. Quasi anonimo nella scorsa legislatura, il politico catanzarese, con la benedizione di Salvini, è prima diventato presidente del Consiglio regionale, per poi essere indicato da tutto il centrodestra locale come candidato sindaco di Catanzaro.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Il rifiuto colmo di gratitudine, accompagnato da un monito da leader fatto e finito («sono lusingato, ma il centrodestra cittadino ha bisogno di essere opportunamente ripensato»), ha contribuito a far luccicare ancor di più l’aura del già assessore del capoluogo. Che, a parere di molti, tra un anno potrebbe mettere a frutto questo recente successo tentando il grande salto in Parlamento.

    Gli sfidanti interni non mancano di certo. Il primo è lo stesso Saccomanno, a cui non difetta la convinzione di restare al vertice della Lega almeno fino al momento decisivo della compilazione delle liste per Camera e Senato.
    Della partita è, ovviamente, anche l’unico uscente, il lametino Domenico Furgiuele, uno dei primi, in Calabria, a credere nella svolta sovranista di Salvini. Tra i favoriti c’è anche e soprattutto Spirlì, che avrebbe dovuto far parte dell’ormai famigerato ticket con il governatore Occhiuto.

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    Domenico Furgiuele

    Il naufragio di questo accordo, secondo diversi osservatori, lo avrebbe messo in una situazione di credito verso il partito. Del resto, era stato lo stesso Salvini a promettergli pubblicamente «un ruolo determinante sia a livello calabrese che nazionale». Spirlì, dal canto suo, a chi ha avuto modo di parlargli assicura che adesso le sue priorità sono altre dalla politica, e cioè l’arte e la Fondazione Musaba di Mammola, di cui è da poco diventato vicepresidente.

    Chi resterebbe in Calabria

    Chi non sembra interessato al trasferimento nella capitale è il sub commissario regionale Cataldo Calabretta. I bene informati assicurano che il numero uno di Sorical – nonostante i rapporti privilegiati con Salvini – non abbia alcuna intenzione di lasciare la società delle risorse idriche calabresi prima della sua definitiva trasformazione in ente a totale controllo pubblico. Impresa tutt’altro che facile.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Discorso a parte merita Tilde Minasi, che nelle ultime settimane ha messo in mostra qualità tattiche per certi versi inedite. La sua storia è nota: l’assessore regionale, dopo la morte del veneto Paolo Saviane, ha ottenuto un seggio in Senato. Pare che, in accordo con Salvini, abbia infine deciso di restare in Calabria, lasciando così campo libero al vibonese Fausto De Angelis, il quale avrebbe già concordato con i vertici leghisti il suo addio a Fratelli d’Italia e la contestuale adesione al Carroccio.
    Quello di Minasi potrebbe non essere un addio: qualcuno ritiene che, al momento giusto, tornerà in gioco per un posto in Parlamento. I motivi sono almeno due: ha la stima incondizionata di Salvini e, considerato l’obbligo delle quote rosa, è una delle poche leghiste calabresi con una lunga esperienza istituzionale alle spalle.

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    Salvini e Tilde Minasi a spasso

    Salvini prende tempo, gli ufficiali fremono

    Gli ufficiali verdi rimasti nelle retrovie, insomma, fremono come foglie al vento e contano di ricevere ordini nel breve periodo. Salvini, di recente, avrebbe preso tempo e comunicato l’intenzione di convocare un vertice sulla Calabria, al massimo tra un paio di settimane. Probabilissimo ordine del giorno: riorganizzazione interna e candidature. Accontentare tutta la truppa non sarà per niente facile.

  • Fratelli d’Italia, meno di Calabria: la decrescita infelice dei meloniani

    Fratelli d’Italia, meno di Calabria: la decrescita infelice dei meloniani

    Fratelli d’Italia è il primo partito d’Italia o il secondo, dipende dai giorni e dai sondaggi. Le rilevazioni più recenti lo danno attorno al 20%, dietro al Pd di circa un punto percentuale. Il dato consolidato è un altro: alla creatura di Giorgia Meloni è definitivamente riuscito il sorpasso sulla Lega (17%), in calo costante dopo la decisione di Matteo Salvini di entrare nel Governo di salvezza nazionale di Mario Draghi.

    Ma se Fdi è ormai il partito guida del centrodestra – con la sua leader che sogna di diventare premier –, in Calabria arranca vistosamente, al punto di essere una sorta di junior partner non solo del Carroccio, ma soprattutto di una Forza Italia che, pur viaggiando intorno all’8% in Italia, tra il Pollino e lo Stretto sembra rivivere i fasti del 1994.

    Fratelli d’Italia cresce ovunque, tranne in Calabria

    L’exploit del partito berlusconiano, capace, assieme alla lista satellite “Forza azzurri”, di sfiorare il 26% alle ultime elezioni regionali e di esprimere gli ultimi due presidenti di Regione, Jole Santelli e Roberto Occhiuto, è un’anomalia che si può spiegare con la propensione della Calabria ad andare sempre in direzione ostinata e contraria.
    Tendenza che vale anche per Fratelli d’Italia.

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    Wanda Ferro, leader di FdI in Calabria, deve indicare alla coalizione di centrodestra il candidato a sindaco di Catanzaro

    Ancora una volta, a parlare sono i dati: lo scorso ottobre, i fratellisti, con l’8,7% delle preferenze, sono sì riusciti ad arrivare secondi dietro Fi e a staccare, seppur di uno zero virgola, la Lega, ma hanno perso due punti percentuali rispetto alle Regionali del 2020. Insomma, quello di Meloni è un partito che in Calabria, a differenza di quanto succede nel Paese, sta decrescendo. I motivi principali potrebbero essere due: un voluto disinteresse frammisto a una mania del controllo da parte dei vertici romani e un’organizzazione abbastanza approssimativa del partito regionale.

    Le inchieste e il disamore di Giorgia Meloni

    In ambienti di centrodestra si dice che il probabile disamore verso la Calabria di Giorgia Meloni potrebbe essere iniziato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, quando due distinte operazioni antindrangheta finiscono per coinvolgere personaggi di primo piano del partito.
    Prima tocca a Giancarlo Pittelli, inizialmente arrestato con l’accusa associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Rinascita Scott della Dda di Catanzaro. L’imbarazzo della leader di Fdi è enorme perché, nelle ore successive alla mega operazione, esce fuori un suo tweet del 2017 in cui dava il benvenuto nel partito all’ex parlamentare, definito «un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia».

    Nemmeno il tempo di riprendersi dalla botta mediatica-giudiziaria, che un’altra tempesta si abbatte su Fdi, stavolta nel Reggino: un mese dopo le elezioni del 2020, viene spedito ai domiciliari il neo consigliere regionale Domenico Creazzo, accusato di aver ottenuto i voti della cosca Alvaro di Sinopoli. Per Meloni è un’altra batosta che rischia di offuscare l’immagine di un partito che in quel momento ha preso l’abbrivio tanto ricercato; una pubblicità pessima e per di più evitabile, dato che l’allora sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte era transitato in Fdi da poche settimane, dopo essere stato per molto tempo un esponente del Pd.

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    Domenico Creazzo

    Raccontano che, dopo i due arresti eccellenti, l’ex ministro dei governi Berlusconi non abbia più guardato questa regione con gli stessi occhi. E che ne abbia in qualche modo preso le distanze, disponendo al contempo un controllo ferreo sull’intero gruppo calabrese per evitare altri guai o imbarazzi.

    Fratelli d’Italia sotto la tutela di Wandissima

    Tant’è che il partito ancora oggi si trova sotto la tutela della commissaria Wanda Ferro, la persona di maggior fiducia di Meloni a queste latitudini. I risultati, in termini politici ed elettorali, sono però tutt’altro che entusiasmanti, perché al disallineamento dei dati calabresi si aggiungono pure i problemi di autorevolezza di una forza politica che non sembra avere un ruolo attivo nei processi decisionali, in Regione come nelle altre realtà locali. «Inutile negarlo, abbiamo un peso politico minimo se confrontato non solo con quello di Fi, ma anche in relazione alla Lega, che è arrivata terza ma ha strappato posti di comando più prestigiosi dei nostri», confessa un colonnello del Cosentino.

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    Giorgia Meloni e Wanda Ferro

    Il riferimento è al manuale Cencelli usato da Occhiuto per Giunta e Consiglio regionale. Saltato il ticket con Nino Spirlì, a cui sarebbe dovuta andare la vicepresidenza, Salvini ha comunque guadagnato la seconda carica regionale, cioè la presidenza del Consiglio, andata a Filippo Mancuso. A Fratelli d’Italia sono invece toccati solo due assessorati: uno, rilevante, a Fausto Orsomarso (Turismo, marketing e Mobilità), l’altro, decisamente meno ambito, a Filippo Pietropaolo (Organizzazione della burocrazia regionale). Un assessorato, quest’ultimo, «che poteva avere un valore nella Calabria degli anni ’80, non certo ora», riflette un dirigente del Catanzarese, uno di quelli – e sarebbero tanti – che in provincia non hanno affatto gradito la scelta di Ferro.

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    Filippo Pietropaolo, neo assessore regionale nonostante la sconfitta elettorale

    Il caso Pietropaolo

    Pietropaolo, candidato nella circoscrizione Centro, ha infatti fallito l’appuntamento elettorale (4.498 voti), surclassato da Antonio Montuoro (5.241), ma è comunque riuscito a entrare in Giunta, grazie proprio alla spinta decisiva della commissaria regionale. Una mossa che ha scosso e indignato buona parte del partito. «Da noi i dirigenti premiati dagli elettori devono farsi da parte per permettere a Wanda di continuare a dettare legge», spiega con un filo di rancore un esponente di primo piano dei meloniani.

    Tra i delusi non c’è solo Montuoro. Ferro non ha tenuto in considerazione nemmeno le performance elettorali di Luciana De Francescoerede politica della famiglia Morrone – e di Peppe Neri. Entrambi si sono dovuti accontentare di ruoli di secondo piano: rispettivamente, la presidenza della commissione Affari istituzionali e la guida del gruppo in assemblea.

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    Luciana De Francesco

    La delusione di Neri

    Tra i due consiglieri, è soprattutto Neri a masticare amaro, considerato che, nelle ultime due elezioni, ha fatto il pieno di voti senza mai essere indicato per un posto nell’esecutivo. Segno che il suo peso politico, all’interno del partito, è pari allo zero. Secondo i bene informati, il capogruppo reggino – che ha un passato nel centrosinistra di Oliverio e che viene ancora percepito da molti fratellisti come un corpo estraneo – sarebbe stato in corsa fino all’ultimo per la poltrona più alta dell’assemblea regionale, prima di essere affondato dal fuoco amico, cioè dal «no» perentorio dei vertici di Fdi, per la gioia di Mancuso e di un partito alleato ma pur sempre avversario.

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    Giuseppe Neri

    Così come Orsomarso, a caccia di una rivincita dopo aver mancato di un soffio l’elezione alla Camera nel 2018, anche Neri potrebbe tentare il salto in Parlamento alle prossime Politiche. Ma con ogni probabilità dovrà fare i conti con Ferro, una commissaria che non pare troppo amata dai suoi colonnelli. Questi malumori generalizzati sarebbero stati comunicati da tempo a Roma, ma né Meloni né il responsabile dell’organizzazione interna, Giovanni Donzelli, sembrano intenzionati, almeno per il momento, a sostituire la Wandissima calabrese. I problemi interni, però, restano e potrebbero esplodere nei prossimi appuntamenti elettorali.

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    Fausto Orsomarso contava di raggiungere Giorgia Meloni in Parlamento

    La kingmaker senza nomi

    L’operato di Ferro non sta entusiasmando neppure a Catanzaro. La commissaria ha rivendicato da tempo il ruolo di kingmaker nella scelta del prossimo candidato sindaco, che da accordi nel centrodestra spetta proprio a Fdi; eppure, dopo un’attesa di mesi, gli alleati aspettano ancora che faccia un nome. Ad approfittare di questa esitazione è stata ancora una volta Fi, per cui è da tempo schierato il giovane Marco Polimeni.

    Lo stesso Mancuso, nel corso dell’ultimo vertice del centrodestra, è stato indicato in modo compatto come candidato sindaco, ma ha infine declinato l’offerta anche perché la sua eventuale elezione rimetterebbe in discussione gli attuali assetti istituzionali in Regione.

    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Ferro, dal canto suo, ha avuto il suo bel da fare per allontanare da sé più di un sospetto. Diversi esponenti del centrodestra catanzarese sono convinti che la deputata meloniana lavori sottotraccia per il suo avvocato, quel Valerio Donato iscritto al Pd e candidato sindaco alla testa di un costruendo polo civico.

    «Fdi – ammette un quadro del partito – è alle prese con molte fibrillazioni interne che ne limitano la crescita. Ecco perché non andiamo bene come nel resto del Paese. Questa crisi può rientrare, a patto che si cambi rotta al più presto».
    Chissà cosa ne pensa Wanda.

  • Italia Viva: l’Ernestone col partito intorno

    Italia Viva: l’Ernestone col partito intorno

    La domanda assilla chi è solito preoccuparsi di questioni marginali: ma Italia viva, in Calabria, va a destra o a sinistra? Si potrebbe rispondere alla maniera di Guzzanti/Rutelli: «Iv non è di destra né di sinistra, Iv è di Magorno. Se te compri ‘na machina è di destra o di sinistra? È ‘a tua, ahò: se vuoi anda’ a destra, vai a destra, se vuoi anda’ a sinistra, vai a sinistra».

    Il senatore e sindaco di Diamante, il più renziano tra i renziani, a sud del Pollino èpadrone assoluto e conducente unico di quella macchina nuova, ma già malconcia, chiamata Italia viva. Anzi, di più: «Iv, in Calabria, è Magorno», conferma un seguace calabrese dell’ex premier.

    Destinazione Parlamento

     

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    Ernesto Magorno

    Quel macinino, così scassato da non essere nemmeno riuscito a raggiungere le urne alle ultime elezioni regionali, può comunque assolvere la sua funzione più importante: accompagnare Magorno davanti al Parlamento per la terza volta consecutiva, sempre al fianco del leader indiscusso e indiscutibile, Matteo. Le sigle, i partiti, che siano il Pd o Iv, contano nulla. Per «Ernestone» – nomignolo affettuoso che gli sarebbe stato affibbiato dallo stesso Renzi – l’importante è far parte del mitico giglio magico, oggi decisamente appassito dopo anni di assoluto dominio. Fa niente che Italia viva, a due anni e mezzo dalla sua nascita, non abbia messo radici nei territori calabresi e che sia praticamente fuori da tutti i giochi politici, come dimostra la mancata presentazione della lista alle Regionali che hanno incoronato il centrodestra.

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    Paolo Brunetti

    Eppure, il partito di Renzi, dopo la sospensione di Giuseppe Falcomatà, esprime il sindaco di Reggio, la più grande città della Calabria. Ma Iv, finora, si è guardata bene dal rivendicare o supportare l’azione politica del reggente Paolo Brunetti. «Magorno – spiega un militante dello Stretto – lo tratta come fosse un clandestino a bordo, e finora nessuno ha capito perché».
    Il senatore cosentino può anche permettersi di snobbare il sindaco metropolitano, cambia poco: il suo futuro politico è comunque assicurato.

    Renzi blinda Ernestone

    Negli ambienti politici si racconta sempre un episodio che spiega bene il legame del sindaco-parlamentare con l’ex primo ministro. Vigilia delle Politiche 2018: Renzi è ancora segretario del Pd e sta inserendo nelle liste i suoi uomini più fidati. A un certo punto gli viene sottoposto il dossier Calabria. E lui lo approccia con una sola domanda: «Ernestone c’è?». Il Pd calabrese è alle prese con le solite faide tra capibastone che cercano spazio e i responsabili delle liste non sanno ancora rispondere. Renzi taglia corto, perentorio: «Ernestone al primo posto al Senato». Poi va via, disinteressandosi del resto.

    Per Magorno è candidatura blindata, mentre per la maggior parte dei capibastone sono dolori. Se Ernestone è riuscito a spuntarla pure in un bus affollato come quello del Pd, figurarsi se potrà andargli male al prossimo giro – le Politiche del 2023 –, ora che è alla guida della sua piccola utilitaria. «Renzi lo metterebbe al primo posto anche se l’alternativa fosse Obama», assicura divertito un italovivo di primo piano.

    L’amico leale

    Ecco, Iv Calabria è Magorno, politico capace di mille acrobazie ma costante nella sua lealtà a Renzi, anche quando la parabola dell’ex rottamatore ha cominciato a declinare. Pochi giorni fa, in Senato, mentre Renzi arringava l’aula contro i magistrati di Firenze (e non solo), ottenendo infine il voto favorevole che ha sollevato il conflitto d’attribuzione davanti alla Consulta sul caso della Fondazione Open, Ernestone era lì. Proprio dietro di lui, quasi a volerlo proteggere. Sempre sollecito nel battere le mani con enfasi nei passaggi più importanti di un’invettiva che ha poi compattato tutti, esclusi il M5S («attacco della politica alla magistratura? Si vergogni chi lo pensa: stiamo chiedendo che la politica faccia i conti con la realtà») e Leu.

    Dove va Italia Viva?

    Detto del legame indissolubile tra Renzi e Magorno, resta intatta la domanda: dove va Iv? Le adesioni più recenti non aiutano a spiegare il tragitto di un partito dalla natura sempre più incerta. L’ultimo arrivo, in ordine di tempo, è stato quello dell’ex sindaco di Crotone, Ugo Pugliese, in passato vicinissimo ai centristi Flora e Vincenzo Sculco.

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    L’ex sindaco di Crotone, Ugo Pugliese

    Ma a sorprendere è stato soprattutto l’ex pezzo da novanta del Pd vibonese, Brunello Censore, che ha celebrato il suo ingresso in Iv nel corso di un dibattito a Serra San Bruno, il suo feudo, al quale hanno preso parte il presidente nazionale, Ettore Rosato e, manco a dirlo, Magorno. L’ex deputato, dopo aver sottolineato che il ritorno nelle fila renziane «nasce dalla condivisione sulle politiche», ha ipotizzato la nascita di un «grande centro» e si è rammaricato del fatto che «non c’è più una rappresentanza vera dei territori in Parlamento». Malgrado abbia chiarito che «candidature non ne devo più fare», diversi osservatori hanno rilevato come la nuova avventura di Brunello arrivi in un momento favorevole, cioè all’indomani dell’addio della senatrice Silvia Vono, passata a Fi anche – mormorano – per via del pessimo rapporto con Magorno.

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    Matteo Renzi e Brunello Censore

    Brunello o aceto?

    Censore, in pratica, come forse anche Pugliese, sarebbe salito a bordo di Iv per coprire lo spazio che l’ex 5 stelle ha lasciato vuoto nella Calabria centrale, con l’obiettivo di fare il bis in Parlamento. Un attento conoscitore della sua storia politica, tuttavia, è abbastanza scettico: «È stato un Brunello d’annata, ma ormai è aceto…».
    Pure Censore – cosa che lo accomuna a Magorno, segretario mai troppo amato dai dem – è spesso vittima del sarcasmo degli ex compagni di partito. Un dem vecchia scuola sorride e butta giù una perfidia: «Presto chiederà un congresso come fece da noi ed Ernesto lo caccerà via».

    Perché, spazi vuoti o pieni, la tiritera è sempre la stessa: la macchina la guida Ernestone, nessun altro. Vale dunque poco la presa di posizione di un giovane renziano come il consigliere provinciale di Cosenza Alessandro Porco, convinto che Iv debba essere «un partito di centrosinistra».
    Magorno ha svoltato a destra con decisione, malgrado lo stesso Renzi, a Roma, sia al lavoro per verificare la possibilità di costruire un «campo largo» con il Pd e altri centrini.

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    Foto di gruppo in casa Iv: Magorno è il più a destra di tutti

    La corte al centrodestra

    Il senatore calabrese, invece, ha dichiarato pubblicamente di aver sostenuto il centrodestra del governatore Roberto Occhiuto e si è addirittura proposto come candidato di coalizione per la presidenza della Provincia di Cosenza. Anche questa mossa ha scatenato gli sfottò di alcuni ex compagni d’armi: «Vuole andare dall’altra parte a tutti i costi, ma non lo vogliono». Affermazione sensata, visto che il centrodestra cosentino ha poi candidato la sindaca di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro.
    Poco male, per Ernestone: è al volante di Italia Viva e viaggia spedito verso il tris, con la benedizione di Matteo. Molto male per gli altri aspiranti parlamentari: un partito fermo al 2,4% rischia di essere solo una monoposto.

  • Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    «Vorrei che la gente pensasse che ho cuore e talento che non derivano dai miei occhi blu». Gianluca Gallo è un po’ il Paul Newman della politica calabrese: non si può dire che non abbia cuore, o che gli faccia difetto il talento, o che non abbia gli occhi blu. O che – ma questo non c’entra con il divo hollywoodiano – la sua presenza non provochi fastidio e inquietudine al presidente della Regione.
    Già, perché in una regione appena entrata nell’era Occhiuto, Gallo è, potenzialmente, l’angelo ribelle che rischia di essere scacciato proprio perché la sua presenza rappresenta una minaccia per il nuovo dominio.

    Faccia d’angelo e tanta ambizione

    Ha la faccia da serafino, il sorriso aperto e sfuggente, i colori chiari che suggeriscono fiducia. Guai a fidarsi, però: l’assessore all’Agricoltura è determinato al punto da essere spietato, ambizioso fino a diventare quasi avventato; ma è anche cauto e sa quando è il momento di tirare il freno, di aspettare.
    In questi ultimi tre mesi, ha fatto della dissimulazione la sua cifra politica: presente, sempre e comunque, là dove accadono le cose e dove le decisioni avvengono, ma senza far rumore, senza nemmeno tentare di rubare il proscenio al caudillo del momento, quell’Occhiuto che, nella lotta per la conquista della Cittadella, lo ha battuto e vinto.
    Per ora, solo per ora.

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    Gianluca Gallo (a destra) con Roberto Occhiuto (al centro)

    La grande nicchia di Gianluca Gallo

    Gallo si sta facendo andar bene la sua grande nicchia, al cui interno c’è tutta la filiera agricola che rappresenta la spina dorsale di una regione che si vuole turistica e industriale, ma che è legata alla terra in modo indissolubile, con i suoi braccianti, i suoi piccoli proprietari, le tante e tante imprese che alla Regione chiedono soldi e attenzione.
    Gallo è lì, al vertice di questo microcosmo produttivo che può disporre di centinaia e centinaia di milioni di euro provenienti da Psr, Pnrr e non solo.

    È sempre sul pezzo, ogni giorno, tutti i giorni: dalla tutela del tartufo a quella del vino, dalla lotta alla processionaria alla salvaguardia dei boschi e delle aziende ittiche, dall’organizzazione del Vinitaly ai preparativi per il salone dell’agroalimentare di qualità. E tanto altro ancora. Si trova tutto sulla sua pagina Facebook, diventata uno straordinario strumento di promozione personale. Gallo alterna i post dedicati alla caccia e alla pesca a quelli più privati e pop. Ecco l’assessore mentre beve un bicchiere di vino, in posa su un campo di calcio con il figlio, intento a giocare a ping pong, su una giostra a cavalli.

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    L’assessorato stretto

    La narrazione social sembra funzionale a un progetto politico più ampio e a lunga scadenza. Il personaggio, del resto, non è di quelli che si accontentano. Fino all’ufficializzazione della candidatura alla presidenza della Regione, Gallo ha fatto le sue mosse per strappare la nomination finale del centrodestra, ma si è dovuto arrendere a un Occhiuto posizionato molto meglio nello scacchiere romano.
    Chi lo conosce bene, tuttavia, è pronto a scommettere che le ambizioni dell’assessore sono ancora vive, tutt’altro che sopite. E, anche se la realtà visibile racconta il suo low profile quotidiano, la sua subalternità accettata, è molto probabile che Gallo si senta così, che intimamente si veda e si rappresenti come l’anti-Occhiuto in attesa del suo riscatto.

    Il capo dell’agricoltura calabrese, dopo la morte della presidente Jole Santelli, aveva accarezzato l’idea di succederle, muovendosi su e giù per la Calabria quasi come un erede designato in attesa dell’incoronazione ufficiale. Certo è che, prima di accarezzare quel sogno, “faccia d’angelo” ha vissuto successi ma anche crisi che rischiavano di chiudere anzitempo la sua carriera, salvata solo da quell’ambizione sfrenata e comunque sufficiente a tenerlo a galla anche quando tutto sembrava finito.

    La carriera di Gianluca Gallo

    Sposato, padre di due figli, cattolico, avvocato, democristiano, poi Cdu, poi Udc, due volte sindaco della sua città, Cassano allo Ionio. Nel 2010, entra in Consiglio regionale con lo Scudocrociato. Quando quel mondo crolla, è tra i promotori di un avvicinamento dell’Udc al centrosinistra di Mario Oliverio. L’accordo, però, non si chiude per colpa del governatore.
    E Gallo se la lega al dito, anche perché è costretto a riabbracciare un centrodestra votato a sconfitta certa e a candidarsi nella lista Casa delle libertà. Infatti, arriva secondo, con quasi tremila voti di distacco dall’unico eletto, Giuseppe Graziano. Non dimenticherà nemmeno questo fallimento. Gallo è fuori gioco, la sua storia politica sembra arrivata all’ultima pagina. È a questo punto che ne esce fuori la tempra.

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    Il consigliere regionale dell’Udc, Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Ingaggia una battaglia legale contro Graziano che arriva fino alla Corte costituzionale. A tre anni dal voto, la Corte d’appello di Catanzaro dichiara la decadenza del comandante del Corpo forestale (che aveva violato le regole sull’aspettativa). Gianluca Gallo può rientrare in Consiglio. Sa che manca poco alla fine della legislatura e non perde occasione per farsi pubblicità attaccando un Oliverio che, agli occhi dei calabresi, ha ormai esaurito ogni credito politico. Nel frattempo, l’ex sindaco diventa coordinatore provinciale di Forza Italia nel Cosentino. È un’altra svolta, perché inizia a rafforzare la sua rete.

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    Gallo nostromo

    Alle Regionali del 2020, i 6.500 voti ottenuti cinque anni prima diventano 12mila. Santelli lo mette a capo della grande nicchia agricola. E lui – a bordo delle sue amate Alfa Romeo – inizia a girare in lungo e in largo la Calabria. Cacciatori e pescatori lo amano, i produttori pure. È difficile trovare un titolare di azienda vitivinicola, florovivaistica o avicola che non lo abbia incontrato almeno una volta o che non ne riconosca i meriti. Anche perché, dalla cabina di comando della Cittadella, Gallo fa principalmente una cosa: sblocca pagamenti, decine e decine di milioni di euro distribuiti a pioggia in una terra arida di risorse.

    L’endorsement non basta: Fi punta su Roberto Occhiuto

    L’assessore, più che i canali ufficiali, usa i social per annunciare la distribuzione dei nuovi fondi. Instillando nel suo pubblico l’idea che, quasi quasi, quei soldi provengano direttamente dalle sue tasche. Tra tour continui nelle aree produttive della regione e i rubinetti dei finanziamenti sempre aperti, la popolarità di Gianluca Gallo cresce a dismisura. La fine anticipata della legislatura lo trova pronto per la grande prova, ma serve un endorsement di peso. Si dice che il suo principale sostenitore sia stato l’allora arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nonché presidente della Conferenza episcopale calabra, Vincenzo Bertolone.

    Vincenzo Bertolone, già arcivescovo di Catanzaro-Squillace

    L’unica certezza è che Gallo deve infine ritirarsi in buon ordine per lasciare tutti gli applausi a Roberto Occhiuto. Forse, a quel punto, all’entusiasmo della sfida subentra la paura delle possibili reazioni del vincitore, conosciuto negli ambienti della politica per il suo «carattere vendicativo». «Gallo – racconta un’autorevole fonte del centrodestra – era sicuro di essere rieletto, ma temeva di non essere confermato in Giunta per via delle sue manovre per la candidatura alla presidenza. Così si è impegnato al massimo per un risultato che non lasciasse alternativa al nuovo governatore».

    Il record di voti in Calabria

    I 12mila voti del 2020, in poco più di un anno, diventano allora 21mila, un record incredibile su cui si sono appiccicati diversi sospetti. In primis, quelli del vecchio nemico, Oliverio: «Alcuni assessorati si sono trasformati in bancomat». Pronta la risposta di Gallo, che sa di tremendissima vendetta per quel no ricevuto nel 2014: «Oliverio farebbe bene a impegnarsi per comprendere le ragioni del suo disastro elettorale».
    Il potente assessore, anche Graziano lo sa, è uno che non dimentica mai i torti e le delusioni. Occhio agli occhi blu, Occhiuto.

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    Gianluca Gallo festeggia a Cassano la rielezione in consiglio regionale con oltre 21mila preferenze

     

  • Quattro anni e non sentirli: le pagelle dei calabresi in Parlamento

    Quattro anni e non sentirli: le pagelle dei calabresi in Parlamento

    Hanno superato il momento più difficile: l’elezione del Presidente della Repubblica. Ce l’avesse fatta un altro al posto di Sergio Mattarella, tipo un signore di nome Mario, sarebbero stati dolori, causati dallo spettro del voto anticipato.
    Invece, i parlamentari l’hanno sfangata anche stavolta, dopo aver superato un rischio analogo in occasione della crisi scatenata da Salvini al Papeete, da cui è nato il Conte II, e dalla mossa del cavallo di Renzi, che ha poi dato i natali al Governo Draghi.

    Il passato è passato, ora bisogna pensare al presente e all’anno che manca alla fine della legislatura. Sarà una lunga campagna elettorale durante la quale deputati e senatori faranno di tutto per accaparrarsi i posti sopravvissuti al taglio determinato dalla legge costituzionale del 2020: restano “solo” 400 scranni a Montecitorio e 200 a Palazzo Madama. La Calabria sarà rappresentata da 13 deputati (oggi sono 20) e sei senatori (10). Come nel gioco delle sedie musicali, qualcuno – più di qualcuno – resterà in piedi.

    Chiosa demagogica: se le cose stanno così, bisogna votare bene, al prossimo giro. Ecco quindi il pagellone semiserio dei 31 parlamentari e mezzo (c’è Tilde Minasi che non ha ancora deciso) della Calabria. I giudizi, oltre che sintetici, sono insindacabili come quelli di Alessandro Borghese in 4 Ristoranti, anche se non possiedono la capacità di confermare o ribaltare alcunché.

    Abate, Rosa Silvana (senatrice, Misto):

    È un effetto della valanga grillina che, nel 2018, spazzò via parte della vecchia classe dirigente. La sua invece rimane una faccia nuova, al punto che quasi nessun calabrese la riconoscerebbe per strada. Sulla sua pagina Fb si descrive così: «Mi occupo di agricoltura, pesca, trasporti e sanità». Ineffabile. Voto 6 di incoraggiamento.

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    Rosa Silvana Abate

    Auddino, Giuseppe (senatore, M5S):

    Nel 2010, da candidato in una lista civica legata al Pci, non era stato eletto nel Consiglio di Polistena. Ha presentato un disegno di legge per il divieto di fumare fuori dai locali pubblici e in spiaggia. È il Sergio Cammariere del Parlamento. Sosia. Voto 6 per l’intonazione.

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    Giuseppe Auddino

    Barbuto, Elisabetta (deputata, M5S):

    Chiede da tempo le bonifiche post-industriali nel Crotonese. Su Fb non arriva a 4mila amici: troppi post impegnati e nemmeno un meme. I suoi comunicati chilometrici provocano smoccolamenti nelle redazioni calabresi. Professorale. Voto 6,5 per l’austerità.

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    Elisabetta Barbuto

    Bruno Bossio, Enza (deputata, Pd):

    Sembra che stia in Parlamento da una vita, e ci starà ancora a lungo se, con il marito Nicola Adamo, continuerà a dettare legge nel Pd cosentino. In questa legislatura ha rafforzato le sue posizioni garantiste. Del procuratore Gratteri ha detto: «Arresta metà Calabria. È giustizia? No è solo uno show». Scontri anche con De Magistris. Barricadera. Voto 6 per la tenacia.

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    Enza Bruno Bossio

    Caligiuri, Fulvia (senatrice, Fi):

    Ha strappato il seggio calabrese a Matteo Salvini. Era l’agosto 2019 e da quel momento il leader della Lega non ne ha più imbroccata una. Effetto Papeete. Voto 7 per la reazione a catena.

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    Fulvia Caligiuri

    Cannizzaro, Francesco (deputato, Fi):

    Ogni settimana annuncia l’arrivo di vagonate di milioni per la provincia di Reggio. Dove c’è l’azione, c’è lui. Voleva fare il governatore al posto di Occhiuto e poi anche il coordinatore regionale del suo partito. È giovane e si farà. Furia aspromontana. Voto 6 per l’ambizione.

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    Francesco Cannizzaro

    Corrado, Margherita (senatrice, Misto):

    Dopo l’addio al M5S, si è candidata a sindaco di Roma. Ha preso 618 voti, lo 0,06%. Incommentabile. Voto 4 per l’imbarazzo.

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    Margherita Corrado

    D’Ippolito, Giuseppe (deputato, M5S):

    Si batte per inasprire le norme di controllo nella filiera di rifiuti. Suo il disegno di legge costituzionale per abolire il pareggio di bilancio sulle spese sanitarie. Sembra il gemello dell’ex ministro Giovanni Maria Flick. Arcigno. Voto 6 per la somiglianza.

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    Giuseppe D’Ippolito

    Dieni, Federica (deputata, M5S):

    È vicepresidente del Copasir, l’organo che controlla l’operato dei servizi segreti. Ha la responsabilità di dossier delicati per la sicurezza nazionale e dunque, a differenza di molti suoi colleghi a 5 stelle, non crede nelle scie chimiche e nemmeno nei chip sottocutanei. Istituzionale. Voto 7 per la serietà.

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    Federica Dieni

    Ferro, Wanda (deputata, Fdi):

    È la commissaria regionale del partito di Giorgia Meloni ma delle liste elettorali si occupa sempre qualcun altro. È la kingmaker di Catanzaro ma non vuole fare il nome del candidato sindaco. In compenso, pubblica un sacco di foto sfocate su Fb. Mossa. Voto 4 per la confusione.

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    Wanda Ferro (sfuocata)

    Forciniti, Francesco (deputato, Misto):

    Avvocato, è il Di Battista calabrese. Infatti non perde occasione per perculare il M5S, nelle cui file è stato eletto. Nemico giurato della Bce, dei poteri forti e delle lobby. Grillino ante litteram. Voto 6 per la convinzione.

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    Francesco Forciniti

    Furgiuele, Domenico (deputato, Lega):

    È il protoleghista calabrese, il primo, a queste latitudini, a credere nella svolta nazionale di Salvini. Poi le inchieste che hanno riguardato lui e alcuni membri della sua famiglia ne hanno appannato l’appeal agli occhi del Capitano (e non solo ai suoi). Lui continua a sgomitare a Montecitorio e a indossare abiti che non passano inosservati. Dandy lametino. Voto 6 per l’intraprendenza.

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    Domenico Furgiuele

    Gentile, Andrea (deputato, Fi):

    Rampollo di uno dei casati politici più potenti della storia calabrese, è arrivato in Parlamento dopo l’elezione a presidente di Regione di Roberto Occhiuto, per cui stravede. Proprio come il governatore, anche lui, in un’intervista al Quotidiano del Sud, ha fatto un bilancio dei suoi primi 100 giorni alla Camera. Ha più o meno ammesso di aver combinato poco, ma sono dettagli. Gentile never die. Voto 5 per la dynasty.

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    Andrea Gentile

    Granato, Bianca Laura (senatrice, Misto):

    Può contare su un esercito di 67mila follower. È un’icona dei no vax. Sostiene che ci siano troppe morti sospette tra i guru negazionisti e che il super Green pass sia un colpo di Stato. Dice che esistono i nazisanitari e che i «vaccini sono la malattia». Ha pubblicato sulla sua pagina Fb il video choc del docente che si è dato fuoco a Rende. Ha sorriso solo quando Berlusconi l’ha chiamata, presentandosi come il «signore del bunga bunga». È Vulvia di Rieducational channel. Voto 3 per il complottismo.

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    Bianca Laura Granato

    Magorno, Ernesto (senatore, Iv):

    È più renziano di Renzi, perfino più spericolato di lui. Si è autocandidato per il centrodestra alla presidenza della Provincia di Cosenza. Ha sostenuto Occhiuto alle Regionali. Nel giglio magico lo chiamano «Ernestone». Mutante. Voto 7 per la disinvoltura.

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    Ernesto Magorno

    Mangialavori, Giuseppe (senatore, Fi):

    Ha la faccia da bravo ragazzo, ma chi lo conosce giura che l’estetica non dice nulla del suo carattere. Il ricorso di Wanda Ferro lo aveva estromesso dal Consiglio, ma da allora ha scalato il partito di Berlusconi (oggi ne è il coordinatore regionale) e ha vinto tutte le elezioni in cui si è impegnato. Revenant. Voto 7 per la cazzimma.

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    Giuseppe Mangialavori

    Melicchio, Alessandro (deputato, M5S):

    Faccia acqua e sapone, ha proposto il commissariamento del liceo di Castrolibero dopo i casi di molestie. Giuseppe Conte lo ha cazziato pubblicamente per aver votato con le opposizioni sulle pregiudiziali di costituzionalità della riforma della giustizia: «Ha esercitato libertà di incoscienza». Duro e puro. Voto 6 per gli occhi azzurri.

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    Alessandro Melicchio

    Misiti, Carmelo Massimo (deputato, M5S):

    È il coordinatore calabrese del Movimento. Parlamentare tra i più attivi, ha presentato una proposta per la riorganizzazione di tutti i servizi di emergenza. Insomma, è un politico preparato. Anomalo. Voto 6,5 per la professionalità.

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    Carmelo Massimo Misiti

    Morra, Nicola (senatore, Misto):

    Ha lasciato il Movimento ma non la commissione Antimafia. Filosofo citazionista e manicheo, giustizialista, è un acerrimo nemico della massoneria deviata, per cui il cappuccio che ha messo nel corso del suo blitz negli uffici dell’Asp di Cosenza è tutta un’altra cosa. Sarà ricordato per le parole irripetibili su Jole Santelli ma anche per la battaglia sulla qualità del mangime nel canile di Donnici. Savonarola. Voto 2 per il fondamentalismo.

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    Nicola Morra

    Nesci, Dalila (deputata, M5S):

    Sottosegretaria per il Sud, da mesi è in pellegrinaggio per far conoscere a tutta l’Italia i Contratti istituzionali di sviluppo. Da neo-governista, ha quasi dimenticato le sue battaglie a favore della sanità calabrese. Smemorata. Voto 5 per la metamorfosi.

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    Dalila Nesci

    Orrico, Anna Laura (Deputata, M5S):

    Già sottosegretaria ai Beni culturali, ha alzato la voce per la tutela del centro storico di Cosenza, prima di dedicarsi a un silenzio quasi religioso. Mistica. Voto 5 per l’afasia.

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    Anna Laura Orrico – I Calabresi

    Parentela, Paolo (deputato, M5S):

    Fervido sostenitore dell’apicoltura, è tra i principali artefici della legge sul biologico. A Catanzaro sostiene la candidatura di Nicola Fiorita, che potrebbe non averla presa benissimo. È al secondo mandato e aspetta la deroga di Grillo. Speranzoso. Voto 6 per l’acconciatura.

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    Paolo Parentela

    Sapia, Francesco (deputato, Alternativa):

    È il picconatore calabrese: ha ingaggiato lotte senza esclusione di colpi per la sanità e la trasparenza amministrativa. Ha definito Draghi «quel gesuita». Cossiga. Voto 8 per l’irriducibilità.

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    Francesco Sapia

    Scutellà, Elisa (deputata, M5S):

    Tiene moltissimo alla piccola stazione ferroviaria di Rossano. Gli addetti ai lavori faticano a riconoscerla. Eterea. Voto 5 per il camuffamento.

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    Elisa Scutellà

    Siclari, Marco (senatore, Fi):

    Amico e sostenitore di lunga data del coordinatore azzurro Tajani, si occupa prevalentemente di sanità. L’inchiesta Eyphemos e la condanna per il presunto appoggio elettorale ricevuto dalla cosca Alvaro di Sinopoli ne hanno stoppato ogni iniziativa. Inespresso. Voto 5 per le circostanze.

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    Marco Siclari

    Stumpo, Nico (deputato, Leu):

    È talmente “romano” che in pochi ricordano la sua elezione in Calabria. In occasione del voto per il Quirinale è stato incluso tra i «pallottolieri», gli uomini macchina che conoscono tutti i segreti dell’urna. È un grande sostenitore del ministro Speranza. Sinistroide. Voto 5 per il disinteresse.

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    Nico Stumpo

    Torromino, Sergio (deputato, Fi):

    A Montecitorio per volontà altrui. Domenico Giannetta doveva scegliere tra il seggio alla Camera e quello al Consiglio regionale. Ha optato per quest’ultimo, in una legislatura durata poco più di un anno, e ora è fuori dalle istituzioni. Torromino, invece, è ancora in gioco e cerca una riconferma. Casuale. Voto 6 per la buona stella.

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    Sergio Torromino

    Tripodi, Maria (deputata, Fi):

    Open Parlamento ricorda che si occupa di personale militare, marina, esercito, terrorismo e potere legislativo. La provincia reggina che l’ha eletta, invece, non sembra entusiasmarla più di tanto. I maligni ritengono che ecceda con l’uso dei filtri nelle sue foto. Ringiovanita. Voto 4 per l’assenza.

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    Maria Tripodi

    Tucci, Riccardo (deputato, M5S):

    Su di lui pende una richiesta di rinvio a giudizio per frode fiscale che ne ha limitato lo slancio. Viene descritto come un contiano di ferro. In passato è stato “facilitatore regionale alle relazioni interne” del Movimento. Incomprensibile. Voto 5 per la difficoltà.

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    Riccardo Tucci

    Viscomi, Antonio (deputato, Pd):

    Ha sfruttato il lockdown per partecipare a webinar di ogni tipo. È un cattedratico che ha saputo costruire buoni legami nella capitale. Tra i pochi politici calabresi a usare Twitter, è uno dei più autorevoli rappresentanti del Pd. Infatti si dice che i big del partito calabrese vorrebbero farlo fuori (politicamente). Resistente. Voto 6,5 per la compostezza.

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    Antonio Viscomi

    Vono, Silvia Gelsomina (senatrice, Fi):

    Ha studiato e messo in pratica il camaleontismo mastelliano. È stata in Italia dei valori, in una lista vicina al Pd, nel M5S, in Italia viva e, da poche settimane, è in Fi. Non classificabile. Voto 10 per il trasformismo.

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    Silvia Gelsomina Vono

    Minasi, Tilde: (senatrice, Lega):

    La mattina del 5 ottobre era fuori da tutto. Poi Occhiuto l’ha ripescata per la sua Giunta, prima di essere proclamata anche in Senato. Aspetta indicazioni da Salvini, ma nel frattempo è passata dal votare le delibere del governatore al voto per il Presidente della Repubblica. Double face. Voto 8 per la tenuta mentale.

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    Tilde Minasi
  • D’accordo su tutto, tranne che sul Pd: l’unità finta dei democrat calabresi

    D’accordo su tutto, tranne che sul Pd: l’unità finta dei democrat calabresi

    L’unità, che bella cosa, era pure il nome del giornale di famiglia. L’istituto del commissariamento, invece, è un male antidemocratico. Per il Pd nazionale sono due verità incontrovertibili, a patto che in gioco non ci sia la Calabria. Sotto al Pollino, l’unità diventa un diktat tartufesco, il commissariamento un’arma da brandire alla bisogna.
    Il congresso regionale, già celebrato, e quelli provinciali, che si svolgeranno dal 18 febbraio, sono lì a dimostrare la relatività di tutte le cose dem. Un osservatore esterno, ad esempio, potrebbe domandarsi perché mai, in una comunità democratica come quella del Pd, l’unità diventi necessariamente una sorta di obbligo ineludibile di stampo leninista.

    Missione unità: tutti con Irto

    È avvenuto anche in occasione dell’elezione del nuovo segretario regionale, Nicola Irto, imposto dai vertici romani e poi accettato – non sempre con entusiasmo – da tutti i maggiorenti locali. A Irto il Nazareno ha affidato un mandato chiaro: realizzare l’«unità» pure nelle federazioni provinciali e nei circoli cittadini. Il segretario, ormai da settimane, è al lavoro per ridurre al minimo i conflitti e arrivare a «sintesi» in ogni territorio, con l’obiettivo di schierare candidati «unitari» in tutti i congressi e di ridurre a zero le faide e, quindi, i problemi per Roma.

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    Nicola Irto

    Le preoccupazioni del Nazareno

    Il Nazareno, infatti, segue sempre lo stesso modus operandi: liquidare la pratica Calabria senza conseguenze e, in caso di rischi troppi alti, affidare la guida del partito a persone di assoluta fiducia come i commissari esterni.
    Il Pd regionale, dalla sua nascita, ne ha avuti tre – Musi, D’Attorre e Graziano –, tutti arrivati con la regola d’ingaggio di mettere ordine nei vari «feudi» regionali (copyright: Irto). Missione sempre fallita: il partito era ed è tuttora balcanizzato.
    Una consapevolezza di tutte le segreterie dem, sempre pronte a prendere le distanze dalla “democrazia” interna del Pd calabrese. Così, ecco i commissari a fare il coperchio di una pentola a pressione; così, adesso, ecco Irto, il candidato unico benedetto da Roma, e i congressi in perfetto stile sovietico.

    Ma quale democrazia reale

    «L’unità è un valore, ma solo se è vera. Qui invece la si impone per evitare scandali», sostiene un autorevole rappresentante istituzionale del Pd. Si fa presto a dire quali scandali: le primarie farlocche, i pacchi di tessere nelle mani dei ras locali, i candidati controversi per parentele o frequentazioni. La cronaca politica (e giudiziaria) degli ultimi anni ha fornito molti esempi che in qualche modo possono aver giustificato le azioni dei vari Bersani, Zingaretti, Letta e via dicendo.

    Unità fake

    Quella predicata e realizzata è solo un’unità posticcia, un fake politico; un’unità imposta a chi poteva scegliere di evitare commissari peggiori. Irto, in fondo, è stato accolto di buon grado: giovane, moderato, con una buona esperienza alle spalle, aperto al dialogo e al compromesso, mai divisivo. In più, meno di un anno fa era stato candidato governatore con la benedizione di tutto il partito calabrese, prima di essere silurato dall’area Orlando-Provenzano (quindi l’intervista a L’Espresso e le accuse a un partito sempre più «in mano ai feudi»).

    È probabile, tuttavia, che l’unità attorno a Irto, più che reale, sia stata tattica: il modo migliore che i big locali hanno trovato per togliersi di torno Graziano, il commissario capace di inanellare una lunga serie di disastri elettorali.
    Le alternative poste in modo implicito dal Nazareno, infatti, erano solo due: l’accordo (Irto) o il regime speciale (Graziano). L’unità diktat e il commissariamento arma, appunto.

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    Stefano Graziano

    La guerra nelle federazioni

    Sono state queste le opzioni in gioco anche nelle varie federazioni locali, torri di Babele in cui ogni corrente continuerà a perseguire i propri scopi.
    A Cosenza si arriverà a un congresso con un vincitore già designato dopo una guerra muscolare tra il commissario uscente, Francesco Boccia, e i vari capataz provinciali. Alla fine, l’ha spuntata proprio l’ex ministro, che è riuscito a imporre Maria Locanto a dispetto dei desideri dei vari Adamo, Bruno Bossio, Guccione e Iacucci, che sostenevano Vittorio Pecoraro.

    Pare che Boccia, per vincere la partita, abbia messo i dirigenti locali di fronte al classico aut aut: o Locanto o rinvio del congresso, cioè ancora commissariamento. Si può chiamare unità di partito? Non proprio, anche perché è poi saltata fuori la candidatura dell’outsider Antonio Tursi, che potrebbe catalizzare il voto degli scontenti.

    Vibo a Di Bartolo

    A Vibo sembravano pronti ad andare ai materassi, ma anche qui sarà congresso unitario con un unico candidato, il ventenne Giovanni Di Bartolo. Il suo avversario, Sergio Rizzo, pochi giorni fa ha annunciato il ritiro sottolineando l’importanza di «seguire la linea tracciata» da Irto. L’esito, però, non nasconde la realtà di un partito lacerato dalle tensioni interne, come dimostra l’atteggiamento ondivago dell’ex consigliere regionale Luigi Tassone, candidato, poi sostenitore di Di Bartolo, poi ricandidato e infine di nuovo al fianco del futuro segretario. «È un’unità di facciata, perché tutti i dirigenti hanno capito che, senza una soluzione comune, toccherà ancora al commissario», conferma uno che conosce bene le dinamiche in atto tra i dem vibonesi.

    Analisi, questa, che trova riscontri nella guerra per la segreteria cittadina. Francesco Colelli, sostenuto da Tassone, sfiderà Claudia Gioia, rappresentante dell’area del consigliere regionale Raffaele Mammoliti. Tassone e Mammoliti non possono certo essere definiti due amiconi e, secondo più di un osservatore, venderanno cara la pelle.

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    Raffaele Mammoliti

    La vendetta di Falcomatà

    Sarà un congresso dall’esito scontato anche a Reggio, ma il futuro segretario provinciale, Antonio Morabito, si troverà a guidare un partito lacerato. Secondo gli accordi romani, la scelta del candidato unico toccava a Giuseppe Falcomatà. Il sindaco metropolitano (oggi sospeso) si sarebbe però visto bocciare tutti i nomi proposti, per poi essere quasi costretto a dire sì a Morabito, la cui famiglia è storicamente vicina a Irto. E adesso c’è chi giura che, presto, Falcomatà potrebbe passare al contrattacco. La città dello Stretto non è insomma il regno dell’armonia sognato da qualcuno.

    Giuseppe Falcomatà

    Lotta dura a Catanzaro

    Fervono le trattative anche a Catanzaro, dove nemmeno la presenza di Boccia avrebbe sortito effetti ecumenici. Fino all’ultimo verrà tentata una mediazione tra i due candidati in campo, Salvatore Passafaro, sostenuto dai circoli cittadini, e Domenico Giampà, appoggiato dai consiglieri regionali Ernesto Alecci e Mammoliti.
    Finora è stata una lotta senza esclusione di colpi e carica di veleni, con l’area di Passafaro che ha anche accusato la commissione di garanzia di strane manovre nella suddivisione dei collegi per il voto e Giampà inflessibile nella volontà di non fare un passo indietro per favorire un candidato di superamento. «Nessuno vuol trovare una mediazione, vogliono la guerra», commenta un esponente del Pd cittadino.

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    Salvatore Passafaro

    Il clima generalizzato è questo. A Crotone lo scontro al congresso provinciale è stato evitato solo al fotofinish: Sergio Contarino si è ritirato per lasciare campo libero a Leo Barberio. Pace fatta, dunque? No, perché la contesa si è solo trasferita a un livello più basso, al congresso cittadino. Annagiulia Caiazza, corrente Barberio, sfiderà Mario Galea, area Contarino.
    Del resto, è una fatica di Giobbe tenere unito ciò che non lo è. Sembra di vederlo, Irto, mentre implora il suo partito con la battuta cult dell’ultimo film di Sorrentino: «Non ti disunire!». Ma ci vorrebbe proprio la mano di Dio.

  • Una poltrona per quattro: Catanzaro, dove la politica è sottosopra

    Una poltrona per quattro: Catanzaro, dove la politica è sottosopra

    Avviso ai lettori: abbandonate ogni categoria politica nota e armatevi di santa pazienza, unico modo per capire questa storia.
    Se vi è capitato di vedere Stranger things, la fortunata serie di Netflix, beh, potreste essere avvantaggiati, perché anche qui si racconta di un mondo parallelo, di un Sottosopra che inquieta, di una città in cui tutto è deformato.
    Succedono strane cose nella Catanzaro che si appresta al voto.

    Catanzaro sottosopra

    Proviamo a sintetizzare, ma attenti, perché il rischio che vi giri la testa è davvero alto.
    Via: il Pd, in accordo con il M5S, vorrebbe candidare a sindaco di Catanzaro un professore che non ha tessere in tasca, mentre un altro professore, lui sì iscritto al partito di Letta, propone un esperimento civico che però è ben visto dal centrodestra e, soprattutto, dalla destra-destra di Fratelli d’Italia, il tutto mentre la Lega spinge per un esponente dell’Udc, partito che, a sua volta, vorrebbe il prof di cui sopra – no, non il primo, il secondo – a guidare la coalizione, quando nel frattempo Coraggio Italia preme per un rappresentante di Forza Italia, a cui tuttavia non va proprio giù la discesa in campo di un avvocato che, pochi mesi fa, figurava nella lista ufficiale dei berlusconiani per il Consiglio regionale.
    Se non ci avete capito nulla, non è un problema vostro. Le realtà parallele spesso sono incomprensibili; a volte, come in questo caso, maledettamente trasversali.
    Nel Sottosopra nessuno ci capisce niente, nemmeno quelli che dovrebbero governarlo.

    Tafazzismo di sinistra

    Quel che tutti possono capire, anche senza conoscere la saga fantascientifica americana, è che, al momento, i candidati a sindaco sono quattro. Uno, Antonello Talerico, è presidente dell’Ordine provinciale degli avvocati ed è riconducibile al centrodestra; gli altri tre hanno radici ideologiche o politiche nel centrosinistra: l’avvocato di estrazione socialista Aldo Casalinuovo, il professore di Diritto privato all’Università di Catanzaro Valerio Donato e il docente di Diritto canonico all’Unical Nicola Fiorita.

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    Nicola Fiorita

    Proprio quest’ultimo, già candidato a sindaco, con buoni risultati, alle scorse Comunali (23%), è il nome prediletto del “Nuovo centrosinistra”, coalizione di cui, oltre a sigle più piccole, fanno parte anche Pd e M5S. Fiorita, insomma, è il collante locale di un’alleanza, quella giallorossa, che Letta e Conte (almeno prima della decadenza decisa dal Tribunale di Napoli) vorrebbero replicare in tutte e quattro le città al voto la prossima primavera.
    Fin qui il fatto che Fiorita non sia un iscritto del Pd non provoca problemi. Il punto è che la sua candidatura risulta indebolita proprio da un esponente di peso del Pd di Catanzaro, quel Donato che ha già ufficializzato la sua volontà di diventare sindaco alla testa di una coalizione civica («non voglio essere un uomo di parte, il periodo attuale richiede un governo di salute pubblica»).

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    Valerio Donato

    Si dirà: è lo storico tafazzismo di una sinistra che si spacca favorendo la destra. Però la faccenda è più complicata di così, e per comprendere meglio il contesto bisogna mettere in conto l’endemico trasversalismo della politica catanzarese.
    In un modo che potrebbe risultare paradossale – ma solo a chi non conosce certe dinamiche locali – il nome di Donato è infatti saltato fuori durante il vertice del centrodestra andato in scena la scorsa settimana.

    Il caos nel centrodestra

    Sala Giunta della Provincia. Al tavolo sono presenti quasi tutti i ras del centrodestra locale e regionale. La discussione parte da un accordo raggiunto nei mesi precedenti: Fi ha già scelto i candidati a Cosenza, Vibo e Crotone, la Lega a Reggio, quindi la designazione per Catanzaro tocca a Fratelli d’Italia.
    Del resto, raccontano diversi osservatori, nei mesi scorsi – e almeno fino a un certo momento – la commissaria regionale Wanda Ferro aveva rivendicato per sé il ruolo di kingmaker della coalizione e, quindi, la facoltà di scegliere il profilo da proporre gli alleati.

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    Wanda Ferro

    Solo che, nell’interpartitica, la deputata meloniana inizialmente non avanza alcun nome, ma anzi la tira in lungo dicendo che «sarebbe auspicabile» un «candidato unitario», dal momento che finora «le prove muscolari hanno avuto esiti negativi per tutta la coalizione». La kingmaker dei tre colli, però, a un certo punto della riunione di nomi ne fa due, Rocco Mazza e Caterina Salerno. Non scaldano i cuori, ma la mossa è ben studiata, a parere degli analisti più attenti. Lo vedremo tra poco.

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    Filippo Mancuso

    Anche gli altri big fanno proposte, di quelle che ben si adattano al Sottosopra catanzarese. Il leghista Filippo Mancuso non va a sponsorizzare il nome di Baldo Esposito, formalmente esponente dell’Udc, con cui si è candidato alle ultime Regionali? Quanto al sindaco uscente, Sergio Abramo, fa pure lui la sua strana scelta: Marco Polimeni, esponente di Forza Italia. Tutto bene, se non fosse che lo stesso Abramo, giusto pochi mesi fa, ha abbandonato il partito di Berlusconi per entrare in quello di Toti e Brugnaro (forse per aumentare le sue chance di entrare a far parte della Giunta regionale di Roberto Occhiuto, che poi ha deciso diversamente).

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    Sergio Abramo

    Quindi Coraggio Italia sostiene Polimeni, che tuttavia è inviso a una parte del suo stesso partito. Tant’è che il responsabile provinciale di Fi, Mimmo Tallini, si fa portavoce della necessità di avviare una interlocuzione con Talerico, pochi mesi fa candidato al Consiglio regionale proprio sotto le insegne azzurre.
    Quindi Fi appoggia Talerico? Macché: il capo dei berlusconiani in Calabria, Giuseppe Mangialavori, stoppa le velleità dell’avvocato in quanto responsabile di una «fuga in avanti» che avrebbe messo in difficoltà il suo stesso partito.

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    Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi

    Il colpo di teatro

    In questa confusione spaventosa (altro che il Demogorgone della serie tv), il coup de théâtre è di Giovanni Merante, presente al vertice in quota Udc. Uno pensa: c’è Esposito in ballo, il suo partito indicherà lui. Quando mai. Agli alleati viene proposto il nome di Donato. Proprio lui, il candidato civico con la tessera del Pd in tasca. «Il professor Donato – queste le parole che vengono attribuite a Merante – potrebbe essere disponibile a ragionare con noi…».

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    Giovanni Merante

    Brusio, mugugni pensosi, caos. Qualcuno chiede: «Con i simboli di partito o senza?». Risposta: «Accetterebbe anche i simboli». Altri brusii, altre riflessioni, poi si mette di traverso Tallini, infine anche Mancuso. «Ma come – questo il ragionamento di entrambi –, governiamo in Regione e in città e non riusciamo nemmeno ad avanzare un nome nostro?».

    Wanda e l’avvocato

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    Mimmo Tallini

    Alle comprensibili obiezioni di Tallini e Mancuso, tuttavia, non si sarebbe aggiunta quella di Ferro, la kingmaker che dovrebbe avere l’ultima parola.
    Un esperto di (strane) cose catanzaresi spiega tutto così: «Non dimentichiamo che Donato è stato il legale di Wanda per il ricorso davanti alla Consulta che le ha permesso di rientrare in Consiglio regionale quando era ormai fuori dai giochi. Lei, da capo di Fdi in Calabria, non può proporre Donato perché perderebbe la faccia. Ma se si mette a fare nomi alternativi e credibili si inimica un amico a cui deve tanto. Quindi potrebbe aver deciso di favorire Donato in modo indiretto…».
    E il pensiero corre di nuovo a Merante e alla sua proposta choc, ma poi mica tanto. Lo abbiamo capito che nel sottosopra è tutto un po’ incasinato. E ora basta, ché la testa gira forte.

  • Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    A differenza di Salvini, lui non ha mai chiesto i «pieni poteri». Se li è presi, e basta.
    Se la tragicomica estate del Papeete ha rappresentato l’inizio di un lento declino per il leader della Lega – allora il politico più potente d’Italia –, per Roberto Occhiuto la vittoria dello scorso autunno ha rappresentato il punto più alto della sua parabola politica.
    Raggiunta la cima, il governatore calabrese non si è certo accontentato: ha voluto fortissimamente di più e, in un modo o nell’altro, ha avuto più di tutti i suoi predecessori. Così, oggi, la Calabria democratica è guidata, anzi, dominata, da un uomo buono per mille incarichi; un uomo super che dispone di poteri super. Una roba mai vista, prima d’ora.

    I super poteri di Roberto Occhiuto

    Occhiuto conquista i super poteri grazie a un Piano forse studiato da tempo. Subito dopo la vittoria elettorale su un centrosinistra malconcio e già votato alla sconfitta, non perde tempo e, facendo leva sui rapporti costruiti in vent’anni di attività parlamentare, riesce a ottenere dal Governo Draghi quella nomina che l’ex governatore Oliverio aveva desiderato per anni senza mai essere accontentato dal suo stesso partito, il Pd.
    Occhiuto è commissario della Sanità, il primo “eletto” dai calabresi dopo le parentesi dei quattro emissari governativi, tra cui tre ex ufficiali delle forze dell’ordine (Pezzi, Cotticelli e Longo). Il bilancio della Regione è unico e, finalmente, diventa unico anche il suo gestore, dal momento che, prima, i circa quattro miliardi destinati alla Sanità erano coordinati dai tecnici in uniforme.

    Gli emendamenti “amici”

    Ma ancora non basta. Il Parlamento, con un emendamento a firma dei senatori di Forza Italia (il partito del presidente), approva alcune modifiche al contestatissimo Decreto Calabria bis ed estende i già amplissimi poteri del commissario.
    Occhiuto conosce a menadito le dinamiche romane, ha ottimi addentellati nei ministeri e, soprattutto, sa cosa vuole. Infatti, ad accrescere il suo portfolio di incarichi ci pensa un altro emendamento, stavolta presentato dal deputato azzurro Ciccio Cannizzaro.

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    Roberto Occhiuto insieme a Ciccio Cannizzaro

    La norma finale, inserita nell’ultima legge di bilancio, realizza l’impensabile: riduce i poteri del mega-commissario nazionale per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, e accresce, ancora, quelli di Occhiuto, sotto la cui egida finisce la gestione dei 900 milioni di interventi di edilizia sanitaria previsti in Calabria.

    Il ruolo del Consiglio

    Mica è finita qui. Il governatore segue alla lettera il proprio Piano, in cui un ruolo preminente lo recita anche il Consiglio regionale. Il 15 dicembre, quando ancora a Palazzo Campanella non sono nemmeno insediate le commissioni – a cui spetta il compito di valutare legittimità e sostenibilità di tutte le leggi –, l’Aula approva il testo (presentato da Pierluigi Caputo, fedelissimo di Occhiuto) che istituisce l’“Azienda zero”.
    Si tratta di un «ente di governance», come lo ha definito lo stesso presidente, che ha l’obiettivo di «unificare e centralizzare» tutte le funzioni amministrative in capo alle cinque aziende territoriali. Chi controlla Azienda zero, insomma, controlla, davvero, tutta la sanità regionale. E chi è che sceglierà la guida del nuovo ente? Risposta facile facile.

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    Pierluigi Caputo e Roberto Occhiuto

    Indignazione, ma non troppa

    Non si registra una generale indignazione di fronte all’operazione “zero”. Prima del via libera alla legge, tra i pochi ad alzare la voce c’è la Cgil, secondo cui quello perpetrato da «Presidenza e Ufficio commissariale» – cioè dal solo Occhiuto – è un «colpo di mano» capace, peraltro, di aumentare di 700mila euro i costi a carico del Servizio sanitario regionale. Vox clamantis in deserto, come si è visto.
    A questi enormi poteri – ottenuti legittimamente e grazie alla non comune capacità di gestire i giochi parlamentari e i rapporti con i decisori governativi –, Occhiuto somma anche quello di sovrano assoluto di una Giunta nella quale almeno cinque componenti su sette non possiedono alcun peso politico o contrattuale, perché non eletti ma bensì nominati su indicazione dei vertici dei partiti alleati.

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    La carriera di Roberto Occhiuto

    Quella di Occhiuto è, con tutta evidenza, una parabola incredibile. In particolar modo se si tiene conto del fatto che, prima del trionfo alla Regionali, la sua era stata una buona carriera politica, ma forse non così straordinaria da giustificare, in ultima istanza, una tale concentrazione di poteri.
    Consigliere comunale della Dc nel ’93, nel 2000 viene eletto nell’assemblea regionale calabrese nelle fila di Forza Italia. Nel 2002, qualcosa si rompe e Occhiuto lascia Berlusconi per aderire all’Udc.

    Pochi giorni fa, è stato lo stesso governatore, in un’intervista a Sette del Corriere della Sera, a spiegare i presunti motivi di questo addio: «Facevo il direttore generale di un network di tv locali. Un mio giornalista realizza una serie di inchieste sulla Forza Italia calabrese, guidata dall’allora senatore Antonio Gentile. E il partito deferisce me (…) Il collegio dei probiviri era guidato da un gentilissimo senatore pugliese, Mario Greco (…) chiamandomi da parte, mi disse: “Figlio mio, ma che resti a fare qua dentro, dove non ti vogliono? Vattene da un’altra parte, dentro Forza Italia ti faranno la guerra, non ti faranno fare più nulla”. Apprezzai e me ne andai».

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    Insieme a Silvio Berlusconi

    Il futuro governatore, accompagnato alla porta dal suo partito, dimostra comunque di avere un certo seguito elettorale anche con l’Udc; tant’è che, nel 2005, diventa vicepresidente del Consiglio regionale e, alle Politiche del 2008, deputato. Onesta carriera, appunto, con alti e bassi. Nel 2009, si candida a presidente della Provincia di Cosenza e prende una batosta: terzo e nemmeno ballottaggio. Ad asfaltarlo sono Oliverio, eletto presidente, e un altro Gentile, Pino. Nel 2013, una nuova delusione: l’Udc lo schiera in seconda posizione nel listino bloccato ma viene eletto il solo Lorenzo Cesa.

    La delusione lo spinge a tornare tra le braccia di Berlusconi, prima che la fortuna gli arrida di nuovo: Cesa diventa eurodeputato e lui rientra alla Camera. Il Pdl intanto torna in soffitta e in Fi Calabria inizia l’era di Jole Santelli. Roberto e il fratello Mario, sindaco di Cosenza, sono umanamente e politicamente molto vicini all’allora coordinatrice regionale azzurra, che infatti sarà nominata vicesindaco nella Giunta bruzia, nel giugno 2016. Due anni dopo, in occasione delle Politiche, Santelli e Occhiuto jr formano una specie di ticket nei listini blindati e vengono eletti entrambi alla Camera.

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    Jole Santelli e Roberto Occhiuto

    Chi è il fuoriclasse tra gli Occhiuto?

    Ecco, una buona e onesta carriera politica, quella dell’attuale presidente calabrese, niente di più e niente di meno. Anche perché il (presunto) fuoriclasse, in famiglia, non è Roberto, ma Mario, che infatti nel 2019 si autocandida alla presidenza della Regione. Matteo Salvini non è d’accordo e piano piano costruisce il suo veto che stronca i sogni del sindaco. Il più giovane degli Occhiuto, a quel punto, va su tutte le furie: «Se è vero che c’è un veto della Lega sulla candidatura di mio fratello, credo sia del tutto pretestuoso e inaccettabile: tantissimi amministratori locali sono sotto processo, lui no. Quanto a me, sia chiaro che se dovessi scegliere tra il cognome e l’appartenenza politica, ovviamente sceglierei il cognome».

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    Roberto e Mario Occhiuto

    Sembra quindi vicina una nuova rottura con Fi: i due fratelli minacciano scissioni, una candidatura (sempre di Mario) contro il centrodestra. Alla fine, nulla di fatto: Berlusconi scrive una lettera per convincerli a restare senza perdere la faccia e loro fanno un passo indietro. Santelli, intanto, diventa presidente della Calabria. Occhiuto jr pare sempre più defilato, anche perché i rapporti con la nuova presidente sembrano compromessi. Poi, la morte di Santelli chiude anzitempo la legislatura.

    L’aiuto di Draghi

    Occhiuto, intanto, nel febbraio 2021 diventa capogruppo di Fi alla Camera dopo la nomina di Maria Stella Gelmini nel nuovo Governo di unità nazionale. Un numero due che, inaspettatamente, diventa numero uno. Inizia da qui la nuova rinascita, propiziata dall’avvento al potere di Mario Draghi. Da quella posizione privilegiata, Occhiuto monitora le trattative per la scelta dei candidato presidente in Calabria e fa le sue mosse, senza sbagliarne una. La partita è più facile di quel che sembra, in realtà, anche perché i leader del centrodestra, già dal 2019, hanno deciso che la Calabria toccherà a un candidato presidente di Fi.

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    L’ex capogruppo di Fi alla Camera, Maria Stella Gelmini, e il suo allora numero due

    Occhiuto, in sostanza, per ottenere l’alloro deve battere la concorrenza di altri due forzisti, cioè Gianluca Gallo e lo stesso Cannizzaro, non proprio Churchill e De Gaulle, ma nemmeno Alfano e Buttiglione. E Occhiuto vince facile e ottiene la nomination; poi rivince facile ancora, contro Amalia Bruni e l’armata Brancaleone del centrosinistra calabrese; e poi, e poi si prende tutto. Per lui niente mojito, niente fiaschi politici in stile Papeete. Lui aveva escogitato il Piano e ora è in Cittadeella. I pieni poteri non li ha chiesti, se li è presi.

  • L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    Nella Calabria della disoccupazione imperante, c’è un giovane che è riuscito ad avere, nel giro di un mese e mezzo, due incarichi pubblici molto ben retribuiti. Il che è già un fatto piuttosto singolare, a queste latitudini. Quel che tuttavia rende unico il caso in questione è che il datore di lavoro è sempre lo stesso: la Regione Calabria.

    La storia di Antony Federico

    Il protagonista di questa storia si chiama Antony Federico, trentenne cosentino che nel suo profilo Linkedin dichiara una laurea in Scienze delle Pubbliche amministrazioni all’Unical e un master di secondo livello in Management e Politiche delle pubbliche amministrazioni alla Luiss Guido Carlo University. Curriculum a parte, Federico viene descritto come un berlusconiano da sempre vicinissimo al forzista numero uno in Calabria, il presidente della Regione Roberto Occhiuto.

    Gli incarichi

    Due atti ufficiali dicono che Federico, nel giro di poche settimane, è stato prima nominato nello staff di un consigliere regionale e poi in quello di un assessore. Di fatto, il giovane cosentino ha quindi un lavoro a Reggio (Palazzo Campanella) e uno a Catanzaro (Cittadella di Germaneto).

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    Roberto Occhiuto con il fedelissimo Pierluigi Caputo, vicepresidente del consiglio regionale

    Il 30 novembre scorso, il dirigente del settore Risorse umane conferisce a Federico l’incarico di responsabile amministrativo al 50% del vicepresidente del Consiglio regionale, Pierluigi Caputo, a decorrere dal 2 dicembre. Il 12 gennaio, con un nuovo decreto dirigenziale del dipartimento Organizzazione della Giunta, arriva la seconda nomina: il trentenne diventa responsabile amministrativo (sempre al 50%) dell’assessore alle Infrastrutture e Lavori pubblici, Mauro Dolce.

    Antony Federico, insomma, è al tempo stesso dottor Giunta e mister Consiglio. Un caso che, nella Calabria delle tante anomalie amministrative, non si era mai verificato. Le strutture dei politici, negli ultimi decenni, hanno imbarcato di tutto: candidati trombati, portatori di interessi, capi elettori, perfino indagati. Finora, però, non era mai accaduto che una sola persona fosse reclutata in due staff differenti.

    I compensi

    Federico, fino al 4 ottobre del 2026 (data di presunta fine della legislatura) e salvo revoca anticipata della nomina, percepirà un compenso di poco più di 20mila euro all’anno (circa 100mila euro complessivi) dal solo Consiglio regionale. Dovrebbe ricevere più o meno la stessa cifra anche dalla Giunta, anche se nell’atto di nomina non viene specificato il compenso. Il doppio incarico dovrebbe dunque garantire una retribuzione annua complessiva di circa 40mila euro.

    L’anomalia non riguarda il compenso – dal momento che Federico avrebbe percepito più o meno la stessa somma anche con un singolo incarico al 100% –, quanto la circostanza che una sola persona riceva incarichi diversi da un unico ente e che, al tempo stesso, riesca a fornire la propria opera professionale quotidiana a due diversi rappresentanti istituzionali, uno di stanza a Catanzaro e l’altro a Reggio. Peraltro, in Cittadella, a differenza che a Palazzo Campanella, i “portaborse” dei politici hanno l’obbligo di registrare la loro presenza con il badge marcatempo. Come farà Federico a organizzarsi, visto che Reggio è lontana 150 chilometri?

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    Tra i più stretti collaboratori del governatore non manca mai Antony Federico, terzo in alto da sinistra

    Tutto regolare?

    I Calabresi ha provato a capire se le procedure seguite da Giunta e Consiglio siano regolari e in linea con le normative vigenti. La risposta degli uffici è stata più o meno la stessa: «È la prima volta che succede, dobbiamo controllare le carte». Altra stranezza, perché le carte, in teoria, andrebbero controllate prima.

    Dal dipartimento Organizzazione della Cittadella è però arrivata qualche precisazione aggiuntiva: «In Giunta i dipendenti a tempo indeterminato al 50% possono anche svolgere la libera professione, perché in questo caso non esiste il dovere dell’esclusività. Potrebbe valere anche per i componenti delle strutture». Ma, in definitiva, la doppia nomina di Federico è legittima oppure no? Risposta: «La Regione è un ente unico ma le piante organiche sono diverse e separate».

    Un esponente della maggioranza di centrodestra che preferisce l’anonimato commenta così tutta la vicenda: «Questa storia presenta forti dubbi di legittimità e dimostra che Giunta e Consiglio non comunicano tra loro».

    I selfie su Facebook

    In attesa che chi di dovere faccia chiarezza, non resta che cercare di capire qualcosa in più di Federico, a cui spetterà il compito di supportare sia l’azione di Caputo, uno dei consiglieri di maggior fiducia del governatore, che quella di Dolce, l’uomo a cui Occhiuto ha affidato le chiavi del Pnrr. Sul profilo Facebook del bi-responsabile amministrativo tante foto indicano la sua vicinanza al presidente della Regione, così come al fratello, l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Una delle ultime immagini risale al 15 ottobre scorso: si vede Roberto Occhiuto che, dal palco, tira la volata al candidato sindaco di Cosenza Francesco Caruso, poi sconfitto.

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    Roberto Occhiuto sul palco di Cosenza a sostegno di Francesco Caruso, che poi perderà

    Il 5 ottobre c’è un selfie: Antony Federico posa sorridente con l’uomo che ha appena conquistato la Regione Calabria e lo elogia pubblicamente: «Te la sei meritata tutta. Auguroni e buon lavoro presidente».

    Ancora, l’1 ottobre: nella foto di gruppo, con Occhiuto e i suoi più stretti collaboratori, compare anche lui, Federico, che decanta: «Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile». Altro selfie e stessi protagonisti il 10 settembre. E l’esperto di pubbliche amministrazioni scrive: «Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati».

    Il 16 giugno, invece, Antony Federico esulta perché, dopo mesi di incertezza, finalmente la coalizione ha deciso: «Roberto Occhiuto è il candidato del centrodestra alla Presidenza della Regione Calabria. La Calabria, presto, avrà un grande presidente ed anche in questa battaglia sarò al tuo fianco».