Autore: Michele Giacomantonio

  • Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

    Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    La Calabria dei campanili è sempre pronta alle battaglie fratricide. Accade così che l’annuncio della nascita di una nuova facoltà di medicina presso l’Unical, susciti le urla di sdegno dell’università di Catanzaro, che pure non vedrà sguarnita la sua offerta formativa. A guidare il campanilistico malcontento catanzarese sono i politici della città, in modo del tutto trasversale, dalla parlamentare Wanda Ferro a Nicola Fiorita, che prima di diventare sindaco insegnava proprio all’Unical, passando per gli altri due ex candidati a guidare Catanzaro: Valerio Donato e Antonello Talerico.

    unical
    L’Università della Calabria

    Le preoccupazioni catanzaresi sono del tutto evidenti: fin qui una sola facoltà di medicina non trovava concorrenti nel raccogliere iscritti, da domani invece ci sarà da sgomitare, ma forse nemmeno tanto, se i numeri che circolano sono esatti e raccontano di una significativa quantità di studenti calabresi che si iscrivono a facoltà di medicina fuori dalla regione.

    Una questione politica (e non solo)

    Del resto è difficile non valutare positivamente l’aver gettato il seme che potrebbe alleviare la tragedia in cui versa la sanità calabrese, visto che una facoltà di medicina apre a futuri scenari importanti in termini di miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Basti pensare al collegamento tra la facoltà e il nuovo – e ancora ipotetico – ospedale di Cosenza, che diventando policlinico universitario, godrebbe di competenze di primo livello. Poiché la cronaca certe volte vuole diventare ironica, a portare a casa il risultato della nascita di una nuova facoltà di Medicina è stato un presidente cosentino della Regione, di cui ancora si rammentano le parole di plauso per la chiusura di 18 ospedali.

    ospedale-cosenza-giovane-mamma-salvata-medici-neurochirurgia
    L’ingresso del vecchio ospedale dell’Annunziata a Cosenza

    E qui nuovamente si apre l’altra partita, apparentemente campanilistica, ma in verità del tutto politica. Infatti l’annunciata apertura della nuova facoltà di Medicina all’Unical rimette in discussione la scelta dell’area dove edificare il nuovo ospedale. Nel meraviglioso mondo della teoria il Comune di Cosenza avrebbe indicato la zona di Vaglio Lise, mettendo da parte la zona di Contrada Muoio che invece piaceva all’ex sindaco della città. Tuttavia il crudele mondo della realtà frappone non pochi ostacoli alla sua realizzazione, basti pensare che quei terreni sono della Provincia, e ancora non è chiaro se li abbia già ceduti allo scopo.

    I cugini di Campagnano

    All’orizzonte spunta un nuovo motivo per mettere in discussione la scelta fatta dal consiglio comunale di Cosenza: che senso avrebbe edificare un nuovo e moderno ospedale lontano dalla facoltà di medicina? Ed ecco che il rigurgito del mai sopito campanilismo tra Rende e il capoluogo è già pronto a riaffiorare.

    La questione va assai oltre uno scontro tra campanili, perché con tutta evidenza la nascita di un nuovo ospedale comporterebbe la crescita tutt’attorno di servizi ed infrastrutture che porterebbero economie al territorio. Per Cosenza non si tratterebbe della perdita di un “pennacchio”, ma di opportunità materiali. D’altra parte non si è mai vista una facoltà di Medicina separata dal nosocomio.

    La matrioska dei campanilismi

    A ben guardare, quindi, la nascita di Medicina all’Unical riapre i giochi e pone prepotentemente Arcavacata in cima alle possibilità di scelta: un luogo baricentrico nella già concreta idea di area urbana, rapidamente raggiungibile perché servita dall’autostrada, senza contare che i terreni su cui l’ospedale sorgerebbe potrebbero essere quelli già in possesso dell’università. Tutte ragioni che razionalmente dovrebbero spazzare via altre ipotesi.

    Il campanilismo è come una matrioska: c’è quello tra Cosenza e Catanzaro e più dentro quello tra Cosenza e Rende e più dentro ancora quello tra i politici che devono decidere.
    Ma ci sarà tempo per le barricate e le grida, perché intanto il nuovo ospedale è solo una bella intenzione. E, come dice il proverbio ebraico, «mentre gli uomini progettano, Dio ride».

  • Non lasciamo nell’oblio i nostri campioni

    Non lasciamo nell’oblio i nostri campioni

    «Di tutti gli sport, l’unico che ami veramente è la boxe», diceva Jack London. Non sappiamo se Giovanni Parisi, boxeur calabrese la cui storia è raccontata sul nostro giornale, conoscesse l’autore di Zanna bianca o avesse mai letto le sue cronache pugilistiche scritte per il New York Herald. È assai probabile, però, che ne condividesse l’opinione.

    Il Rocky di Calabria

    Parisi ha un destino comune ai moltissimi calabresi scappati da qui: gloria altrove, oblio nella sua terra. Dopo una carriera paragonabile per luce a quella di Benvenuti e Oliva, Parisi muore in un incidente e la città che lo aveva visto arrivare da migrante con la famiglia in cerca di una sorte migliore, ne ricorda ancora la bravura, il coraggio e la tenacia sul ring. A Voghera gli hanno intitolato uno stadio e come il Rocky Balboa cinematografico, anche una statua, per la verità più suggestiva di quella del film.

    Philadelphia-rocky-Balboa
    Philadelphia, la statua di Rocky Balboa in cima alla scalinata che percorreva per allenarsi nel film

    Un appello per la sindaca Limardo

    A Vibo, invece, non saranno in tanti a ricordarsi le sue prodezze sportive e solo due anni fa in consiglio comunale è stata avanzata la proposta di dare il nome del pugile a una strada cittadina. L’idea, però, ci risulta sia rimasta a dormire in qualche cassetto, quasi a voler prolungare la condanna all’indifferenza che la sua città ha riservato all’atleta. Sarebbe il caso di riscattare questo torto, sarebbe giusto che la sindaca di Vibo, Maria Limardo, desse il nome di Parisi a uno spazio significativo della città. Perché la Calabria è un posto strano: si inorgoglisce per record piuttosto improbabili, mentre è pronta a dimenticare chi, con la forza di un gladiatore e la velocità di Flash, sui ring del mondo ha portato la faccia piena di pugni di un terrone.

  • Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

    Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Peppe Scopelliti, allora trionfante presidente della Calabria, quel giorno di settembre del 2010 solcava la folla adorante per entrare nel cinema Morelli come Mosè aveva aperto il Mar Rosso. Era venuto a Cosenza per annunciare la sua cura per salvare la malatissima sanità regionale: chiudere gli ospedali. Appena sotto il palco, in prima fila, l’allora deputato dell’Udc Roberto Occhiuto plaudiva sorridendo alla decisione. Il nome dato all’evento politico era “Meno sprechi, più qualità” e sappiamo com’è andata a finire: i calabresi sono rimasti senza cure, Scopelliti è finito in carcere (ma scontata la pena è riuscito a portare a casa una discreta somma da baby pensionato) e Roberto Occhiuto è diventato presidente della Regione. Quel pomeriggio non poteva certamente immaginare che la patata bollentissima della sanità sarebbe finita proprio nelle sue mani.

    Sanità in Calabria, non si salva nessuno

    Quella scelta, di chiudere ben 18 ospedali, non era una decisione di stampo tatcheriano, ispirata dalla cieca fiducia nel mercato del liberismo lacrime e sangue. La Destra italiana, infatti, non ha mai avuto quella drammatica statura. Fu invece una ricetta fatta in casa: abbiamo debiti? Chiudiamo gli ospedali. Il prezzo l’hanno pagato quelli che non hanno trovato strutture di prossimità, né qualità in quelle lontane. Non solo: la spesa non è diminuita, così come il debito mostruoso accumulato in decenni di politica bipartisan. Perché in questa storia triste non c’è chi si salvi, da Chiaravalloti a Loiero, da Scopelliti a Oliverio, fino alla breve parentesi di Santelli, passando per l’interregno di Spirlì.

    Emergenza e normalità

    Nel mezzo la Calabria ha dovuto affrontare la più grande pandemia del dopoguerra con strutture sanitarie inadeguate, pochi medici, risorse insufficienti. Era una emergenza, ma anche la normalità non è che andasse bene. Mesi per effettuare una ecografia, o qualunque esame diagnostico, una crepa dentro cui si è con profitto infilata la sanità privata facendo di fatto la differenza tra chi può pagare e curarsi e chi no, alla faccia di quanto scritto sulla Costituzione circa il diritto alla salute.

    Sanità, un anno dopo

    Oggi il deputato che sorrideva all’idea di mutilare la sanità calabrese ha ereditato, anche da se stesso, un fardello gravosissimo e in soccorso ha chiamato circa 500 medici cubani dei quali, annunci a parte, si è saputo poco o nulla. A Repubblica, nel febbraio 2022 dichiarava «Sono commissario alla Sanità da due mesi e ho trovato un disastro» e ottimisticamente aggiungeva: «ma datemi un anno». Febbraio 2023 è vicino, un anno passa in fretta.

  • Economia senza lavoro: il futuro bussa al reddito di cittadinanza

    Economia senza lavoro: il futuro bussa al reddito di cittadinanza

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    «Entro il prossimo secolo il lavoro di massa sarà cancellato da quasi tutte le nazioni industrializzate» (La fine del lavoro, J. Rifkin, ed. Baldini & Castodi). Era il 1995 e Rifkin spiegava che il lavoro, almeno per come siamo stati educati a pensarlo, è finito. Non era una profezia, era uno sguardo proiettato verso un futuro che già allora non era lontano e che oggi è diventato il tempo che stiamo vivendo. Quell’annuncio trova riscontro in quanto accaduto in questi decenni: oggi per produrre la stessa quantità di ricchezza di ieri sono necessarie meno ore di lavoro e meno lavoratori.

    Vuol dire che un numero sempre maggiore di persone è stato e sarà espulso dal sistema produttivo, restando così senza reddito. A muovere questa rivoluzione è la capillare diffusione dell’alta tecnologia, che invece di promettere meno ore di lavoro e una migliore qualità della vita, ha generato disoccupazione globale e immiserimento delle esistenze. L’economia non si è fermata, semplicemente ha cominciato a fare a meno delle persone.

    L’economia fa a meno delle persone

    E se l’economia non genera più lavoro, ha ragione De Rose a domandarsi nella sua riflessione sul nostro giornale «che senso ha ancorare il destino di tante persone alla formula odiosa dell’occupabile?».
    È per questo che praticamente ovunque nei paesi ricchi si è provveduto a pensare a forme di reddito separato dal lavoro. Questi provvedimenti hanno molte facce: solidarietà sociale, rivendicazione del diritto all’esistenza, ma più di ogni altra motivazione quella più aderente alla realtà è garantire l’accesso al consumo.

    In Calabria in realtà questa è una vecchia storia: qui, dove abbiamo saltato ogni forma di sviluppo industriale e dove l’assenza di lavoro è endemica, il sostegno al consumo ha avuto le sembianze del clientelismo e delle pensioni di invalidità erogate à gogo. Nella nostra regione, secondo i dati Istat aggiornati al 2021, il 18,4 per cento della popolazione è senza lavoro, con la provincia di Crotone a guidare la classifica, seguita da Vibo, Cosenza, Catanzaro e Reggio.

    Reddito di cittadinanza: Calabria e numeri

    Nella regione con una storia antica di emigrati – quelli la cui vita era legata “alla catena di montaggio degli dei”, come scriveva Franco Costabile – e con livelli altissimi di disoccupati, sono ben 62.548 i nuclei familiari che vivono grazie al reddito di cittadinanza, che il governo ha annunciato di cancellare. Per maggiore precisione, secondo i dati forniti dal report “Monitoraggio sul reddito di cittadinanza” aggiornato al 2019, sono 149.626 le persone in Calabria che affidano la propria dignità a quella forma di sostegno economico.

    Nella terra dei “prenditori”

    Considerata la fragilità dell’economia calabrese, quante possibilità hanno di trovare un lavoro? Togliere loro il Reddito di cittadinanza si traduce nel costringerli ad emigrare, oppure ad accettare condizioni di lavoro lontanissime dai livelli accettabili di dignità.
    Questa terra è piena di “prenditori” che piomberanno famelici su questo esercito di persone senza tutele di alcun genere, esattamente quelli che fin qui si sono lamentati di non trovare lavoratori perché “sdraiati sul divano”.

    reddito-cittadinanza-calabria-vite-precarie-soliti-prenditori
    Un meme pubblicato sulla pagina Fb “Sostituire frasi di Fisher a quelle di Coelho sulle foto degli influencer”

    E qui giungiamo all’aspetto più attuale e tragico: l’etica del lavoro, con la quale ci hanno sempre ingannato spiegandoci che solo il lavoro rende autenticamente liberi, è finita. Al suo posto è rimasto il moralismo che condanna l’ozio del divano, il reddito senza la fatica, in un mondo in cui il lavoro non c’è più. Aumenteranno i poveri e la disperazione sociale, che la destra si è mostrata storicamente più brava a trasformare in consenso.

  • L’Acquario a secco: quale futuro per il teatro cosentino? [VIDEO]

    L’Acquario a secco: quale futuro per il teatro cosentino? [VIDEO]

    Cambiare, certe volte, vuol dire beffare la morte. È la partita cui è impegnata la Cooperativa del Centro Rat, anima del teatro dell’Acquario. Da tempo il teatro di via Galluppi fa i conti con difficoltà economiche ormai non più eludibili. E oggi si prepara al cambiamento che potrebbe risultare necessario per non chiudere bottega.

    Cosenza, via Galluppi: l’ingresso del Teatro dell’Acquario

    «Abbiamo un credito presso la Regione di circa centomila euro e debiti verso il proprietario dello spazio che ospita il teatro per quarantamila», spiega Carlo Antonante, annunciando diverse e fin qui promettenti interlocuzioni per ridare fiato alla quarantennale storia dell’Acquario. Se il denaro atteso dalla regione arrivasse, non solo si salderebbero i debiti, ma si potrebbe anche guardare al futuro, sia pure in maniera differente. Infatti sostenere i costi del teatro rimarrebbe difficile e urge trovare soluzioni alternative.

    [CLICCA SULL’IMMAGINE IN APERTURA PER VEDERE L’INTERVISTA]

    Il teatro dell’Acquario trasloca: ma dove?

    E qui entra in gioco il Comune, che ha promesso la disponibilità di altri spazi, come per esempio la Casa delle culture. «Lì ovviamente manca un palco, ma quegli spazi potrebbero ospitare i nostri progetti formativi, molto importanti sul piano economico». Sempre dal sindaco di Cosenza è giunta un’altra ipotesi che riguarda l’uso del Cinema Italia-Tieri. Il Tieri già da un anno è gestito da Pino Citrigno, che aveva vinto un bando proposto dalla passata amministrazione, ma un incontro tra le parti avrebbe aperto alla possibilità di far convivere le due esperienze. Né manca l’interessamento di privati. Assai recente è l’incontro tra i membri del Centro Rat e Bianca Rende ed Enzo Paolini, mirato alla ricerca di una soluzione.

    La Casa delle Culture a corso Telesio, sede storica del municipio di Cosenza prima del trasferimento in piazza dei Bruzi

    L’eredità di Antonello Antonante

    Insomma si cambia per non morire, ma non è detto che questo sia un male, forse perfino una opportunità per rilanciare una storia antica, nata oltre quaranta anni fa nella città vecchia, partorita da un gruppo di intellettuali che già all’epoca animavano la scena culturale della città, tra cui ovviamente il compianto Antonello Antonante.
    Fu lui assieme ad altri a trasformare quella esperienza prima in un teatro sotto una tenda e successivamente ad aprire l’Acquario di via Galluppi. Oggi ai suoi compagni di avventura il compito di affrontare l’ulteriore cambiamento. Perché certe eredità non sono fardelli, ma semi da coltivare.

    Teatro-acquario-garage-eretico-Antonello-Antonante
    Antonello Antonante (foto Alfonso Bombini 2020)
  • Antonello Antonante: dal teatro tenda di Giangurgolo fino alla comunità dell’Acquario

    Antonello Antonante: dal teatro tenda di Giangurgolo fino alla comunità dell’Acquario

    Ci sono giorni duri, di quelli in cui non basta nascondersi. Ieri Cosenza ha perso due figure straordinarie della propria storia recente. Quasi contemporaneamente alla morte di Franco Dionesalvi, poeta e intellettuale immerso nell’azione politica, se n’è andato anche Antonello Antonante, attore, autore e regista teatrale.

    Antonello Antonante e la tenda di Giangurgolo

    In un colpo questa città ha perso due protagonisti di una stagione culturale e politica ormai decaduta e lontana. Ma i fermenti che ancora agitano le idee, le visioni e i progetti attuali sono i semi di quel tempo fertile. Dove oggi sorge una banca, una volta c’era un teatro sotto una tenda da circo, con le sedioline di legno scomode, gli spettacoli coraggiosi, il pubblico estasiato. Era la tenda di Giangurgolo, di cui Antonante era uno dei protagonisti. Le storie di quelle persone non sono fatte solo di recite, ma di battaglie vere, per tenere vivo un alito di cultura. Furono quelle persone e Antonello tra loro, a portare a Cosenza il Living Theatre, la recitazione della compagnia teatrale sperimentale di New York travolse corso Mazzini, stupì, scandalizzò, scosse i cosentini, li sedusse, li attrasse, li lasciò sgomenti.

    Ma la stagione della Tenda di Giangurgolo era al suo termine e Antonello Antonante cominciò a pensare a un teatro stabile. Trovarono un enorme magazzino su via Galluppi. Si trattava di un deposito di medicinali e per giorni il lavoro comportò lo sgombero di tutto quel materiale. Solo dopo e lentamente quello spazio prese le sembianze di un teatro. Era nato l’Acquario. Sulle tavole di legno di quello spazio salirono in tanti, esponenti nazionali e stranieri, piccole esperienze locali.

    Dario Fo e Antonello Antonante

    Dall’Acquario al Rendano

    In quel teatro risuonarono le voci di Dario Fo e Franca Rame, di Paolo Rossi e Paola Borboni, di Toni Servillo e Alessandro Bergonzoni. Ma anche la compagnia del centro Rat viaggiò molto, con tournée in Polonia, Armenia, Danimarca, Inghilterra, Svezia, Stati Uniti, Malesia, Svizzera, Tunisia. Erano i tempi dei viaggi fatti a bordo di un furgone scassato, della battuta gridata passando davanti al Rendano che annunciava che un giorno o l’altro quel teatro sarebbe stato loro. E in parte fu davvero così, quando sotto la sindacatura di Salvatore Perugini, Antonello Antonante fu chiamato a fare il direttore artistico del teatro della città.

    Un cosentino alla guida del Rendano, quello che molti anni prima, durante la notte di Natale, per salvare il suo teatro sotto una tenda da circo era salito su una impalcatura attaccata ad un palazzo vicino per spiegare dalla finestra a uno scemo che non doveva buttare petardi, altrimenti sarebbe andato tutto a fuoco. Immaginate la scena: Antonello che bussa alla finestra di una famiglia per dire che certe cose non si fanno. Era teatro pure quello. Ed era magnifico.

  • In fondo al mar: le meraviglie della Calabria sommersa

    In fondo al mar: le meraviglie della Calabria sommersa

    «Il Mediterraneo è morto», diceva Cousteau in una delle sue ultime interviste. Era una provocazione, ma certo il nostro mare già allora non stava bene e oggi sta peggio.
    Lo sguardo che daremo andrà oltre la schiumetta che troppo spesso galleggia sulla superficie. Si porterà nelle profondità dei fondali della Calabria, dove si celano forme di biodiversità di straordinaria bellezza, la cui tutela potrebbe funzionare anche da attrattore turistico. Coniugare la protezione dell’ambiente con la turisticizzazione degli spazi non è facile. Ma il turismo subacqueo è particolare: non è di massa, è specializzato e per questo pregiato sul piano propriamente commerciale.
    Le aree protette in Calabria sono il Parco di Isola Capo Rizzuto e cinque altre zone tra Tirreno e Ionio. A gestirle sono Raffaele Ganeri e Ilario Treccosti.

    calabria-fondo-mare-paradiso-pieno-tesori-tutto-sub
    Gorgonie sul fondale di Scilla (foto Cristina Condemi)

    Qui va tutto benissimo. O quasi

    Ganeri è a capo del Parco di Isola Capo Rizzuto, tornato alla gestione della Provincia di Crotone dopo circa tre anni di affidamento alla Regione. «La legge Delrio aveva sottratto alle province la gestione delle partecipate e per tre anni tutto è rimasto abbandonato», spiega Ganeri. Poi insiste sulla necessità di ripartire quasi da zero con i progetti e le infrastrutture. «Siamo in piena fase di ripresa dei lavori, con ricognizioni sull’area e rilancio delle attività subacquee per il turismo e con il coinvolgimento dei pescatori del luogo». Più ampia e dislocata su punti tra loro lontani è invece l’area protetta cui deve vigilare Ilario Treccosti.

    Le riserve sono cinque, dal nord del Tirreno incontriamo la Riviera dei Cedri, dall’Isola di Dino fino alla Scoglio della Regina, passando da Cirella; poi gli scogli d’Isca, tra Belmonte ed Amantea; la zona tra Ricadi e Pizzo; la Riviera dei Gelsomini e sullo ionio la baia di Soverato. «Le condizioni delle aree tutelate sono eccellenti», giura Treccosti. Che annuncia anche opere di protezione attorno alle zone di maggior pregio per impedire la pesca a strascico su quei fondali, ma anche il posizionamento di cartelli indicatori sulle strade in corrispondenza della presenza di aree marine protette.

    calabria-fondo-mare-paradiso-pieno-tesori-tutto-sub
    Un branco di barracuda (foto Cristina Condemi)

    Il biologo: i controlli, questi sconosciuti

    «Quello che manca sono i controlli», dice senza esitazioni Domenico Asprea, biologo marino che ha lavorato all’Asinara e in Liguria. Indicare un’area come protetta e poi non proteggerla è un bel guaio. Le cause sono essenzialmente legate alla logistica e alle risorse. Molte zone sono lontane dai porti dove fa base la Capitaneria e poche sono le imbarcazioni su cui il corpo può contare. Ed ecco che «frequentemente sono stati segnalati fenomeni di pesca abusiva nell’area di Capo Rizzuto». Ma c’è anche un altro problema ed è legato al monitoraggio. «Non è corretto che le risorse della Regione Calabria per la tutela ambientale vadano a società di altre regioni, qui ci sono competenze e professionalità di alto livello», spiega il ricercatore, aggiungendo che a governare certe decisioni sono «scelte chiaramente politiche».

    La febbre del mare

    «Il Mediterraneo ha la febbre», dice Eleonora De Sabata, giornalista e appassionata di immersioni. Per questo ha deciso di andarne a misurare la temperatura, proprio come farebbe un medico con un paziente. Eleonora è protagonista dell’Associazione MedFever, che sostiene assieme ai centri subacquei la ricerca. Si immerge, e posiziona a quote prestabilite dei rilevatori di temperatura, andando poi periodicamente e registrarne i dati. Il progetto è appoggiato dall’Enea e vede la collaborazione dei Diving. «In Calabria abbiamo posizionato diverse stazioni di rilevamento sui fondali di Scilla. Questo lavoro colma un vuoto. I satelliti rilevano la temperatura del mare con precisione, ma i dati sono quelli della superficie. Così invece avremo i dati a varie quote».

    calabria-fondo-mare-paradiso-pieno-tesori-tutto-sub
    Un cavalluccio marino (foto di Ernesto Sestito)

    I termometri sono stati posizionati a 5, 15 e 30 metri. Ma considerata la caratteristica dei fondali di Scilla e la loro unicità, alcuni termometri sono stati posti fino a 70 metri. «È ancora troppo presto per trarre conclusioni, ma abbiamo cominciato a raccogliere i dati, importanti soprattutto in aree come Scilla dove il respiro del mare, l’incontro tra le correnti fredde dello Ionio e quelle più calde del Tirreno, fanno segnare sbalzi significativi».

    Le sentinelle dei mari

    Il lavoro di Eleonora De Sabata si poggia molto sulla collaborazione dei professionisti delle immersioni. Loro sono una sorta di sentinelle delle condizioni mutate del mare. «Scilla ha una delle foreste di Gorgonie più belle del Mediterraneo, con un ecosistema meraviglioso, ma molto fragile», racconta Paolo Barone.
    Romano, ma calabrese da sempre, è lo storico leader dello Scilla diving center. Barone viene da mille immersioni e spedizioni esplorative. E aggiunge che quell’habitat negli ultimi cinque anni è stato messo a dura prova dal mutamento climatico. Per questo quei luoghi magici sono costantemente monitorati, affinché chi verrà dopo ne possa godere. Incredibilmente però, malgrado le straordinarie bellezze nascoste nei suoi fondali, Scilla non è tra le aree protette e questa “distrazione istituzionale” non aiuta.

    Lo spirografo, un’altra meraviglia degli abissi marini (foto Cristina Condemi)

    Giorgio Chiappetta è un altro storico istruttore subacqueo e il suo diving è difronte l’Isola di Dino. Chiappetta si dice soddisfatto del grado di conservazione dell’habitat dei fondali dell’isola, dalle gorgonie sul frontone che guarda al largo a tutti gli altri siti. Annuncia l’inizio di un progetto di riforestazione della Posidonia, una pianta marina fondamentale per la vita dei fondali. «Si tratta di un progetto portato avanti assieme all’amministrazione comunale e consiste nel piazzare in aree ben individuate dei contenitori bio solubili che rilasciano i semi della posidonia favorendo la sua ricrescita»

    Sempre meno cavallucci

    Oreste Montebello è un fotografo con un passato di guida e imprenditore del turismo subacqueo. Nel corso del tempo ha visto il graduale declino della presenza del Cavalluccio marino nella Baia di Soverato. «Per 15 anni ho portato turisti in immersione nella baia, per mostrare loro i Cavallucci. Se ne potevano incontrare decine nel corso di ogni immersione, oggi sono significativamente diminuiti», racconta Montebello.
    Quali sono a suo parere le cause della diminuzione dell’Ippocampo? «L’introduzione sistematica di ingegneria marina, con bracci e porti, ha modificato l’arrivo di nutrienti della Cymodocea nodosa, che costituisce l’habitat del Cavalluccio», spiega il fotografo che può essere considerato una specie di testimone del mutamento dei fondali di Soverato. Del resto dei cinque centri di immersione che si affacciavano sulla baia, ne è rimasto operativo uno solo, segno di come siano andate le cose.

    Una murena attaccata allo scoglio (foto Cristina Condemi)

    Il corallo ad Amantea

    L’altro testimone del mare calabrese è Piero Greco, probabilmente il più vecchio tra gli istruttori subacquei della regione. Quando lo sentiamo è appena uscito da una immersione a 56 metri nei fondali di Amantea. Subito racconta «che laggiù è ancora presente il corallo, ma assottigliato, meno rigoglioso». Greco non pensa si tratti di inquinamento, ma dei primi segni di riscaldamento del mare, «mentre in buone condizioni rimane la prateria di posidonia nel mare di Diamante». I segni negativi però ci sono tutti, «basti pensare che a Briatico è presente una colonia di pesci pappagallo, segnalati qualche tempo fa nel mare della Sicilia. Forse questo vuol dire che il Mediterraneo si sta tropicalizzando». E non è una buona notizia.

  • Parchi di Calabria: quei tre paradisi a un passo dal cielo

    Parchi di Calabria: quei tre paradisi a un passo dal cielo

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Il Piano di Gaudolino è una prateria chiusa tra Serra del Prete e il monte Pollino. Norman Douglas la percorse sul dorso di un mulo per giungere a Morano. Probabilmente attraversò la via dei Moranesi, ripido sentiero tracciato tra le rocce, in passato – ma ancora oggi – usato per trasferire il bestiame dai pascoli bassi a quelli di alta quota. Oggi quel tracciato resta uno tra i più impegnativi tra quelli affrontati dagli escursionisti. Nemmeno per Douglas deve essere stato comodo restare saldamente sulla groppa del mulo scendendo da lì. Tuttavia il viaggiatore inglese nelle sue pagine parla di un «senso di pace» attraversando quello che oggi è il parco più grande d’Italia.

    Piano di Gaudolino, escursionisti nella neve

    Il turismo calabrese è turismo di mare, dato inevitabile considerati gli ottocento chilometri di costa. Ma nelle aree interne si cela un’anima all’insegna della wilderness. Il termine inglese dovrebbe indicare un’area selvaggia, ma non rappresenta autenticamente quei luoghi, che sarebbe forse più opportuno definire “arcaici”.
    Oggi questa residua arcaicità è sotto la tutela di tre parchi, quello del Pollino, della Sila e dell’Aspromonte.

    Aspromonte, le cascate del Maesano

    Parchi di Calabria: il più antico

    Quello più antico è quello della Sila, le cui radici affondano nel lontanissimo 1923. Un anno dopo l’avvento del Fascismo qualcuno aveva guardato alla Calabria come un’area ricca di biodiversità. Quelli erano tempi in cui forse quel concetto non era nemmeno stato pensato, né si parlava di tutela ambientale. Anzi, la Sila conosceva un saccheggio boschivo intenso. Eppure Francesco Curcio, presidente del Parco della Sila ed ex ufficiale del Corpo Forestale, racconta che storia parte da lì. Era evidente che l’ambiente non fosse una priorità del regime e infatti di quel proposito non si fece nulla. Ma poi fu ripreso «nel 1968, quando nasce il Parco della Calabria, rappresentato da tre aree protette, una per la provincia di Cosenza, una di Catanzaro e infine quella di Reggio».

    Sila, il lago Arvo

    Queste aree solo successivamente assunsero il ruolo di parchi dell’Aspromonte e della Sila. «Oggi il parco si estende per circa 74 mila ettari, prevalentemente boschivi e riconosciuti come area protetta inclusa dall’Unesco tra quelle classificate “Mab” (Man and biosfhere). Al suo interno sono stati classificate ben 175 specie di invertebrati autoctone» spiega l’ex colonello della Forestale.

    La Sila innevata

    Dei tre parchi quello silano è forse quello maggiormente antropizzato. Le ragioni vanno dalla caratteristiche orografiche, che lo rendono più facile sul piano escursionistico, a una maggiore e più frequentata rete stradale. Questo per un verso è un potenziale vantaggio, portando maggiore afflusso turistico. Ma pone anche il problema di coniugare la massiccia presenza dell’uomo con la tutela dei territori. Curcio ne è consapevole e spiega come soltanto con la vigilanza e l’educazione del turista si possa promuovere un turismo sostenibile.

    I boschi assediati dalla processionaria

    A minacciare i boschi della Sila però non è solo il turismo selvaggio, ma anche la presenza significativa della processionaria. Curcio prova a stemperare la preoccupazione, limitandosi a citare i potenziali pericoli per chi toccasse le larve dell’insetto che si nutre degli aghi dei pini. Ma aggiunge di aver sollecitato la Regione a prendere provvedimenti. E in effetti l’assessore Gallo conferma un massiccio impegno di «ben 4 milioni di euro per un piano concordato con le università e gli agronomi, affidato alle maestranze di Calabria Verde che sono state adeguatamente formate». Il piano d’attacco per adesso prevede delle «trappole poste alla base dei pini per raccogliere le larve e nei mesi successivi l’impiego di un prodotto biologico da spargere con le autobotti o gli elicotteri». Lo stesso Gallo, però, cautamente ammette che per vedere risultati ci vorrà parecchio tempo.

    Processionaria in Sila

    Parchi di Calabria: il presidente più longevo

    Domenico Pappaterra è il presidente del parco del Pollino. Guida l’ente sin da 2007 e questo fa di lui il presidente più “vecchio” delle aree protette calabresi. Il Pollino è il parco più grande d’Italia, con 56 comuni, tre province e due regioni: la Basilicata e la Calabria. E Pappaterra rivendica d’essere riuscito a costruire nel tempo una identità unica del parco, «superando le mille difficoltà derivanti dalla sovrapposizioni di competenze di enti differenti». L’area si stende dalle potenti montagne dell’Orsomarso, che si affacciano sul Tirreno, fino alle gole che sfiorano lo Ionio. Il parco è patrimonio Unesco per quanto riguarda le faggete vetuste e al suo interno comprende cinque cime oltre i duemila metri.

    Pini loricati “a guardia” del Pollino innevato

    Il Pollino ha una sua sacralità, fatta di silenzi e luoghi nei quali puoi camminare per una intera giornata senza incontrare altre persone. I pini loricati che si ergono come sentinelle sui crinali imbiancati d’inverno, oppure si stagliano contro al sole come fossili testimoni di epoche lontane. Pappaterra orgogliosamente ricorda che il parco è incluso nella Carta del turismo sostenibile, certificazione rilasciata a dall’Europark federation, ente che rappresenta tutti i parchi europei. Il futuro, spiega, si gioca sulla formazione degli operatori che potranno poi offrire un servizio di guida ai visitatori, mentre ultimamente «il presidente Draghi ha portato alla conferenza dei parchi di Glasgow l’esperienza virtuosa del Pollino».

    La natura ai piedi del Pollino

    Dove osano le aquile

    La pista da sci di Gambarie è breve, ma così ripida che pare che alla fine ti tuffi nello Stretto. L’Aspromonte è un parco difficile, di quelli che esigono buone gambe e ottimo fiato, ma visitarlo significa immergersi in un luogo separato dal tempo, con gole profonde, fiumare antiche e cascate impetuose. Il presidente è Leo Autelitano, che ricorda le faggete vetuste, patrimonio Unesco, gli 89 siti di interesse geologico e naturalistico, l’impegno profuso nel riaprire i centri di accoglienza e il patrimonio faunistico del parco, con l’aquila del Bonelli «che del Parco è il simbolo», il lupo, il capriolo.

    Aspromonte, fiumara Amendolea

    Al fuoco, al fuoco

    L’estate è la stagione del fuoco, dei boschi dati alle fiamme. La Sila forse è l’area boschiva meno interessata, ma Pollino e Aspromonte fanno i conti ogni anno con questo appuntamento. L’opera di spegnimento degli incendi è competenza regionale e specificamente di Calabria Verde. I parchi, però, si sono organizzati in modo omogeneo con squadre di volontari che hanno il compito segnalare tempestivamente gli inneschi.

    Quel che resta degli alberi bruciati in Aspromonte nell’estate 2021

    Sul Pollino le squadre sono 22, dotate di furgoni utilizzabili per un primo intervento, mentre diverse telecamere sono piazzate per tenere sotto controllo le aree a maggiore rischio. Lo stesso accade negli altri parchi, impiegando risorse destinate alle associazioni che con il loro impegno svolgono il compito di vigilanza. In Sila nel 2021 ci sono stati 16 inneschi, 15 dei quali soffocati sul nascere, mentre sul Pollino da quest’anno saranno usati anche velivoli ultraleggeri per monitorare le aree.

    Le guide nei parchi della Calabria

    Chi condusse Douglas attraverso il suo viaggio calabrese oggi sarebbe una guida. Qualcuno, cioè, in grado di muoversi in sicurezza tra i terreni impervi e raccontare al viaggiatore le storie e i costumi del luogo. Oggi i parchi hanno le loro guide e Ivan Vigna, ex coordinatore delle guide della Sila spiega che il primo corso di formazione risale al 2009. Una guida deve conoscere tutti gli aspetti del territorio, quelli naturalistici ma anche relativi alle tradizioni popolari. Dai loro racconti emerge una potenzialità trascurata, quella del turismo montano, figlio meno coccolato delle località marine.

    Rafting sul fiume Lao

    Eppure «la montagna sarebbe in grado di andare oltre il limite dell’alta stagione, vivificando attività nel corso dell’intero anno», spiega Luca Lombardi, coordinatore guide dell’Aspromonte. Una posizione non diversa da quella rappresentata da Andrea Vacchiano, guida del Pollino, per il quale è necessario potenziare le infrastrutture, garantire la praticabilità delle strade anche d’inverno, per dare impulso al turismo invernale, che sul Pollino fin qui è stato penalizzato. Lombardi si spinge oltre, lamentando l’assenza di una reale interlocuzione con le istituzioni regionali, così come di una legge regionale a tutela della professione delle guide. Ma, soprattutto, Lombardi suggerisce un diverso punto di vista. Per lui «parlare di turismo delle aree montane vuol dire parlare dei servizi essenziali, di strade, scuole, uffici postali, altrimenti i paesi si svuoteranno e noi faremo turismo tra case fantasma». Perché una montagna spopolata è una montagna che muore.

    Cavalli nel Parco nazionale del Pollino
  • [VIDEO] Cucine da incubo: sfruttati a 20 euro nei ristoranti di Cosenza

    [VIDEO] Cucine da incubo: sfruttati a 20 euro nei ristoranti di Cosenza

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Sapete perché sulle porte delle cucine dei ristoranti c’è scritto “vietato entrare”? Perché non ne uscireste vivi.
    Dietro quella soglia c’è un mondo capace di evocare spettri da rivoluzione industriale: lavoratori frenetici, impegnati nel muoversi provando ad ostacolarsi il meno possibile; comandi che si sovrappongono con furia quasi ci si trovasse nella fase cruciale di una battaglia, tra nuvole di vapore e fumi; pentole che bollono; mestoli appesi e piatti da riempire; griglie roventi e la fatica di uomini e donne quasi come dentro una trincea.

    CLICCA SULL’IMMAGINE IN APERTURA PER VEDERE L’INTERVISTA

    Diritti e profitti nei ristoranti di Cosenza

    Venti euro a turno di lavoro, spesso in nero, con durata dei turni parecchio flessibile. Quando invece c’è un contratto, le tutele si smarriscono dentro prassi consolidate, ben note e tuttavia taciute. Ferie che risultano in busta paga ma non sono godute, inesistenti assenze ingiustificate conteggiate per riequilibrare il divario tra le somme dovute da contratto e quelle realmente pagate, importi relativi a periodi di malattia versati dall’ente di previdenza e incredibilmente trattenuti dal datore di lavoro.

    Escludendo qualche studentessa impegnata nel fare la cameriera per racimolare un po’ di denaro, la maggior parte delle persone che sta dentro questo girone infernale è prevalentemente fragile sul piano culturale, scarsamente scolarizzata. E, dunque, meno consapevole dei propri diritti, poco incline a rivendicarli. Facili prede per quanti volessero massimizzare i loro profitti sulla carne viva dei lavoratori.

    La brandina nel retrobottega

    Angela ha poco più di vent’anni, è minuta e sembra più piccola, ma ha già una bambina e molto bisogno di lavorare. Per questo accetta di buon grado di fare spesso il doppio turno, lavorando mattina e sera in uno dei ristoranti di Cosenza. Purtroppo abita lontano da Cosenza e non potrebbe fare in tempo ad andare a casa e tornare tra la fine di un turno e l’inizio del successivo, quindi ha messo una brandina sul retro del locale. Lì si sdraia per poco meno di un’ora, si leva le scarpe e prova a chiudere gli occhi, mentre i suoi colleghi poco distanti lavorano.

    Ristoranti a Cosenza: l’orata sfuggita dal congelatore

    Una mattina cuochi e lavapiatti entrarono nella cucina di un noto ristorante della città per cominciare la loro giornata di lavoro e trovarono sul pavimento un’orata. La scena dovette sembrare vagamente surreale: un pesce, pure bello grosso, sul pavimento. Era evidentemente caduto la sera prima, mentre qualcuno aveva preso qualcosa dal congelatore. Il pesce era lì da tutta la notte, doveva essere buttato, con sommo disappunto del proprietario del ristorante che aveva tuonato: «Qualcuno questa orata la deve pagare!». E infatti qualcuno la pagò, trovandosi una cospicua trattenuta in busta paga.

    Se le buste paga potessero parlare

    Giovanni non ha molta dimestichezza con le buste paga, lo sguardo va dritto alla somma che sta alla fine della pagina e quello gli basta. Una volta però scorrendo i dettagli scopre che ha fatto quattro giorni di assenza non giustificati dal lavoro. Lui è uno che invece non si assenta mai e trova il coraggio di chiedere spiegazioni al datore di lavoro.

    «Non ti preoccupare – spiega l’imprenditore con voce rassicurante – è solo per una questione di tasse». In realtà anche alcune buste paga di altri colleghi riportano ogni tanto la stessa voce in sottrazione di somme di denaro per assenze mai avvenute e la ragione è legata alla necessità di far avvicinare lo stipendio reale a quello veramente accreditato secondo contratto.

    Restate a casa: cuciniamo noi

    asporto-ristorantiDurante il lockdown molte realtà della ristorazione hanno affrontato la crisi dei locali vuoti ripiegando sull’asporto. Meno clienti, ovviamente, ma era un modo per non fare morire l’impresa. A soffrirne sono stati i lavoratori, che a turno sono stati impiegati nelle cucine, come Fiorella e gli altri che ufficialmente erano in cassa integrazione, ma la trincea di pentole e fornelli non l’hanno mai potuta lasciare. «Eravamo ogni giorno al lavoro, non tutti assieme perché non c’era bisogno di tanta gente contemporaneamente, ma a rotazione. Saremmo dovuti stare a casa, e invece eravamo al lavoro»

    I grandi assenti

    In queste storie ci sono alcuni grandi assenti: i diritti e la loro consapevolezza, l’Ispettorato del lavoro, che magari qualche ispezione potrebbe pure farla, il sindacato. Il protagonista incontrastato è il bisogno che attanaglia un numero sempre maggiore di persone, piegandole a condizioni che facilmente possono essere considerate inaccettabili. Ma anche la retorica di quanti con sufficienza affermano che «la gente non vuole lavorare».

    Quando state in un ristorante e lo sguardo vi va verso l’ingresso delle cucine, rivolgetelo subito altrove: “Non aprite quella porta” potrebbe non essere solo il titolo di un vecchio film dell’orrore.

  • Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Parafrasando un bel film dei fratelli Coen, potremmo che dire che questa “Non è una città per ragazzi”. Eppure quello spazio colorato su via Panebianco era nato esattamente per loro. Era una idea di Mancini, di cui recente si è ricordata la morte e del quale si rivendica vanamente l’eredità. Di quella stagione la Città dei ragazzi è forse la sola cosa che resta. Piazza Bilotti e il ponte di Calatrava, così come viale Parco, nel tempo sono diventati una cosa diversa da quanto immaginato dal vecchio sindaco.
    Oggi, dopo l’immobilismo causato dalla pandemia, alcune pastoie burocratiche e forse anche una attenzione non esattamente vigile, minacciano di impedire il rilancio di quello spazio dedicato alla cultura e alla creatività.

    La concessione

    Accade infatti che nel 2020 le associazioni Teca, la Cooperativa delle donne e Don Bosco vincano un bando promosso dalla fondazione “Con i bambini” per fronteggiare la povertà educativa. Al loro fianco ci sono l’Istituto comprensivo Gullo e l’Unical. I fondi sono cospicui: 850mila euro. Ma per portare a compimento l’iter e realizzare il progetto alle tre associazioni serve avere uno spazio adeguato per un tempo congruo. Il Comune, allora guidato da Mario Occhiuto, concede loro la Città dei Ragazzi, sgravandosi di ogni costo. Poi la pandemia cambia ogni cosa. Palazzo dei Bruzi dopo una sola settimana revoca la concessione e dà due dei tre cubi alle aule della scuola De Matera.

    citta-dei-ragazzi
    Attività in uno dei cubi della Città dei ragazzi

    La stessa clausola che levava gli spazi alle associazioni, però, prevede la “provvisorietà” della revoca degli spazi. E questo alimenta l’aspettativa delle associazioni circa la restituzione, essendo stata dichiarata conclusa l’emergenza Covid.
    «Non vogliamo mandare via i bambini dai cubi – dice Antonio Curcio, dell’associazione Teca – ma immaginiamo di poter riprendere il progetto finanziato non appena l’anno scolastico si concluderà».

    Per questo le associazioni hanno scritto una Pec al Gabinetto del sindaco, per chiedere un confronto. Quella Pec per vie misteriose finisce sulla stampa prima che sul tavolo di Franz Caruso. Ma finisce inaspettatamente anche nel dibattito interno alla commissione consiliare per l’Istruzione. E lì il delegato del sindaco, Aldo Trecroci, annuncia candidamente che quegli spazi resteranno alla De Matera, «perché le scuole hanno la priorità». Scatenando un putiferio.

    Le opposizioni

    «Si sarebbe dovuto parlare di altro, ma incidentalmente Trecroci ha detto di aver ricevuto la chiamata della preside della De Matera, preoccupata per il rischio di perdere gli spazi per le aule della sua scuola», racconta Bianca Rende, posizionatasi dopo la comune vittoria elettorale, tra i banchi dell’opposizione. «Quello che la preside paventa come un rischio è esattamente quanto deve accadere», dice con veemenza la consigliera Rende. Per lei la Città dei ragazzi deve tornare rapidamente alla sua vocazione originaria.

    Non diversa la posizione di Giuseppe D’Ippolito, di Fratelli d’Italia. Quel luogo deve «essere restituito alla sua funzione sociale; chi governa deve valutare in che modo, ma non può essere destinato alle scuole», sostiene. E accusa l’amministrazione di «aver del tutto stravolto la visione manciniana».

    gallo_caruso_rende_decicco
    Franz Caruso sul palco del suo comizio finale insieme ad altri tre sfidanti del primo turno passati dalla sua parte per il ballottaggio: Fabio Gallo, Bianca Rende e Francesco De Cicco (foto A. Bombini) – I Calabresi

    A rievocare l’emergenza che portò gli scolari della De Matera nei cubi della Città dei ragazzi è Francesco Caruso, all’epoca vicesindaco di Occhiuto. Il consigliere per il futuro immagina prioritariamente il ritorno delle associazioni in quello spazio, magari la condivisione del luogo «se necessario» anche con una scuola, domandandosi però «perché mai proprio la De Matera?».

    Troppe deleghe sovrapposte

    Tutti e tre gli esponenti dell’opposizione sparano ad alzo zero sulla frammentazione delle deleghe assegnate dal sindaco a troppi consiglieri. La cosa pare stia creando situazioni complicate, visto che spesso gli ambiti di intervento si sovrappongono. Per esempio questa vicenda vede coinvolte tre deleghe: l’istruzione, il welfare e l’educazione e non si capisce chi comanda. Sul punto specifico la Rende ha le idee chiare. E con disincanto dice ridendo che «a comandare su tutto è Incarnato». Padre e non figlia, si direbbe, visto che quest’ultima in Giunta ha le deleghe ad Urbanistica ed Edilizia.

    Il sindaco e il delegato

    Trecroci è un preside e ha la delega all’Istruzione. A scatenare la tempesta sono state le sue parole. Lui, però, le rivendica con fermezza: «È la posizione della maggioranza, ne ho parlato anche con il sindaco. Per noi le scuole hanno l’assoluta priorità».
    Forse però il sindaco era distratto. «Qui tutti parlano con tutti, salvo con chi decide, cioè il sindaco. Sull’argomento non ho delegato nessuno» dice Caruso, ammettendo che del futuro della Città dei Ragazzi «ancora non ne abbiamo parlato, anche perché fino a quando ci sono le scuole è difficile affrontare la questione». Di sicuro per il sindaco «è necessario rivitalizzare quello spazio, la cui destinazione deve essere partecipata e condivisa».

    franz_caruso
    Il sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Si apre il confronto

    «Quello spazio sociale ha avuto anche 120 mila presenze – spiega accorata Lucia Ambrosino, presidente della Cooperativa delle donne – perché non è una realtà solo legata all’area urbana, ma al territorio regionale. La lotta alla povertà educativa si fa assieme alla scuole, ma dobbiamo intenderci su come deve funzionare una idea di comunità».
    Le associazioni sono ottimiste, l’interlocuzione è appena cominciata. Sanno che quel luogo è una opportunità importante che nessuno vuole perdere. «È stata una sorta di aula decentrata, in accordo con le scuole. E lì devono tornare a svolgersi delle azioni come un museo della Scienza e progetti di reinserimento sociale».

    Ma in ballo ci sono 850 mila euro, di cui 84 mila investiti direttamente dalle associazioni. Inevitabile domandare ai rappresentanti se siano disposti a una guerra legale contro il Comune, nel caso la mediazione appena iniziata andasse male. Ambrosini e Curcio sono cauti, nessuno va al tavolo delle trattative con una pistola in mano. Dichiarano di non aver nemmeno preso in considerazione questo aspetto e quindi eludono la questione, esibendo ottimismo e fiducia, di cui presto conosceremo la fondatezza.

    Quale futuro per la Città dei ragazzi?

    Le associazioni sono pronte al confronto «per verificare quanto previsto dalla concessione, cercando di trovare una soluzione alle esigenze reali delle scuole», spiega Antonio Curcio.
    Ma in gioco ci sono parecchi quattrini, il lavoro di un bel po’ di persone e una idea precisa dell’uso di uno spazio sociale. E pure su questo si misura la qualità di una amministrazione.