Autore: Michele Giacomantonio

  • La morte porta Consiglio: Giorgia Meloni e ministri a Cutro

    La morte porta Consiglio: Giorgia Meloni e ministri a Cutro

    Mentre ancora il mare restituisce i corpi di due bambini, Giorgia Meloni annuncia che il prossimo Consiglio dei ministri si terrà a Cutro. Con colpevolissimo ritardo chi ci governa si accorge della tragedia e del peso insostenibile della sua assenza sul luogo del dolore. «Venga come madre», invoca Carmine Voce, sindaco di Crotone. Verrà, forse, indossando la veste ufficiale, con al suo fianco il ministro per il quale quella umanità disperata è un fastidioso carico residuale, dimostrando che lo Stato può essere «il più gelido degli gelidi mostri», come annunciava senza sbagliare Nietzsche.

    Giorgia Meloni e il Consiglio dei ministri in Calabria

    Un Consiglio dei ministri a Cutro non è un gesto simbolico per dimostrare di esserci. Dopo le parole non rinnegate del ministro dell’Interno e dopo non aver avuto il coraggio di partire tempestivamente per guardare in faccia l’orrore generato da una politica di negazione dell’accoglienza, risulta un oltraggio per le associazioni che si sono impegnate per fornire assistenza, uno schiaffo per i moti spontanei di solidarietà venuti da tutta la comunità, perfino per le donne e gli uomini in divisa che di notte e senza mezzi adeguati hanno recuperato dal mare poveri corpi. Insomma, uno scherno per la Calabria.

    Un momento dei soccorsi

    Cosa decideranno nel corso di quel Consiglio che si terrà poco distante da dove la notte del 26 Febbraio donne, uomini e bambini sono morti annegati perché crudelmente si è voluto da tempo trasformare i soccorsi in operazioni di polizia? Quali provvedimenti saranno assunti? È possibile che il ministro Piantedosi non possa esigere ulteriori espedienti per rendere ancora più difficile le operazioni di salvataggio da parte delle navi delle Ong. Pare, infatti, che la Meloni stia accarezzando l’idea di mettere momentaneamente da parte le spietate norme salviniane verso i migranti.

    Opportunismo politico e senso dell’umanità

    Non si tratta di un sussulto di umanità, più probabilmente di opportunismo politico: dalla spiaggia di Cutro ancora si odono le urla di quanti sono morti annegati e il clima non sarebbe favorevole al governo. È probabile tuttavia che venga ribadito che l’obiettivo resta quello di «non farli partire» e che chi ci prova deve assumersi la responsabilità delle conseguenze.
    Oppure verranno a Cutro a spiegarci quanto sarà bella l’autonomia differenziata per la parte della Calabria che è in fondo a ogni classifica, nella regione più povera del Paese, dove la qualità e perfino la durata media della vita è inferiore rispetto al resto d’Italia?

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    La Via Crucis dei cittadini comuni dopo la tragedia di Steccato di Cutro

    Intanto cresce la rete di associazioni sorta attorno alla mobilitazione successiva alla tragedia del 26, una moltitudine di persone provenienti da storie ed esperienze differenti e tuttavia accomunate dall’impegno di non voler smarrire il senso dell’umanità.
    Saranno queste persone a organizzare una manifestazione nazionale sabato 11 Marzo al fianco della comunità di Cutro. Saranno loro a fare la differenza.

  • Migranti morti? Giorgia Meloni se ne va in India

    Migranti morti? Giorgia Meloni se ne va in India

    Non le è bastato essere donna e madre, nemmeno essere cristiana, per trovare il coraggio di venire Crotone, dove di donne e bambini ne sono morti parecchi.
    Giorgia Meloni vola in India e non guarderà mai la fila di bare dei migranti morti tra le onde per cercare di scampare a un inferno che non riusciamo ad immaginare. Lei che rappresenta il governo di questo Paese non andrà sulla spiaggia dove forse ancora ci sono i resti della tragedia. Gli occhi cerulei della finta underdog non si poseranno sulle tracce della morte degli ultimi della terra. Lei aveva mandato avanti il suo ministro, che alla fine era meglio che fosse restato a casa. Le parole di Piantedosi sono risultate raccapriccianti per disumanità al punto da causare imbarazzo pure tra i suoi sodali.

    Migranti? Per Giorgia Meloni meglio l’lndia

    Giorgia Meloni, dopo quelle parole risultate oltraggiose per il comune senso di pietà, si è trovata nella difficile situazione di decidere rapidamente se scendere in Calabria oppure eludere il problema. Immaginiamo le frenetiche riunioni, le febbrili telefonate per decidere velocemente che fare, tra chi diceva che era necessario venire e quanti sconsigliavano la trasferta calabrese. Deve essere prevalsa la scelta di non rischiare, quella spiaggia di dolore, quelle bare, si sono trasformate in un terreno troppo minato per il presidente del Consiglio, ancor di più dopo le parole del suo ministro, ma soprattutto dopo aver invocato blocchi navali, spesso senza avere il coraggio di chiamarli col loro nome.

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    Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di fronte alle bare nel PalaMilone

    Quei luoghi di dolore hanno visto invece Mattarella, ormai impegnato da tempo a ricordare ai distratti della destra che questo Paese ha una Costituzione e anche una storia, col rischio che quell’uomo dai capelli bianchi si trasformi nell’immaginario nazionale in un audace e improbabile attivista di sinistra. Alla fine Giorgia Meloni è volata in India e ha anche portato il suo omaggio al memoriale di Gandhi. Perché essere buoni a parole non costa nulla.

  • No alla Calabria tomba degli ultimi: dopo le lacrime, è l’ora della protesta

    No alla Calabria tomba degli ultimi: dopo le lacrime, è l’ora della protesta

    Dopo il tempo del dolore, che comunque non finisce, deve venire il tempo della mobilitazione e della denuncia politica. Per non rassegnarsi allo sgomento e far sì che quanto accaduto domenica sulla spiaggia di Cutro non si ripeta. Per spiegare che il naufragio e la morte dei migranti non sono state fatalità, ma potevano essere evitate, come sempre più chiaramente sta emergendo.

    L’Italia si mobilita

    Molte associazioni, così, si sono raccolte in rete e già il prossimo sabato si mobiliteranno in tutta Italia, tenendo manifestazioni in moltissime città. Questi eventi saranno raccontati da Radio Ciroma, emittente cosentina che organizzerà un ponte radio per tenere in contatto le molte piazze. In Calabria l’appuntamento è a Crotone davanti alla Prefettura, per dare un segno di solidarietà alle associazioni della città che hanno dovuto affrontare in prima linea la tragedia della morte dei migranti cercando di far convogliare lì il maggior numero di persone. Tuttavia, a causa di difficoltà logistiche, a Reggio e a Vibo si svolgeranno in contemporanea manifestazioni locali.

    Una manifestazione a Crotone per i morti di Cutro

    A Cosenza nella sede della Base, si sono riuniti i rappresentati di alcune associazioni, Radio Ciroma, il sindacato Cobas, il Centro antiviolenza Lanzino, Emergency, l’Anpi P.Cappello, il Filo di Sophia e Gaia, fino all’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. L’intento è quello di compiere gli sforzi necessari ovunque ci si trovi per concretizzare l’idea che sta maturando, cioè di realizzare una manifestazione nazionale da tenere sabato 11, proprio a Crotone.

    La scelta della città calabrese non è solo legata, come è ovvio, al drammatico naufragio. Simbolicamente vuole rappresentare anche il luogo di partenza di una protesta non solo contro questo governo, ma pure per rivendicare attenzioni verso la Calabria, che come è stato detto «non vuole essere la tomba degli ultimi, né luogo di disperazione».

    Difficile, ma non impossibile

    I promotori sono consapevoli delle difficoltà organizzative che pesano sull’ipotesi di un incontro nazionale a Crotone, dove è difficile giungere da qualunque punto della regione, figuriamoci dal resto del Paese. Ma già sabato, nel corso delle manifestazioni che si terranno in tutta Italia, si misurerà la volontà di affrontare queste difficoltà, costruendo in rete un percorso che arrivi fino alla prefettura di Crotone.

  • Selfie ergo sum: se l’ego social batte la morte

    Selfie ergo sum: se l’ego social batte la morte

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    Per fare pazientemente la fila al funerale di un personaggio famoso per farsi un selfie con la vedova ancora più famosa e magari aver pure sorriso, si deve aver attraversato tutto il cavo teso tra l’umano e il disumano. E soprattutto non si deve aver mancato l’appuntamento nemmeno con una puntata di Uomini e donne e di C’è posta per te.
    Si deve aver perso il senso del pudore, la misura del limite e perfino della morte. Si deve aver interiorizzato l’idea che lo spettacolo deve continuare, anzi che lo spettacolo sia la vita stessa, che gli attori siamo noi. E si deve essere, smarrito il senso del mostruoso, del tutto immersi nell’idea che si esiste se ci si mostra.

    Il selfie funerario

    «È la televisione, bellezza e non puoi farci niente», si potrebbe dire parafrasando Hutcheson – Bogart. In realtà le cose sono più complesse. Si tratta di una forma pervasiva ed efficace di egemonia culturale, non esattamente gramsciana. Essa si fonda sull’inconsapevolezza, sulla distrazione, sulla ricerca effimera di una manciata di secondi di celebrità da eternare con una foto sui social.
    Il selfie funerario celebra il connubio tra televisione e social: mi fotografo con l’incarnazione della Tv per poi spammare l’immagine su un canale condiviso.

    Cattiva maestra televisione

    Dietro questo gesto c’è il ripudio di ogni forma di riservatezza, di garbato rispetto. C’è il trionfo dell’ostentazione, dell’esporsi come forma vitalistica, come senso dell’esistenza. Chi dovesse pensare che oggi il controllo sociale passa attraverso i social dovrà ricredersi: la televisione non ha ancora ceduto il proprio dominio nel forgiare le menti e anzi ha compiuto per intero la sua missione, farci credere che quel accade lì dentro sia tutto vero, mentre è arte e finzione.

    Selfie col vivo al capezzale del morto

    Per questo sono stati in tanti ad aspettare il proprio turno, non per salutare una persona morta, ma per fotografarsi con una persona viva e lanciarsi nella caccia «dell’Amen della devozione digitale che è il like», come scrive Byung Chul Han.
    Per consentire questo il mondo della televisione esce dagli schermi e si consegna al proprio popolo, si fa toccare – cosa inconcepibile in una monarchia vera, dove i re sono intangibili – si fa fotografare. Alla fine resta l’emozione del selfie che nel capitalismo emozionale è solo una delle merci da pagare con le condivisioni.

  • Strage di migranti, basta criminalizzare la solidarietà

    Strage di migranti, basta criminalizzare la solidarietà

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    «Potete respingere, non rimandare indietro», scrive Erri De Luca in Sola andata. Respingere sì, anche far morire, ma indietro non è possibile perché si scappa da un inferno che nel calduccio delle nostre case, nell’opulenza della nostra società, non possiamo nemmeno immaginare. Si muore in mare a poca distanza dalle nostre coste, come avvenuto poche ore fa. E la notizia giunge nel mezzo del pranzo domenicale, magari appena rientrati da una bella messa, commentando com’è stato bravo il parroco nell’omelia.

    Ma la morte a un passo non scuote più a sufficienza e la distrazione cui siamo precipitati consente a chi ci governa di dire che il problema sono le partenze. Meloni e Piantedosi hanno trovato la soluzione: restino a casa loro. È il mantra della destra da sempre, che ha trovato spazio nell’ipocrisia anche dei governi che di destra non volevano essere, ma che avevano ripudiato la solidarietà e messo in tasca gli affari con i governi tagliagole dei paesi da cui questa umanità sofferente prova a scappare. 

    Bufale e aridità

    Non importa che la percentuale di migranti ospitati nel nostro Paese sia molto più bassa di quella presente nel resto d’Europa, né che spesso l’Italia sia soprattutto un luogo di transito. Quel che conta è costruire abilmente un racconto che accechi gli animi prima che gli occhi, consegnandoci un’orda pericolosa che spinge alla porta sbarrata della fortezza Italia per espugnarla, contaminarla di culture che sono diverse. Ed ecco la bufala dei presepi in pericolo, della cristianità da proteggere come in una rinnovata battaglia di Lepanto, del lavoro da tutelare. Mentre il crudele mondo della realtà ci sbatte in faccia storie di disgraziati schiantati dal lavoro nei campi del meridione d’Italia, tornati indietro ai tempi del caporalato, sfruttati per una manciata di euro. Morti di fatica, morti di freddo, morti bruciati per scampare al freddo. 

    Migranti morti a Crotone, vittime predestinate

    I migranti sono le vittime predestinate di un meccanismo che colpisce solo gli ultimi. Sopra di loro ci sono gli scafisti, ma anche loro sono pesci piccolissimi in un mare dove girano squali famelici, intoccabili, anzi nemmeno nominabili, anzi forse con cui si fanno pure buoni affari. Una piramide criminale che sta dietro al fenomeno migratorio in cui nemmeno la ‘ndrangheta vuole entrarecome ha spiegato Anna Sergi su ICalabresi  pur se quei disgraziati vengono sbarcare e certe volte a morire proprio in Calabria.

    Per ogni governo e per questo in corso ancor di più, è più facile pensare a improbabili blocchi navali, magari da realizzare fornendo noi stessi le navi a quei paesi canaglia i trafficanti di uomini operano. È più facile criminalizzare la solidarietà, consegnare all’opinione pubblica le Ong come complici dei trafficanti. Il difficile è rassegnarsi al fatto che le migrazioni sono un fenomeno sociale vecchio quanto il mondo: si è sempre tentato di andare via dai luoghi dove non si poteva più vivere, per una guerra, per la fame, per una dittatura. E oggi vengono da noi, perché ci piaccia o meno, da questa pare c’è il mondo ricco.  

  • Laureati al 41 bis: quando l’unica libertà è farsi una cultura

    Laureati al 41 bis: quando l’unica libertà è farsi una cultura

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    Ci sono appuntamenti sul calendario che sembrano somigliare al titolo di uno di quei film apocalittici di fantascienza, per esempio “31/12/9999”. Invece questa data che non esiste, è scritta nero su bianco sul documento penitenziario che accompagna la detenzione di F. e indica il termine della sua carcerazione, cioè mai.
    F. sconta la sua pena in un carcere della Sardegna e sarebbe dovuto giungere lunedì 13 febbraio all’Unical per conseguire la laurea Magistrale in Sociologia e Ricerca sociale. Per ragioni che ancora non sono note, però, dalla sua cella non è mai uscito.

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    L’Università della Calabria

    Laurea e dottorato al 41 bis

    Sono i misteri dell’ergastolo ostativo, la forma di pena che esclude il detenuto che si è macchiato di particolari reati dal poter usufruire dei benefici penitenziari come permessi o forme di riduzione della pena stessa. Eppure F. aveva ottenuto un permesso «per necessità» e la sensibilità del magistrato di sorveglianza aveva autorizzato anche la scorta a viaggiare in borghese e senza utilizzare le manette.
    C. invece è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza del nord e anche per lui le porte del penitenziario non si apriranno più. Alcuni anni fa C. si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Catanzaro. Poi ha conseguito un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Unical.

    I due sono studenti del Polo universitario penitenziario e rappresentano gli esempi di come, pure nell’abisso della reclusione più severa, le cose possano cambiare. I mille chiavistelli che separano le loro celle dal mondo di fuori sono rimasti serrati, ma gli orizzonti si sono allargati portando nelle anguste mura del carcere saperi, conoscenze e consapevolezze che prima mancavano.

    Il diritto allo studio per tutti

    «L’esperienza del Polo universitario penitenziario dell’Unical nasce formalmente nel 2018», spiega Franca Garreffa, sociologa del Dipartimento di Scienze politiche e responsabile del Pup. Si tratta di un protocollo d’intesa attraverso cui l’Ateneo e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria si impegnano a favorire il diritto allo studio delle persone detenute. In realtà le radici del rapporto tra l’Università e i luoghi di pena sono più antiche di almeno un decennio e risalgono a quando nel carcere di Rossano proprio F. e il suo compagno di cella G. espressero a una volontaria il desiderio di seguire gli studi universitari.carcere-calabria-57-detenuti-in-attesa-laurea-superpasticciere-i-calabresi

    L’allora direttore del carcere, Giuseppe Carrà, contattò il sociologo Piero Fantozzi, che al tempo dirigeva il dipartimento di Sociologia e subito si avviò il percorso didattico. In quel cammino venne coinvolta Franca Garreffa, appena laureata con Renate Siebert discutendo una tesi sul carcere. I due detenuti conseguirono la laurea triennale nel giugno del 2015 sostenendo le loro tesi nell’aula dell’ateneo.

    L’unica via di fuga

    Proprio in quel periodo C. che intanto era recluso nel carcere di Catanzaro, chiese di potersi laureare anche lui recandosi in università e al diniego delle autorità decise di protestare iniziando uno sciopero della fame. Sarà a causa di questa protesta che dovrà rassegnarsi a discutere la tesi in carcere e poi al trasferimento al nord. Successivamente, a causa di imperscrutabili percorsi umani, l’estratto della tesi di laurea di C. che aveva come argomento l’ergastolo ostativo apparirà su una rivista il cui direttore era il figlio del giudice che gli aveva comminato proprio quella pena.

    Ma se i libri diventano la sola via di fuga, allora tanto vale continuare a studiare ancora, fino al dottorato di ricerca, il più alto titolo di studio riconosciuto nel nostro Paese, traguardo che C. raggiunge proprio con Franca Garreffa.
    «Ho incontrato C. quando era già al nord – racconta la sociologa del Dispes – e mi sono messa in contatto con lui tramite alcune redattrici della rivista Ristretti orizzonti». Da lì comincia un percorso umano e didattico che ancora è in corso.

    Una laurea al 41 Bis per riscattarsi

    Le storie di F. e C. sono per molti versi drammaticamente simili. Da giovanissimi, entrambi poco più che ventenni, vengono arrestati e accusati di reati molto gravi e per questo condannati all’ergastolo ostativo e al regime del 41 Bis. Viene da domandarsi come si possa consegnare due persone, praticamente ancora ragazzi, a una pena così priva di senso e ampiamente considerata anche incostituzionale. A quell’abisso infernale F. e C. hanno dato uno scopo attraverso lo studio.

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    Una scritta contro il 41-bis in un quartiere popolare

    «Tramite l’impegno universitario F. e C. e tutti i detenuti impegnati nei vari Poli universitari penitenziari non hanno solo riempito di senso il loro tempo, ma hanno cercato un riscatto per se stessi e per le loro famiglie», spiega la professoressa Garreffa, che intanto resta in attesa che a F. venga consentito, come annunciato, di tornare nell’aula di Arcavacata per la sua laurea magistrale. Perché il sapere non fa svanire le sbarre, né apre le serrature, ma rende gli uomini migliori.

     

  • Valditara e il fascismo, la capriola del ministro

    Valditara e il fascismo, la capriola del ministro

    «In Italia non c’è nessuna deriva violenta, né alcun pericolo fascista», dice Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, dopo il pestaggio squadristico di Firenze e dopo la lettera della preside della scuola i cui studenti sono stati aggrediti. Poi aggiunge che se qualcuno non è d’accordo sarà «necessario prendere misure».
    In un colpo solo il ministro fa una capriola e dice una cosa e il suo contrario. Prima rassicura, poi non resiste e tira fuori la faccia feroce. Una volta si sarebbe chiamata “politica del doppiopetto”, un atteggiamento apparentemente democratico ma che maschera tentazioni illiberali. Al di là dei fatti, che pure vanno ricordati, le cose appaiono parecchio complesse.

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    La lettera dopo la quale Valditara ipotizza di «prendere misure»

    Il gruppo cui fanno parte i picchiatori trova posto in una sede di Fratelli d’Italia, che con molto ritardo e imbarazzo ha preso blandamente le distanze dagli squadristi che ospitano in casa propria. Del resto nel mese di novembre una delegazione di Azione giovani, cui fanno parte i picchiatori, fu ricevuta da Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione. Tuttavia il cuore del problema pare un altro: c’è da sempre un convitato di pietra nella società italiana. Ed è il Fascismo, con i cui orrori non abbiamo mai fatto davvero i conti.

    Fascismo, quello che Valditara non dice

    Il fascismo nacque con un atto di codardia, Mussolini pronto a scappare in Svizzera nel caso l’armata Brancaleone che marciava su Roma fosse stata fermata. E si concluse con un atto di uguale viltà, con il Duce travestito da soldato tedesco per fuggire in Germania. In mezzo c’è l’orrore di un colonialismo straccione e genocida, per il quale nessuno ha mai pagato; la cancellazione dei diritti basilari di una società, la persecuzione degli oppositori, la chiusura di giornali, partiti, sindacati; la cancellazione di più di una intera generazione di giovani italiani, mandati a morire sul Don o in altri luoghi, per inseguire un sogno vanaglorioso; le leggi razziali e la complicità nella morte di migliaia di italiani di religione ebraica; e poi la ferocia dei repubblichini, il sadismo della banda Koch, le lunghe ombre eversive del dopoguerra, con tentazioni golpiste.

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    Mussolini e Hitler

    Al posto di questi fatti è stata, con un certo successo, raccontata una storia diversa. Fatta di italiani brava gente, non cattivi come le SS, di cose buone che pure sono state fatte, come sistemi pensionistici che in realtà hanno avuto origine assai differente. Sulla leggenda della puntualità dei treni vale la pena di ricordare la battuta tagliente di Pessoa che diceva che «se vivi a Milano e fascisti ammazzano tuo padre a Roma, potrai arrivare certamente in orario per il suo funerale».

    Il coraggio di fare i conti col passato

    Ci siamo raccontati un sacco di bugie, perché fare i conti con la nostra storia è difficile, ci vuole coraggio e ci è mancato. La conseguenza è che i fascisti possono affermare che il fascismo non c’è. E lo fanno mentre mostrano il manganello e preparano l’olio di ricino. Vorrebbero che nelle scuole si insegnasse quel che dicono loro, che si leggessero i giornali che sono loro graditi, i libri e gli autori non ostili. Anzi meglio levarli proprio i giornali e i libri: portano sempre una loro intima pericolosità. Al pensiero critico preferiscono il pensiero obbediente.

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    E invece dobbiamo portare nelle aule i libri e i film e i giornali che insegnano la libertà. E dobbiamo raccontare il fascismo nel suo autentico orrore, anche per non tradire il lascito di Parri che implorava di «non stendere un comodo lenzuolo di oblio su questa pagina di vita italiana».
    Alla fine, come sempre, si deve decidere da che parte stare. La scuola deve stare ogni giorno dalla parte della Costituzione, quella che dice che siamo antifascisti.

  • Misericordie: la Calabria pronta a ogni emergenza

    Misericordie: la Calabria pronta a ogni emergenza

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    «Le Misericordie sono le associazioni di volontariato più antiche nel mondo  e sono ottocento in Italia, di cui 25 in Calabria». A raccontarlo è Valentino Pace, che è responsabile area emergenza delle Misericordie della Calabria e vice presidente della Misericordia di Trebisacce. Non solo: è anche a capo della Consulta regionale delle associazioni di volontariato.
    Il suo dunque è uno sguardo duplice, in grado di raccontare il volontariato partendo dall’esperienza quotidiana di una delle associazioni, ma anche fare il punto sull’organizzazione e sulla capacità di risposta che è caratterizzano il volontariato impegnato nel soccorso. 

    Misericordie, dalle fragilità sociali alla Protezione civile

    «Noi proveniamo dal mondo cattolico» dice subito Pace, rivendicando una appartenenza e una radice culturale che stanno alla base del loro impegno «e che fornisce a ogni volontario motivazione e forza». I campi d’intervento delle Misericordie sono diversi e attraversano trasversalmente tutte le fragilità sociali, fino all’impegno nella Protezione civile.

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    Volontari della Misericordia di Trebisacce caricano un paziente su un’ambulanza

    «La giornata del volontario è scandita dai compiti cui l’associazione è chiamata, per esempio il trasporto dei dializzati o dei disabili. Operiamo in convenzione con il 118 e con le Asp e mettiamo a disposizione del territorio ambulanze operative 24 ore con personale addestrato al soccorso in emergenza».
    Oltre a ciò, le Misericordie si occupano del Banco alimentare e farmaceutico. E in Calabria ci sono tre Empori solidali (Trebisacce, Reggio Calabria e Papanice), dove le famiglie economicamente vulnerabili possono trovare un efficace presidio contro la condizione di povertà.

    Un volontario è per sempre

    Le risorse umane delle Misericordie sono composte da volontari, ma la lunga storia di queste associazioni ha premesso di precorrere i tempi. In passato accoglievano gli obiettori di coscienza contrari alla leva obbligatoria, adesso l’associazione è aperta ai giovano che vogliono svolgere il Servizio civile.

    Qualcuno dopo aver concluso il suo anno di servizio resta come volontario. È il caso di Rachele, che svolge il suo compito sulle ambulanze e che conosce tutti i pazienti che periodicamente porta a fare la dialisi. «Familiarizzo con loro, cerco di rendere meno gravosa l’incombenza, ma mi è successo una volta di non aver riconosciuto un ragazzo con cui avevo condiviso gli anni del liceo. La malattia lo aveva reso irriconoscibile e quando la mamma mi ha spiegato chi fosse, sia pure con fatica abbiamo rievocato gli anni della scuola. In un certo modo l’averlo portato indietro nel tempo ha alleviato la sua sofferenza». Oggi Rachele ha trovato un lavoro che richiede la sua presenza dalle nove del mattino, «ma continuo il mio servizio sulle ambulanze, dalle sei e mezza, per il primo turno giornaliero del trasporto dializzati».misericordia-cosenza

    Fatti, non parole

    La capacità organizzativa di cui sono in possesso le Misericordie è anche a disposizione della Regione per far fronte con uomini e mezzi ad eventuali emergenze che riguardassero l’ambito della Protezione civile. Proprio in questo contesto, di recente, l’associazione ha partecipato a una vasta esercitazione nell’area dello Stretto, simulando un intervento dopo un sisma, finalizzato al recupero e al trasporto in sicurezza di persone con disabilità.

    Ma Pace è anche alla guida della consulta che raccoglie e rappresenta tutte le associazioni che sono riconosciute dalla Protezione civile della Calabria. Essa ha il compito di interagire con le istituzioni regionali deputate agli interventi in emergenza e a tenere aggiornata la mappa delle risorse disponibili e operativamente dispiegabili in caso di necessità sul territorio calabrese.
    La Consulta è organo non solo di rappresentanza, ma significativamente operativo. Ha, infatti, il compito di offrire in tempi rapidissimi una efficace risposta a una qualunque emergenza dovesse verificarsi.

     

     

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    Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.

  • Mario di lotta, Roberto di governo: gli Occhiuto divisi sull’autonomia

    Mario di lotta, Roberto di governo: gli Occhiuto divisi sull’autonomia

    Mario Occhiuto non riesce a separarsi dalla fascia tricolore di sindaco, pur essendo diventato senatore. Sarà per quella fascia che porta nel cuore che si mostra perplesso verso l’idea di una Autonomia differenziata, esattamente come la gran parte dei sindaci meridionali. Molti primi cittadini, infatti, hanno dato vita alla rete Recovery Sud, che vede nel progetto della Lega un grave pericolo.
    Il fratello Roberto, invece, che della Calabria è presidente, ne è entusiasta e perfettamente in linea con le indicazioni della destra che governa il Paese.

    Occhiuto contro: Mario vs Roberto

    La diversa posizione dei fratelli su un tema così centrale nel programma di governo, era sfuggita a queste latitudini. Non al Corriere della Sera, però, che dedica alla questione un articoletto, riportando virgolettati interessanti, proprio poche ore prima che il Consiglio dei Ministri dia il suo via libera alla riforma.
    Mario, l’ex sindaco, assai più che perplesso verso il progetto di Calderoli, quasi severo verso il fratello che sarebbe favorevole «perché parla da governatore», come se quel ruolo – cui aveva ambito lui stesso pochi anni fa – fosse distante e distratto rispetto ai reali bisogni dei territori.
    Moderata e con l’evidente scopo di stemperare le distanze la replica di Roberto, che spiega: «Mio fratello è critico perché non ha letto il nuovo testo di Calderoli, ha ripreso una mia dichiarazione precedente». Insomma dice cose senza essere del tutto aggiornato.

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    Roberto Calderoli, principale sostenitore dell’Autonomia differenziata

    Pace fatta?

    Il duello ha avuto un secondo tempo. Il presidente della Regione ha spiegato che «l’eliminazione della spesa storica è un passo avanti» da considerare in modo rassicurante. Il senatore è rimasto su posizioni critiche, sottolineando che i nodi essenziali «non sono stati risolti, e il progetto rischia di dividere l’Italia».
    Insomma separati e distanti, fino a quando l’ex sindaco ora senatore e il fratello governatore devono essersi finalmente parlati, provando ad accorciare le imbarazzanti distanze. «Il passo in avanti di cui parla Roberto c’è, e la riforma è una sfida da cogliere», sembra chiudere la questione in maniera conciliante Mario.

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    L’articolo apparso sul CorSera

    I dubbi restano

    Però, secondo il Corriere, il neo senatore non rinuncia a lasciare il campo con un’ultima stoccata che riguarda la vera posta in gioco. «Se non si riduce il gap tra Nord e Sud, se non si garantiscono risorse e non si rendono più efficienti le infrastrutture – spiega preoccupato Mario Occhiuto – i nostri ragazzi continueranno a spostarsi a Nord per lavorare e i nostri ospedali come i nostri asili forniranno un servizio insufficiente». Il duello politico – familiare si chiude qui. Sulla scena restano due Occhiuto: Mario di lotta, Roberto di governo.

  • Regione che vai, stipendio che trovi: più soldi ai prof delle scuole, ma solo al Nord

    Regione che vai, stipendio che trovi: più soldi ai prof delle scuole, ma solo al Nord

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    Provate ad immaginare di essere un insegnante in un paesino della Locride, o della Sibaritide, magari una maestra in una scuola elementare che assieme alla caserma dei Carabinieri è il solo presidio dello Stato in un luogo di povertà educativa, sociale, materiale e dove i nomi di certe famiglie nemmeno si pensano e la parola ‘ndrangheta non viene pronunciata. Provate a pensarvi tutti i giorni su un qualche trenino che sembra uscito da un film ambientato nel Far west per arrivare in un’aula dove c’è ancora la vecchia lavagna con i gessetti e avere lo scopo di guidare per mano quei bambini verso una opportunità diversa.

    Valditara e gli stipendi a scuola: Nord vs Sud

    Quanto dovrebbe guadagnare quella maestra? Quale dovrebbe essere lo stipendio di quell’insegnante? Certo, nella Calabria profonda il costo della vita è significativamente più basso che a Milano o a Reggio Emilia, ma nemmeno il lavoro è uguale: è più difficile.
    La scuola in certi paesini calabresi è un fortino assediato e qualcuno deve andare a raccontarglielo al ministro Valditara che invece vorrebbe fare la differenza, in sottrazione, tra i docenti del Sud e quelli del Nord.

    Il ministro ha poi parzialmente rettificato, praticando un vecchio esercizio caro alla destra, quello di buttare il sasso e poi dire che si è equivocato. In realtà, a ben guardare la rettifica non smentisce l’idea di nuove gabbie salariali. Nell’interpretazione che ha fornito il ministro, il contratto nazionale – bontà sua – non si toccherebbe, ma le risorse per pagare meglio i prof del Nord potrebbero giungere dai privati, oppure dalle amministrazioni pubbliche, notoriamente più ricche di quelle meridionali.
    Insomma, la disuguaglianza retributiva, scacciata dalla porta, rientrerebbe dalla finestra lasciata apposta spalancata.

    Se questa è autonomia differenziata

    Si tratta, a ben guardare, di una delle forme dell’Autonomia differenziata, applicata di traverso alla scuola pubblica, da sempre luogo di conquista per la destra. E mentre si dibatte su quanto sia ingiusto, oppure opportuno, praticare la proposta del ministro, si elude il tema centrale: qual è il valore del lavoro di un prof? Quanto “costa” (per usare un concetto caro alla destra liberista) la trasmissione dei saperi? Quanto costa la riproduzione dei valori di democrazia, uguaglianza, libertà, soprattutto in quei contesti dove essi sono minacciati ogni giorno?
    Insomma, quanti soldi dovremmo dare a quella maestra che ogni giorno racconta ai suoi scolari, in un’aula della Calabria profonda, che davanti ai problemi «uscirne da soli è egoismo, farlo assieme è politica», cioè partecipazione e democrazia?