Autore: Michele Giacomantonio

  • Moltitudine, ecco la città che (in)sorge dal centro storico

    Moltitudine, ecco la città che (in)sorge dal centro storico

    La Moltitudine esiste e nei giorni scorsi ha scelto come luogo di raduno il Centro storico di Cosenza. Giovani e vecchi, studenti e professori, bambini e famiglie, ultras e volontari, hanno dato vita alla terza edizione della Summer school dell’Unical che si è svolta tra le antiche pietre della città. La scelta è ovviamente assai più che simbolica, esprime per intero una idea differente di abitare gli spazi urbani, un progetto che “insorge” direttamente dal basso, essendo la politica istituzionale rimasta a guardare e forse nemmeno a fare quello. Ne è uscita una foto senza ritocchi, in cui la bellezza che resta fa i conti con la minaccia sempre più reale del degrado.

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    Alunni del quartiere storico Spirito Santo

    Il centro storico dunque è stato scelto come luogo d’incontro tra la città e l’Università, che come avvisa Mariafrancesca D’Agostino, sociologa dell’Unical «rischia un atteggiamento autoreferenziale, mentre deve riscoprire il suo ruolo di promozione di saperi critici, diffusi e condivisi». Abitare il centro storico, riempirlo di contenuti, parole, dibattiti e progetti «rappresenta uno sforzo per battere una visione rassegnata, che non sembra immaginare salvezza per la città vecchia», spiega cui guardare la sociologa. In realtà la prospettiva da cui guardare deve essere assai più ampia, perché il destino della parte antica della città, non può essere separata da quella della città intera e perfino dell’area urbana, «perché pensare all’uso degli spazi urbani, alla loro fruizione, alla loro valorizzazione attraverso la presenza reale delle persone, vuol dire immaginare uno sviluppo sostenibile in grado di dare futuro alla città».

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    La sociologa dell’Unical, Mariafrancesca D’Agostino (a sinistra)

    Il Comune grande assente

    Alla costruzione di questa esperienza fatta di confronto politico e allegria c’è stato un grande assente: il Comune di Cosenza. «Prima della vittoria del centro sinistra – dice la D’Agostino – al comune avevamo una giunta che pensava in termini di grandi opere, una visione che era incompatibile con la nostra idea di sviluppo», L’arrivo di Franz Caruso a Palazzo dei Bruzi poteva cambiare le cose e invece no. Uno dei motivi della mancata interlocuzione è lo scontro che mesi fa si è consumato tra Massimo Ciglio, preside dell’Istituto comprensivo dello Spirito Santo, che dell’esperienza della Summer school è stato protagonista e lo stesso sindaco. Lo scontro riguardò l’uso dello slargo su via Roma, chiuso da Occhiuto al traffico e poi riaperto alle macchine da Caruso. In quella occasione il preside manifestò contro la decisione dell’attuale sindaco e da questi fu denunciato. «Date queste premesse – racconta la sociologa dell’Unical – era difficile immaginare una interlocuzione con l’amministrazione che aveva criminalizzato uno dei protagonisti dell’esperienza della Summer school».

    Un altro momento della Summer school

    Contro la marginalizzazione

    In realtà il mancato confronto potrebbe avere ragioni più profonde, visto che è Stefano Catanzariti a spiegare come sembri che a «Palazzo dei Bruzi manchi qualunque forma di visione riguardo il centro storico e la città intera»
    Il centro storico, da questo punto di vista appare come lo specchio del resto della città, «perché il suo abbandono è il segno più evidente di una assenza di idee da parte di governa Cosenza».

    Un vuoto di idee che pesa, per esempio, ancora sui famosi 90 milioni, per i quali, ricorda ancora Catanzariti, all’inizio era partita una forma di interlocuzione con le realtà del territorio riguardo al loro uso mentre adesso manca ogni forma di progetto partecipato e condiviso. Separare il destino delle antiche pietre, dei palazzi storici, da quello delle persone, crea processi di gentrificazione, ma prima ancora di spopolamento, marginalizzazione, degrado sociale e urbano, «mentre dovremmo avviare percorsi politici per creare le condizioni per restare, dare motivi alle nuove generazioni per non andare via dal centro storico e più in generale dalla città, arginare con buone pratiche lo spopolamento». Oggi per la politica istituzionale il progetto più urgente e attuale sembra quello di dare vita all’idea della grande città dell’area urbana senza tenere conto del rischio che questa super città nasca vuota.

  • Da Verzino alla Turchia per salvare vite

    Da Verzino alla Turchia per salvare vite

    Da Verzino fino alla grotta della Morca, nella Turchia meridionale, per salvare l’americano che era lì era rimasto ferito ed intrappolato a mille metri di profondità.
    Francesco Ferraro è un giovane calabrese in forza al Corpo nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico della Puglia. È un “tecnico specialista in recupero”, vale a dire la qualifica formazione più alta che un soccorritore in grotta possa vantare. Ed è per questo che quando è avvenuto l’incidente a Mark Dickey, impegnato nella esplorazione della Morca, Ferraro è stato tra i membri del CNSAS allertato per intervenire in quanto membro dell’Ecra (European cave rescue association).

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    Il salvataggio dell’americano in Turchia (foto del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico)

    Così, nell’arco di poche ore, un aereo dell’Aeronautica ha trasportato una quarantina di tecnici italiani in Turchia e poi l’esercito turco li ha condotti all’ingresso della grotta dove da giorni altre squadre di soccorso internazionali erano già all’opera. Il salvataggio dell’americano è stato un successo grazie alla collaborazione tra i diversi gruppi e malgrado le grandissime difficoltà.

    Francesco Ferraro, o in grotta o sui tralicci

    Oggi Ferraro è tornato in Calabria e alla sua professione. Lui che per passione scende a mille metri nel ventre della terra, per lavoro si arrampica sui tralicci dell’alta tensione, ad oltre trenta metri. Insomma, una vita passata indossando casco, imbrago e moschettoni di sicurezza. Ma quando non si prende cura di cavi da centinaia di migliaia di Volt, allora non resiste e parte per qualche grotta.
    La sua passione inizia a Verzino, piccolo paese della provincia di Crotone e precisamente attorno al mistero che su di lui esercitavano gli ingressi bui della grotta della “Grave” (Grave grubbo) e dello Stige. Nel 2011 inizia a praticare la speleologia, seguendo persone con maggiore esperienza e imparando come una spugna. Rapidamente acquisisce tecniche e competenze, ma soprattutto il suo motore è la curiosità: «Si deve uscire dal proprio recinto, confrontarsi con realtà diverse, solo così si migliora nella speleologia», dice sicuro.

    Dal Marguareis all’Iran

    E infatti presto la Calabria con le sue grotte gli stanno strette. Cerca esperienze nuove. Va nel tempio della speleologia italiana, il Marguareis, visita il gigantesco complesso carsico che si dipana in chilometri di grotte. Impara di più, impara meglio, si affianca ai nomi più autorevoli della speleo italiana. Poi lo sguardo curioso si sposta più in là, di parecchio. Francesco Ferraro nel 2018 parte per l’Iran, partecipa a una spedizione internazionale composta da 10 italiani e 16 polacchi, oltre che un certo numero di speleo iraniani.
    «La zona dove si svolgeva la spedizione era molto inospitale. Ci aspettavano 10 ore di cammino, 1.600 metri di dislivello, fino alla cima posta tra i 2.800 metri e i tremila con una infinità di inghiottitoi e ingressi».

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    Ferraro nelle grotte del Marguareis

    L’associazione che ha messo assieme i componenti della spedizione è La Venta probabilmente tra le più importanti realtà di esplorazioni geografiche. Francesco Ferraro ha fatto il salto definitivo. Torna in Iran per completare l’esplorazione l’anno successivo, intanto ha trasferito la sua passione nel Soccorso. Acquisisce nuove competenze, «perché essere bravi in grotta non basta, si deve imparare a portare soccorso, mettere in sicurezza il ferito, trovare la via più sicura per portarlo fuori, avere cura dei compagni di squadra».
    È un percorso di responsabilità, di conquista di maturità, di consapevolezza e senso di solidarietà. Perché altrimenti non ti svegli all’alba la domenica, magari d’inverno, per partecipare a una esercitazione.

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    La spedizione in Iran

    Francesco Ferraro e Il Buco di Frammartino

    Il valore di Francesco Ferraro viene successivamente riconosciuto anche da Michelangelo Frammartino, regista del film Il Buco, sulla scoperta ed esplorazione dell’abisso del Bifurto. In quella occasione Francesco assieme ad altri esperti speleo calabresi, come Nino Larocca, fornisce assistenza alle riprese, trasportando nei pozzi le attrezzature e garantendo la sicurezza degli attori. Pur se calabrese entra a far parte del Soccorso Alpino e Speleologico Puglia e lì, dopo un lungo periodo di formazione diventa, Specialista nelle tecniche di recupero. Un traguardo che premia la costanza e la passione, ma pure una acquisita maturità sui compiti di un soccorritore.

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    Francesco in una grotta

    Le grandi esplorazioni non lo hanno separato da Verzino, dove con un gruppo di amici cerca di promuovere la pratica della speleologia, di tenere in vita il fascino della scoperta tra i ragazzi del paese.
    «Per me descrivere la speleologia è difficile – spiega sorridendo Francesco Ferraro – per tanti uno è sport, per altri un laboratorio scientifico, per altri ancora una frontiera da esplorare in un mondo che visualizza la realtà tramite il display di un telefonino. Credo sia la somma di tutto questo e certamente è stato il modo per conoscere tante persone, costruire amicizie solide, relazioni umane sulle quali puoi contare. Che poi è il senso profondo del Soccorso Alpino e Speleologico, perché l’evento in Turchia mi ha fatto riflettere su una cosa, che in parte già sapevo, ma il cui senso è diventato più forte: Non importa chi tu sia, se sei uno speleo e sei in difficoltà, altri speleo faranno di tutto per aiutarti».
    È l’etica dei soccorritori, se sei in difficoltà in un ambiente remoto e impervio, ci saranno sempre tecnici preparati che faranno di tutto per salvarti.

  • «Ora dateci un lavoro»: a San Giovanni soffia vento di protesta

    «Ora dateci un lavoro»: a San Giovanni soffia vento di protesta

    Sono centinaia le persone che da qualche giorno a San Giovanni in Fiore sono riunite chiedendo un lavoro. Sono donne e uomini di età diversa, che affrontano la fatica di una crisi che morde, particolarmente i più deboli, quelli cui è stato sottratto il sostegno del reddito di cittadinanza e si trovano ad affrontare l’impossibilità di soddisfare i bisogni più elementari.
    A dispetto della narrazione dominante, che vorrebbe i disoccupati inclini al non far nulla su improbabili comodi divano, ecco che questa moltitudine si raccoglie a San Giovanni reclamando un lavoro.

    CLICCA SULL’IMMAGINE IN APERTURA PER GUARDARE IL VIDEO

    La crisi è generalizzata, ma alcune aree del territorio, come appunto quelle di montagna, la sentono più feroce. Per questo un gruppo spontaneo, denominatosi “Gruppo disoccupati San Giovanni in Fiore”, ha dato vita a una mobilitazione, rivolgendosi alle autorità loro più prossime, esattamente come i disoccupati raccontati da Franco Costabile che nelle sue poesie descriveva le notti passate in attesa di un incontro con i politici.

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    Il raduno spontaneo di San Giovanni in Fiore

    Ieri come oggi, quelle autorità hanno fin qui taciuto. Non una attenzione da parte della Succurro, sindaco del paese silano e presidente della Provincia. Così come ancora nessun segnale è giunto da parte di Roberto Occhiuto.
    L’impegno del gruppo sangiovannese va oltre la richiesta di un lavoro che dia dignità all’esistenza. Si proietta verso la speranza di bloccare l’emorragia della migrazione dei giovani, dello spopolamento dei paesi, dell’impoverimento della Calabria.

  • Raganello, 5 anni dopo: guide assolte, ma Gole ancora chiuse

    Raganello, 5 anni dopo: guide assolte, ma Gole ancora chiuse

    Il 20 Agosto di cinque anni fa una piena improvvisa nelle Gole del Raganello si portava via dieci escursionisti, causando il ferimento di altre decine. In quella occasione il Soccorso Alpino calabrese dispiegò tutte le sue energie, impegnandosi in quello che resterà l’intervento di soccorso più lungo e difficile. Come era prevedibile la Procura di Castrovillari avviò delle indagini che si concretizzarono in due inchieste. La prima riguardava l’accusa di omicidio colposo e coinvolgeva anche il sindaco di Civita e due responsabili delle società coinvolte nell’accompagnamento dei turisti quel giorno. La seconda invece si concentrò sulle guide che in generale conducevano il tour della discesa delle gole.

    Raganello: due gradi di giudizio, tutti assolti

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    Luca Franzese

    Questo secondo filone giudiziario si avvia oramai alla conclusione dopo aver affrontato due gradi di giudizio che hanno visto l’assoluzione delle guide e dei soci delle società turistiche perché il fatto non sussiste.
    «Dopo essere riusciti ad affermare le nostre tesi circa l’inconsistenza delle accuse alle guide e soci delle società turistiche in primo grado e in appello, ora aspettiamo la Cassazione», spiega Luca Franzese, avvocato e al tempo della tragedia presidente del Soccorso alpino. Franzese in quella circostanza fu tra i primi ad intervenire e a coordinare i soccorsi, trovandosi ad affrontare una emergenza che mai era stata immaginata. Infatti numerose erano state le esercitazioni che i tecnici del Soccorso aveva tenuto nelle gole, ma sempre avevano riguardato il recupero di una ipotetica vittima di un incidente, non una tragedia di quelle dimensioni.

    L’esposto delle Guide alpine

    A causare il coinvolgimento dei soci e guide delle associazioni che portavano i turisti nelle gole fu un esposto che presentò il Collegio nazionale delle Guide alpine, . Queste da Milano sollevarono, qualche giorno dopo la tragedia, la questione della legittimità di quelle escursioni. Nessuna  delle guide del Raganello aveva, infatti, il titolo professionale di Guida Alpina. In sua assenza, le guide del Raganello non avrebbero avuto l’abilitazione a condurre le escursioni nelle Gole sia per la difficoltà tecnica del percorso sia per la necessità dell’uso di corde e imbraghi per la progressione in sicurezza nel torrente. In sintesi, le si accusava di esercizio abusivo della professione.

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    Escursione lungo le gole del Raganello

    «L’accusa era completamente infondata ed ingiusta. L’esposto del Collegio delle Guide Alpine fu firmato da chi non era mai stato nella sua vita a Civita e dunque non conosceva le Gole del Raganello. Ci toccò spiegare ai giudici che per quelle escursioni non si poteva applicare la legge 6 del 1989 che obbliga, in terreni particolari di montagna, per gli accompagnatori il titolo professionale di Guida Alpina,. Nel tratto turistico delle Gole non occorreva alcun imbrago, né uso di corde. Di conseguenza, le guide che operavano in quel territorio, in possesso del titolo di Guida Ambientale ed Escursionista non erano assolutamente abusive», afferma Franzese.

    Raganello e Marmolada: due pesi e due misure?

    Serviva però un parere autorevole a riguardo. Così la difesa delle guide chiamò, come perito di parte, dalla Valle D’Aosta Adriano Favre, maestro guida alpina ed istruttore di guida alpina, di indiscusso valore. Favre discese il Raganello, ispezionando con meticolosità ogni passaggio. E certificò la non applicazione della legge sulle Guide Alpine e la mancata necessità di usare corde ed imbraghi.
    La sua perizia finì per risultare determinante nel sostenere la tesi dell’avvocato Franzese. Portò infatti al proscioglimento delle guide del Raganello anche in sede di appello, con sentenza di alcuni mesi fa.

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    I soccorsi sulla Marmolada dopo il distacco del ghiacciaio a luglio 2022

    Se dunque uno dei filoni d’indagine si avvia verso una conclusione, resta dai giorni della tragedia la chiusura delle gole. Erano state per molto tempo attrazione turistica e fonte economica per i territori circostanti, ma ancora oggi risultano sotto sequestro.
    Franzese non si rassegna all’uso nazionale di pesi e misure differenti davanti a tragedie assai somiglianti. Il suo riferimento è alla tragedia della Marmolada, quando agli inizi di luglio dell’anno scorso una valanga travolse e uccise 11 persone.
    Dopo le prime indagini, i sentieri che conducono sulla montagna furono riaperti immediatamente e con essi il flussi turistico. Qui invece dopo molto più tempo nessuno si assume la responsabilità di riaprire le Gole al turismo.

    Le possibili soluzioni e il dibattito che non c’è

    «Eppure – sostiene Franzese – si potrebbe fare. Risulta che la Regione abbiano stanziato cifre importanti per mettere in sicurezza la Gola, attraverso strumenti per monitorare la portata dell’acqua e la collocazione di allarmi. Inoltre, per rendere ancora più sicura la discesa del torrente si potrebbe contingentare il flusso dei visitatori con regole chiare e sicure». In realtà ad impedire di prendere in considerazione l’apertura delle Gole e ridare fiato all’economia del territorio è stata anche una certa arrendevolezza della popolazione. Così come una mancanza di iniziativa dei Comuni e della politica in generale.

    «Nel Nord Italia la pressione dell’opinione pubblica, determinata a non accettare la chiusura di interi suoi territori e risorse naturali da una parte, e gli interessi degli operatori turistici dall’altra hanno svolto un ruolo efficace», conclude l’avvocato.
    Purtroppo il recente incidente avvenuto sul fiume Lao, evento assai differente per molti aspetti, non aiuta la discussione a riguardo. E invece bisognerebbe affrontarla con l’obiettività necessaria e la sensibilità verso i territori che fin qui è sembrata mancare.

  • Camigliatello, il mistero degli alberi numerati

    Camigliatello, il mistero degli alberi numerati

    Sul piazzale dell’ingresso agli impianti di risalita di Camigliatello –  fermi,  tra l’altro, per il consueto e irrisolto problema del collaudo dei cavi – ci sono numerosi alberi alti anche oltre venti metri. Su molti di essi qualcuno ha tracciato un numero con della vernice rossa. Generalmente questa procedura prelude a un solo destino: qualcuno abbatterà quegli alberi. Solo che nessuno, tra le autorità presumibilmente competenti (Ente Parco, Regione e Comune) è stato in grado di spiegare quale sarà il destino di ben 39 pini silani.

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    Il corso principale di Camigliatello Silano

    Il sindaco di Spezzano, nel cui territorio ricade l’area interessata, in una frettolosa telefonata ha rapidamente scaricato la responsabilità sulla Regione.
    Più disponibile a fornire spiegazioni, tuttavia insufficienti, è stato il direttore dell’Ente Parco, Ilario Treccosti. Al telefono ha chiarito che non può «essere informato su tutto», ipotizzando anche che gli alberi numerati siano quelli non destinati all’abbattimento. I sopravvissuti, in pratica. Poi ci ha invitati a scrivere una mail al Parco.
    E qui è partita la battaglia delle Pec.

    Gli alberi di Camigliatello e la battaglia delle Pec

    Una prima mail certificata l’abbiamo inviata al Parco il 21 giugno, restando senza risposta. Una seconda invece, anch’essa del 21, ha avuto come destinatario il settore “Parchi e Aree naturali protette” della Regione Calabria, da cui non abbiamo avuto repliche.
    Il dipartimento “Territorio e Tutela dell’ambiente”, sempre della Regione, il 29 ci ha risposto a sua volta affermando che «In riferimento alla Pec in oggetto si fa presente che la richiesta pervenuta non è di competenza dello scrivente settore».

    La cittadella regionale di Germaneto

    Dalla Pec del settore “Agricoltura e forestazione”, invece, ci spiegano che la nostra richiesta di informazioni «si trasmette per competenza e per opportuna conoscenza». Destinatario della trasmissione è il dipartimento “Territorio e Tutela dell’ambiente”. Lo stesso, cioè, che aveva negato ogni competenza quando lo abbiamo contattato. Visto, invece, che l’Agricoltura non ha coinvolto il dipartimento “Politiche della montagna, Foreste, forestazione e Difesa del suolo” abbiamo evitato di distogliere anche gli uffici in questione dal loro duro lavoro con una email.

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    Gianluca Gallo, assessore regionale all’Agricoltura

    Una Pec, per non farci mancare nulla, l’abbiamo mandata pure all’assessore Gallo. Certo, non apre lui stesso la posta, ma qualche suo assistente l’avrà pure trovata e letta, senza però degnarsi di fornire alcuna spiegazione. In questa specie di matrioska di competenze e ruoli, abbiamo mandato Pec pure a Calabria Verde. Anche lì la posta certificata deve risultare un seccante impiccio.

    Chi martella taglia

    Ma il bello viene adesso. Perché se numerare gli alberi vuol dire probabilmente segnare quelli da tagliare – o da salvare, secondo l’ipotesi di Treccosti – quanto si vede a Camigliatello è piuttosto bizzarro.
    Il modo corretto per realizzare il taglio di alberi in area boschiva è quello di procedere alla “martellatura”. È una pratica che impone l’apposizione di un sigillo col simbolo dell’Ente che ha scelto quanti e quali alberi abbattere, tramite appunto la martellatura da fare alla base del tronco dell’albero. Tutto questo al fine di conoscere sempre chi lo ha tagliato. Senza tale sigillo “martellato” adeguatamente dove tutti possano trovarlo, il taglio potrebbe essere opera di chiunque.

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    Uno degli alberi senza martellatura a Camigliatello

    Attorno a questi alberi numerati a Camigliatello fioriscono le ipotesi. Qualcuno parla di salvaguardia delle macchine poste sotto gli alberi, sulle quali d’inverno potrebbero cadere ammassi di neve. Altri sostengono si tratti di un semplice allargamento del parcheggio stesso. Non manca nemmeno chi con un’alzata di spalle assicura che ogni tanto qualcuno traccia numeri sui tronchi, ma poi nessuno li taglia davvero.
    Se però questa volta dovesse accadere, non sapremo mai chi l’ha deciso.

  • Rende, l’agonia di una città che sognava in grande

    Rende, l’agonia di una città che sognava in grande

    Quando Empio Malara progettò la città di Rende la immaginò come una realtà urbana dove la modernità non avrebbe dovuto snaturare il senso dell’abitare i luoghi. Da questo punto di vista Rende si contrappose subito alla vicinissima Cosenza, cresciuta disordinatamente, senza un piano regolatore organico, preda della furia edilizia della metà degli anni sessanta.

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    Cecchino e Sandro Principe

    Il Principato

    Rende invece era ordinata, strade larghe, viali alberati, spazi comuni, asili che sembravano venuti da paesi scandinavi, servizi che promettevano di essere efficienti. Dietro quel progetto urbanistico, come sempre accade, c’era una visione politica, la pretesa di realizzare, per la prima volta in Calabria, una città a misura delle persone.
    L’artefice di quella visione fu Francesco Principe, socialista arcaico eppure moderno, eternamente sindaco di Rende per poi passare lo scettro al figlio Sandro, entrambi capaci per molti anni di influenzare le scelte politiche calabresi. Furono moltissimi i cosentini che dagli anni settanta in poi cedettero alla tentazione di trasferirsi oltre il Campagnano, confine immaginario e amministrativo tra le due entità urbane, in realtà cresciute una accanto all’altra senza soluzione di continuità. I prezzi bassi degli appartamenti, l’apparente maggiore vivibilità degli spazi, furono un’attrattiva per un gran numero di cosentini, per lo più piccola borghesia impiegatizia, che cercava casa.

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    L’Università della Calabria

    Dormitori, Unical e Legnochimica

    Cosenza si svuotava, perdendo residenti, ma Rende si riempiva solo di notte: per moltissimi anni i suoi quartieri ebbero il destino di restare dormitori. La bella città progettata da Malara non riuscì ad avere un’anima propria per tanto tempo, le piazze, gli slarghi, progettati come luoghi di incontro, rimasero non luoghi, spazi vuoti, perché per costruire l’identità di una città ci vuole tempo.
    Nemmeno l’arrivo dell’università riuscì a mutare il destino dei quartieri rendesi, ma portò nuova ricchezza al territorio, che conobbe un ulteriore impulso edilizio. Intere aree sorsero per dare ospitalità agli studenti fuorisede, alimentando un giro d’affari costruito sui fitti in nero. Chiunque in quegli anni ne abbia avuto la possibilità, ha acquistato uno o più appartamenti, spingendo la domanda di nuove case e immaginando proficui investimenti. Oggi Rende è probabilmente la città con il più alto numero di case rispetto ai residenti. Sul piano economico Rende si proponeva anche come attrattore di imprese, con un’area industriale piena di capannoni, ma anche con la mefitica Legnochimica, problema ancora irrisolto.

    La sedicente Crati Valley

    E mentre Cosenza restava ostinatamente ancorata al settore terziario, Rende coglieva l’opportunità della modernità ospitando le imprese della così detta Crati Valley, guizzi di futuro fatti di ricerca applicata, informatica, servizi avanzati, oggi per lo più arenati come balene spiaggiate. A guidare la crescita urbanistica e sociale di Rende è stata la famiglia Principe, al timone della città per un tempo così lungo da poter essere tranquillamente scambiata per una monarchia ereditaria. Nelle rare occasioni in cui a guidare il comune non era un Principe, il sindaco eletto era certamente riconducibile all’influenza della loro famiglia.

    L’antagonismo con Mancini

    Un successo lunghissimo che si è basato certamente su un consenso autentico, ma non meno su un potere radicato e diffuso: sia il patriarca Francesco che il figlio Sandro, hanno avuto nel tempo ruoli importanti in vari governi nazionali. Il conflitto campanilistico tra il capoluogo e la città di Rende era costruito anche sull’antagonismo politico tra i Principe e Mancini e a quei tempi l’ipotesi di una città unica è presente ma sotto forma di fantasma, un’idea che non sta tra le cose davvero probabili, ma di cui si parla. Gradualmente quell’idea cominciò a circolare restando però ben circoscritta nell’ambito della teoria, anche se non mancarono gli esercizi di fantasia sul nome, come l’ipotesi di chiamarla Co.Re. Ogni tanto la si faceva uscire dal cassetto, sempre senza eccessiva convinzione, fino a quando non divenne tema politico sempre più attuale allorchè accadde quel che non sembrava possibile: Sandro Principe venne sconfitto da Marcello Manna alle elezioni amministrative del 2014.

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    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    Un Comune sciolto per mafia

    Non era solo il declino di una lunghissima egemonia, che già aveva dato segni di cedimento, era l’inizio di una nuova era che si sarebbe conclusa con l’onta dello scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa. Ma all’inizio della prima consiliatura di Manna questo evento non era ancora prevedibile e Rende si candidava sempre più fortemente come antagonista del capoluogo. I suoi quartieri non sono più dormitori, la città ha lentamente costruito la propria anima. Cresce il dibattito sulla collocazione del nuovo ospedale, che Manna vorrebbe accanto all’Unical, mentre Occhiuto sulle colline di Muoio Piccolo e con fiammate sempre più frequenti si apre il dibattito sulla città unica, dove Rende spinge per un ruolo di maggiore protagonismo rispetto a Cosenza che è azzoppata da un bilancio pieno zeppo di debiti.

    Titoli di coda

    Le disavventure giudiziarie del sindaco Manna sono solo una lunga agonia che porta Rende all’ignominiosa conclusione, che poteva essere risparmiata se chi guidava la città si fosse per tempo arreso all’inevitabile. Oggi l’idea della città unica ha un nuovo convitato al dibattito, ed è proprio l’inglorioso finale di una città che voleva essere moderna e che si è svegliata prigioniera a rimescolare le carte, spostando non solo nel tempo l’eventuale realizzazione del progetto, ma anche mutando equilibri di potere ed egemonie. È come se la carta lucida su cui Malara aveva disegnato l’idea di una città nuova che doveva essere Rende fosse stata strappata con violenza e di questo non c’è nessuno che possa riderne.

  • Maturità dalla A alla Z: guida alla sopravvivenza per esami di Stato

    Maturità dalla A alla Z: guida alla sopravvivenza per esami di Stato

    Alfabeto minimo per capire (e sopravvivere) agli Esami di Maturità.

    Afasia

    “Incapacità di esprimersi mediante la parola o la scrittura o di comprendere il significato delle parole dette o scritte da altri, dovuta ad alterazione dei centri e delle vie nervose superiori”. Spesso prende alcuni studenti davanti alla prima domanda nel corso delle prove orali agli esami di maturità: restano lì immobili con lo sguardo fisso come davanti a una visione Mariana. Per farli ripartire generalmente basta scuoterli un poco.

    Bocciati

    Agli esami di maturità in genere non si boccia nessuno, una volta che sei arrivato lì, pur di farti superare la linea del traguardo la commissione è disposta a spingerti a mano. Statisticamente solo i privatisti corrono qualche rischio, per esempio se provi a fare in un colpo solo tutti gli anni del liceo. Cose che nemmeno alla Cepu considerano possibile.bocciato-esami-maturita

    Colloquio (d’esame)

    Ci si aspetta che il candidato esponga con disinvoltura un percorso multidisciplinare, passando disinvoltamente da una materia all’altra, cogliendone i collegamenti, esprimendo anche un pensiero critico e personale sulle vicende di maggior rilievo proposte nel corso della prova orale. Tutto il contrario delle prove Invalsi, che infatti sono una bufala e non servono a niente, però costano un botto.
    Praticamente durante l’anno chiediamo ai ragazzi un sapere buono per i quiz e poi agli esami ci aspettiamo una cosa diversa. Geniale.

    Commissione

    Gruppo di prof che deve esaminare gli studenti. Una volta era tutta esterna, cioè fatta da docenti provenienti da altre scuole, anzi da altre città, con un solo membro interno, in genere il più sfigato del Consiglio di classe. Gesualdo Bufalino, che insegnava in un Magistrale, disse che gli esami di maturità erano una occasione per i prof (generalmente piuttosto poveri) di viaggiare e godere delle bellezze del Paese che altrimenti non avrebbero mai visto. Infatti si poteva fare domanda per fare esami in città magnifiche, come Firenze, Roma, Venezia e il Ministero copriva le spese. Qualcuno pensò che fosse una manna e se ne approfittò.
    Oggi le commissioni sono miste, metà docenti della classe, metà esterni e i soldi che si guadagnano sono molti meno rispetto ai tempi di cui parlava Bufalino.

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    Gesualdo Bufalino

    Commissione web

    Piattaforma digitale che semplifica la vita dei membri delle commissioni. I verbali sono prestampati e basta compilare i vari format. Peccato che nel corso delle riunioni preliminari, quelle durante le quali si scrivono moltissimi verbali, la piattaforma si sia bloccata pare in tutta Italia e si sia dovuto procedere a mano, come una volta.
    La rivincita del mondo antico sulla presunzione della modernità.

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    Una volta c’erano le cartucciere, quelle cinture portate sotto gli abiti, dove i vari temi erano meticolosamente infilati come provvidenziali proiettili. Era un lavoro da pazienti amanuensi: era necessario scrivere a penna gli argomenti, riempiendo con grafia piccolissima lunghe strisce di carta che poi andavano sapientemente arrotolate. Sul lato destro trovavano posto quelli di Storia, dalla Prima guerra mondiale a Hiroshima, dall’altra i temi di Italiano, da Leopardi a Pasolini.
    Ma quello era un metodo da boomers, che come generazione gli esami di maturità dovrebbero averli fatti da un pezzo. Oggi è soppiantato da forme di “suggerimenti digitali”, come ChatGpt, che potrebbe farti passare per un novello Salinger, oppure farti scrivere cose assolutamente ridicole.

    Copiare/2

    Sia che si venga beccati con il classico foglio col compito già scritto conservato nel panino, oppure con un telefonino collegato alla rete, oltre ad essere espulsi dall’aula, resta pure la figura tremenda di finire quasi certamente sulle locandine dei giornali locali.terza-prova-esami-maturità

    Copiare/3

    Molti decenni fa in una classe del Telesio c’era uno studente che aveva un talento: sapeva passare le copie. La versione di Greco o Latino non la faceva mica lui, lui aveva il compito di far arrivare la copia a tutti i compagni. E poiché non tutti erano bravi, ecco che lui si ingegnava nel farcire le versioni di errori, non sia mai che uno che aveva sempre preso un cinque stentato facesse una versione perfetta… la credibilità ne avrebbe patito. Un artista della copiatura collettiva.

    Dizionario/1

    È il solo strumento che il candidato può portare all’esame. Dentro ci sono tutte le parole. Ma per la generazione digitale, avvezza ad usare i telefonini, potrebbe sembrare un oggetto arcaico.

    Dizionario/2

    Il numero delle parole padroneggiate dai giovani pare si sia ridotto, anche a causa dell’egemonia culturale di certi programmi televisivi contro cui nessuna scuola può nulla. Per qualche candidato il solo modo teorico per tentare di parlare la lingua madre senza torturarla è mangiare il dizionario.

    Documento (di classe)

    Malloppo sia cartaceo che digitale in cui un docente, particolarmente sventurato, ha dovuto raccontare tutta la storia della classe, da quando gli studenti sono venuti al mondo fino all’ammissione agli esami. Dentro ci trovate qualunque cosa: programmi, metodi, verifiche, schede e tabelle, valutazioni e analisi psico educative.
    Se scriverlo è cosa noiosissima, per essere disposti a leggerlo bisogna essere minacciati di morte.

    Fujutina (non amorosa)

    Urgente  ma assolutamente mistificatorio bisogno di qualche studente di recarsi al bagno non per espletare una impellente minzione, ma per consultare al volo il foglietto con gli appunti celato tra le mutande. La variante digitale prevede che al posto del foglietto ci sia un cellulare sfuggito al controllo dei commissari. Roba da agente segreto in missione in territorio nemico.

    Greco (o Latino)

    Il latino lo fanno in molti licei, il Greco solo al Classico. Il Castiglione e Mariotti e il Rocci pesano ognuno circa tre chili e sono stati portati fino a scuola in occasione di ogni compito in classe per cinque anni. Generazioni di studenti sono venuti su con la scoliosi senza però essere diventati grecisti o latinisti. Ancora oggi agli esami la lingua che fu di Lisia o Platone rappresenta un incubo, quella di Cicerone o Cesare una passeggiata.

    Ispettori

    Figure mitologiche che pare il Ministero mandi durante gli esami di maturità nei licei per vedere se tutto va bene. Quando arrivano seminano il panico. Certe volte invece arrivano, ma non se ne accorge nessuno.

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    La sede del Ministero dell’Istruzione in viale Trastevere a Roma

    Mamme

    Sono quelle donne che conoscono benissimo il Materialismo storico e sanno con chi Montale ha «sceso almeno un milione di scale», visto che hanno seguito le ripetizioni del figliolo fino allo sfinimento.
    Potrebbero affrontare l’esame meglio del maturando, ma si limitano a preparargli una colazione adeguata alla fatica della prova che si annuncia: caffellatte molto zuccherato, biscotti da inzuppare mentre il povero ragazzo è costretto a ripetere lo Zibaldone.
    Preparano lo zaino per la prova scritta: dizionario, tre penne, fazzolettini, bottiglia di thè freddo, bottiglia d’acqua. Poi salutano il figlio dicendogli: vai bello di mamma, ti aspetto qui. In realtà si precipitano sotto la scuola in attesa che l’esame finisca.

    Maturità (esami di)

    Nei Paesi occidentali ed opulenti rappresentano l’ultimo rito di iniziazione alla vita adulta. Una volta per i maschi c’era la Leva e solo chi non l’ha fatta ne può avere nostalgia. I riti di iniziazione sono sempre dolorosi, portano la fatica del mutamento, della trasformazione. Il cambiamento è difficile, sempre, gli Esami di maturità molto meno.

    Merito

    Non è solo il nuovo nome del Ministero dell’Istruzione, è un inganno. Evidentemente a viale Trastevere 76/A, dove lavora Valditara, non hanno mai letto il fanta-saggio del sociologo Michael Young, L’avvento della meritocrazia.
    Nel libro l’autore inventa, appunto, il concetto di meritocrazia e immagina una società in cui ognuno merita ciò che ha, il ricco la propria opulenza, il povero la propria vita miserabile e nessuno cerca di cambiare lo stato delle cose.
    Il merito è una bugia perché come già avvisava don Milani, la cosa più ingiusta è «fare parti uguali tra disuguali».

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    Il ministro Giuseppe Valditara

    Ognuno fa i conti con il proprio “capitale sociale”, che nella definizione di Bourdieu è «la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento», vale a dire la base della disuguaglianza sociale.
    E non si può parlare di meritocrazia senza intervenire sulle disuguaglianze.

    Notte (prima degli esami)

    L’ultima spiaggia di una adolescenza dura a morire, in realtà dopo gli esami non cambia nulla. Qualcuno la passa sui libri perché ha scoperto di non ricordare nulla, per altri sarà insonne pensando a qualche amore, per molti sarà una notte da ricordare a lungo come il primo bacio. Tutti ci sono passati, ma solo Venditti ci ha fatto un sacco di soldi.

     

    Orario (di accesso alle aule per le prove scritte)

    Momento pericolosissimo durante il quale orde di studenti si precipitano verso le aule per occupare gli ultimi posti, quelli che si immaginano più adatti alla copiatura del compito.

    Presidenti

    Sono uomini o donne sulle cui spalle grava il peso del corretto svolgimento degli esami. Sono come notai, ma pagati molto meno. Li vedi camminare nei corridoi e subito li distingui dai commissari: sono quelli con la faccia preoccupata. Qualcuno è preso dalla “sindrome del caporale”, crede cioè di comandare, poi scopre che non è vero.

    Promossi

    Rassegniamoci, la scuola che promuove tutti è una menzogna “democratica”, un’ipocrisia. Ci si è convinti che promuovere tutti sia l’abolizione della disuguaglianza. In realtà la scuola ha smesso di bocciare, ma non salva i ragazzi dalla spietatezza della selezione che avviene fuori dalle aule in base al “capitale sociale” di ciascuno. Per questo non c’è più la professoressa classista contro si arrabbiava don Milani, semplicemente non serve.

    Scientifiche (Materie)

    Pare che per gli studenti italiani siano le più difficili, c’è gente che si è rifugiata al Classico perché c’era poca Matematica. Siamo il Paese con meno propensione verso le Stem, d’altra parte siamo un Paese di navigatori, santi e poeti, mica matematici (ai navigatori però la matematica serve eccome). Come attenuante possiamo dire che secondo Martha Nussbaum «a salvare le democrazie non saranno gli ingegneri, ma gli umanisti»

    Silenzio

    Imbarazzante assenza di parole che aleggia nell’aula quando lo studente ha esaurito assai anzitempo le cose da dire e la commissione lo guarda pregando che ritrovi una scintilla di vita per ripartire.

    Sintesi

    Capacità dello studente di chiudere efficacemente un ragionamento, mostrando al contempo padronanza nell’eloquio. Se è eccesiva sconfina nella dimostrazione di non sapere cosa dire (vedi silenzio)

    Tesina

    Una volta c’era la tesina. Era un lavoro multidisciplinare che serviva a valutare quanto lo studente fosse in grado di cucire le materie tra loro in modo organico ed efficace.
    Aveva titoli altisonanti come La morte dell’Io nella prima metà del Novecento. Alla fine del liceo l’Io moriva sempre.
    Poi dal Ministero si sono inventati il tirare a sorte una frase o una immagine e tessere attorno a quella lo svolgimento dell’esame. Oggi si è tornati al “percorso”, non una tesina, ma nemmeno un argomento a piacere.

    Verbali

    In passato, prima dell’era digitale, si dovevano redigere tre copie di verbali, a mano, assolutamente uguali. Dentro ci potevate trovare tutto quello che era accaduto nel corso degli esami. Una volta un vecchio prof prossimo alla pensione ci mise dentro dei versi di Dante. Nessuno lo chiamò mai per chiedergli perché mai lo avesse fatto.

    Voto

    È espresso in centesimi, oltre il cento c’è la Lode, per fortuna nessun bacio accademico. Il voto è il prodotto dell’inesorabile misurino fatto di crediti, voti di ammissione, voti presi nelle prove d’esame. Un calcolo precisissimo che commette sempre l’errore di ridurre una persona a un numero.esami-maturità-voti

    Vacanze (la voce dovrebbe essere posizionata più in alto, ma le vacanze chiudono gli esami, forse)

    Tempo che comincia appena lo studente ha finito gli esami e che il povero illuso immagina fatto di spiagge, discoteche, lunghissime dormite. In realtà per molti le prove per le selezioni necessarie per accedere alle facoltà universitarie sono già dietro l’angolo. Perché gli esami, come si sa, non finiscono mai.

    Ps: la prova d’esame finisce davvero quando il candidato sente rivolgersi dal presidente la consueta domanda: «Che farai dopo?».
    Ecco, a quel punto un sorriso si allarga sul suo volto, perché sa che a quella domanda non c’è una risposta giusta o sbagliata. Eppure quella domanda è la più importante.
    Ebbene, qualunque cosa vogliate fare dopo, buona fortuna.

  • Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di casa. Non cedete alla pena, gli orfani in questione non sono esattamente diseredati. Al contrario, detengono il potere di decidere dei destini della Calabria attraverso le proprie scelte amministrative. Parliamo di chi ha mostrato di saper costruire e controllare il consenso elettorale e che in passato – ma ancor di più recentemente – ha rappresentato la forza del partito di Berlusconi.

    Adesso però, dopo la morte del fondatore, Forza Italia è in disfacimento. I  players politici nostrani devono ricollocarsi e presto, perché è vero che i voti locali sono di loro proprietà, ma senza un riferimento nazionale che li inquadri nel contesto politico generale e successivamente europeo, non vanno da nessuna parte. Di qui l’urgenza, quando ancora il lavoro delle prefiche è in corso, di guardarsi attorno e negoziare passaggi che garantiscano posti di prima classe.

    Gli orfani di Silvio a Cosenza e provincia

    Nella provincia di Cosenza i giocatori ancora in lutto, ma già in posizione di partenza, sono Gianluca Gallo, potente e votatissimo assessore regionale, i fratelli Occhiuto e anche i Gentile. A rappresentare questi ultimi al momento c’è solo Katya, figlia di Pino, nell’assemblea regionale. Tra poco, però, la famiglia potrebbe ritrovare una proiezione nazionale grazie alla decisione della Giunta per le elezioni della Camera dei deputati di cambiare le regole a partita finita e validare tutte le schede dichiarate nulle. Ciò consentirebbe al figlio di Tonino, Andrea, di sedere in parlamento pur essendo stato bocciato dall’elettorato.

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    Silvio Berlusconi e Roberto Occhiuto in una foto di due anni fa

    «Troppo moderati per Fratelli d’Italia»

    Per tutti loro oggi è necessario trovarsi un altro vascello. E considerando la storia, la cultura di provenienza, la fluidità che sempre li ha caratterizzati, pare difficile che Gallo e gli Occhiuto si imbarchino con la Meloni. «Troppo moderati – spiega ridendo Water Nocito, docente di Diritto – per andare con Fratelli d’Italia, è più naturale che cerchino una sponda centrista, o meglio, terzopolista». Insomma una casa nuova che c’è solo sulla carta, ma che potrebbe prendere corpo grazie alla ben nota abilità manovriera di Renzi.

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    Matteo Renzi e Carlo Calenda

    «È inevitabile che Gallo e gli Occhiuto guardino verso Renzi. È lui, più che Calenda cui credo sia destinato il ruolo di follower, a saper dare le carte e giocare poi la delicata partita con la maggioranza di governo».
    Perché è chiaro che tutti i passaggi che si concretizzeranno, avverranno dopo aver valutato il “prezzo”: da una parte il valore di chi porta consistenti pacchetti di voti, dall’altra quello di chi accoglie fornendo identità nazionale ai singoli politici senza casa.

    Tutti insieme è difficile

    Per il docente Unical «nulla è ancora deciso, ma ogni cosa è già in movimento e il valore politico dei partecipanti giocherà un ruolo determinante. Per esempio, Roberto Occhiuto ha dimostrato che nella Regione nulla si muove senza il suo consenso. D’altra parte Gallo potrebbe aver potenziato la sua già solida base elettorale» e questo potrebbe metterli in competizione all’interno della nuova casa politica comune.
    Discorso forse differente per i Gentile. Anche a causa della potenziale competizione interna al nascente terzo polo in cui confluirebbero gli ex azzurri, potrebbero tentare di capitalizzare la loro posizione approdando verso Fratelli d’Italia.

    Gli orfani di Silvio nel resto della Calabria

    Tutto in alto mare invece negli altri territori. A Vibo i forzisti erano vicini alla Ronzulli e dunque occorrerà attendere la scelta della parlamentare europea, che comunque squagliandosi Forza Italia, negozierà anche lei qualche passaggio altrove.
    Nel catanzarese invece i forzisti sono messi maluccio a causa della perdita di molte figure di spicco e «la capacità attrattiva di Wanda Ferro giocherà un ruolo importante».

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    Mangialavori, Occhiuto e Ronzulli a Vibo nell’ultima campagna elettorale per le Regionali

    A Reggio invece lo sguardo è puntato verso Francesco Cannizzaro, dominus sullo Stretto nel partito che fu di Berlusconi. In caso le mura azzurre dovessero venire giù dopo la scomparsa del leader fondatore, è probabile che Cannizzaro non abbandoni la sua anima centrista, figlia di una sedimentata cultura di destra, ma saldamente democristiana, quindi dovrebbe restare immune da tentazioni meloniane e o di tipo leghista.
    Quanto a Crotone, dove le forze politiche hanno tutte lasciato perdite sul campo, l’uomo forte in grado di orientare le scelte resta Roberto Occhiuto.

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    Berlusconi e Cannizzaro

    Popolari e conservatori

    Il più prossimo banco di prova di questi nuovi nascenti equilibri, che dovrebbero trovare concretezza nel corso dell’imminente estate, saranno le elezioni europee del prossimo maggio. «In quella occasione Meloni cercherà di scomporre il quadro politico unificando Popolari e Conservatori. Se l’operazione le riuscisse, diventerebbe la protagonista della scena politica, avendo colto un traguardo che nemmeno la Merkel aveva toccato» spiega Nocito guardando oltre i confini di casa nostra.

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    Un primo piano di Giorgia Meloni

    Se invece questa strategia non dovesse riuscire e Fratelli d’Italia restasse con i Conservatori, il peso politico di un Terzo polo renziano, con dentro quanto resta di Forza Italia sarebbe maggiormente significativo.
    Insomma, per gli orfani di Silvio in questa danza che sta per cominciare, il rischio è di sbagliare passo e pagarla cara.

  • Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Certamente non aveva letto Gramsci, figuriamoci, ma Silvio Berlusconi il messaggio del comunista sardo l’aveva intuito bene. Aveva capito che la conquista del potere per essere duratura ed efficace, deve essere preceduta dalla conquista dell’egemonia culturale. E quella battaglia il Cavaliere l’aveva vinta piano piano. Modificando la società italiana, forgiando letteralmente un Paese nuovo, costruito sul desiderio di un benessere privato. Una grande operazione di distrazione collettiva, di ottimismo infondato, che rifuggiva ogni forma di impegno.

    Una rivoluzione senza spargere sangue

    Le sue armate erano le sue televisioni, che entravano ogni giorno nelle case di tutti e atomizzavano la società, risultando mille volte più efficaci. Una rivoluzione senza sangue, fatta con le tette prominenti delle ballerine di Drive In, di programmi ridanciani, costruiti su battute facili e un po’ sguaiate, mille miglia lontane dall’eleganza vigilata dei programmi della vecchia Rai. Il potere politico è venuto dopo, quando fu necessario capitalizzare la mutazione antropologica imposta da anni di dominio televisivo. Ma anche il quel caso lo strumento televisivo, in vario modo determinò la nascita e il trionfo del berlusconismo. Come quando nel ’94 il Cavaliere asfaltò Achille Occhetto nel confronto televisivo.

    Pier Silvio Berlusconi e le ragazze di Drive In durante una puntata della trasmissione

    Berlusconi vs Occhetto: la modernità conquista la politica

    Ad arbitrare quella partita che divenne la Waterloo di Occhetto c’era un giovanissimo Mentana. Il leader della sinistra era vestito tristemente di marrone, come un qualunque funzionario di partito, pronto ad argomentare con ragionamenti lunghi e complessi. Ma dall’altra parte c’era un nuovo mostro, con il doppio petto blu di alta sartoria e la cravatta di Marinella che costavano quanto tutto il guardaroba del segretario post comunista.
    Non era solo una questione d’immagine, anche se questa svolse un ruolo fondamentale, ma pure di parole: lunghe e complicate quelle del leader della sinistra, brevi come slogan pubblicitari quelle di Berlusconi.
    E se hai plasmato la testa di milioni di persone avendoli trasformati da cittadini in massa e da elettori in pubblico, allora stravinci.
    Era la modernità che si impadroniva della politica.

    Berlusconi, Occhiuto e i Gentile: Forza Italia arriva in Calabria

    Ancora oggi quel confronto televisivo viene analizzato nelle aule dove si studia comunicazione di massa, esattamente come si rivede il confronto tra Nixon e Kennedy. Ma quel trionfo fu solo la battaglia finale. La guerra era cominciata prima, quando Berlusconi aveva piegato la grande struttura di Publitalia alle esigenze politiche, facendola diventare un partito. Ogni ufficio dell’agenzia di raccolta pubblicitaria divenne una sezione della nascente Forza Italia. E ogni figura di vertice di quella struttura si trasformò in coordinatore per investitura imperiale.

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    Pino e Tonino Gentile

    Fu così che in Calabria Giovambattista Caligiuri, Gegè per gli amici, uomo di punta di Publitalia, costruì dal nulla un partito la cui forza elettorale venne presa in prestito dai fratelli Gentile, allora potentissimi. Così potenti da scacciare un giovane ma già rampante Roberto Occhiuto, che pure tra gli Azzurri avrebbe voluto stare.
    L’ingresso dei Gentile non fu indolore. I militanti (che però non si chiamavano così) occuparono la sede di Corso Mazzini con i soffitti affrescati. Si opponevano all’ingresso dei potenti fratelli, che a loro sembravano il vecchio.
    La rivolta durò fino a quando da Berlusconi in persona giunse l’ordine di sgombrarli. Perché è vero che quelli erano i Club della libertà, ma i Gentile servivano per vincere.

    Berlusconi e la Calabria tra Regione e Parlamento

    E infatti anche in Calabria i berlusconiani stravinsero a lungo, governando la Regione, ma anche mandando in Parlamento parecchi calabresi. Per esempio Jole Santelli, che divenne pure sottosegretario in un paio di governi Berlusconi. Parecchio tempo dopo il centrodestra la candidò alla guida della Calabria proprio su decisione del Cavaliere. Berlusconi però ebbe a lamentarsi, con la consueta tendenza alla volgarità scambiata per simpatia, del fatto che lei «in 26 anni non gliela aveva mai data».

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    Il comizio di Berlusconi con la celebre battutaccia su Jole Santelli

    In Calabria Berlusconi venne pure a prendersi una laurea honoris causa, diventando ingegnere. Quel simbolico titolo accademico acquisito nel ’91, però, dovette sembrare troppo poco ai suoi adoratori calabresi. E infatti fu Tonino Gentile a proporne – senza percepire il rischio dell’esagerazione –  la candidatura al premio Nobel.
    Del resto la fedeltà può andare oltre ogni limite. E non furono pochi i calabresi eletti in Forza Italia che votarono nel 2011 assieme a mezzo Parlamento asserendo che davvero Berlusconi credeva che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak.

    L’eredità di Berlusconi e il berlusconismo in Calabria

    Oggi, a dispetto della canzoncina cantata a squarciagola a margine dei comizi, Silvio non c’è più. Quel che Berlusconi lascia è un Paese mutato per sempre, deluso dalla impossibilità di inseguire un benessere ingannevole come una pubblicità, ma più povero moralmente e culturalmente.
    La sua eredità è una destra nazionale muscolare che si è nutrita di quel populismo di cui il Cavaliere era stato fautore, ma che lo aveva prontamente sepolto ancora da vivo.
    In Calabria Berlusconi ci lascia la politica delle promesse, degli annunci trionfanti, dei larghi sorrisi. Perché il berlusconismo sopravvive al suo creatore.

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    Silvio Berlusconi con Roberto Occhiuto

  • La morte torna sul fiume: Denise e la tragica lezione del Lao

    La morte torna sul fiume: Denise e la tragica lezione del Lao

    Ora che attorno alle acque potenti del Lao si stanno spegnendo i clamori, dopo il ritrovamento del corpo della povera studentessa caduta dal gommone e quei luoghi stanno tornando alla loro primitiva solitudine, vale la pena provare a dare uno sguardo meno frettoloso alla vicenda, le cui responsabilità vanno assai oltre quelle della sola guida alla quale Denise Galatà e i suoi compagni erano stati affidati.

    Le cause della tragedia vanno cercate lontano dalle rapide bianche del Lao e molto prima del giorno della tragedia, ma sin dentro le aule di un liceo che decide di mandare i propri ragazzi a fare la “gita scolastica” in uno dei posti più belli della Calabria, ma che nella seduzione della natura selvaggia conserva un margine di pericolosità che è ben conosciuto.

    La scuola che si sposta

    La “gita scolastica” è un modo di dire improprio, quasi gergale. In realtà si tratta di viaggi di istruzione. Non è una finezza semantica, è un cambiamento di senso. Il viaggio d’istruzione è la scuola che si sposta, che va in un luogo diverso dalle proprie aule, che continua a svolgere il proprio compito di crescita ed educazione alla bellezza. È una lezione che si fa senza le mura attorno.
    Per questo non deve essere fatta per forza come una volta dentro un museo – anche se resta sempre un’ottima idea – ma anche cogliendo la lentezza di una passeggiata in un bosco. Oppure il passo svelto che richiede un sentiero di montagna un poco più impervio, affidandosi magari a una guida dei nostri parchi, in grado di spiegare i luoghi, dare voce agli spazi, dire i nomi dei posti e degli alberi.

    Il Lao e le responsabilità nella morte di Denise Galatà

    Il Lao è cosa diversa. È una bellezza severa, di quelle non addomesticate. Abbaglia gli occhi, ma può fare male. Molto. Era già successo, forse non troppo distante da dove Denise Galatà è scivolata dal gommone nel Lao. Un’altra ragazza era caduta e si era persa ingoiata dai vortici. Il ministro Valditara ha annunciato una ispezione, una richiesta di informazioni su come quella gita sia stata organizzata.

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    Denise Galatà, la 19enne morta nel fiume Lao

    È quasi certo che non troverà falle tra le carte, né errori procedurali. Resta da capire come sia stato possibile immaginare una discesa del Lao quando le scuole nell’organizzare le uscite sono responsabili perfino dell’efficienza dell’autobus su cui viaggiano gli studenti e la così detta Culpa in vigilando, ovvero l’omissione di tutela e vigilanza dei docenti verso gli studenti, durante un viaggio è molto più opprimente che durante una normale giornata scolastica. Poi entra in gioco il grado di responsabilità della compagnia di rafting, che ha considerato praticabile la discesa, malgrado i giorni di pioggia continui.

    Non si torna indietro

    Il Lao ha tre percorsi, da Laino alla Grotta del Romito, poi da questa a Papasidero e infine fino ad Orsomarso. Il primo tratto è quello più bello. Gole alte dove l’acqua corre potente, disegnando percorsi tortuosi, fatti di rapide in successione, salti, massi da aggirare, cascate. Luoghi dove non c’è la possibilità di arrivare senza un kayak o appunto un gommone, dove non è previsto di tornare indietro: si deve per forza procedere. La bellezza della natura nella sua forma più autenticamente primitiva.

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    Rafting sul Lao

    Fino a qualche anno fa il percorso intermedio era caratterizzato da un enorme macigno crollato da una delle pareti e questo ostacolo costringeva le guide a far scendere i turisti, porre i gommoni in verticale e farli passare attraverso la strettoia. Era una fatica disumana e a un certo punto il macigno scomparve liberando il percorso. Le dicerie raccontano che il tappo fosse stato fatto saltare con l’esplosivo.

    La tragica lezione della Natura

    Oggi le varie associazioni di rafting che operano in quella zona e che godono del fascino del luogo alimentando un flusso turistico notevole, fanno quadrato. Spiegano che sì, l’acqua era alta, ma il fiume praticabile, i rischi bassi e certamente le guide sono tutte esperte e puntuali conoscitori di ogni passaggio d’acqua, di ogni rapida.gommoni-lao
    Il timore è che il Lao venga chiuso come accaduto per il Raganello, fermando per l’ormai prossima estate i moltissimi i gommoni i cui differenti colori sono rappresentativi delle diverse associazioni che operano lungo il fiume, carichi di gioiosi turisti, spesso anche famiglie divertite. Solo che certe volte la natura ci ricorda che non è un luna park.