Autore: Mario De Filippis

  • Locri, mare e cultura di una piccola Grecia d’Occidente

    Locri, mare e cultura di una piccola Grecia d’Occidente

    Ho trascorso una breve vacanza a Locri, cinque giorni presso l’Ostello Locride, una struttura che fa parte della galassia GOEL, un gruppo di persone, progetti, attività economiche, attivo ormai da venti anni in questo pezzo di Calabria. Una storia interessante, la si può leggere sul sito dell’Ostello. Un immobile sequestrato alla ‘ndrangheta, acquisito dal Comune e dato in gestione appunto a GOEL. Goel è un nome biblico, colui che riscatta e libera le persone.

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    L’ostello nello stabile dato in gestione a Goel

    Il mare dei Greci

    A Locri si può andare al mare, ovviamente, ma pure visitare un vasto parco archeologico, esteso oltre i limiti comunali, nel limitrofo territorio di Portigliola. Il mare richiama, evoca, la storia antica di questa terra e pure quella attuale, dato il continuo arrivo di barconi e gommoni stracarichi di fuggitivi di tutte le guerre del mondo.
    Le spiagge di questo lembo di Calabria sono immense, bianche di sabbia e piccoli ciottoli; a Locri sono presenti i lidi, ma tra uno e l’altro i tratti liberi sono molto estesi, attrezzati di docce, bidoni per la raccolta differenziata dei rifiuti e accessi facilitati. Parcheggi gratuiti e intervallati da posti riservati a disabili e madri con bambini piccoli. Enumero questi particolari perché in altre rinomate e blasonate località sul mare il parcheggio si paga (quando ve bene, anzi, benissimo) 2 euro l’ora, le spiagge libere sono ridotte a qualche scampolo, e il mare non sembra neanche pulito, con tutto il rispetto per le bandiere blu.

    Da cosentino attempato mi chiedo, poi, quali colpe ancestrali dei nostri mitici antenati o quali attività fantasiose e creative più recenti abbiano portato alla distruzione delle spiagge della mia infanzia, sul Tirreno cosentino, dato che lungo la Statale 106 non ho visto battaglioni di carabinieri impegnati a sorvegliare il bagnasciuga, come lo chiamava un tale famoso.

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    Reperti nel Parco archeologico di Locri

    Visita (non guidata) al Parco archeologico

    Torniamo alle processioni sacre della Magna Graecia, che è meglio. Il parco archeologico è vasto, percorrerlo a piedi sotto la canicola per me sarebbe letale, mi limito a qualche passeggiata simbolica, fino all’area di Centocamere, il quartiere degli artigiani, con i forni per cuocere le anfore oggi in mostra nel museo. Torno indietro, l’allestimento del museo è recentissimo, la climatizzazione funziona a meraviglia, l’apparato illustrativo e i video sono stati realizzati in modo così chiaro, efficace, che pure i lanzichenecchi di Elkann, nel caso di una trasferta a Locri, si orienterebbero.

    Le donne di Locri

    Le aree di scavo sono distanti una dall’altra, la città doveva essere vasta e le ricerche sono state condotte in tempi recenti, la mancanza di fondi ostacola ulteriori campagne di scavi, dato che i nuovi ritrovamenti poi andrebbero sorvegliati e protetti. Le foto in bianco e nero mostrano il sito di una fonte sotterranea, dove le donne di Locri si recavano in processione, per i bagni rituali. Le più giovani per sancire la loro condizione di nubende, pronte alle nozze. Le altre per invocare fecondità e abbondanza, in occasione dei culti in onore della dea Demetra, la protettrice dei raccolti.
    In onore di Demetra le suddette signore sacrificavano dei maialini, seppelliti vivi, immolati alla fecondità dei campi. Dovevano strillare parecchio, i maialini, ma ai tempi la Protezione animali non era stata inventata, anzi gli studiosi sono sicuri che in epoche più oscure i sacerdoti immolassero persone, sugli altari posti davanti ai templi. Le ragioni? Placare gli dei, vincere la guerra, ottenere raccolti abbondanti.

    Lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini

    Ripensando al Pasolini di Calabria

    Questo viavai di processioni femminili oggi si svolge soprattutto tra il lungomare, le spiagge e i lidi, in forma decisamente incruenta e molto gradita alla popolazione maschile di ogni età. Tutti ricordano le frasi di Pasolini, quando visitò le spiagge meridionali, durante un suo celebre reportage, scrisse che erano popolate da frotte di maschi annoiati e disperati, che non riuscivano a incrociare una ragazza, neanche una, su quelle spiagge desolate.
    Sarà per lasciarsi alle spalle questo passato imbarazzante e deprimente che le donne di tutte le età occupano militarmente i punti strategici di ogni lido, di ogni spiaggia, oppure corrono in bicicletta sul lungomare, amazzoni scattanti e vigili. Intanto i maschi, prostrati dal caldo, cercano di darsi un tono con una birra in mano, ormai calda e imbevibile.

    Cassandra

    Vicino alla mia postazione un bambino chiama insistentemente la nonna, che infine, seccata, emerge dal lettino: abbronzatissima, ossigenata, occhiali da sole e bikini leopardato. Sono questi i momenti in cui si avverte l’assenza della penna di Pasolini.
    Di sera si può andare a teatro, in scena Cassandra Site Specific di e con Elisabetta Pozzi, che dirige anche la rassegna annuale: Tra mito e storia. Festival del teatro classico di Locri Epizefiri.
    Appuntamento a Portigliola, presso il Palatium romano di quote San Francesco. Per non perdermi lungo la statale 106 digito tuto il toponimo e il navigatore mi deposita davanti allo spiazzo, dove la Pozzi e i tecnici stanno provando microfoni e luci. Alla fine siamo almeno duecento persone, il luogo è suggestivo, il personaggio di Cassandra viene attualizzato con riferimenti a vicende recenti, modificando il testo che la Pozzi porta in scena da oltre un decennio.

    Nessuno dava ascolto a Cassandra, come potevano essere così dissennati i suoi concittadini? Come potevano fidarsi dei Greci e del cavallo di legno lasciato sulla spiaggia?
    Anche oggi ci sono ministri che dicono che va tutto bene, fa caldo, è estate, ripetono, mentre il termometro indica temperature da incubo.

    Elisabetta Pozzi

    Dopo lo spettacolo Elisabetta Pozzi chiacchiera con il pubblico, la notte è quasi fresca, il peggio dell’estate, forse, è passato.
    Ci guardiamo intorno prima di andare via, si tratta di una campagna disseminata di masserie, agrumeti e orti, forse pure sotto il pavimento di questi edifici si troverebbero le anfore per il vino e l’olio di duemila anni fa, come è accaduto sotto la masseria Macrì, che oggi, inglobata nel museo, mostra le stratificazioni romane e quelle greche più giù. Perché dopo i greci qui sono arrivati i romani, a quindici chilometri da Portigliola si può visitare la villa romana di Casignana, enorme, migliaia di metri quadrati di edifici ancora da riportare alla luce. Le due parti visibili della villa, scoperta casualmente nel 1963, sono collegate da un sottopasso su cui scorre il traffico della statale 106. Dal triclinio si vede il mare oltre un boschetto; era una dimora da ricconi, mosaici dappertutto e impianti termali. Bella vita.

    A Locri c’è pure il cinema all’aperto, a palazzo Zappia, proiettano Astolfo, di Di Gregorio. Un vecchio professore, distratto rispetto ai suoi interessi, si trova costretto a tornare nella dimora di famiglia, in abbandono da anni. Dove però incontra persone interessanti e forse si innamora. Palazzo Zappia è un po’ malandato, ma questa Locri di fine Ottocento ha un suo fascino. Qui e nei palazzi vicini hanno pensato di staccarsi da Gerace, di ottenere, nel 1905, l’autonomia per Gerace Marina. E poi, dal 1934, fregiarsi del nome prestigioso della città riemersa dopo venti secoli. Persone intraprendenti.

    Una targa ricorda una data importante per la comunità locrese

    Il cameriere oratore

    Ultima sera a Locri, cena all’aperto, in un locale che è insieme ristorante pizzeria. Il cameriere è alle prese con un tavolo di ragazzini pestiferi. Consapevole di trovarsi forse nell’antica agorà di Locri Epizefiri (ancora non localizzata) prova a convincerli con un discorso razionale, sulle orme degli antichi oratori. Chiede di votare per alzata di mano, come si usa in democrazia, vorrebbe riepilogare le ordinazioni, cerca di attrarre l’uditorio con argomentazioni ineccepibili (poi dite che non vi arriva quello che avete chiesto, poi vi lamentate con i vostri genitori).

    Ma come accadeva oltre duemila anni fa, il demos, il popolo non ascolta la voce della ragione. I ragazzini se ne sbattono dell’accorato discorso, l’oratore rinuncia, va via sconfitto, come tanti brillanti filosofi, estromessi dalla voce volgare del demagogo di turno. Anzi i greci li hanno messi a morte i loro uomini migliori oppure mandati in esilio, che era peggio della morte per un greco. Così finì miseramente la democrazia antica, così naviga in acque pericolose la nostra, propensa a seguire il Trump di turno. Domani mattina restituirò la brocca cerimoniale e tirerò le somme di questa vacanza sostenibile in terra di Locri. Ma posso già ammettere che i conti sono positivi, posso dirlo già qui, in piazza, dove ancora oggi si svolge il confronto delle idee che tanta luce ha portato alla nostra traballante civiltà.

  • Colto e popolare, quel prete veneto che leggeva Lombardi Satriani

    Colto e popolare, quel prete veneto che leggeva Lombardi Satriani

    Condidoni, Mandaradoni, Paradisoni, Potenzoni, San Costantino, San Leo, Sciconi, sono le frazioni del comune di Briatico, in provincia di Vibo. Sulla carta, in tutto, sarebbero 3.727 i suoi abitanti. Nel 1951 erano 4.826, ma non è un paese spopolato. D’estate poi si affolla non solo di emigrati in viaggio sentimentale. Tanti turisti scelgono le sue spiagge e amano visitare pure le frazioni, specie in occasione delle sagre e delle faste religiose. Molti i tedeschi, riconoscibili perché formano delle file ordinatissime per pagare il piatto di frittura o i fileja, che devono apparirgli veramente esotici. Esotici come gli italiani, che non riescono a rimanere in una fila.
    Prima dei turisti qui, in tempi più remoti e con motivazioni diverse, sono giunti viaggiatori e studiosi per osservare da vicino gli effetti spaventosi del terremoto del 1783. E missioni filantropiche costituite per portare finanziamenti per la ricostruzione, realizzata con innovativi piani edilizi, che prevedevano strade regolari e piazze ampie, edifici bassi e leggeri.

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    Un’illustrazione sugli effetti del terremoto del 1783 in Calabria

    Conoscere la Calabria e i suoi abitanti da sempre ha richiesto un notevole impegno, un grande spirito di sacrificio. I viaggiatori stranieri del Settecento e Ottocento sono stati davvero eroici ad affrontare i sentieri a dorso di mulo, per vedere da vicino le voragini in cui erano scomparse intere città, ma anche i luoghi evocati da Omero, le città mitiche come Sibari, misteriose già per gli antichi romani.
    Poi è stato il turno di antropologi, fotografi, ricercatori come Gerhard Rohlfs, impegnato a catalogare e analizzare i dialetti. Cercava le tracce del greco antico e di quello medievale. Il professor Rohlfs ha scattato anche molte foto, dove si vede che uomini e donne si prestavano volentieri a mettersi in posa per lo straniero curioso.

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    Gerald Rohlfs con un contadino calabrese

    Poi, con motivazioni diverse, sono arrivati a Briatico i padri scalabriniani. Giovanni Battista Scalabrini era un sacerdote veneto, nominato vescovo di Vicenza. Impressionato e addolorato dal fenomeno migratorio, che era imponente in Veneto, Scalabrini pensò di fondare una congregazione religiosa, con la missione specifica di aiutare e assistere le comunità di italiani all’estero, perché nell’Ottocento e fino al secolo scorso tanti veneti, lombardi e piemontesi dovevano emigrare. In ogni angolo del mondo gli scalabriniani hanno posto le loro basi, per stare accanto ai loro conterranei e così hanno incontrato le comunità di calabresi, pure loro arrivati fino agli estremi confini del mondo, per costruirsi un avvenire migliore di quello che avrebbero dovuto subire a casa loro, in Calabria.

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    Giovanni Battista Scalabrini

    I padri missionari scalabriniani si sono resi conto da subito che, per aiutare e sostenere queste comunità, era necessario conoscere le tradizioni, le culture, le abitudini dei luoghi di provenienza, i paesi a migliaia di chilometri di distanza. Così hanno fondato dei centri di studio, uno a Parigi, uno a Roma, un terzo, nel 1979 a Briatico, che oggi è in provincia di Vibo Valentia. E a Briatico arriva padre Maffeo Pretto, nato a Cologna Veneta, in provincia di Verona, nel 1929. Non arriva da solo, a Briatico, ma con altri confratelli, perché Briatico ha diverse frazioni, ognuna con la propria chiesa, a cui le piccole comunità sono molto legate.

    Padre Maffeo inizia a studiare tutti i libri che trova, sulla Calabria. Li acquista, li raccoglie nella casa parrocchiale. Negli anni costituirà una biblioteca di oltre 15.000 volumi, di storia, antropologia, tradizioni popolari, letteratura. Inizia dai testi di Raffaele e Luigi Maria Lombardi Satriani, che hanno il palazzo di famiglia a San Costantino di Briatico. Coinvolge i ragazzi del paese nella gestione e nella cura di questo patrimonio, almeno quelli che decidono di non andare via.
    Ma intanto assolve ai suoi compiti di parroco, conosce le persone, le ascolta. Comprende la difficile realtà di questi piccoli borghi, intristiti dall’emigrazione, con un’economia povera, precaria.

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    L’antropologo calabrese Luigi Maria Lombardi Satriani

    Quando l’ho conosciuto padre Maffeo aveva circa settant’anni, era da venti anni a Briatico e la sua biblioteca aveva assunto ormai proporzioni ragguardevoli. Mi raccontò qualche aneddoto, sui tentativi di mettere assieme le persone, farle collaborare per raggiugere piccoli obiettivi di interesse comune. Cercava di cogliere sempre il lato positivo di quella fatica. Apprezzava l’attaccamento delle persone a quelle minuscole chiese, l’attesa della festa annuale con le luminarie e la processione come un evento centrale per la comunità. Non guardava dall’alto in basso queste manifestazioni, come spesso fanno i sacerdoti, specie quelli non particolarmente colti.

    Aveva iniziato a pubblicare i suoi studi sul cattolicesimo popolare, le tradizioni, le devozioni delle comunità di cui era parroco. Si trattava di dispense per i confratelli, pubblicazioni ad uso interno dei padri scalabriniani. Negli anni della sua formazione si parlava molto degli studi di don Giuseppe De Luca, un sacerdote lucano, che a Roma aveva fondato le Edizioni di Storia e Letteratura e l’Archivio della pietà. Appunto per salvare questo patrimonio di cultura orale, messo in pericolo dalla laicizzazione della società, dall’abbandono dei paesi, dall’emigrazione.

    Anche in Calabria qualcuno aveva deciso di rimediare. Infatti ci fu l’arrivo, a Briatico, nell’ufficio parrocchiale, nel giugno del 1986, del già irrefrenabile e incontenibile Demetrio Guzzardi, che stava avviando i primi passi della sua casa editrice. Non lo ha convinto subito, padre Maffeo, perché quel giorno Guzzardi, pur prendendo nota mentalmente dell’enorme biblioteca, doveva sposarsi, per questo motivo era a Briatico. C’ero pure io e tanta altra gente, a Sant’Irene di Briatico, uno dei luoghi del cuore della comunità ciellina di Calabria.

    Ma un mese dopo l’implacabile Guzzardi era di nuovo lì a convincere padre Maffeo che i suoi studi meritavano una veste editoriale, che sarebbero stati benissimo tra le prime collane di Editoriale progetto2000. E così hanno visto la luce La pietà popolare in Calabria, nel 1983, Santi e santità nella pietà popolare in Calabria nel 1993. Nel 2005 Teologia della pietà popolare. Questo sacerdote veneto schivo, riservato e metodico, ha trascritto tutte le cantilene, le storie raccontate ai bambini, le leggende dei santi che non hanno trovato posto nelle biografie ufficiali, le litanie e le tradizioni che affondano le proprie radici nella notte dei tempi.
    Infine un ultimo regalo alla comunità di Briatico, Briatico nella storia, nel 2007. Due grossi volumi, il primo dedicato al periodo feudale, il secondo al tempo moderno, fitti di documenti, storie e personaggi. Una enciclopedia che custodirà la memoria di Briatico. Anche dell’antica Briatico distrutta dai terremoti e ricostruita, per le future generazioni, come devono fare i buoni libri.

    Padre Maffeo ha trascorso i suoi ultimi anni nella casa dei padri scalabriniani di Arco, in provincia di Trento. Le sue precarie condizioni di salute non gli hanno permesso di rimanere da solo in Calabria. Assistito dai suoi confratelli ha concluso la sua vita terrena il 9 giugno 2021.

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    La sede del Sistema bibliotecario vibonese, cui aderisce anche il Comune di Cessaniti

    Prima di andare via dalla Calabria ha cercato il modo di lasciare in regalo a questa terra la sua biblioteca. La ha accolta Favelloni, frazione del comune di Cessaniti, vicino ai luoghi della sua missione trentennale. Un segno concreto del suo legame con questa terra e la sua storia.

  • Gerace grand tour: sentirsi viaggiatori in Calabria

    Gerace grand tour: sentirsi viaggiatori in Calabria

    Prima di salire verso Gerace facciamo due passi per le strade di Locri e passiamo da piazza Zaleuco. Poi sul lungomare vediamo la statua dedicata a Nosside. Zaleuco è considerato il primo legislatore della sua città e del nostro Occidente, anche se sulla sua opera abbiamo notizie indirette. Lui stesso è un personaggio leggendario. Di Nosside invece, posteriore di alcuni secoli, ci sono arrivati i versi, era una poetessa. Le hanno intitolato un premio letterario di poesia, giunto quest’anno alla XXXVIII edizione. Ogni anno viene pubblicato un volume, un’antologia dei testi in concorso.

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    Zaleuco di Locri

    Zaleuco e i garantisti

    Su Zaleuco, invece, non mi pare si organizzino eventi. In un paese come il nostro, allergico alle regole, come potremmo celebrare il primo che ha provate a darcele, queste benedette regole? Oltretutto le punizioni per i trasgressori erano davvero severe e noi, intanto, ci siamo trasformati nel paradiso dei garantisti.
    Pare che Gerace sia stata fondata dagli abitanti di Locri, in epoca medievale, quando le coste erano diventate paludose e insicure in tutta la regione. Per oltre dieci secoli la nuova città ha costituito il centro amministrativo e politico del territorio circostante. Poi circa un secolo fa, dalle alture le persone hanno cominciato a scendere in pianura, per stabilirsi lungo la Statale 106 e la linea ferroviaria. Così Gerace ha perso un po’ di abitanti, come tutti i paesi dell’interno.

    Zaino in spalla

    Solo dieci chilometri separano i due centri, ma sembrano due mondi lontani. Per le strade di Locri abbonda un’edilizia piuttosto disordinata, tra un palazzo e l’altro sopravvivono alcuni edifici liberty. Le coste calabresi sono state descritte come un’esposizione ininterrotta di materiali per l’edilizia, e la patria di Zaleuco non fa eccezione. A Gerace prevale la pietra, molti edifici imponenti, massicci, segnalano l’importanza passata di questa cittadina, mentre si sale verso la splendida cattedrale. Tante abitazioni sono vuote, in vendita o in abbandono, eppure le strade ripide sono percorse da visitatori italiani e stranieri, in questo giugno ancora non troppo caldo. I pullman depositano giù, fuori dalla prima porta, le comitive in visita, che prendono posto sul treinino turistico per scalare le varie parti del centro storico, fino al castello. Nonostante l’età media non proprio giovanissima i visitatori sono allegri come studenti in gita. Si notano anche coppie di mezza età, zaino in spalla, fisico asciutto, in marcia sotto il sole, come dovrebbero fare i veri viaggiatori. Non ci sono solo gruppi di passaggio, esistono alcune strutture alberghiere e diversi bed and breakfast che garantiscono una certa ricettività.

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    Gerace vista dall’alto (foto pagina facebook ExploreGerace)

    La difesa bizantina

    Gerace è greca, ma la sua grecità non è quella di Nosside e Zaleuco, non c’entra la Magna Graecia. Gerace nel Medioevo faceva parte, come gran parte della Calabria, dei territori bizantini, del grande impero con capitale Costantinopoli, che si estendeva fino al Mar Nero. Anche dopo la conquista normanna dell’Italia meridionale, nell’XI secolo, le comunità greche hanno difeso per secoli la propria identità, riunite intorno ai vescovi e ai monaci. Poi una alla volta hanno dovuto cedere, il rito latino ha sostituito quello greco per la liturgia. A quel tempo non si badava al politicamente corretto né al dialogo interreligioso.
    La memoria bizantina rimane evidente in alcune architetture religiose, a Gerace e nei dintorni, non siamo lontani da Stilo e da Bivongi, il territorio è costellato di chiese rupestri, di piccoli monasteri ed eremi basiliani. Edifici e paesaggi evocano il Peloponneso, la Tessaglia, le montagne dell’Epiro.

    Barlaam da Seminara, vescovo di Gerace

    I manuali di letteratura italiana citano sempre Barlaam da Seminara come il personaggio che ha riportato la conoscenza del greco tra i letterati del Trecento, ma non scrivono mai che era un vescovo, vescovo di Gerace e prima della nomina episcopale monaco nel monastero di Sant’Elia a Galatro. Molto stimato anche presso la corte di Bisanzio, da cui riceve cariche e riconoscimenti. Barlaam, vescovo nominato dal pontefice romano, era anche un ambasciatore, inviato presso la corte di Costantinopoli per migliorare i difficili rapporti con la chiesa greca. Cattolici e ortodossi erano già separati e reciprocamente ostili, ma ancora tra il Trecento e il Quattrocento ci furono tentativi di riavvicinamento.
    I gruppi di turisti, tra una chiesa e l’altra (Gerace conta cento chiese) acquistano dolci tradizionali, i rafioli glassati di zucchero del Biscottificio Limone, semplici e buoni, e sostano nei bar disposti strategicamente nelle zone più frequentate.
    Vale la pena di visitare Gerace, anche se questa volta l’incontro più significativo è stato quello con Simone Lacopo.

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    Edward Lear

    Il grand tour a Gerace

    Simone ha quarant’anni, ma ne dimostra meno. Affabile, premuroso, ci accoglie all’hotel Palazzo Sant’Anna e, in un paio di chiacchierate, tra una passeggiata e l’altra, ci racconta la sua vita, intrecciata con quella del luogo dove vive e lavora. Ci dice che ha fatto studi tecnici e ha iniziato a lavorare nelle strutture ricettive occupandosi degli impianti elettrici e della rete internet. Così ha capito che gli sarebbe piaciuto lavorare proprio in questo settore, si è iscritto a Lingue all’università, ma ha continuato a lavorare nel fine settimana e d’estate. Poi per la tesi di laurea, in letteratura inglese, ha scelto il periodo vittoriano, perché i viaggiatori inglesi sono stati molto importanti per far conoscere la Calabria e Gerace nel mondo.

    Infatti ci sono delle targhe a ricordo della presenza di Edward Lear; nell’agosto 1847 fu ospite della famiglia Scaglione in un bel palazzo poco più giù della cattedrale. Nel piccolo museo civico sono esposte le sue litografie e i disegni a cui si dedicò in quelle giornate.
    Avrebbe potuto continuare a lavorare a Londra, Simone, dopo la laurea, ma ha preferito tornare qui, dove vive la sua famiglia, qui dove la nonna Laura gli raccontava le storie del paese, le leggende, le tradizioni. Simone ha registrato negli anni i canti religiosi della tradizione locale che ascoltava, quando si riunivano a casa della nonna, le anziane del quartiere. E poi ha travasato le vecchie cassette sui supporti digitali, per custodirli meglio.
    Prima di andare via ci porta nella piccola chiesa attigua all’hotel.

    Quando nel palazzo vivevano le monache di clausura seguivano la liturgia dietro le sbarre, che ancora sono visibili sia nell’hotel che nella chiesa. Nella sagrestia è ancora visibile la ruota per gli esposti, i bambini abbandonati, affidati alle suore dalle madri che non avevano la possibilità di occuparsene.

    Nostalgia dei vecchi viaggiatori vittoriani

    Poco sotto il convento sorgono due antichi ospedali, in uno dei quali aveva sede anche un Monte di Pietà. Dal Palazzo Sant’Anna e dalla passeggiata sottostante si gode un ampio panorama, le spiagge di Locri, Siderno e altri centri limitrofi. Da Locri pare siano arrivate le colonne che ancora oggi reggono le volte della cattedrale, nel Medioevo si faceva così. Le basiliche e i palazzi romani sono stati edificati smantellando gli edifici pagani. Gerace trasmette questo senso di continuità della storia, anche stando seduti al bar del Tocco o al ristorante “La broccia”. Non abbiamo a disposizione i tempi dilatati dei viaggiatori del Grand Tour, che si concedevano alcuni anni per conoscere con calma le regioni più estreme d’Europa e del vicino Oriente. Ci dobbiamo accontentare, ne vale comunque la pena.
    Talmente ricca e complessa la storia in questo tratto di Calabria che ci si smarrisce, il primo legislatore d’Occidente, una poetessa di venticinque secoli fa, un vescovo che era di casa alla corte di Costantinopoli e che ha riportato la conoscenza del greco tra i primi appassionati dei classici, alla ricerca dei manoscritti dispersi.

    L’esempio di Simone

    E poi, una volta tanto, una bella storia dei nostri giorni, quella di Simone, che ha studiato per imparare a fare bene il suo lavoro. Che conosce i monumenti della sua città. Che ha registrato la voce della nonna per non perdere le sue storie. E a casa della nonna progetta di aprire un bed and breakfast e di chiamarlo col suo nome, le stanze di Laura. Per farla vivere di nuovo di voci e suoni, la casa, come la ricorda lui. Bisognerebbe portarlo in giro nelle scuole, uno così, a raccontare cosa si può fare, nella propria vita, con un po’ di impegno e di motivazione. In bocca al lupo, Simone.

  • Angeli e demoni, la lunga notte di San Domenico

    Angeli e demoni, la lunga notte di San Domenico

    In una delle sale che si aprono accanto alla sagrestia di San Domenico a Cosenza, ambienti antichi ma piuttosto rimaneggiati e ingombri, vedo appesa alla parete una stampa. Ne ho una uguale a casa, una riproduzione dell’immenso convento domenicano di Soriano Calabro, nel Vibonese, prima che fosse distrutto ripetutamente dai terremoti. Oggi a Soriano è ancora leggibile il perimetro gigantesco dei chiostri, che si estendevano intorno alla chiesa superstite, ricavata da uno dei transetti della grande costruzione originaria.

    San Domenico e gli Oblati: missionari a Cosenza

    La Calabria è costellata di rovine gloriose. Il convento di San Domenico a Cosenza ha superato i secoli, le inondazioni, le requisizioni che l’hanno trasformato in caserma, con interventi arbitrari sulla struttura e dispersione degli arredi. Ma è ancora in piedi, a pochi passi dalla confluenza dei fiumi Crati e Busento, uno dei luoghi più suggestivi della città.
    Da anni i padri domenicani sono andati via. Sono arrivati a sostituirli gli Oblati di Maria Immacolata, una congregazione nata in Francia, nell’Ottocento, e diffusa in tutto il mondo, perché sono dei missionari. Evidentemente hanno deciso che a Cosenza c’era bisogno di missionari votati al sacrificio, come dargli torto?

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    Il rosone all’ingresso della chiesa di San Domenico a Cosenza

    La lunga notte

    Per parlare delle loro missioni hanno aderito alla Lunga notte delle chiese, un’apertura straordinaria, di sera, il 9 giugno scorso, con visite guidate e musica, un aperitivo solidale per raccogliere fondi per le loro missioni. Visto che ormai le università si propongono di notte (i ricercatori devono improvvisarsi intrattenitori per reclutare i futuri studenti), i musei pure, anche le congregazioni religiose devono adeguarsi ai tempi e aprire le porte al popolo della notte. Proprio il contrario di quello che le regole prescrivevano: quando si è fatta una certa si chiude e basta. Chi c’è c’è.

    Scomparse

    Arrivo in piazza Tommaso Campanella che l’aperitivo solidale è in corso. Anche nel locale accanto fanno l’aperitivo, a quest’ora il centro di Cosenza è tutto un aperitivo. Un tempo qui c’era un negozio di cordami e attrezzi vari. Leonida Repaci, che conosceva bene la città, ha ambientato un suo racconto, Magia del fiume, proprio in questa zona, in una delle case cresciute sul convento, accanto alla facciata e al suo splendido rosone.
    Anche Dante Maffia ha dedicato alcune pagine di un suo libro, Il romanzo di Tommaso Campanella, al convento cosentino, al tempo in cui il giovane fra’ Tommaso leggeva i libri della biblioteca domenicana. La biblioteca è svanita, non si sa dove siano finiti i manoscritti e i libri a stampa; si ipotizza che una parte dei testi delle biblioteche ecclesiastiche cosentine siano arrivati, dopo le soppressioni ottocentesche, negli scaffali della Biblioteca Civica.

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    L’interno della Biblioteca civica di Cosenza

    Cosenza, la cappella del Rosario a San Domenico

    L’apertura notturna mi sembra una buona idea, vedo tanta gente che dalla piazza comincia a entrare in chiesa, entro anch’io e mi ritrovo in un piccolo gruppo. Ci sono diverse guide, con la pettorina che si usa in queste occasioni. Cominciamo dalla cappella del Rosario che, ci spiega la guida, è più antica rispetto all’allestimento attuale della chiesa principale, più volte rimaneggiata nel corso dei secoli.

    Ci mostra le tele alle pareti e le immagini inserite nei riquadri del soffitto ligneo; alcune -aggiunge – mancavano già quando Cesare Minicucci visitò San Domenico e segnalò le perdite nel suo libro, Cosenza sacra, del 1933.
    Ma chi è questa signore tranquillo che ci sta accompagnando? Cosenza sacra di Minicucci è uno di quei libri che si potevano consultare, un tempo, in Biblioteca Civica e in pochi altri luoghi. Mi pare insolito che un volontario, per una serata, sia riuscito a procurarsi un testo così raro.

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    La cappella del Rosario

    Misteri

    Dalla cappella passiamo nella sagrestia, ancora riconoscibile l’architettura gotica, nonostante gli interventi piuttosto pesanti che sono evidenti. Tanti gruppi di visitatori si muovono da un locale all’altro, le altre guide sono in fibrillazione per consentire a tutti la visita, soprattutto quella a un luogo difficilmente accessibile e angusto, lo scolatoio.
    Ma il nostro gruppetto non si affretta, il misterioso Virgilio ci sta illustrando le figure del coro ligneo della sagrestia. Le illumina una per una con la torcia del cellulare, per farci cogliere i particolari. Figure maschili con il seno, fauni, Adamo ed Eva con teste di creature lussuriose, e gambe che si sono trasformate in rami e foglie, come in certi racconti mitici.

    Questo coro è un mistero, dice la nostra guida, perché nell’epoca in cui è stato realizzato non si richiamavano più questi motivi medievali, e anche nel Medioevo sono piuttosto rari, rintracciabili in luoghi lontani da Cosenza. La distruzione di molti archivi religiosi rende ardua la ricostruzione delle vicende artistiche, l’individuazione delle maestranze che hanno lavorato qui. Molto interessante, appena ci si accosta ai nostri monumenti saltano fuori intrecci strani, come se da queste parti arrivasse gente da ogni parte del mondo. Probabilmente era così, la piccola Calabria si trovava comunque in mezzo alle terre allora conosciute.

    Luca Parisoli, docente di Storia della filosofia medievale all’Università della Calabria

    Cosenza e i penitenti di San Domenico

    Passa un ragazzo che lo saluta: «Buonasera professore!». Rapida indagine: si tratta del professore Luca Parisoli, docente di Storia della filosofia medievale all’università della Calabria. E con altri incarichi accademici e tante pubblicazioni. Gli Oblati hanno schierato l’artiglieria pesante, per l’occasione. Mi spiega che oblato è pure lui, ma laico, mi dice dopo.
    Dopo, dicevo, perché prima ci espone cos’è lo scolatoio verso cui siamo diretti. Una signora del gruppo ha un’esitazione, perde il sorriso quando sente che in questo scolatoio, un locale circolare con dei sedili di pietra forati, venivano posti a scolare, a perdere gli umori, il grasso e la carne, i corpi dei monaci dopo la morte. In modo da ritrovarsi con gli scheletri puliti e pronti all’inumazione. Periodicamente i frati andavano a pregare presso i corpi dei confratelli in disfacimento, per tenere a mente che per i cristiani la vita sulla terra è solo un breve cammino, prima dell’atra vita, quella eterna.

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    Lo scolatoio

    Il professore ammette che, sì, non doveva essere uno spettacolo piacevole, ma un monaco deve riflettere su certe cose. E poi nei secoli passati il rapporto con la morte era molto più tranquillo rispetto ai tempi nostri. Le persone morivano come mosche, non se ne faceva un dramma.
    La signora rinuncia alla discesa nello scolatoio, forse pensa che sia un luogo sinistro. Io come aspirante reporter vado senza esitazione (anni fa ho visitato quello nel Castello di Ischia, all’interno del convento delle Clarisse). Prendo una ginocchiata tremenda sul muretto che bisogna scavalcare, i rischi del reporter di una certa età. Lo scolatoio è molto semplice, spoglio, il pavimento coperto di terra battuta.

    Scelte radicali e tentazioni ovunque

    La notte delle chiese è un’iniziativa efficace, ma le chiese sono chiese, questi non sono percorsi nel mistero, però possono aiutare a capire quanta distanza ci separa da una scelta radicale come quella di lasciare il secolo. Così dicevano, una volta. Morire al mondo. E poi morire nel corpo e stare nello scolatoio a ricordare ai confratelli più giovani perché stanno lì.
    I domenicani e le altre famiglie religiose nel mondo continuavano a starci, a prendere posizione sulle vicende del mondo. Tommaso Campanella, oltre che studiare e riflettere, fece una serie di cose che lo portarono a un passo dal boia. Per salvarsi finse di essere pazzo e fu tenuto in prigione per molti anni. Congiurare contro il governo spagnolo comportava seri rischi. Anche scrivere libri come La città del Sole poteva portare problemi.

    La Città del Sole, l’opera più famosa del filosofo Tommaso Campanella

    Me ne esco dallo scolatoio con molta precauzione, ripasso dalla sagrestia con le sue misteriose figure. Il prof ha preso in consegna un altro gruppetto di volenterosi emuli di Indiana Jones. Sta illuminando con la torcia un punto sotto una panca del coro, una figura demoniaca, per ricordare ai frati che la tentazione può presentarsi ovunque, anche mentre si recitano i salmi. Una signora, per vedere meglio, si è inginocchiata come una penitente, come Dante nel Paradiso Terrestre mentre veniva purificato, mondato. Ormai la cultura richiede una certa prestanza fisica. I partecipanti a un evento come questo sanno che devono essere pronti a tutto. Spero che la signora riesca a rialzarsi.

    Notte e cultura

    Sono tornato fuori, in piazza Tommaso Campanella. Adesso i volontari offrono dolci, in premio, ai visitatori in uscita. E ricordano che San Domenico è sempre aperto e ci saranno altri momenti di incontro a Cosenza. Saluto il professor Parisoli e lo ringrazio per il tempo che ci ha dedicato. Adesso sono stanco, sono stato in piedi per oltre due ore, il ginocchio mi fa male. Mi trascino dignitosamente verso la macchina, questa vita culturale notturna mi sta distruggendo. Una volta potevi andare solo a qualche noiosa conferenza, ti sedevi e poi tornavi a casa per l’ora di cena, senza rischi ortopedici collaterali.

    Domani sera niente visite notturne, se proprio voglio vedere un convento mi guardo una puntata di Che Dio ci aiuti. Pare che nell’ultima serie Francesca Chillemi faccia la novizia, ma non so se la sceneggiatura virerà verso situazioni del tipo Gertrude-la monaca di Monza. Le tentazioni, il peccato, il pentimento e, poi, lo scolatoio.

  • Cosenza ciellina: un amarcord da ciclostile

    Cosenza ciellina: un amarcord da ciclostile

    Via Padre Giglio numero 27, via Rivocati numero 94, piazza Archi di Ciaccio numero 21, via Monte San Michele numero 6, corso Telesio numero 17, sono gli indirizzi di alcune delle sedi del movimento di Comunione e Liberazione a Cosenza, negli anni che vanno dal 1976 al 1989, quando ne facevo parte.

    Giovani e impegnati

    Ognuno di questi indirizzi è legato a momenti diversi di vita del nostro gruppo di amici, perché eravamo anche amici, dato che passavamo insieme molto tempo, tra gli incontri, i volantinaggi, le manifestazioni pubbliche, la vendita militante della nostra stampa. Per fortuna eravamo amici, quindi abbiamo vissuto con una certa leggerezza o forse incoscienza, la decisione di proporci in città e nella neonata Università della Calabria, ancora in costruzione, come la risposta ai dubbi esistenziali, sociali e politici non solo nostri, ma dell’intera umanità.

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    Il Polifunzionale dell’Unical

    Comunione e liberazione: ciclostili mistici

    Oggi guardo con indulgenza a quel gruppo di ragazzini che eravamo, in mezzo ad altri gruppi, animati dalle stesse certezze granitiche, ma con riferimenti diversissimi e opposti. Queste convinzioni, queste letture della realtà del nostro tempo venivano messe a punto negli incontri, che avvenivano nelle sedi ricordate prima e in altre ancora.
    Come tutte le sedi dei gruppi e dei movimenti politici, l’arredo era piuttosto precario e approssimativo: sedie spaiate, un tavolo, qualche scaffale per la carta e l’inchiostro, necessari per l’indispensabile ciclostile, il top della tecnologia comunicativa degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Preparare un volantino e vederlo uscire, una copia alla volta, dal rullo del ciclostile, era un’operazione solenne, mistica, iniziatica. Solo pochi eletti avevano il permesso e la capacità di manovrare il prezioso apparato, da cui dipendeva il nostro apostolato, la nostra presenza.

    Il Pantheon ciellino a Cosenza

    Sui volantini e pure sui manifesti confezionati artigianalmente, con un pennarello, bisognava ricordarsi di scrivere “manoscritto in proprio”, in fondo, altrimenti si violava non so quale norma del Codice civile. Ne conservo pochi, di questi sbiaditi foglietti, forse se facessi visita all’Ufficio politico della Questura potrei recuperare gli altri, ammesso che in Questura abbiano un archivio ordinato. L’Ufficio politico raccoglieva amorevolmente tutte le stampe, di tutti i gruppi, anche i più sfigati, quelli a cui nessuno dava credito. Per poi studiarli, analizzarli e classificarli, secondo il livello della nostra e altrui pericolosità per l’ordine costituito. Mi piacerebbe anche sfogliare la graduatoria dei gruppi acquisita agli atti.
    L’arredo era simile anche nelle sedi degli altri gruppi, di sinistra o di destra.

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    Monsignor Oscar Romero

    Cambiavano i poster alle pareti, i ritratti dei santi protettori, Marx, Che Guevara, Evola. I gruppi cattolici tradizionali, ospitati negli oratori parrocchiali, accanto ai simboli religiosi, appendevano un ritratto di monsignor Camara, oppure di monsignor Romero, o di madre Teresa o di Escrivà de Balaguer, secondo le simpatie e gli orientamenti.
    Noi ciellini, notoriamente movimentisti, avevamo le sedi, perché le sale parrocchiali erano riservate all’Azione cattolica. Sto elencando questi particolari perché essendo nato nel 1961 temo che le persone un po’ più giovani di me facciano fatica a immaginare cosa fosse la realtà dei gruppi di quei fatidici decenni.

    Per questo, per colmare la distanza, insieme all’editore Demetrio Guzzardi, che era uno degli spericolati ragazzi di cui sopra, abbiamo predisposto tante schede, come quella che riporta gli indirizzi sopracitati. Le schede fanno parte di un mio libro di 152 pagine, e ci sono quelle dedicate ai libri, alle riviste, a case editrici, luoghi e iniziative (Ciellini ad Arcavacata (1976-1989), Cosenza, editoriale progetto 2000, 2023).
    Lo abbiamo fatto soprattutto per noi, per riflettere, dopo quarant’anni, sulla nostra storia, su momenti decisivi per la nostra formazione e la vita successiva, che abbiamo deciso di spendere in Calabria, anche dopo il distacco da Comunione e Liberazione, per una serie di situazioni che sarebbe lungo spiegare. Se non lo si fa dopo quarant’anni, il punto sulla vicenda, poi bisogna affidarsi ai posteri, vallo a sapere se i posteri ne avranno voglia.

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    Demetrio Guzzardi

    Formidabili quegli anni a Comunione e liberazione

    In quegli anni, in quelle brutte sedi, abbiamo conosciuto gli amici della vita, e pure, in qualche caso fortunato, le compagne della vita. Anche solo per questo ci è sembrato che ne valesse la pena, di affrontare l’impresa, scavando nella memoria e nelle vecchie carte.
    Alcune persone non ci sono più, di altre si sono perse le tracce. Con qualcuno ancora capita di incontrarsi e parlare. Non so se è lo stato d’animo dei commilitoni, dei reduci, quello che si prova, quando ci si incontra tra persone legate da una profonda esperienza di militanza e di appartenenza. Esiste ancora oggi un sentimento di questo tipo? Come spiegarlo a chi non l’ha vissuto? Proprio ora che le appartenenze sembrano così vaghe, fluide, affidate ai gruppi sui social. Non usavamo tessere, a differenza di altri movimenti, ma l’appartenenza ci sembrava scolpita nella roccia.
    Facendo questo libro, dalle bozze alla stampa, mi sono chiesto quali luoghi, quale sentimento di appartenenza avranno nella memoria i ragazzi, quelli che oggi hanno venti o anche trent’anni.

    Quando non c’erano i social

    I luoghi fisici forse non sono insostituibili, noi ne abbiamo cambiato tanti, ma negli appartamenti ci ritrovavamo a parlare, a confrontarci. Poi continuavamo a parlare pure dopo gli incontri e i volantinaggi, tornando a casa, spesso a piedi. A volte a passaggi o a piedi siamo andati a Bivio Morelli, un sobborgo fuori dai confini comunali che ai tempi era poco urbanizzato e con ampie zone verdi. Lì facevamo una sorta di volontariato, soprattutto con i ragazzini del posto, che secondo noi erano un po’ isolati. Non eravamo gli unici in città a organizzare attività simili. Lo facevano anche altri gruppi, non solo tra i cattolici.
    Tutte queste iniziative, incontri, manifestazioni, vendite militanti, presupponevano che le persone si vedessero e avessero tempo e voglia di parlare, di ascoltare almeno, anche per pochi minuti. Oggi le opportunità di comunicare sono infinite e meravigliose, rispetto al nostro glorioso ciclostile. Il problema è convincere l’interlocutore a spostare lo sguardo dal cellulare, togliere le cuffie dalle orecchie, e magari scendere dal monopattino elettrico o da altri aggeggi, che non ho nessuna intenzione di provare a utilizzare.
    Oggi i movimenti e i gruppi sono un’altra cosa, mi pare. Tanti, specie quelli politici giovanili, non esistono più, almeno nelle arcaiche forme della militanza e dell’appartenenza a me note. Altri navigano in rete, pare che perfino nelle parrocchie siano in funzione gruppi social, per gli avvisi, per far circolare dei testi, per comunicare gli orari del catechismo. Fede in rete: Hai incontrato Gesù? Sì, No, Non lo so. (Barrare una sola casella).

    Le ragazze e i ragazzi di pomeriggio si muovono come formiche operose, secondo gli interessi e l’estro del momento, tra palestre, scuole di calcio, corsi di danza, di musica e di inglese. I bambini vengono trasbordati da una ludoteca all’altra, hanno in agenda tante di quelle feste che fanno concorrenza ai Vip più invidiati. Quale messia potrebbe riuscire a dirottarli verso un cortile, verso un oratorio, verso un centro sociale per un dibattito politico (brividi di orrore al pensiero)? Se anche un volenteroso evangelizzatore si esibisse in una serie spettacolare di miracoli, magari in piazza Bilotti, credo che, al massimo, gli chiederebbero quale ultima versione sta utilizzando. Per la Play Station miracolosa. Questo effetto speciale del miracolo, che applicazione è?

    Scuole d’inglese al posto delle sedi di CL

    Credo che alcune ex sedi ospitino, attualmente, scuole di alta formazione per la lingua inglese. Ce ne sono così tante in città che, andando a spasso, ci si dovrebbe sentire come a Piccadilly Circus. Invece, per fortuna, mi sento rassicurato quando mi ritrovo nella solita atmosfera mediorientale delle strade della mia giovinezza. Tutti col naso sul cellulare, ci mancherebbe, ma nel consueto pittoresco chiacchierare ad alta voce dei fatti propri e altrui. Privacy in salsa calabra.
    Davanti ai bar ci sono i tradizionali gruppi maschili che presidiano il territorio, ci sono i plotoni di ragazzi, e quelli di mezza età in fuga dai problemi di famiglia, poi i vecchi, veterani della riserva. Le ragazze seguono altri misteriosi percorsi, i due schieramenti si vedranno di notte. Di notte niente più libri sul comodino. Solo gli sfigati possono leggere di notte.
    L’atmosfera mi tranquillizza sul successo dei corsi di inglese di altissimo livello. Forse quelli che superano gli esami, B2 e C2, poi vanno via, a Piccadilly Circus, Oxford, Cambridge e dintorni. Cosa dovrebbero fare, a Cosenza, col loro impeccabile accento di Oxford?

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    Una manifestazione di Comunione e liberazione

    Che fine hanno fatto volantini, megafoni e striscioni?

    I cellulari e la rete ci assicurano il posto nel terzo millennio, ma cosa ci portiamo dietro? Con quale bagaglio affrontiamo la globalità? Abbiamo lottato con sgomento per padroneggiare il Pc e il mouse, trenta anni fa, sapendo che era in gioco il nostro posto nel mondo.
    La mia classe di ferro, 1961, la più numerosa del secolo, conserva ancora memoria del tempo arcaico del ciclostile, del telefono a gettoni, delle contrapposizioni ideologiche. Tutti tenevamo a essere diversi, a sbandierare i nostri testi sacri. Ogni gruppo aveva i suoi.
    Dovremmo fare ancora uno sforzo per recuperare il nostro vissuto. Cosa accadeva nelle sedi degli altri gruppi? Quale modello di ciclostile utilizzavano? Cosa pensavano, gli altri, di noi? Cosa ne è stato dei più fieri e intransigenti contestatori? Quale buco nero ha inghiottito tutti i volantini, i megafoni, gli striscioni, le tessere e le agende su cui stavamo a scrivere come forsennati? E la nostra pretesa di leggere la realtà e giudicarla era solo assurda? Quelli che ci giudicavano degli esaltati avevano ragione? Bisogna stare con i piedi per terra? Cosa rimane di quegli anni? Come raccontarli ai ragazzi e alle ragazze della movida notturna?

  • Mughini di lotta per un Mondo Nuovo a Cosenza

    Mughini di lotta per un Mondo Nuovo a Cosenza

    Sessant’anni fa, nel 1963, a Cosenza, viene pubblicato il primo dei Quaderni di cinema del circolo Mondo Nuovo. L’informazione si ricava dal terzo, dato alle stampe a Cosenza nel febbraio 1964. Un fascicolo di 54 pagine, con testi di Guido Aristarco, Pio Baldelli, Tommaso Chiaretti, Adelio Ferrero, Giampiero Mughini.

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    Antonio Lombardi, tappezziere e agit prop

    Antonio Lombardi, animatore del circolo Mondo Nuovo, presenta il terzo numero dei Quaderni, dedicato ai problemi della critica della settima arte, precisando che il secondo fascicolo è stato stampato in 500 copie, «testimonianza del successo della nostra iniziativa e in direzione della diffusione e della divulgazione della cultura cinematografica». Nello stesso testo Lombardi annuncia che il quarto numero è già in preparazione e sarà dedicato a Cinema italiano 1943-1963.

    Da Fellini a Moretti

    Per tutto il periodo della sua attività, tra il 1960 e il 1980, il circolo Mondo nuovo dedica una particolare cura al cinema, organizzando rassegne di film e dibattiti, a cui interviene un pubblico non solo giovane (i fondatori del circolo sono ragazzi poco più che ventenni). Si era nella stagione d’oro, registi italiani come Fellini, Visconti, Antonioni, Pasolini e tanti altri erano studiati e imitati, premiati nei concorsi internazionali.
    In una registrazione relativa alle origini del circolo, Antonio Lombardi, circa venti anni fa, mi aveva raccontato le sue prime incursioni nel mondo della critica cinematografica, nel clima di grande emozione suscitato dai fatti di Ungheria del 1956. Quel momento rievocato di recente da Nanni Moretti ne Il sol dell’avvenire, che spinse tanti intellettuali e semplici militanti ad allontanarsi dal Partito comunista italiano e a cercare nuove strade. In quel clima di delusione, di ripensamento, di ricerca di nuove modalità espressive, si costituisce il gruppo di amici, a Cosenza, che darà vita a Mondo nuovo, che sorge ispirandosi all’omonima rivista fondata da Lucio Libertini.

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    Vittorio De Sica, icona e maestro del cinema

    La Ciociara che divide

    Ragazzi appassionati di politica e del nuovo linguaggio del cinema, così racconta Lombardi:
    «A proposito di Chiaretti nel 1960 facemmo una discussione, a Mondo nuovo, su La ciociara di De Sica, tratto dall’ultimo per me grande romanzo di Moravia. Per me il film valeva poco. Chiaretti invece ne scrisse in termini positivi, allora per la prima volta presi la macchina da scrivere e mandai una lettera a Chiaretti, che Libertini pubblicò insieme alla replica di Chiaretti (Libertini mi conosceva, era venuto a Cosenza ad inaugurare Mondo nuovo). Chiaretti nella replica mi invitava a leggere le posizioni critiche di Galvano Della Volpe nella sua Critica del gusto. Insomma queste riviste non ortodosse mi hanno formato, riviste nate da posizioni minoritarie, come quelle di Libertini, polemico con la dirigenza socialista fin dal 1948, quando si era schierato con Tito contro Stalin, e fondato l’Unione socialista indipendente, un piccolo partito, durato fino al 1956».

    Una Olivetti sgangherata

    Lombardi senza nessuna timidezza va, dal suo primo intervento, oltre i confini della sua città, è convinto che sia necessario, da subito, allacciare rapporti con gli intellettuali e gli autori, partecipando agli incontri più innovativi e importanti, come quelli a Porretta Terme. Sarà sempre questo il suo modo di operare, diretto e personale, con la Olivetti ormai sgangherata che ha utilizzato fino alla fine, per molti anni dopo la chiusura del circolo.Il testo di Tommaso Chiaretti pubblicato sul Quaderno numero 3, La critica cinematografica tra industria culturale ed organizzazione di partito, è la relazione tenuta a Porretta Terme al convegno Cinema e critica oggi (10-12 settembre 1963). Lo stesso vale per il testo di Guido Aristarco, Realismo, decadentismo e avanguardia nel cinema contemporaneo.

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    I Quaderni di cinema partoriti nella fucina di Mondo Nuovo

    Nella registrazione già citata Lombardi racconta: «Nel 1964 ho fatto un viaggio importante, prendendo contatto con persone come Chiaretti, chiedendogli di collaborare con Giovane critica» di Giampiero Mughini.
    Insomma abbiamo dedicato qualche pagina a Chiaretti, che in quel momento non se la passava bene. Questo viaggio nasceva da uno precedente, nel 1963, quando sono stato invitato a Porretta Terme, al Festival del cinema libero, in cui si alternavano proiezioni e dibattiti. Il Festival del 1963 era dedicato alla critica cinematografica, Aristarco era invitato a parlare dell’avanguardia, Chiaretti sul rapporto tra organizzazione partitica e industria culturale.

    Intellettuali, borghesi, avanguardisti

    C’era anche Giuseppe Ferrara, che ancora non era passato alla regia. Dibattito animatissimo, con una frattura tra gli intellettuali di sinistra, tra chi propendeva per un’integrazione nel sistema dell’industria culturale. E chi invece voleva mantenere le distanze. Era in discussione ben altro, non la critica cinematografica, Mughini non colse questo aspetto. Il nocciolo della questione era la possibilità di fare opposizione di sinistra in Italia. Il capofila della critica ad Aristarco era Lino Miccichè, critico cinematografico de L’Avanti. Sui Quaderni di Mondo nuovo abbiamo pubblicato integralmente la relazione di Aristarco, e lui non perdeva occasione di citarla. Dibattito proseguito a lungo sui giornali, intanto sono andato in giro per capire cosa di pensava in giro.
    L’intervento di Chiaretti, Le ragioni dell’avanguardia, a questo proposito mi aveva colpito anche l’intervento di un altro critico, Mario De Micheli, autore de Le avanguardie artistiche del ‘900. Si dibatteva dell’avanguardia sempre a partire dalla crisi dello stalinismo. Il problema non era solo liquidare l’avanguardia come prodotto borghese, decadente, De Micheli e Chiaretti rileggono la crisi che tra gli intellettuali si apre nel 1848 e giunge al culmine nel 1871.

    Questi intellettuali non arrivano a posizioni veramente rivoluzionarie, ma sono degli irregolari, a livello artistico questa è l’avanguardia. Molti critici ritengono che il realismo moderno non sia la continuazione del grande realismo borghese ottocentesco. De Micheli e altri pensano a un incontro tra le manifestazioni dell’avanguardia, con le rotture dei linguaggi tradizionali, solo da questa sintesi nasce il moderno realismo rivoluzionario. Ad esempio Majakovskij e Brecht, con il futurismo e l’espressionismo.

    Mughini per Mondo Nuovo

    Mondo nuovo aveva stretti legami con il Centro universitario cinematografico, CUC, di Catania, animato da Giampiero Mughini, che invia agli amici cosentini un suo contributo per il Quaderno, Vecchio e nuovo nella critica cinematografica.
    Gli autori del terzo numero dei Quaderni di cinema sono critici militanti, noti e affermati già in quegli anni, spesso al centro di polemiche roventi, accompagnate da risvolti giudiziari. Nel 1953 Guido Aristarco, direttore di Cinema nuovo, viene arrestato per vilipendio delle forze armate, per aver pubblicato sulla rivista da lui diretta un soggetto cinematografico, L’armata sagapò, relativo alla condotta dei militari italiani in Grecia durante la seconda guerra mondiale. Aristarco e Renzo Renzi, autore del testo, trascorrono quarantacinque giorni nel carcere militare di Peschiera. Sono condannati a scontare rispettivamente quattro mesi e mezzo e otto mesi, ma rimessi in libertà grazie alla mobilitazione della stampa e dell’opinione pubblica.

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    Il regista e attore Nanni Moretti

    Quel che resta del cinema a Mondo Nuovo

    Nonostante la diffusione in centinaia di copie dei Quaderni di cinema non sono riuscito a trovare gli altri numeri, il primo, il secondo e il quarto, quelli che sicuramente sono stati pubblicati. Nemmeno nelle biblioteche pubbliche sono consultabili, almeno non risultano nel Sistema bibliotecario nazionale, SBN. Potrebbero trovarsi forse in qualche fondo librario non catalogato. Come accade spesso per gli archivi dei gruppi e delle associazioni, gli animatori del circolo, ragazzi estranei alla cultura ufficiale, all’epoca non si preoccupavano di depositare le copie dei propri stampati, né evidentemente di consegnarli direttamente alle biblioteche pubbliche.
    Questo terzo fascicolo, recuperato fortunosamente, apre le porte di un mondo ormai lontano, per certi versi superato, gravato da schematismi ideologici oggi incomprensibili. Ma ci conduce nel cuore del dibattito politico e artistico degli anni Sessanta, seguito con interesse a Cosenza da centinaia di persone. Come nelle palazzine del quartiere romano, dove Silvio Orlando nell’ultimo film di Nanni Moretti, si interroga sul suo ruolo di segretario di sezione del P.C.I. davanti al dramma del popolo ungherese.

    Probabilmente sarebbe ancora possibile reperire queste pubblicazioni in qualche biblioteca privata, anche molto lontano da Cosenza, dato che il circolo Mondo nuovo e Antonio Lombardi in particolare, intratteneva una fitta corrispondenza con centri e persone di ogni parte d’Italia. Sarebbe un modo per recuperare uno dei tanti tasselli dispersi della vita culturale cittadina, non per municipalismo, ma al contrario per documentare i legami e gli scambi che da Cosenza si intrecciavano con le più vivaci energie del tempo.

  • La morte dal cielo: gli 80 anni delle bombe su Cosenza

    La morte dal cielo: gli 80 anni delle bombe su Cosenza

    Il 12 aprile 1943 la città di Cosenza subì un bombardamento in pieno giorno, con le conseguenze che ancora oggi accompagnano queste azioni militari: distruzioni di case e infrastrutture, decine di morti tra la popolazione civile. Nel centro storico viene distrutto il seminario arcivescovile e subisce danni anche il Duomo.
    Dopo il bombardamento chi può abbandona la città e cerca rifugio nei paesi vicini, già invasi di sfollati provenienti anche da altre regioni. Seguiranno altre incursioni, altri morti e distruzioni.

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    La bomba a via Popilia

    Complessivamente la Calabria fu oggetto di circa duecento incursioni aeree, fino al settembre 1943, quando in soli dieci giorni gli anglo-americani occuparono la regione. Limitandoci a Cosenza, riportarono gravi danni anche la Biblioteca Civica, il teatro Rendano, la chiesa della Riforma. E tante abitazioni. Alcuni ordigni inesplosi sono ricomparsi nei decenni successivi, ancora nel 2015 a via Popilia fu necessario disinnescarne uno, con l’intervento del Genio militare. Progressivamente sono stati cancellati o rimossi i resti degli edifici colpiti, che per molto tempo hanno caratterizzato alcune zone della città. Fino a quella tragica primavera la Calabria non era mai stata un obiettivo importante. Ma in quei mesi le truppe alleate, dopo la conquista della Libia italiana, stavano organizzando lo sbarco in Sicilia, per dare un colpo definitivo al regime fascista e portare la guerra in Europa, aprire un altro fronte, attaccare da sud la Germania nazista.

    Il bombardamento del 1943 su Cosenza in un libro

    Roberta Fortino, autrice del volume 1943 Cosenza bombardata …e la morte arrivò dal cielo, ricorda nella dedica suo zio che la salvò quando, da bambina, la vide giocare con un ordigno nei pressi di casa. Come accade ancora oggi ai bambini che vivono in zone di guerra. Perché le guerre lasciano tracce lunghe e dolorose. A distanza di ottant’anni la pubblicazione di 1943 Cosenza bombardata…e la morte arrivò dal cielo (editoriale progetto 2000) è quanto mai opportuna. La memoria collettiva non disponeva finora, infatti, di una narrazione adeguata agli eventi.

    Il volume offre molti documenti, alcuni tratti da pubblicazioni estemporanee e difficili da reperire, altri pubblicati per la prima volta e di particolare interesse. Come le testimonianze, tradotte per la prima volta in italiano, dei piloti americani alla guida dei bombardieri, che offrono una prospettiva nuova alla ricostruzione dei fatti.
    Altre carte inedite provengono dall’archivio dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra. Ciò conferma che le strade della ricerca storica sono molteplici e tortuose. E, per quanto riguarda la storia recente di Cosenza e della Calabria, decisamente poco battute ed esplorate.

    Storia e sentimenti

    Sui libri di storia difficilmente si trova narrata la fatica della ricostruzione, della vita tra le macerie, dell’attesa di notizie dai campo di prigionia o dal fronte, che intanto si era spostato sempre più a nord, tagliando fuori migliaia di soldati calabresi dalle proprie famiglie. Nemmeno l’allegria assurda dei superstiti e il desiderio di ricominciare a vivere trovano spazio nelle pagine degli studiosi, che non considerano i sentimenti degni di attenzione.

    Elsa Morante ha dedicato una delle sue ultime fatiche, La Storia, proprio alla vita delle persone più umili, in quei drammatici anni. E ha immaginato la prima parte del romanzo proprio a Cosenza, collocandovi la vita ordinaria di una famiglia modesta.
    La memoria ufficiale, invece, si affida alle commemorazioni periodiche, alle targhe, alle lapidi, di cui in questo libro si raccontano con molti particolari le tappe, fino alla realizzazione nei luoghi dove sono ancora oggi visibili.

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    La scultura di Baccelli in onore di cinque bambini uccisi dalle bombe in piazza Spirito Santo (oggi piazza Cribari) è scomparsa

    Una scheda particolareggiata ricostruisce anche la storia paradossale, tipicamente calabrese, del monumento alle vittime di Cesare Baccelli, andato “perduto” durante uno spostamento all’interno di un cantiere. Una pagina di valore simbolico, non isolata, dato che sono note gustose analoghe vicende, relative ad altri monumenti smarriti, evaporati nel cielo azzurro. Lo stesso cielo in cui si allontanavano gli aerei americani, dopo aver seminato morte e distruzione.

  • Gigi Marulla, monaci e utopie: benvenuti a Stilo

    Gigi Marulla, monaci e utopie: benvenuti a Stilo

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    I viaggiatori politicamente corretti si riconoscono subito, fanno tenerezza. Ricordano Silvio Orlando in Ferie d’agosto, quando cerca vanamente di isolarsi dai rumori, dalla cafonaggine e dall’invadenza dei suoi vicini. Tenta inutilmente di arginare il mondo reale, rifugiandosi in un paradiso naturale, senza acqua corrente né elettricità, che rivelerà, però, tutti i suoi limiti.

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    Silvio Orlando in Ferie d’agosto (Paolo Virzì, 1996)

     

    I viaggiatori motivati, informati, consapevoli non li incroci nei luoghi più affollati. Se anche dovessero transitare su un lungomare, o in un centro commerciale, non si farebbero notare. Vestono in modo sobrio, quasi dimesso. Non ostentano videocamere e altre apparecchiature elettroniche. Non si espongono neanche troppo agli sguardi, dato che il più delle volte sono pallidi per le ore trascorse sui libri più in voga, nei musei e nei teatri.
    In un posto come Stilo, in provincia di Reggio Calabria, li individui subito, invece, perché spiccano in mezzo agli abitanti del borgo che ha dato i natali a Tommaso Campanella.

    Stilo, la terra dell’utopia

    Come accade in ogni paese del Sud, anzi in ogni meridione, i nativi osservano con sguardo compassionevole e divertito i viaggiatori che ammirano il paesaggio, rapiti dallo spettacolo. Per un nativo di Stilo quello è il panorama quotidiano, abituale, delle faccende di ogni giorno, lavoro, spesa, scuola, chiacchiere. Per un viaggiatore colto e curioso sbarcare a Stilo significa calpestare la terra dell’utopia, dove è nata la trama de La Città del Sole, la comunità perfetta immaginata dal filosofo.

    La Città del Sole, l’opera più famosa del filosofo Tommaso Campanella

    Non per caso ha scelto di chiamarsi Città del Sole anche l’albergo che affaccia sul corso del paese, ricavato da un immobile sequestrato alla criminalità. Un posto confortevole, funzionale, di misurata eleganza, con un bel terrazzo a disposizione degli ospiti, che riposando lì possono rielaborare i pensieri affiorati alla mente durante le passeggiate tra le chiese e le case di Stilo. Tommaso Campanella fu rinchiuso per quasi trent’anni in un carcere dagli spagnoli, per aver organizzato una congiura contro il dominio straniero, da queste parti. A quei tempi spagnoli e baroni, oggi la ‘ndrangheta e i suoi legami con la politica.

    Marulla e granite nel silenzio

    Il luogo di maggior richiamo ovviamente è la Cattolica; oggi la piccola chiesa bizantina è inserita in un percorso che segnala eremi e chiese rupestri, per viaggiatori che amano muoversi a piedi o in bicicletta, un turismo lento e rispettoso dei luoghi e del silenzio che regna, un bene prezioso da tutelare.
    Infatti intorno alla Cattolica i visitatori sono decisamente à la Silvio Orlando, ammiriamo la bellezza del sito e scrutiamo le pietre e le colonne, alla ricerca di una rivelazione misterica. Individuato come cosentino dal vigilante, vengo informato che il grande Gigi Marulla è nato a Stilo, il mio interlocutore è suo cugino. Non è proprio una rivelazione trascendentale, ma mi accontento. Sul calcio sono sprovveduto, devo compiere un percorso di iniziazione.

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    Il ricordo di Gigi Marulla all’ingresso della scuola calcio che aveva fondato

    Unica concessione al consumismo, davanti all’ingresso dell’area della Cattolica, un piccolo chiosco di bibite e gelati, segnalato in rete per la bontà delle granite artigianali. Mi concedo pure io la granita, anche se sono arrivato in macchina. Cerco di essere un viaggiatore politicamente corretto, ma subisco tutto il fascino del turismo becero. Poi col caldo di fine estate non sarei mai arrivato vivo a Stilo, marciando attraverso la montagna, con le provviste in spalla, come i fieri escursionisti che mi circondano, sudati e soddisfatti.

    L’eremo a Pazzano

    Il direttore dell’albergo Città del Sole insiste, dobbiamo assolutamente visitare l’eremo di Santa Maria della Stella, a Pazzano, comune confinante con Stilo. Così lasciando Stilo elaboro un breve itinerario mistico-montano e ci avviamo.
    Dopo pochi chilometri e tante curve arriviamo all’eremo, in una posizione meravigliosa, con una vista splendida sullo Ionio. Naturalmente arrivano alla spicciolata altri viaggiatori consapevoli, alcuni con bambini al seguito, che per ora subiscono i viaggi culturali imposti da mamma e papà, in attesa di diventare grandi e fuggire verso le discoteche dello sballo.
    Cerchiamo di capire come accedere alla grotta, è stato organizzato un sistema di apertura con moneta, un euro a persona, come contributo per l’illuminazione e le pulizie del luogo.

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    L’eremo di Santa Maria della Stella

    Una signora piuttosto scorbutica non si degna di rispondere alle educate richieste di spiegazioni. Temiamo di rimanere rinchiusi per sempre nell’eremo, una volta entrati. Potrebbe essere pure una soluzione a tanti problemi della vita che tentiamo di lasciarci alle spalle andando per eremi bizantini. Vedo inconsapevoli bambini seguire fiduciosi i genitori nella grotta, quando capiranno i rischi a cui sono stati esposti saranno dolori.

    Un viaggio nel tempo fino a… Bivongi

    Ultima tappa a San Giovanni Theristis, nel comune di Bivongi. Un monastero bizantino riportato in vita da un monaco greco, partito dal Monte Athos per recuperare questo angolo di Medioevo dimenticato dai calabresi. Solita strada orrenda, soliti viaggiatori pazienti alla ricerca del sacro. Sembra davvero di viaggiare nel tempo, qui. I monaci non ci degnano, passano silenziosi attraverso il prato, immersi nelle proprie faccende. Caprette e galline negli spazi riservati alla vita quotidiana.

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    Bivongi, il monastero di San Giovanni Theristis

    I monaci non colgono gli sguardi desiderosi di ascesi e incuriositi dei turisti pellegrini dello spirito. Si comportano sempre così, forse la loro regola li obbliga a mantenere le distanze. Non si coinvolgono come i sacerdoti cattolici, sempre in mezzo alla gente, a sbracciarsi nell’accoglienza e nell’inclusione delle pecorelle smarrite (sennò papa Francesco li rimprovera), a mostrarsi comprensivi e indulgenti verso le magagne dei peccatori. I monaci ortodossi, mi pare, non si fidano dei cattolici, custodiscono ancora la memoria della crociata del 1204, quando i cavalieri con la croce, anziché attaccare i musulmani, saccheggiarono Costantinopoli e le sue chiese. Certo che dopo ottocento anni potrebbero pure metterci una pietra sopra. Poi non credo ci siano molti cattolici praticanti tra i visitatori degli eremi sperduti.

    Via dal paradiso

    Andiamo via consapevoli che il paradiso terrestre per ora non possiamo permettercelo, ci tocca tornare nella vita quotidiana. Sosta a Monasterace Marina per qualche conforto materiale. Spiagge affollate, musica ad alto volume, corpi abbronzati ed esposti impudicamente, pure quando le pance e i culi cascanti richiederebbero veli pietosi. Sempre il solito dilemma, godersi i beni terreni più immediati o faticare per distaccarsi dalle miserie del mondo? Ci vorrebbe un consiglio bibliografico di Tommaso Campanella. Durante i trent’anni di carcere avrà avuto modo di chiarirsi tante questioni per noi ancora irrisolte.
    Intanto ci tocca la statale 106, un purgatorio moderno.

  • Scilla: il paradiso perduto a colpi di decibel, spada e nero di seppia

    Scilla: il paradiso perduto a colpi di decibel, spada e nero di seppia

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    Dalla terrazza di piazza San Rocco si gode un panorama meraviglioso, la Sicilia, lo Stretto, il castello dei Ruffo, la Marina Grande e Chianalea, le due zone di Scilla più affollate di vacanzieri. Ho scoperto che dall’anno scorso è in funzione un ascensore che dalla piazza porta giù sul lungomare, in pochi secondi. Al costo di un euro. Provvidenziale specie se dal lungomare si vuole andare su, perché con l’afa di questi giorni affrontare le gradinate non sarebbe piacevole. L’ascensore decolla in uno slargo, accanto alla chiesa dello Spirito Santo. Proprio il nome giusto per questa ascensione al centro storico, e a qualche momento di tranquillità, rispetto al trambusto di sotto.

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    L’inaugurazione dell’ascensore di Scilla con l’allora presidente f.f. della Regione, Nino Spirlì

    Intorno a piazza San Rocco le strade in salita sono tranquille, solitarie. Pochissimi locali, poco traffico, tranne sul  viale che porta giù, dove si incanala una fila ininterrotta di auto e moto. Che ci vai a fare a Scilla se non ti godi il traffico sulla statale 18 e sul lungomare? L’ascensore va bene per i pavidi come me. Quelli che una volta posteggiata la macchina non si azzardano a sfidare la sorte, incrociando in curva il gigantesco camion della raccolta rifiuti, con un autista mitico come gli antichi marinai di questo bellissimo borgo.

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    Il belvedere di piazza San Rocco a Scilla

    Dall’Odissea a Horcynus Orca

    Un luogo immerso nel mito, anzi nei miti, li riassume e li evoca quasi tutti. Anche ora che la navigazione non rappresenta più un’avventura come ai tempi di Ulisse e le navi gigantesche che passano in lontananza non temono certo i gorghi e le insidie di Scilla e Cariddi. Questo mare, cantato dai versi di Omero, in epoca più recente ha ispirato Horcynus Orca, il romanzo di Stefano D’Arrigo, del 1975.

    Un parco letterario lo ricorda, anche se ha sede in Sicilia. A Palmi un museo è dedicato a Leonida Repaci, i turbamenti del Previtocciolo di don Luca Asprea hanno avuto come sfondo Oppido Mamertina e altri luoghi di questo territorio così ricco di scrittori.

    Aumenta il volume e pure la temperatura

    La mattinata trascorsa in uno dei lidi di Marina Grande mi ha confermato che Scilla ormai ha consolidato il suo successo, si incrociano tutti i dialetti italiani e molte lingue straniere, sovrastate sempre più dalla musica che aumenta di intensità, con l’aumentare della temperatura.

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    In bicicletta a picco sul mare di Scilla (foto Gianfranco Donadio)

    Gli animatori dei lidi guidano la battaglia a colpi di decibel, riuniscono le truppe e le conducono allo scontro finale. I bambini più piccoli in questo marasma appaiono smarriti, percepiscono di non essere al centro dell’attenzione. Si sentono trascurati e piangono, i più fortunati riescono ad addormentarsi. Mi tornano alla memoria le vacanze degli anni Sessanta del secolo scorso, quando le marine erano silenziose, ma i neonati venivano portati in spiaggia all’alba e al tramonto, per proteggerli dal sole, e poi condotti a casa. Adesso pure le nonne stanno in bikini a tracannare birra, sotto la canicola.

    Pesce spada e nero di seppia

    Si pranza al lido, dato che nessuno torna a casa a cucinare, a proposito delle abitudini di un tempo. Vanno per la maggiore i panini al nero di seppia e gli arancini dello stesso colore, ripieni di parmigiana di melanzane e pesce spada. Hanno l’aspetto di palle di cannone, sono buoni, ma dove troveranno tutte queste seppie e pesci spada? Nei documentari in bianco e nero di Vittorio De Seta, girati da queste parti, le spadare spinte a forza di remi solcavano lo Stretto in cerca della preda. Ore di fatica per individuare un pesce spada, magari due se si riusciva a catturare prima la femmina, il maschio in questo caso si suicidava consegnandosi spontaneamente. Costumi cavallereschi di altre epoche. Ora le grandi navi per la pesca in mare aperto risucchiano tutte le creature marine. Neanche le sirene avrebbero scampo, se ci fossero. Non c’è nulla di romantico da raccontare.

    Il pranzo segna il momento parossistico nella vita del lido, lo scatenamento degli istinti e della volontà di sopraffazione. Le donne competono a colpi di bikini, gli uomini ostentano virilmente la pancia.
    Tutti insieme gli occupanti degli ombrelloni si sfidano a colpi di ordinazioni. Quattro ragazzi di Luzzi ordinano una bottiglia di spumante, poi un’altra, che gli vengono portate sotto l’ombrellone col secchiello regolamentare. Un trionfo, foto e video in tutte le pose. Come posso competere con la mia bottiglia di minerale naturale? Ci sarà una Coppa del nonno in edizione special, numerata?

    Scilla e il cardinale Ruffo

    Intanto gli animatori continuano ad incitare il loro pubblico, ad alzare ancora il volume della musica. Non reggo, me ne torno in albergo, pochi passi e sono in salvo.  Da queste parti nel 1799 il cardinale Fabrizio Ruffo organizzò il suo esercito di contadini, per muovere contro i giacobini della Repubblica Partenopea. Scilla e Bagnara erano feudi della sua famiglia, i contadini accorsero a migliaia convinti di combattere in difesa della fede. In pochi mesi marciarono su Napoli e massacrarono i rivoluzionari meridionali.
    Nel dormiveglia pomeridiano mi appare il cardinale Ruffo, sulle mura del castello di famiglia. Guarda corrucciato le folle urlanti sulla spiaggia. Ma non li aveva eliminati tutti quei dissoluti nemici della fede? Fa puntare i cannoni con strani proiettili, sembrano i panini al nero di seppia. Ordina lo sterminio dei bagnanti. Alla prima cannonata mi sveglio, illeso.

    Turisti a mollo sulla spiaggia ai piedi del Castello Ruffo di Scilla

    Come cercare un altro modo di vivere le vacanze? Senza pensare necessariamente a rievocazioni storiche, forse questo patrimonio così ricco di miti e storie potrebbe essere valorizzato in qualche modo. Un percorso, una serata di lettura di testi, un museo virtuale. In un paese una libreria, a quanto pare, non può reggersi, ma tutti i libri ispirati da questi luoghi non meriterebbero visibilità? Non credo che esista un solo modello di sviluppo turistico, quello della riviera adriatica, di Rimini e dintorni. Ricordo Scilla affollata già tanti anni fa, le persone a passeggio tra le case dei pescatori.

    Un pescatore a Chianalea

    Scilla, un borgo per turisti

    La trasformazione dei borghi come Scilla, ma anche delle città d’arte, in una serie ininterrotta di locali e case per turisti sta mostrando i suoi limiti. Se si esagera vengono meno le ragioni per cui vale la pena andare in un certo luogo, perché finiscono per essere tutti uguali. A Chianalea ora si cammina a fatica tra un ristorante e un pub, tra un negozio di souvenir e un’agenzia, quante saranno le famiglie residenti ancora presenti? Intanto al centro storico non ci sono segni di attività, nonostante l’ascensore e la posizione panoramica. Forse questi fenomeni positivi di sviluppo andrebbero governati e indirizzati.

    Barche ormeggiate a Scilla

    Dopo due giorni a Marina Grande percorro la statale 18 verso Bagnara Calabra, costeggiando antichi mulini. I paesi distrutti dal terremoto del 1908 si riconoscono per la pianta urbana regolare della ricostruzione, strade parallele, edifici bassi e modesti. A Bagnara la spiaggia è molto lunga, ci sono i lidi e ampi tratti di spiaggia libera, la situazione mi pare tranquilla. I prezzi sembrano contenuti. Sul mare passa una spadara, come nel documentario di De Seta. Ci sistemiamo in un lido, con gesti furtivi da cospiratore scorro le proposte gastronomiche del giorno. Ritrovo i panini al nero di seppia, e tanti nomi esotici che evocano la Florida e i Caraibi. Non importa, meglio che Omero e Ulisse non diventino nomi di piadine e pizzette. Al momento l’animazione tace. Speriamo che non si accorgano della nostra presenza.

  • In viaggio con Adele Cambria tra luoghi e memorie

    In viaggio con Adele Cambria tra luoghi e memorie

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    A volte mi trovo a curiosare tra gli scaffali dei rigattieri, o mercatini dell’usato, come li si chiama oggi.
    Resto affranto dallo spettacolo di tutti questi oggetti – tappeti, lampade, servizi per il thè – raccolti negli anni, acquistati forse a rate con sacrifici e rinunce, e custoditi nelle case dove il loro ingombro rende impossibile la vita. Oppure creano dissapori, per il costo eccessivo e il gusto non condiviso.
    Fino a quando, insieme ai mobili scuri ed enormi di vecchi arredamenti, finiscono in vendita a poco prezzo, segno che i loro proprietari non ci sono più.

    Oggetti morti, ricordi vivi

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    La copertina di Storia d’amore e schiavitù

    Sono visite istruttive, “didattiche”: mi riprometto sempre di non comprare più nulla, neanche un ombrello. La sociologia e la psicologia hanno cercato di spiegare il motivo per cui ci riempiamo di cose superflue (pare che la casa sia un’estensione, della tana primitiva).
    I tormenti maggiori mi vengono dai libri, specie quelli originali, raffinati, autografati dagli autori. In vendita per pochi spiccioli.
    Pure i libri vanno incontro al loro destino, e cerco di non comprarne, perché poi penso che verranno portati, di nuovo, dopo la mia prematura dipartita, dal rigattiere a rattristarsi.

    Un ricordo di Adele Cambria

    Ma davanti a un testo di Adele Cambria non ho resistito, l’ho comprato. Tre euro. Mi ha colpito la dedica autografa: «Ad Alessandra, con gratitudine per il suo contributo alla “piccola felicità” di questo mio soggiorno a Cosenza. Adele 19 aprile 2000».
    Si intitola Storia d’amore e schiavitù (Marsilio editore, 2000). Adele Cambria non ha bisogno di presentazioni, è stata una notissima giornalista e scrittrice, nata a Reggio Calabria nel 1931, scomparsa nel 2015.
    La Rai l’ha scelta tra le protagoniste della serie Donne di Calabria (prima puntata il 21 giugno su Rai Storia, alle 22,10). Un racconto del suo modo di vedere la vita affidato al ricordo di persone amiche, alla suggestione di vecchie foto.

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    Eleonora Giovanardi interpreta Adele Cambria in Donne di Calabria

    Critiche dure, provocazioni innocenti

    Non conosco bene i suoi scritti, ho trovato divertente l’articolo che l’ha resa famosa, giovanissima, quando prese di mira le ragazze col Cantù.
    Cioè le ragazze meridionali di buona famiglia, titolari di ampi corredi in vista delle nozze. Questi corredi che dovevano assolutamente comprendere vari capi di pizzo delle pregiate manifatture di Cantù.
    Lei invece desiderava diventare giornalista, perciò dopo la laurea in legge andò a Roma, presentandosi in varie redazioni (ha anche raccontato che avrebbe desiderato fare il magistrato, ma all’epoca le donne non erano ammesse al concorso).

    Il mistero della dedica

    La dedica attesta una sua presenza a Cosenza, probabilmente per la presentazione di questo libro. Ho trovato alcuni video in rete, che si riferiscono ad altre occasioni, a Cosenza e a Reggio Calabria, per i suoi ultimi libri, Nove dimissioni e mezzo (Donzelli, 2010) e In viaggio con la zia (Città del Sole, 2012).

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    Una delle ultime immagini di Adele Cambria

    Non sono riuscito a trovare immagini di questa giornata, del 19 aprile 2000, anche se credo di avere individuato la destinataria della dedica, ma non penso sia importante qui.
    Piuttosto ci sono rimasto male perché nel 2000 ero spesso presente agli eventi, dunque ho cercato di ricostruire perché non c’ero.

    L’invito mancato

    Il 19 aprile 2000 era mercoledì, prima di Pasqua (ho controllato). All’epoca ancora si usavano i manifesti, gli inviti spediti per posta.
    Non mi hanno invitato, evidentemente (mi mancava l’iscrizione a qualche circolo esclusivo). Conservo molti ritagli di stampa locale e non. Non trovo niente sul 19 aprile 2000. Forse, approfittando delle vacanze scolastiche, ero partito per qualche giorno? I posteri avranno grossi problemi a ricostruire la mia biografia, se già io non mi raccapezzo.

    In giro con gli scrittori

    Mi dispiace non esserci stato perché accogliere e accompagnare scrittori in visita nella propria città può essere un’esperienza. A scuola, con altri colleghi, per parecchi anni abbiamo scortato e portato a spasso l’autore di turno, per l’annuale incontro con gli alunni.
    Roberto Pazzi fu colpito dalla toponomastica locale, si soffermò davanti al monumento ai fratelli Bandiera, al vallone di Rovito (contò i cipressi e annotò altri dettagli).
    Dacia Maraini aveva sofferto il viaggio e fu condotta con tutti gli onori a fare un massaggio che la rimise in sesto per affrontare i giovani lettori.

    Dacia Maraini, altra importante icona della scrittura al femminile

    Un altro noto romanziere scroccò la macchina a una collega molto gentile e se ne andò al mare, esonerandoci dai nostri doveri.
    Dante Maffia ci raccontò del metodo di lavoro di Elsa Morante, che aveva frequentato a Roma.
    Ettore Masina mi inviò due romanzi in regalo, lo avevo salvato dal congelamento portandolo in albergo (aveva un abito estivo, ma era una primavera cosentina gelida anche per lui che era nato in Valcamonica).

    Il ritorno in Calabria in punta di penna

    Chi si è occupato di Adele Cambria? Cosa avrà chiesto prima dell’incontro? Avranno organizzato una cena in suo onore?
    Sembrerebbe di sì: nella dedica esprime gratitudine per il soggiorno in città, e non suonano come parole di circostanza.
    Adele Cambria aveva fatto ritorno in Calabria con gli ultimi romanzi, collocandovi storie e personaggi.

    Un’immagine iconica di Adele Cambria

    Forse per fare i conti con le sue radici, come accade a tutti, anche a quelli che non scrivono libri. In Storia d’amore e schiavitù parla di una famiglia benestante, colta, che potrebbe anche essere la sua, di una nonna che nel 1891, appena quindicenne, riceveva lettere appassionate da un giovane brillante e geloso. Un amore contrastato ovviamente.
    E poi racconta del terremoto del 1908, che sconvolge quel mondo e della vita della figlia e della nipote di quella ragazzina, chiusa in casa e sorvegliata a vista fino al matrimonio. Vengono rappresentati gli ultimi decenni del secolo scorso, attraverso la vita di tre generazioni d donne, le libertà conquistate dalle più giovani, ma anche la devastazione del territorio ad opera della ‘ndrangheta.

    Gli occhi di un viaggiatore

    Guardare la propria terra attraverso gli occhi di un viaggiatore ci aiuta a riflettere, ci fa notare particolari a cui non abbiamo prestato attenzione. La Calabria mi sembra ancora poco raccontata, e sta correndo il rischio di diventare lo sfondo cinematografico di nuove, insopportabili saghe criminali.
    Altri libri di Adele Cambria, pubblicati successivamente, portano in Calabria. Ad esempio In viaggio con la zia. Una zia con due ragazzine in giro per la Magna Grecia, tra Calabria e Sicilia, ad esplorare luoghi e miti e culti. Anche qui storie di donne, di case e famiglie viste da una sensibilità femminile.
    Insomma forse non è male andare per rigattieri. Con tre euro si può viaggiare. Se ci torno potrei trovare qualche pizzo di Cantù, da mettere accanto ai libri della Cambria. Come citazione.