Autore: Gianfranco Marino

  • Filoxenìa: nella Calabria dei greci dove lo straniero si sente a casa

    Filoxenìa: nella Calabria dei greci dove lo straniero si sente a casa

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    Filoxenìa è il titolo di un lavoro di ricerca documentale e fotografica sulla Calabria greca curato da Patrizia Giancotti. Antropologa, fotografa, giornalista, autrice e conduttrice radiofonica, che ultimamente ho riscoperto con maggiore attenzione cogliendone aspetti nuovi. Una rilettura attenta, meno veloce, più consapevole mi ha consentito di riprendere i temi principali di un lavoro che l’ha vista impegnata ad approfondire la conoscenza dei nostri luoghi, di cose e persone da leggere nel profondo.

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    Patrizia Giancotti, antropologa e giornalista

    L’amore per il forestiero nella Calabria grecanica

    Filoxenìa, suona bene questo termine greco, con quella sua inflessione morbida e accomodante che vuole significare amore per il forestiero, senso vivo di accoglienza. Sono stati mesi intensi i suoi, vissuti tra Bova e Roccaforte del Greco, passando per Gallicianò e Roghudi nel cuore della grecità calabrese, un tempo valso a partorire un’opera preziosa, ben al di là della già importante cifra stilistica, non fosse altro che per il merito di aver cristallizzato quanto ancora rimane di un piccolo mondo antico offrendo al lettore una chiave interpretativa antropologica e prima ancora umana di una realtà apparentemente semplice ed invece assai complessa, difficilissima da decodificare.

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    Roghudi vecchio

    Il titolo completo di questo lavoro edito da Rubbettino è: Filoxenia, l’accoglienza tra i Greci di Calabria, una ricerca che prende in esame aspetti geografici e culturali attraverso l’analisi di singoli profili, come nel caso di Pasquale, uno dei personaggi certamente più interessanti su cui la Giancotti ha posto la sua lente.

    Il senso omerico

    Pasquale Romeo è un ragazzo di Bova con alle spalle anche una breve ed estemporanea esperienza cinematografica. È importante l’analisi della figura di Pasquale perché incarna l’evoluzione di una terra dove vecchio e nuovo, tradizione e modernità sembrano convivere, dove uomo e natura si amano e si odiano in un continuum scandito dall’alternarsi delle stagioni. Patrizia Giancotti lo descrive così.

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    Pasquale Romeo ha recitato nel film “Anime nere” di Francesco Munzi, tratto dal libro omonimo di Gioacchino Criaco

    «La Calabria greca – dice – è terra di uomini ospitali, nella pienezza del senso omerico. Per mesi ho percorso quei territori, impegnata in una ricerca sul campo dove ho visto medici, professori, fabbri, massaie, suonatori di lira, zampogna e organetto, pastori. Pasquale ad esempio è un giovane di Bova poco più che trentenne, che dopo un’esperienza come attore nel Film Anime Nere di Francesco Munzi (tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco), girato proprio tra Bova ed Africo, è tornato alla sua quotidianità».

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    Lira calabrese (foto Alfonso Bombini)

    Dal red carpet alle salite di Bova

    Le parole della Giancotti evocano il senso del luogo e di chi ci vive: «Il suo stazzo è molto in alto, in verticale lo strapiombo diventa precipizio fiorito che porta al fiume, la vista da capogiro arriva fino al mare.

    Non c’è niente in piano, è difficile persino camminare eppure lo vedo come da un aereo in volo, correre giù dietro le capre col bastone dei padri e i piedi alati. Al red carpet calpestato a Venezia ha continuato a preferire la verticalità di questi scoscendimenti, dove il suono delle capre si fonde con quello della natura risvegliata e dove anche il profumo del vento, il fiume, il lupo, la pietra, il fiore, l’uomo e il mare laggiù sono uniti nella stessa partitura».

    Greci di Calabria

    È una terra bella, affascinante, a tratti misteriosa e ancora arcaica quella dei Greci di Calabria, un caleidoscopio in cui rintracci tante cose, montagne che si tuffano a mare, il grigio quarzo delle pietre che lascia spazio al rosso dei tramonti, ma soprattutto quell’antico idioma unico al mondo, primo riferimento ad una cultura che si perde nei secoli. Il continuo richiamo all’elemento greco lo si ritrova anche nella musica, nelle occasioni corali come i lutti o le feste, nel senso di ospitalità ancora vivo. Mi ha molto colpito il viaggio di Patrizia Giancotti, forse per la necessità di leggere la mia terra da una prospettiva differente. Perché spesso per leggere i luoghi, le persone e gli eventi a te più vicini è necessario osservarli da altre prospettive. Per questo ho sempre creduto nel valore del viaggio che ti libera da vincoli e legami che offuscano una capacità di lettura imparziale.

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    Roccaforte del Greco

    Terra madre

    Filoxenìa regala al forestiero uno spaccato fedele di una realtà che ancora resiste. Regala allo stesso tempo anche ai Greci di Calabria un’occasione di guardarsi allo specchio, una visione altra ed imparziale. È ricco di una straordinaria carica emozionale Filoxenìa che fa cogliere il suo senso più vero forse proprio in quella dicotomia regalata dalla descrizione di Pasquale, dei suoi piedi alati, del bastone dei padri e di quel tappeto rosso che nulla ha potuto dinnanzi al richiamo della terra madre.

    Certo nella scelta più o meno consapevole di Pasquale gioca un ruolo fondamentale la presenza permeante di un corredo genetico ben preciso che spinge al di là del calcolo, della logica, al di là del richiamo di sirene più o meno lontane. In quella scelta, non sappiamo quanto consapevole, ci piace leggere la metafora di un piccolo mondo antico che rimane aggrappato alle rocce della sua montagna, guardando con rispetto ma sempre con bonario distacco un mare oggi forse solo idealmente più vicino.

  • Poste, riaprono gli uffici di periferia: dalla Calabria non si scappa più?

    Poste, riaprono gli uffici di periferia: dalla Calabria non si scappa più?

    Nuova vita per gli uffici postali calabresi, specie per quelli periferici. Col progetto Polis, Poste Italiane sposa infatti il culto della restanza poggiando idealmente la matita sul foglio e ridisegnando la mappa dei servizi in un entroterra dove la bandiera bianca sventola ormai da troppo tempo.

    Chiude tutto, meglio fuggire?

    Sta nella chiusura dei servizi fondamentali la più lucida metafora di un mondo sulla via del tramonto. Ce lo dicono i numeri di una emigrazione che dopo le aree interne sta via via coinvolgendo anche quelle costiere in favore dei grandi agglomerati urbani e che nel periodo 2004/2020 ha fatto registrare centomila residenti in meno in una regione che, dati alla mano, non supera la soglia del milione e mezzo di abitanti realmente residenti. Razionalizzare è un verbo che nell’ultimo quarantennio, specie alle nostre latitudini ha perso la sua accezione positiva diventando quasi sempre anticamera al de profundis, sinonimo di smobilitazione, di resa. Chiudono le scuole, chiudono i principali servizi a testimoniare una rotta ben precisa, ed è in un contesto come questo che il valore di una governance di qualità diventa sempre più necessario per non abbandonarsi ai fatalismi diventati ormai quasi un patrimonio genetico, per non cadere in una retrotopia sempre a metà strada tra alibi e moto nostalgico.poste-uffici-calabria-emigrati

    Serve altroché la buona governance, servono esempi di buone pratiche che diventino nel tempo segnale di speranza, ciambella di salvataggio in un mare di rassegnazione. Servono uomini capaci di unire la ragione al sentimento. A volte per fortuna, ci sono però anche segnali in controtendenza che fotografano una situazione affatto irreversibile, come nel caso dei dati fornitici da Poste Italiane, relativi ad una presenza capillare che vuole andare oltre il valore pratico, consegnandoci un’inversione di tendenza in atto ormai dal 2018. Un trend finalmente positivo, frutto di scelte aziendali che sembrano aver anteposto la ragione alla fredda logica dei numeri.

    Poste, gli uffici chiusi in Calabria

    Non più tardi di dodici anni fa un ideale viaggio dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila e le Serre ci consegnava un disarmante quadro di smobilitazione degli uffici postali di frontiera. Basti pensare che (dati 2011) nella sola provincia di Reggio Calabria, un piano di razionalizzazione basato sulle utenze, aveva sancito il funzionamento a singhiozzo degli uffici di

    • Benestare,
    • Bova,
    • Bivongi,
    • Bruzzano,
    • Staiti,
    • Casignana,
    • Melia di Scilla,
    • Montebello Jonico,
    • Pazzano,
    • Platì,
    • Riace,
    • Roccaforte del Greco,
    • Samo,
    • San Lorenzo,
    • Sant’Alessio,
    • Sant’Agata del Bianco,
    • Camini,
    • Candidoni,
    • Canolo,
    • Ciminà,
    • Cosoleto,
    • Laganadi,
    • Martone,
    • Ortì,
    • Placanica,
    • Portigliola,
    • San Giovanni di Gerace,
    • Siderno Superiore,
    • Stignano,
    • Agnana

    03-uffici-poste-calabriaSi è passati poi nel giro di appena tre anni (dati ufficiali 2014) alla definitiva chiusura di

    • Anoia,
    • Campoli di Caulonia,
    • Plaesano di Feroleto della Chiesa,
    • Castellace,
    • Rosalì,
    • Barritteri di Seminara,
    • San Pantaleo,
    • Terreti,
    • Villa San Giuseppe,
    • Capo Spartivento,
    • Careri,
    • Piminoro,
    • Cirello di Rizziconi,
    • Condojanni,
    • Gambarie d’Aspromonte,
    • Pardesca di Bianco,
    • San Nicola di Ardore,
    • San Nicola di Caulonia,
    • Tresilico di Oppido Mamertina,
    • Villamesa di Calanna,
    • San Pier Fedele di San Pietro di Caridà

    E questo sia ben chiaro, solo per citarne alcuni. Un colpo di scure trasversale che tagliava di netto la dorsale reggina dallo Ionio al Tirreno.
    Non andava certo meglio risalendo verso la Sila e verso il Pollino dove il quadro si completava con cifre allarmanti che ridisegnavano la geografia antropica in un entroterra evidentemente sempre più povero.

    Piccoli comuni, si cambia

    Da cinque anni, la musica sembra essere cambiata grazie ad un percorso intrapreso da Poste in collaborazione con i piccoli Comuni. Oggi lo scenario tracciato ci parla di nuovi investimenti, di aperture, di potenziamenti di servizi già esistenti e creazione di nuovi nelle aree carenti. Uffici Postali rinnovati in molte comunità tra le più piccole della regione, iniziative che si inquadrano nel più ampio piano strategico Environmental, Social and Governance. L’obiettivo complessivo di Poste, di assumere un ruolo chiave nello sviluppo dell’intero sistema Paese, riveste nel caso della Calabria e nello specifico del suo entroterra una valenza eccezionale per quelle che sono le ricadute dirette in termini di servizi ma ancor prima per quelle indirette, per quel possibile effetto domino che molti si augurano.

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    Matteo Del Fante

    È stato chiaro già nel 2018 l’amministratore delegato di Poste Italiane Matteo Del Fante che nel presentare ai sindaci 10 impegni per i piccoli Comuni volle ribadire l’importanza strategica di mantenere aperti tutti gli Uffici Postali situati nei centri con meno di 5.000 abitanti. Un impegno, quello di Del Fante e dell’azienda, andato ben oltre le aspettative in premessa, prendendo corpo, come anticipato in apertura, nel progetto Polis, presentato qualche mese fa a Roma alla presenza di circa cinquemila sindaci.

    Poste: il progetto Polis e i nuovi uffici in Calabria

    Nello specifico il progetto Polis prevede una collaborazione tra enti comunali e uffici postali. In questi ultimi potranno essere erogati diversi sevizi della Pubblica amministrazione resi disponibili presso lo Sportello Unico nei piccoli centri. Si tratta di un intervento massiccio che si focalizza sui piccoli comuni, quasi esclusivamente al di sotto dei di 5.000 abitanti. Una attività di potenziamento che suona come riconoscimento ai tanti calabresi ostinati ed agli amministratori illuminati che negli anni sono rimasti come ultimi baluardi della tutela di territori sempre più marginali.

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    Cittadini protestano contro la chiusura di un ufficio postale in un piccolo comune

    Si rintracciano sensibilità comuni che si incrociano sulle strade calabresi, quelle a pettine che salgono dallo Ionio e dal Tirreno verso i monti o quelle che semplicemente tracciano i contorni di una regione lunga e assai variegata, per morfologia e cultura, accomunata per contro da analoghi problemi, mali cronici a cui ogni tanto qualcuno cerca di porre rimedio. Oggi la sensibilità di Poste Italiane, incrocia il cammino dei tanti scrittori, studiosi, camminatori, artisti, che ormai da anni sembrano aver riscoperto l’amore per i luoghi periferici, la consapevolezza di quanto sia necessario un esercizio di sensibilità e lungimiranza per regalarsi un orizzonte, per accantonare il retrogusto amaro che accompagna una terra dove sogni e speranze rimangono spesso incompiuti.

    Alla riscoperta delle radici

    Sono tanti, molti di più di quanto non si pensi, i calabresi che hanno capito come e quanto l’ideale sogno di riportare la vita in luoghi dove da tempo domina il silenzio, o di conservarla laddove ancora ne rimane traccia, non sia in realtà impresa impossibile. Riattribuire un ruolo centrale alla vita che torna o semplicemente a quella che resta non è utopia, è qualcosa di reale che passa dall’impegno e dall’assunzione di responsabilità.

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    L’antropologo Vito Teti

    Serve ripartire da un ritrovato senso dei luoghi, dal culto della restanza, non fosse altro che per il gusto di provare a mettere l’accento su un nuovo modo di concepire la pratica del rimanere, come mi suggerisce l’amico Vito Teti, che con grande gioia ho riabbracciato qualche giorno fa a distanza di qualche anno. Al contrario di quanto avveniva un secolo addietro – continua a ripetere Teti con l’amore e la determinazione che lo contraddistinguono – «oggi la più forte forma di sradicamento non la vive più chi parte, quanto invece chi decide di restare».
    Oggi possiamo affermare che chi resta, ha certamente qualche strumento in più, per continuare a vivere la quotidianità. Ma, ancor prima, per sperare in un futuro che non sia lontano dai luoghi della propria personale storia.

  • Nardello e gli USA, “l’Area 51” dell’Aspromonte

    Nardello e gli USA, “l’Area 51” dell’Aspromonte

    Dopo una prima parte di inverno in sordina, gelo e neve sembrano volersi fare strada e l’Aspromonte si colora di bianco a quote via via più basse. D’altronde il bianco da queste parti rimane colore dominante in ossequio ad una radice linguistica greca dove asper non vuole essere abbreviazione di asperrimo, quanto invece eloquente riferimento cromatico.
    Fu infatti proprio il bianco dei calanchi e quello delle nevi nell’immediato entroterra il colore che accolse i primi greci sulle nostre coste. E fu perciò proprio da quel primo sguardo, da quel colpo di fulmine, che prese origine l’appellativo che oggi in tanti erroneamente accostano alla natura impervia dei luoghi.

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    Il bianco dei calanchi di Palizzi accolse i marinai greci in Calabria

    È strana la neve, fenomeno meteorologico accompagnato sempre da una dicotomia: tormento per i pastori di alvariana memoria – assai meno per quelli 2.0 – e occasione di gioia per i bambini e di comprensibile sollievo per gli operatori turistici. Ma, se vogliamo, la neve ha anche un’altra sua valenza che in questa fase storica in cui il concetto di educazione al bello è spesso abusato, assume un valore pratico a cui si aggiunge un retrogusto poetico. È quasi come se la neve conservasse nella forma dei suoi cristalli, una cifra stilistica spesso sconosciuta all’uomo. Copre, uniforma, rende tutto uguale la neve, cancellando le storture prodotte dall’uomo.

    L’Aspromonte delle cattedrali nel deserto

    E di storture ne ha viste nel tempo questa montagna, violentata nello spirito e nella forma, nell’immagine e nei contenuti. Le ferite sono in superficie e ben visibili. Non si fatica, infatti, a trovare in un contesto di rara e ancora selvaggia bellezza elementi che parlano di degrado, di abbandono, di incuria. Cattedrali nel deserto che rimangono a perenne testimonianza di scelte scellerate, di miraggi mai realizzati, di improbabili intuizioni naufragate prima ancora di prendere il largo.

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    Uomini della Polizia nella Locride durante la stagione dei sequestri di persona (foto Gigi Romano)

    Dalla ghost town di Cardeto Sud, apoteosi di speculazione edilizia nata verso la metà degli anni Settanta, ai ruderi di Piani Moleti in territorio di Ciminà. Dall’ex base NAPS dei Piani di Stoccato in territorio di Oppido Mamertina poco più su della frazione di Piminoro (nata per ospitare i nuclei speciali antisequestri), alla struttura sportiva di Canolo nuova, sui pianori di Zomaro, concepita negli anni Ottanta con la velleità di ospitare la preparazione atletica di squadre di calcio professionistiche, mai entrata in funzione e divenuta nel tempo luogo di pascolo per mandrie più o meno sacre.
    È lungo l’elenco di incompiute, lunga la classifica di ecomostri rimasti a deturpare, a segnare in calce un’epoca che piaccia o meno, va accettata e riconosciuta. Sappiamo bene come utopia e poesia spesso debbano cedere il passo ad una realtà che quasi mai è come vorremmo.

    Monte Nardello, un luogo strategico

    Qualche mese fa, prima che l’inverno si decidesse a fare sul serio, ho rivisitato un luogo, che al pari di quelli prima indicati, testimonia di una incuria e un degrado che reclamano giustizia. Questa storia, fa riferimento ad un punto geografico preciso dove si cristallizza un’epoca, una fase storica a molti sconosciuta e assai particolare, durante la quale l’Aspromonte diventa crocevia di rotte internazionali. Il luogo di cui parliamo è monte Nardello. Siamo a circa 1.750 metri di quota in territorio del comune di Roccaforte del Greco. Risalendo il crinale di qualche centinaio di metri, siamo a ridosso del Montalto, da dove lo sguardo abbraccia idealmente lo Ionio e il Tirreno, facendo cogliere in tutta la sua maestosità la misura di una collocazione geografica strategica.

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    La zona in cui sorge la base

    Per capire cosa succede a Nardello, facciamo un passo indietro. È il 1965, sull’Aspromonte succede qualcosa che, fino a qualche anno prima, in una montagna ancora quasi completamente in bianco e nero sembrava impensabile: su quei monti arrivano gli americani.
    Il progetto, mai del tutto realizzato, si chiama Aspromont Horizon. È il nome dello studio che, fin dalla fine degli anni ’50, elaborano gli Stati Uniti, pensando proprio all’Aspromonte, ma anche alla Sicilia con le basi di Catania e Trapani, come crocevia strategico in tema di raccolta ed elaborazione di dati sensibili.

    Un’Area 51 in salsa calabrese

    Dall’altra parte del mondo siamo in piena guerra fredda ed in ballo c’è il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. In questo contesto geopolitico prende vita la storia di Nardello, divenuto nell’immaginario collettivo di quegli anni, luogo quasi mistico. Su di esso aleggiava una lunga serie di storie più o meno fantasiose che andavano dagli esperimenti con gli ufo, all’utilizzo di missili. Insomma, una sorta di Area 51 in salsa calabrese.
    La cosa più fantascientifica da quelle parti, però, pare avere poco a che fare con guerre e invasioni aliene. Nei giorni in cui la base apre alcuni spazi al pubblico sono tanti i ragazzi che dalla città e i paesi vicini si avventurano sul Monte Nardello per ascoltare la musica americana, altrimenti inaccessibile per loro, dal juke box insieme ai soldati.
    Dopo circa vent’anni di attività, si arriva al 1985, quando l’utilizzo sempre più massiccio dei satelliti determina ufficialmente la fine dell’operatività della struttura.

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    La base di Monte nardello in una immagine di qualche decennio fa

    Abbandonata sul finire degli anni ottanta, nel 1993 viene ufficialmente dismessa e trasferita al Ministero della Difesa italiano, cadendo in totale stato di abbandono. Nei decenni successivi si è assistito ad un saccheggio selvaggio di tutto ciò che poteva essere sottratto, in sfregio a qualsiasi riguardo, a conferma di come nel sentire comune, la res publica si trasformi spesso e facilmente in res nullius.
    Oggi i luoghi dell’ex base USAF, un’area di circa tre chilometri e mezzo di diametro, in un contesto lunare, disegnato da centinaia di alberi abbattuti dagli incendi degli ultimi anni, si presenta come una distesa desolata.

    Nardello, cosa resta dopo Aspromont Horizon

    A preoccupare, più degli alberi abbattuti, sono i residui di amianto che suggeriscono lo spauracchio del disastro ambientale. Da anni le associazioni ambientaliste segnalano il pericolo. Ma Nardello, nell’indifferenza generale, continua a rimanere là, silenzioso testimone di un sogno americano che ha ceduto il passo ad un neorealismo postmoderno calabrese.

  • Don Stilo: Jekyll, Hyde oppure…?

    Don Stilo: Jekyll, Hyde oppure…?

    «La mafia nasce con la questione meridionale che ne è presupposto inscindibile. Non esiste frattura tra vecchia mafia romantica dai nomi misteriosi e romanzeschi che ha solo qualche ambizione di protesta sociale, e nuova mafia delinquenziale aggiornata ai modi del profitto e della rendita dell’economia capitalistica. La mafia ha sempre avuto necessità di surrogarsi ai governi ed alla classe dirigente con responsabilità nella gestione del potere e c’è continuità tra passato e presente, connivenza non interrotta tra mafia e Stato, uomini del Parlamento e del governo, magistratura, polizia e carabinieri. In questi anni abbiamo parlato di ministri, di mammasantissima, di senatori, di picciotti, di onorevoli incappucciati, abbiamo fatto nomi e cognomi ma le nostre interrogazioni sono sempre rimaste senza risposta».

    I recenti fatti di cronaca segnati dalla cattura di Messina Denaro, con i relativi effetti collaterali, mi hanno sollecitato una rilettura di questo breve testo. È nella relazione presentata del deputato socialista Salvatore Frasca alla conferenza promossa dal Consiglio regionale della Calabria tra il 10 ed il 12 aprile del 1976. E mi suggerisce l’attualità di un tema mai fuori moda.
    Ripensare ad una serie di letture più o meno recenti mi ha fatto riaffiorare alla mente la figura di Costantino Belluscio, che conobbi ad Altomonte nel lontano 1997. Il ricordo di quell’incontro mi ha spinto a riprendere in mano alcuni testi che non leggevo da tempo analizzando un profilo su cui mi sono soffermato a lungo negli anni. Tento di capire quale fosse la verità, alla ricerca di un perché a tanta divisione di pensiero.

    Don Stilo: icona del male o parafulmine?

    Mi accorgo di come, ancora oggi, parlare di Don Giovanni Stilo significhi scoperchiare un vaso di Pandora che molti hanno preferito interrare, impegnati in un grottesco tentativo di ricostruzione della verginità perduta. Anche a distanza di tanti anni, la figura di Don Stilo rimane tra quelle più discusse in questa parte di Calabria dove Locride e Area grecanica si toccano in una contiguità territoriale che si sostanzia specie attraverso la via di una montagna che incarna stereotipi e contraddizioni.
    Il mondo di Don Stilo è un microcosmo dai contorni quasi mai netti, dove il mare guarda l’entroterra da vicino ma sempre con distacco. C’è un’aura ionica di fascino e mistero che avvolge questa terra brulla, arsa e scoscesa dove la roverella e la macchia mediterranea in un continuum indefinito cedono il passo alla ghiaia delle fiumare, alle scogliere, alle argille colorate ed alla sabbia finissima.

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    Corrado Stajano

    Tornando agli scritti di Belluscio e Stajano, noto, oggi più che in passato, come siano complementari nonostante l’uno sia contraltare dell’altro per filosofia di pensiero e chiavi di lettura. Complementari perché nella loro dicotomia trovi il senso di una terra controversa come poche.
    Il primo, Belluscio, mosso nel giudizio da un personale rapporto di amicizia e forse anche dalla convinzione che un solo uomo non possa essere portatore di tutte le storture della società, possa invece più facilmente essere parafulmine, agnello sacrificale più o meno consapevole.
    L’altro, Stajano sembra invece catalizzare l’attenzione sulla figura del sacerdote di Africo che diventa icona del male. Nel suo Africo (Einaudi, 1979) non si limita a parlare di un prete padrone che suggerisce la via del trasferimento dalla montagna al mare. Va ben oltre Stajano. Lo eleva ad anello di congiunzione tra ndrangheta, chiesa, malaffare, politica e pezzi deviati delle istituzioni.

    Tanta carne al fuoco

    Certo, è vero, è assai chiacchierato il prete di Africo. La sua figura è accostata per quasi mezzo secolo alla massoneria, alla politica, alla magistratura, ai servizi segreti deviati, alle pagine più scure di una Calabria – in generale, e di una Locride più in particolare – che proprio negli anni di Don Stilo cambiano pelle attrezzandosi in vista dei grandi business miliardari. L’abigeato fa spazio alla droga, alla speculazione edilizia ed ai sequestri di persona. Facile intuire come la carne al fuoco, quando si parla, di lui sia talmente tanta che ci sarebbe da discutere per giorni, senza peraltro riuscire mai a mettere tutti d’accordo. Ecco perché ritengo che la “questione Don Stilo” necessiti di una giusta riflessione.

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    Costantino Belluscio

    «Mai, dico mai, ho fatto parte del coro di aguzzini, più o meno ispirati, che hanno invaso la strada della libertà precludendone, anche solo con le parole, la disponibilità ai diretti interessati. Sempre, sottolineo sempre, ho creduto nella presunzione di innocenza, mai mi ha appassionato lo sport, purtroppo molto praticato, della colpevolezza decisa a tavolino e trasmessa a mezzo stampa».
    Questo breve frammento è tratto dal lavoro di Belluscio Il Vangelo secondo Don Stilo(Klipper, 2009). Belluscio, giornalista con una lunga esperienza da parlamentare dal ‘72 all’87, si è spento nella sua casa romana l’11 febbraio del 2010, neanche due mesi dopo la pubblicazione del lavoro su Don Stilo, quello cui teneva tanto.

    Don Stilo e il trasferimento dall’Aspromonte al mare

    Anche di Belluscio si sussurrò tanto. Si disse ad esempio della sua appartenenza alla P2, quasi a suggerire un legame occulto che avrebbe mosso la strenua difesa del prete.
    Ma rileggere le poche righe che ho riproposto tra virgolette è stato come riaccendere la luce su una storia lunga e travagliata, una di quelle a tinte fosche tipiche di un Paese dove le linee di confine sono assai sfumate e spesso facilmente confondibili. Storie tutte italiane cui la Calabria non si sottrae affatto, mettendoci anzi un marchio di fabbrica quasi a volerle rendere originali e riconoscibili nel bailamme del bel Paese.

    Il Vangelo secondo Don Stilo è un titolo che Belluscio aveva voluto fortemente per il suo valore simbolico, per ricordare la figura del sacerdote di Africo protagonista del trasferimento di quella comunità dall’Aspromonte al mare nel 1951. Il volume, giunto a trent’anni esatti da quello di Stajano, suona quasi come un estremo tentativo di ristabilire un giusto equilibro in un frangente storico dove le analogie si sprecano.

    Un copione che si ripete, ma da rileggere

    Rivisitando in chiave attuale l’essenza dell’uomo e del prete Giovanni Stilo – non solo attraverso le letture, ma anche e soprattutto attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto con sentimenti opposti – ad essere sincero non trovo differenze in un copione che si ripete puntuale ogni qualvolta si parla di personaggi che nel bene e nel male hanno segnato un’epoca.
    Sulla sua figura si è detto di tutto, quasi come se sotto il crocefisso avessero trovato spazio anche tante altre cose, dai grembiuli della massoneria, alle pistole della ‘ndrangheta, dai servizi deviati alle agende della politica nazionale. Insomma, più che un prete, un catalizzatore di interessi oscuri, un deus ex machina di disegni complessi, capace di intrattenere rapporti tanto con i vertici di Cosa Nostra, quanto con i salotti buoni della politica romana.

    Africo vecchia ai tempi dell’alluvione

    Oggi di Don Stilo, di Belluscio, di Stajano non si parla quasi più. Gli anni sembrano avere cancellato con le persone anche i ricordi. Ma certe figure meriterebbero invece un’opera di rivisitazione critica ed asettica da estendere ai ragazzi delle scuole della Locride e più in generale della regione, anche e soprattutto perché l’analisi attenta di uomini e fatti restituisce in modo plastico i contorni dello scenario storico sullo sfondo.
    Il tempo che passa ha il pregio di offrire un’occasione di analisi più distaccata ed imparziale sul passato. E spiega di conseguenza anche molto del presente di questa terra, mutata nei volti e in larga parte anche nello spirito della sua gente, rimasta per contro quasi identica nel fascino del suo paesaggio.