Mezzo secolo fa, Umberto Caldora si spegneva nelle residenze dell’Università della Calabria, l’ateneo che aveva contribuito a fondare e che lo aveva appena nominato ordinario di Storia Moderna. La sua morte interrompeva un percorso intellettuale che, a partire dagli archivi napoletani, aveva saputo trasformare la polvere dei dispacci in una mappa vivente delle società rurali. Il lascito più denso di questo metodo è “La Calabria nel 1811. Le relazioni della statistica murattiana”, (originariamente pubblicato negli anni ’60; ed. definitiva a cura del Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1995, ISBN 978-8886067232), un volume che è un’operazione di antropologia storica ante litteram.

La “Statistica murattiana”
Nel 1811 Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e re di Napoli dal 1808, ordina una “statistique générale” del regno meridionale. Lo strumento con cui l’Impero intende tradurre il territorio in numeri, rendendolo leggibile e quindi riformabile. In Calabria, la circolare del 15 marzo 1811 arriva ai sindaci dei 405 comuni della provincia attraverso i prefetti di Cosenza, Catanzaro e Crotone. Il questionario è lungo 37 punti: popolazione per sesso ed età, bestiame, colture, strade, scuole, ospedali, debiti pubblici, usi civici, consuetudini matrimoniali.
Caldora non si limita a trascrivere le 1.200 pagine manoscritte conservate nell’Archivio di Stato di Napoli (Fondo Intendenza, buste 1811-1813). Le confronta con i verbali delle sottocommissioni provinciali, le lettere di accompagnamento dei sindaci, le annotazioni marginali dei funzionari francesi. Ne emerge un testo ibrido dove da un lato si nota il linguaggio amministrativo di Parigi, dall’altro la voce filtrata delle comunità, spesso reticente o strategica.
La “fotografia” della Calabria
La Calabria del 1811 conta 498.732 abitanti (dato medio tra le tre province), con una densità di 33 ab./km², concentrata lungo le valli del Crati e del Savuto. Caldora evidenzia la struttura piramidale delle famiglie: nuclei di 7-9 persone, con alta natalità (42‰) compensata da mortalità infantile del 28%.
Un caso paradigmatico è il comune di Acri (Cosenza), dove il sindaco don Giuseppe Salfi dichiara 11.214 anime, ma Caldora scopre che il numero è gonfiato per ottenere più esenzioni dalla leva. Confrontando i registri parrocchiali conservati nella curia vescovile, l’autore riduce la stima a 10.680, rivelando una pratica diffusa di “famiglie fittizie” create per eludere la coscrizione. Qui la statistica diventa etnografia: il censimento non registra solo corpi, ma strategie di sopravvivenza parentale.
Il 78% della superficie è montagna o collina; solo il 12% è seminativo. La relazione di “Castiglione Cosentino descrive 1.200 ettari di uliveti, ma Caldora nota che i sindaci omettono sistematicamente i terreni demaniali usurpati. Attraverso le denunce al tribunale di Cosenza, ricostruisce la mappa delle “difese” (recinti abusivi) che riducono la transumanza del Pollino.
Lo studio delle forme di economia
Un altro dato: la produzione di seta greggia è di 42.000 kg annui, concentrata nelle mani di 180 famiglie di commercianti ebrei a Rossano. Caldora usa le bollette doganali per tracciare la filiera fino ai mercati di Lione, mostrando come l’occupazione francese trasformi una risorsa locale in merce imperiale.
Le donne sono il 51% della popolazione attiva nei campi, ma compaiono solo nei capitoli “mortalità” e “matrimoni”. Caldora integra le relazioni con i processi per bigamia e abbandono di coniugi: nel 1811 si contano 42 casi a Catanzaro, tutti legati alla leva maschile. Emerge un quadro di “resistenza domestica”: donne che falsificano certificati di vedovanza per riscattare i fratelli, o che gestiscono il contrabbando di sale lungo il Neto. La statistica murattiana, pensata per razionalizzare, diventa involontariamente archivio di pratiche subalterne.

E dei mutamenti sociali
L’edizione del 1995 è arricchita da “cinque appendici”. Una tabella sinottica dei 405 comuni con variazioni demografiche 1806-1811; un indice dei toponimi con varianti dialettali; un glossario di termini amministrativi francesi tradotti in calabrese; una serie di carte tematiche (riprodotto da Caldora su lucidi negli anni ’70); un repertorio delle fonti secondarie (oltre 120 titoli).
Ogni relazione è accompagnata da note critiche che confrontano i dati ufficiali con le memorie orali raccolte da Caldora nei mercati di Castrovillari e Spezzano Albanese tra il 1958 e il 1965. È qui che la storia si fa antropologia: il documento non è mai neutro, è sempre negoziato tra potere centrale e comunità periferica.
A cinquant’anni dalla morte, il volume rimane “l’unico censimento integrale” della Calabria napoleonica. Eppure, è anche un monito, dal momento che le inchieste dall’alto producono conoscenza, ma anche silenzi. I comuni arbëreshë (San Basile, Lungro) dichiarano solo il 30% della popolazione reale per evitare la coscrizione; i pastori del Sila omettono i capi vaccini per non pagare la tassa sul bestiame.
L’osservazione della storia e della vita quotidiana
Rileggere Caldora oggi significa riconoscere che la Calabria contemporanea – con i suoi 1,9 milioni di abitanti e un tasso di emigrazione del 2,1% annuo – porta ancora le cicatrici di quelle griglie napoleoniche: catasti incompleti, clientelismi radicati, resistenze silenziose. Il viale di Castrovillari intitolato al suo nome non è solo toponomastica, ma è un invito a continuare a leggere tra le righe dei questionari, dove la storia ufficiale incontra la vita quotidiana.






























