Autore: G. Pino Scaglione

  • Pioggia di milioni al Sud col PNRR: altre quantità, poche qualità?

    Pioggia di milioni al Sud col PNRR: altre quantità, poche qualità?

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    Scrivere su questo giornale comporta una seria assunzione di responsabilità, per l’alto numero di lettori che lo segue, per il buon livello dei contenuti che sono affrontati quotidianamente. Chi legge, pertanto, comprende lo spirito costruttivo che anima chi scrive e nei quali contenuti si identifica in forma positiva e con forme di civismo attivo.
    La riflessione di queste righe parte dal dibattito in corso sulle potenziali attribuzioni di fondi PNRR al Sud e alla Calabria e sugli esiti che questa significativa quantità di risorse finanziarie e conseguenti opere potrà produrre nel breve-medio termine. I fondi europei rappresentano una grande opportunità, non solo per il rilancio dell’economia ma anche per il ruolo dei professionisti nella progettazione.

    I contesti dimenticati

    Alle nostre latitudini, preme prima di tutto ricordare che un “difetto” di forma è insito nel PNRR. Quale? Questo Piano non ha i territori come sfondo sui quali depositare le proposte, bensì una sorta di mix di programmi di economia e finanza che guidano dall’inizio tutte le scelte. Una prassi negativa ormai consolidata nel nostro paese che ha sostituito il progetto per lo spazio delle relazioni e dei luoghi con la programmazione “sulla carta”.

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    Mario Draghi alla presentazione del PNRR

    Non avere reale contezza delle potenzialità e fragilità dei diversi contesti, se non con documenti programmatici e fin troppo pragmatici, al Sud in primis, lascia dedurre che non si tratta di piani pensati per i territori, bensì di ripartizioni, più o meno efficienti, delle risorse europee per macro aree socioeconomiche.

    La Calabria e il Sud al tempo del Pnrr

    Il PNRR è nato per fronteggiare la crisi pandemica e dare vita ad un paese – soprattutto al Sud, ancor più in Calabria – innovativo e digitalizzato; aperto ai giovani ed alle varie opportunità, rispettoso dell’ambiente, del paesaggio, delle bellezze, coeso territorialmente.
    Per questa ragione il rischio si palesa ancora più grave, nel momento in cui i comuni, ai quali giungono i fondi finali, soprattutto in Calabria, mancano di strumenti urbanistici solidi, visioni strategiche ampie, progettisti capaci di produrre un avanzamento di qualità piuttosto che ancora una volta una ennesima sequenza di quantità, quale frutto delle opere realizzate.

    Un bis dei fondi Por?

    Sappiamo che è stato così per i fondi POR, e rischia di essere altrettanto per i fondi PNRR, con il solito mantra per quasi tutti i sindaci, eccezione fatta per pochi, del “paniere della spesa” da riempire, ossia aver portato a casa un pò di risorse per fare opere pubbliche. Paniere in cui troppo spesso non conta affatto la qualità progettuale di queste opere pubbliche, la loro durata, il riscontro e approvazione da parte della comunità che le utilizzeranno, la capacità di generare nuova bellezza, così come è stato per secoli per le opere del passato che ancora oggi stupiscono per autentica originalità e qualità estetiche, urbane, costruttive.

    La Giunta regionale della Calabria discute dei fondi Por per il prossimo settennato

    Il tema è quanto davvero molti, disarmati team progettuali, all’opera per le fasi preliminari ed esecutive dei progetti, siano capaci di mettere insieme diverse competenze disciplinari, necessarie a garantire risposte attuali ed esaustive, soprattutto rispetto alla durata e attualità ambientale delle opere da realizzare, nonché alla vera capacità di intervenire per cambiare la società attraverso gli interventi con ricadute culturali, economiche, sociali.

    Il Pnrr dopo 15 anni di scempi al Sud e in Calabria

    Bisogna sottolineare l’importanza di questo piano che ha assegnato al nostro paese 191,5 miliardi da impiegare entro il 2026 e di come gli architetti, gli ingegneri, i comuni, in questo siano stati chiamati ad un grande sforzo per realizzare progetti in grado di rispettare i vincoli posti dall’Unione europea e i canoni del DNSH (do not significant harm/non causare danni significativi) secondo cui i lavori non debbono arrecare nessun danno significativo all’ambiente, pena l’esclusione dai finanziamenti, così come il rispetto, stringente, della tempistica.

    Una celeberrima incompiuta calabrese

    Non possiamo non essere allarmati, anche se lieti dell’opportunità, pertanto guardando la nostra realtà. Sono ancora oggi di fronte ai nostri occhi gli scempi edilizi, urbanistici, infrastrutturali compiuti in questi ultimi quindici anni, con la quantità di altre risorse comunitarie della programmazione straordinaria. Delusi, di fronte ai tangibili fallimenti di molte opere non completate, non utilizzate, mal gestite, senza manutenzione, capaci di generare un paesaggio degradato e degradante, sciatto, senza bellezza e senza nuovi significati.

    Un’opportunità da non perdere

    Possiamo provare a superare il paradosso di questa terra – e del Sud in generale – ovvero che la migliore urbanistica realizzata è quella della Magna Grecia? E ancora che l’architettura più straordinaria è quella che impregna oggi la parte più originale delle nostre città storiche, che ha radici nel Medioevo, nel Rinascimento a Sud, nelle chiese e nei conventi ancora oggi testimoni e custodi di gemme preziose?
    Vogliamo arrivare al giro di boa dell’appuntamento con l’Europa superando tutta questa mediocrità? Il PNRR al Sud può tradursi in grandi nuove sfide per i comuni, i progettisti, la società civile. Non sprechiamo ancora una volta questa imperdibile, forse unica, opportunità.

  • Mobilità sostenibile: il sogno di Cosenza senz’auto

    Mobilità sostenibile: il sogno di Cosenza senz’auto

    Sono le sette del mattino del 25 giugno 2032, la temperatura è gradevole.
    Cosenza, di solito bollente d’estate, sembra più fresca del solito. Sulla mia bici percorro via Roma fino a piazza Loreto. Le auto parcheggiate ovunque, le doppie e triple file, sono un ricordo del decennio precedente.
    Mi sovviene, quando nel 2021, sono ritornato a Cosenza, quanto invivibile e zeppa di auto, smog, traffico, fosse questa piccola città. Oggi è trasformata in un giardino:  ovunque piste ciclabili, parchi verdi, piazze piene di alberi, percorsi pedonali e autobus pubblici a idrogeno che trasportano cittadini da una parte all’altra.
    Mi sono trasferito a Cosenza Vecchia, come da sempre viene chiamata la parte alta della città. Ma di vecchio qui è rimasto poco, se non le mura restaurate di case e palazzi.

    Cosenza futuribile e bella

    Le strade, i vicoli, le piazzette, si sono rianimate. Sono piene di gallerie d’arte, negozi selezionati, ristoranti biologici e vegetariani, nuovi artigiani digitali, centri di ricerca, giovani studenti di Accademie e luoghi per la creatività e l’innovazione.
    Mi sorprendo a pensare che i fondi del Pnrr sono stati spesi bene al Sud. Che il New Green Deal e il New European Bauhaus sono serviti non solo a cambiare i luoghi, ma anche le coscienze di cittadini e amministratori

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    Traffico su via Misasi

    Un brutto risveglio

    Mi sveglio: sono le sette del mattino del 25 giugno 2022, e mi sorprendo a pensare, che bel sogno che ho fatto. Ma non so ancora, incredulo, se davvero affacciandomi non sia accaduto qualcosa di magico, miracoloso nella notte.
    Mi rompe un timpano l’ennesimo clacson di un autobus bloccato dal solito villano parcheggio in doppia fila, negli spazi della caotica piazza Riforma, un folle crocevia di auto in quantità assurde, smog e caldo. Purtroppo ho sognato: la realtà amara è sotto i miei occhi e orecchie!
    E torno a riflettere su quanto questa pregevole località calabrese, potenziale capofila di un radicale rinnovamento dei modelli urbanistici meridionali, sia sorda ai tantissimi campanelli di allarme che provengono dalla grande massa di auto.

    Inquinatori e incivili

    Le macchine fendono le vie ogni giorno, occupano con prepotenza spazi pedonali, inquinano, non rispettano le – estinte – strisce pedonali.
    Provocano enorme disagio a chiunque desideri, già oggi, muoversi in maniera ecologica: a piedi, in bici, coi pochi mezzi pubblici.
    Nel caos degli innumerevoli fioristi, fruttivendoli (ma davvero i cosentini consumano tutti questi ortaggi?) legali e abusivi, nello slalom tra plateatici di bar, caffetterie, friggitorie e parcheggi assurdi, la città muore, letteralmente soffocata. E vedere un vigile urbano che provi a snellire solo qualcuna di queste situazioni è come trovare un terrestre su Marte.

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    Polizia municipale in azione

    Ribadire che sulla mobilità si gioca il presente e futuro delle città e delle comunità urbane, non è affatto scontato. Sembra uno dei tanti problemi, invece questo è: il problema. A Cosenza, a Catanzaro, a Reggio. Ovunque le città abbiano assunto dimensioni disumane e sproporzionate rispetto alle reali esigenze abitative e di spostamenti.

    Cattive abitudini

    Alcuni dati inconfutabili: solo il 26,40% dei cittadini di Cosenza-Rende si muove a piedi o in bici, ben il 60,90% lo fa in automobile, e circa un ulteriore 12,86% usa i mezzi pubblici.
    A Cosenza il verde pubblico occupa appena il 2,2% dell’area urbanizzata. Lo standard per abitante è pari a 11,9 metri quadri, ma questo perché parte della superficie comunale ha zone naturalistiche (il Crati, il Busento, aree agricole, orti, ecc.).
    Nella realtà, il verde è ben al di sotto dello standard minimo urbanistico e sotto la media per densità di tutte le tipologie di aree verdi (dati Istat e Por Calabria 2014-2020).

    Le auto sono la principale fonte di inquinamento da polveri sottili a Cosenza

    Tra le 8 e le 12 e tra le 17 e le 19, i picchi di traffico hanno impennate preoccupanti. Creano caos, con quantità significative di autobus extraurbani e mezzi in entrata e uscita da Cosenza per raggiungere le attività di rango provinciale del capoluogo.
    Il parco auto è vetusto e presenta un 54,70% di auto a benzina, il 41,12 diesel, il 3,78% tra metano e gpl, e solo lo 0,4 ecologico.

    Allarme polveri sottili

    Un dato preoccupante emerge dai dati atmosferici, che collocano Cosenza tra le categorie A e B, le più instabili. Infatti, la percentuale di pm (polveri sottili) va oltre i 2,5 micron e in alcune zone, tocca i 10. Ciò, come provato, significa che le particelle da 10 micron sono inalabili e si accumulano nei polmoni. Quelle da 2,5 micron, invece, possono finire nel sangue e raggiungere varie parti dell’organismo (fonte Ministero Salute).
    Da questa lettura impietosa deriva la necessità di una Agenzia della Mobilità Urbana di Cosenza, dedicata esclusivamente a questa delicata tematica. Un rimedio che va ben oltre un generico assessorato o un ulteriore carico di personale già sovraccarico.

    Ripensare la città

    Ma esso non può essere scollegato dal ripensamento complessivo della struttura urbanistica della città. Ragionando a compartimenti stagni e solo per specialismi, si torna sempre al punto di partenza. Cioè, si risolvono in forma parziale e non organica i problemi urbanistici generali.

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    Una panoramica di Cosenza

    Non è una città perfetta quella cui aspirare, ma una rinnovata comunità in equilibrio, educata e rieducata, anche con robuste campagne di marketing urbano-civico. Per realizzarle, occorre che l’auspicata, necessaria, Agenzia si dia un tempo (una legislatura) per progettare e poi testare (una seconda legislatura) il nuovo sistema di mobilità sostenibile.

    Un obiettivo minimo

    Concretamente: per stare nei parametri europei Cosenza deve raggiungere, entro dieci anni, il 35% di auto circolanti, il 35 % di pedoni e bici.
    Inoltre la città, si deve dotare in maniera corposa di ciclovie, pedovie, parchi urbani e un 30% di mezzi pubblici elettrici (ancora meglio a idrogeno) con nuove linee dedicate e parcheggi di interscambio per ridurre l’ingresso di mezzi privati in città. Infine, serve una robusta cura di verde. Ovunque. Comunque.

    La volontà oltre gli ostacoli

    Una rivoluzione sostenibile a Cosenza (e altrove) è possibile solo se esiste il desiderio collettivo di sfidarsi. Oltre la normalità quotidiana, oltre la rinuncia e la rassegnazione, oltre la banalità dell’impossibile.
    Oltre quel generico «non si può fare», «non ce la faremo mai», pretesto sempre buono per non fare davvero nulla.
    I sogni si realizzano solo con una ferrea volontà politica e civica. Al 2032 mancano dieci anni, tanti per sperare, per fare, per cambiare.

  • FUORI RECINTO| Calabria incompiuta, terra di eccellenze e di precarietà

    FUORI RECINTO| Calabria incompiuta, terra di eccellenze e di precarietà

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    Arrivare all’aeroporto di Lamezia è prendere subito confidenza con una certa idea di Calabria: una sorta di anticamera di ciò che attende il viaggiatore, inoltrandosi, dopo il volo, nei diversi territori. Aver attraversato i precari tendoni di plastica, crea l’effetto del viaggio nel provvisorio-permanente: l’ampliamento del nostro aeroporto “internazionale”, per sopperire agli angusti spazi dentro un’aerostazione realizzata ormai oltre cinquant’anni fa, che diventa simbolo del non finito anche in una struttura pubblica! Un luogo sempre malamente rimaneggiato. In cui muovendosi tra i negozi delle eccellenze, dagli orafi, agli editori, ai pasticceri, dichiara il doppio volto della Calabria dei contrasti. Le eccellenze e la precarietà, il chiaro e lo scuro.

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    L’aeroporto di Lamezia

    L’incompiuto, il precario e le eccellenze

    Così, nella seconda parte del viaggio, ci rivolgiamo, brevemente, anche al neocommissario al sistema aeroportuale della Calabria, Marco Franchini. Al quale chiediamo se oltre a razionalizzare le priorità trasportistiche, si preoccuperà di dare dignità architettonica a questi incompiuti, irrisolti manufatti: una porta dal cielo, in cui arriva gente da ogni luogo. Proseguiamo dunque, nell’itinerario nella Calabria del buon cibo, dell’accoglienza, dei paesaggi unici e contrastanti, della montagna e del mare, della cultura, dell’arte, della buona impresa, dell’agroalimentare competitivo, di alcune eccellenze nella ricerca.

    Fuori dal gregge

    Una regione che nel contesto del Sud manifesta interessanti potenzialità, soprattutto in questi anni, con ancora tante risorse, energie, da spendere rispetto ad un Nord affaticato che ha sfruttato ormai molte e più carte da giocare. Una Calabria in cui nel “gregge” ci sono pecorelle che restano nel recinto solito, buone, mansuete, obbedienti ai pastori di turno. Mentre diverse altre iniziano a saltare lo steccato e sono quel “fuori recinto” che fanno la differenza e alle quali guardiamo con ammirazione, curiosità, speranza. Viaggiare tra questi contrasti, che sono fondativi e identitari della Calabria, fare spazio alle luci, nelle ombre, è dare visibilità al cambiamento. Che c’è e fa sempre fatica ad emergere. Ed è attribuire valore culturale, sociale, economico allo sforzo di provare a rendere diversa questa terra, una volta e per tutte.

    La Cittadella nel nulla

    Dirigendosi verso Catanzaro, a una decina di chilometri dall’aeroporto, intercettiamo la Cittadella regionale e universitaria. È uno dei tanti luoghi del nulla in cui l’esercizio del potere si palesa nella retorica di un insieme di costosissimi edifici amministrativi e universitari. Con il grande Policlinico ospedaliero, ennesimo palazzone fuori scala in un paesaggio di campagna dai suggestivi tratti arcaici.

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    Il policlinico di Germaneto

    L’incubatore di start up

    A Caraffa troviamo ad attenderci, fuori da un edificio ex industriale riusato, Gennaro Di Cello. Calabrese vivace, intelligente, generoso, sfugge ad ogni classica, rigida classificazione professionale. Autore di preziose ricerche di design grafico (in alcune delle collane più recenti e originali della Rubbettino, c’è la sua firma), uno dei “dominus” di Entopan, il primo incubatore di startup in Calabria, con un livello di innovazione e reti internazionali, pari a quelle di importanti università, con le quali Entopan dialoga e collabora dalla sua fondazione.

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    Il progetto dell’hub per l’innovazione che vuole realizzare Entopan

    I talenti “coltivati” in casa

    Visita allo spazio che odora di “serra” per i talenti calabresi, e non solo, con tante postazioni di lavoro per giovani aspiranti imprese innovative, entusiasmo e visione. In attesa della sede definitiva che, per scelta, sarà un pregevole recupero di un edificio esistente. E tanta speranza di una nuova Calabria che dialoga con il resto del mondo.

    Le eccellenze agricole calabresi

    Lamezia esiste? Qualcuno ha scritto che è solo cartelli stradali, e poi una serie di centri urbani esplosi, tanti capannoni, un grande sberciato ospedale, il pontile Ex Sir, un lungomare incompiuto e ormai già consunto, cui fanno da contrasto quella estesa parte della Piana del Lametino, ricchissima di produzioni agricole eccellenti con aziende che hanno capacità di competizione ed export internazionali.

    La coltivazione di fragole ad Acconia di Curinga

    Il marchio della qualità

    Qui è nata la candidatura di un forte Distretto del Cibo, che raccoglie anche il Reventino – dove nel capoluogo Soveria operano l’editore Rubbettino, il Lanificio Leo, la Sirianni produttore di arredi per scuole e comunità, aziende soprattutto affermate anche fuori dalla Calabria -, e qui si sta lavorando ad un marchio di originalità per le migliori produzioni agroalimentari.

    L’architettura ardita e le ombre

    Verso Catanzaro, la città che si staglia nella sua confusa, articolata morfologia collinare, scorgiamo il bellissimo ponte di Riccardo Morandi, una delle poche ardite architetture viarie di questo geniale progettista, sul cui restauro grava l’ombra di pressioni malavitose, che ci auguriamo non ne pregiudichino la longevità, essendo testimonianza rara di opera d’ingegno. La città capoluogo regionale ha una bellissima passeggiata storica nel centro, ricca di palazzi, di slarghi collettivi accoglienti, chiese di pregio, una interessante offerta museale di arte contemporanea, e una serie edifici modernisti di qualità del geniale architetto Saul Greco, nato a Catanzaro, che ha realizzato opere straordinarie in tutto il mondo.

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    Il ponte Morandi a Catanzaro

    Tra caos urbanistico e rigenerazione

    Un godimento tuttavia alterato, qui come altrove, da una infinita quantità di automobili che intasano ogni spazio destinato al pedone. Pregiudicano una vivibilità alta di questi luoghi. E sono l’esito del perenne, banale, lamento dei commercianti, ovvero “che le strade chiuse al traffico non generano vendite”! Nel caos urbanistico della moderna città “esplosa” di Catanzaro, si intravedono la serie di originali opere di Arte Urbana del collettivo “Altrove”, giovani locali attivissimi nella rigenerazione urbana e culturale, e nella parte bassa, verso il mare, il ristorante stellato di Luca Abbruzzino che ha scelto di realizzare l’alta cucina locale, ovvero la tradizione e il contemporaneo in un mix eccellente e di grande gusto!

    L’arte al Parco

    Superando l’intricato groviglio di viadotti, sovrappassi, ponti che Catanzaro ha realizzato nello scomposto puzzle urbanistico per garantirsi una minima funzionale mobilità, si lambisce il Parco della Biodiversità. Che accoglie opere d’arte di grandi autori contemporanei, tra i quali Antony Gormley, Jan Fabre, Michelangelo Pistoletto. Un luogo che merita una visita apposita. Così come il vicino sito storico, di straordinaria bellezza, in cui queste sculture sono state in un primo tempo installate: la Roccelletta di Borgia.

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    Il Parco della Biodiversità a Catanzaro

    La sfida nell’urna

    A Catanzaro si voterà per le Comunali il 12 giugno. Una campagna elettorale vivace, appassionata, vede contrapposti alcuni candidati come Wanda Ferro, Valerio Donato, e Nicola Fiorita. La sfida è aperta e si gioca sull’equilibrio tra continuità di modelli tradizionali e spinte ad un nuovo e vero volto di una politica sensibile ai giovani, agli artigiani, ai servizi, alla qualità dei luoghi, alla rigenerazione urbana, e culturale, affinché sia la volta buona per iniziare dalle città calabresi a voltare pagina e uscire fuori recinto!

  • FUORI RECINTO| Alla scoperta della Calabria che resiste

    FUORI RECINTO| Alla scoperta della Calabria che resiste

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    I viaggiatori del Settecento e dei secoli successivi hanno alternato nei loro diari impressioni contrastanti su questo lembo d’Italia chiamato Calabria, esaltandone alcune straordinarie bellezze e denunciandone le brutture. Quando la regione non veniva saltata a piè pari perché terra di ruberie, truffe e raggiri, assalti e uccisioni, in molte occasioni, per edulcorare a se stessi le delusioni, nei romantici diari di viaggio si attenuavano le profonde ed evidenti precarietà che la Calabria rappresentava e racchiudeva, nella medesima forma di paradigma delle negatività italiane di oggi.

    Edward Lear, disegno di viaggio in Calabria, 1847

    È pure vero che i frettolosi visitatori dimenticavano una certa quantità di eroi, soprattutto nel secolo risorgimentale. Così come pochi riuscivano a cogliere, in quei medesimi periodi, le tracce dell’antica bellezza magnogreca che pure ha interessato l’intera Calabria. Una storica frase dell’archeologo Lenormant, nel suo passaggio nei pressi dell’antica Sibari, rimane tutt’oggi memorabile: «Non credo che esista in nessuna parte del mondo qualcosa di più bello della pianura dove fu Sibari. Vi è riunita ogni bellezza in una volta: la ridente verzura dei dintorni di Napoli, la vastità dei più maestosi paesaggi alpestri, il sole e il mare della Grecia».

    Un viaggio tra slanci e ritardi

    Sarà la nostalgia di un passato affascinante, il richiamo di radici profonde e lontane quanto attuali, il senso di impotenza e disagio a spingermi a scrivere. L’obiettivo è scorgere, nelle pieghe di un tessuto urbano e sociale lacerato, slanci e sprazzi di vitalità che pure esistono e stanno emergendo. Scavare nelle macerie della nostra malconcia modernità alla ricerca della bellezza che sopravvive. Parlare dei nuovi eroi che la tengono attiva con iniziative che superano ogni difficoltà in una diversa forma di risorgimento sociale calabrese. Ritardi e slanci, quindi.

    Eroi nel Crotonese

    La chef Caterina Ceraudo nell’orto della sua azienda agricola

    La Regione Calabria si presenta alla Bit di Milano con ambizioni, premesse e promesse che pretendono di farla sembrare la Florida, ma il turismo che interessa la nostra terra è ancora di scarso livello culturale, con modeste ricadute socio-economiche. Però, proprio nei padiglioni milanesi della Bit, si accende una luce su una delle nostri giovani eroine: Caterina Ceraudo. Chef stellata, da tempo stupisce tutti con i suoi piatti che affondano le radici nella tradizione calabrese, nei prodotti di questa terra, con rivisitazioni che conquistano. Suo padre Roberto Ceraudo con sana testardaggine calabra ha realizzato dal nulla e conduce una azienda agricola bellissima, tutta ecologica, nei pressi di Strongoli.

    Caterina Ceraudo, Piatto Sottobosco, omaggio alla Sila

    Alla stessa maniera hanno fatto, poco vicino, gli altri nuovi eroi: i Librandi. Da generazioni rinnovano una cultura enologica di rara qualità, che include l’aver saputo rigenerare persino il vitigno calabrese per eccellenza, quel Gaglioppo capace di conservare l’origine della bellezza greca. E lo fanno in un contesto – tra Crotone e Cirò – saccheggiato dalla malavita, dall’abusivismo sulle coste, dalla moria progressiva dell’ex tessuto industriale crotonese. I Librandi hanno superato, da soli, la logica dell’assistenzialismo. Di generazione in generazione hanno acquisito prestigio: dai sei ettari iniziali oggi ne coltivano 232, con una produzione di 2,3 milioni di bottiglie e un nome noto nel mondo.

    I Librandi in un vigneto dell’azienda di famiglia

    La Sila che attira i turisti e quella che li respinge

    Per rimanere nell’ambito della nuova stagione del cibo, quest’anno la stella Michelin è toccata anche al lavoro certosino di ricerca e bellezza, tra odori e sapori dei boschi della Sila, di Antonio Biafora, del ristorante Hyle, a pochi chilometri da San Giovanni in Fiore. Nella stessa località ha sede anche il Consorzio Tutela Patata della Sila, una sfida vinta contro infiniti luoghi comuni avversi all’idea che al Sud si possa fare associazionismo e prodotti della terra di qualità ed ecologici.

    Lo chef stellato Antonio Biafora tra i boschi della Sila

    Tuttavia, a queste eccellenze e a una natura esuberante e di rara bellezza dei boschi di pino laricio fa da contrasto la povertà dei tessuti urbani dei principali centri silani. Fuori dalle cinture storiche, presentano una drammatica precarietà edilizia, estetica, mancanza di elementi minimi di decoro. Sono densi di provvisorietà, esito di ritardi culturali e miopia urbanistica. Certo non sono capaci di attrarre alcun turista intelligente. E non aiutano affatto il prestigio di Biafora, tantomeno della Patata della Sila, così come di altre eccellenze silane.

    San Giovanni In Fiore, Luca Chistè 2020

    Errori pubblici e privati

    Quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni ai centri urbani calabresi, dietro al fallimento di ingenti investimenti pubblici con aree produttive vuote e fantasmagoriche, è frutto di una totale mancanza di strategie capaci di uno sguardo che non fosse oltre la soglia di casa. Così, più si scende verso Sud e più la cultura urbana e della manutenzione si fa chimera.

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    Rifiuti nel centro storico di Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Ma qui in Calabria, oltre questa assenza, si tratta di una diffusa condizione di disinteresse civico, di totale disattenzione verso qualsiasi segno di rinascita che si opponga al decadimento. E, se non fosse per il virtuosismo di iniziative private e di alcuni illuminati amministratori, il disagio e il divario verso altre realtà sarebbero ancora maggiori.

    Un’altra Calabria è possibile

    Questo, però, è anche un viaggio di speranza, di fiducia. Per accendere luci dove ci sono e smetterla con la cultura del lamento, ma seguire nel realizzare un panorama diverso dentro ai ritardi e alle devastazioni. Costruire una geografia positiva, capace nei prossimi anni di ribaltare le negatività e invertire la rotta, può tradursi in una ulteriore spinta per non sprecare l’occasione del Piano di Ripresa e Resilienza, che ha il Sud come obiettivo principale perché a Bruxelles lo sanno che è qui il punto nevralgico dell’Italia.

    Luci e ombre a Reggio Calabria

    Tra le ombre lunghe di Reggio Calabria, oltre il suo magnifico lungomare in cui una stupenda installazione dell’artista Edoardo Tresoldi conferisce a questo luogo la magia dell’Arte urbana, la città, nelle pieghe del suo tessuto più densamente abitato, esplode in un dedalo di conflitti urbani e diffusa marginalità. Con un aeroporto scalcinato indegno di tale nome, più verso la collina i pezzi di università che contrastano il degrado; un Museo del Mare mai finito, megalomane progetto dell’allora sindaco Scopelliti; fiumare abusivamente abitate e intasate di cemento.

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    I Bronzi nel Museo di Reggio Calabria

    Poi ci sono i Bronzi, felicemente ritrovati, in un Museo Archeologico che merita molto di più di ciò che ha e che può offrire. Per esempio qualcosa di più dell’inadeguato, recente, marchio per i 50 anni del ritrovamento delle due bellissime sculture, realizzato come sempre senza una sana competizione tra i migliori graphic designer italiani, ma affidato in modo superficiale a qualche miope “sguardo” localistico.

    Anche a Reggio si accendono da tempo luci tra le ombre. Nei numerosi ritardi accumulati dalla città dello Stretto si scorge lo slancio di giovani eroi che fanno cultura, innovazione, ricerca. Alcuni – intorno alla docente di UNIRC, Consuelo Nava, attivissima ricercatrice che dirige un produttivo laboratorio di tecnologia sostenibile sulle possibilità di un abitare ecologico in Calabria e nel Mediterraneo – accendono più di una speranza. Nella stessa università, pur in tempesta per le recenti indagini della procura locale, il dipartimento di Giurisprudenza è tra i più innovativi e avanzati nel settore e di recente è stato riconosciuto come Eccellenza dal MUR.

    L’importanza della scuola

    Proprio sulla tematica del costruire sostenibile, di recente, un ingente investimento statale ha consentito di mettere in sicurezza oltre 700 edifici scolastici calabresi. Le scuole sono di importanza vitale: qui si formano i cittadini futuri, le classi dirigenti e molti di essi rappresentano il segnale negativo di quanto poco interesse si ha per la qualità, il decoro, la funzionalità, diciamolo per la bellezza nelle sue diverse forme attuali. Mi fa piacere, in questo caso, accendere una luce sulla nuova Scuola d’infanzia “Virgilio” di Locri, un esempio di bioedilizia.

    La scuola “Virgilio” di Locri, prima del suo genere in Calabria

    È la prima in Calabria realizzata secondo una sintesi perfetta tra efficienza energetica, comfort e sostenibilità ambientale. La progettazione esecutiva e realizzazione sono di un’impresa calabrese, la Cesario Legno, con sede a Zumpano, dove tra capannoni anonimi e una natura bellissima, a due passi dal fiume Crati, si progettano case domotiche d’avanguardia.

    La Calabria che non si parla e quella che non si rassegna

    Da questo viaggio emerge quanto la Calabria sia in parte persa nei suoi diffusi e disarticolati territori, “che non si parlano”. Quanto questa terra di “bellezza e orrore” resti tanto chiusa nelle proprie estese e preoccupanti contraddizioni che ne amplificano il degrado. Ma emerge anche il coraggio di un esteso manipolo di resistenti, residenti, non assuefatti all’oblio, non rassegnati alla sconfitta, che alimentano già una letteratura vasta che include calabresi e non, illustri e meno noti.

    Una Calabria di oggi, dunque, ancora diffusamente punteggiata da slanci e ritardi. Dove ad aree industriali dismesse o mai decollate, strade non finite, edifici pubblici fatiscenti, luoghi della perenne precarietà, pontili nel nulla, porti senza navi, aeroporti senza aerei e senza qualità, perenni vuoti senza mai pieni, opere pubbliche faraoniche, si oppongono il desiderio del fare e un anelito al cambiamento diffusi ovunque. Alla scoperta di luci che diradano, nel tempo, le ombre più cupe, segnando una necessaria inversione di tendenza.

  • Cosenza, Rende, area urbana: basta con la solita farsa!

    Cosenza, Rende, area urbana: basta con la solita farsa!

    C’è una vicenda che riguarda l’effimera idea di città unica (sempre più impropriamente definita “area urbana”) intorno a Cosenza, che ad oggi trova coerenza solo nella realtà che sancisce una lunga teoria di edificazione senza soluzione di continuità lungo tutta la valle del Crati passando da Rende, fin, oltre Montalto. Una vicenda che rischia di assumere i contorni della barzelletta che fa il giro degli amici e ogni volta cambia versione!

    Cosenza, Rende e la presunta area urbana

    Ancora una volta parliamo della cosiddetta, (solo) presunta “area urbana”, tra Cosenza e gli altri centri conurbati, che sta assumendo il carattere solito delle cose meridionali: ciascuno dice la sua, approfittando, in questi mesi, di un effimero, temporaneo ritorno di attenzione per l’elezione del nuovo sindaco di Cosenza. Ma, diciamoci la verità, e senza ascoltare le voci dissonanti della politica locale: in questa vicenda si gioca da sempre all’improvvisazione, su tavoli nei quali non si sono mai visti uno straccio di strategia, in cui non sono mai comparsi nemmeno possibili confronti tra i piani urbanistici di questi diversi centri urbani, piani che non hanno mai dialogato tra loro e che in alcuni comuni sono fermi a 15 anni fa.

    Ospedale e agenda: ognuno per sé

    Non si è mai parlato di scelte localizzative di attrezzature di rango urbano, vedasi, ad esempio, la vicenda dell’Ospedale, una coperta corta che ognuno tira verso di sé. E che nemmeno in questo caso fa venire in mente ai governi locali e regionali che gli ospedali, come accade nei luoghi emancipati ed avanzati, si scelgono secondo una logica di coerenze molto complesse, che richiedono una serie considerevole di verifiche preliminari, piuttosto che – anche in questo caso – generiche rivendicazioni di “opportunità” in questo o quel luogo. Tantomeno si intravede uno straccio di agenda collettiva dei comuni di potenziale interesse alla fusione, con tanto di scadenze e appuntamenti per un possibile percorso comune.

    Fusione a freddo

    Non esiste, a memoria di chi si occupa di tale questione, anche solo una perimetrazione ad opera di uno dei comuni dell’area. Esistono invece seri studi nel Piano Urbanistico Territoriale Regionale, nel Piano Territoriale Provinciale, in alcune ricerche universitarie. Anche se datati, sono strumenti di pianificazione che hanno alle spalle quadri conoscitivi sufficienti anche solo a capire il numero di abitanti, i flussi automobilistici, la dimensione urbanistica-edilizia della “possibile” città della valle del Crati, ovvero una prima carta d’identità necessaria a non partire sempre da zero. Ma mai nessun sindaco, sono certo, si è preso la briga di consultare anche solo uno di questi documenti. Pertanto, la deludente sensazione è che, ammesso si proceda nel tentativo di dialogo, la fusione Cosenza-Rende e dintorni, si profilerebbe come ancora più fredda di quella avvenuta a Corigliano-Rossano.

    Cosenza, Rende e l’area urbana da ri-costruire

    Ciò che stupisce è il fatto che a nessuno dei presunti protagonisti del confronto (si fa per dire!) viene in mente che le città, i centri urbani, e i diversi elementi che le compongono, sono parte di complessi organismi dinamici. Richiedono una intelligente organizzazione di reti, servizi, infrastrutture. Necessitano di una coerenza di sistema. La sfida di una nuova città, seppure frutto di fusioni diverse, come in questo caso, è un progetto per ri-costruire, far meglio funzionare i servizi, i trasporti, gli spazi collettivi, i musei, l’offerta di intrattenimento, del commercio, dell’abitare.
    Insomma, uno sforzo significativo per far vivere meglio i cittadini soprattutto, piuttosto che seguire nella lenta crisi ed emorragia di risorse, persone, economie, sperando, fatalisticamente, che la fusione possa cambiare il trend negativo.

    Il nodo degli uffici

    Qualcuno dei nostri politici locali, per esempio, si è chiesto e ha pensato al fatto che senza decentrare le diverse funzioni degli uffici provinciali e statali (oggi tutti ancora a Cosenza centro), le automobili in entrata, già con un numero preoccupante, potrebbero ulteriormente crescere? O al contrario, a Cosenza sarebbero disposti a perdere questa centralità, forse l’ultimo scampolo di capoluogo che rimane, mentre tutto il resto si è dissolto a favore di altri centri vicini? Penso, per esempio, alla consolidata routine degli impiegati dei vari uffici pubblici cosentini, difficilmente disposti a spostarsi di sede, abituati come sono al binomio sedile auto-poltrona ufficio senza alcuno sforzo, nemmeno in tempi di smart working.

    La città dei 15 minuti

    E per dire quanto, tristemente siamo indietro rispetto al dibattito in Europa e in Italia, questa vicenda della presunta fusione è fuori da quel sano e necessario confronto e dibattito che si è aperto sulle città post-pandemia. Tagliati fuori dal flusso delle migliori, necessarie esperienze urbanistiche che dovranno cambiare, per necessità, le nostre città e i modelli di vita: altrove si parla di ripensare i centri urbani e attuare “la città dei 15 minuti”, qui al massimo si parla di consorziare i rifiuti, e già sarebbe un grande risultato!

    “La città dei 15 minuti”, è un modello, che arriva dall’esperienza di Parigi, un modello di città sostenibile, proposto dall’urbanista franco-colombiano della Sorbona, Carlos Moreno, che prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello di cui ha bisogno: lavoro (anche in co-working), negozi, strutture sanitarie, scuole, impianti sportivi, spazi culturali, bar e ristoranti, luoghi di aggregazione e via dicendo.

    Il ritardo aumenta

    Un modello assolutamente a portata di mano in questa nostra realtà, che però non è affatto centro di interesse e confronto, laddove le agende urbanistiche comunali sono chiuse, infilate in qualche polveroso cassetto e li restano languendo inutilmente, così che il ritardo, rispetto al resto d’Italia e d’Europa, aumenta a dismisura.

    Non è troppo, dunque, chiedere serietà, maturità, umiltà, alla politica, proporre di affidarsi a chi conosce i problemi e può aiutare a risolverli. Soprattutto in situazioni quali il ripensare totalmente un diverso modello urbano, a misura d’uomo e non di automobile, in cui è in ballo un possibile, diverso futuro. Sarebbe serio smetterla con la propaganda e dire che vorremmo più serietà e credibilità. Perché il futuro dell’area urbana, di Cosenza e Rende, non si può giocare sulla pelle dei cittadini!

  • Cosenza, vedi Napoli e poi… risorgi

    Cosenza, vedi Napoli e poi… risorgi

    Reduce da un recente viaggio di lavoro a Napoli, nel muovermi per la città tra le bellissime stazioni della più originale metropolitana d’Europa e alcuni eccezionali Musei, mi torna ogni volta in mente quanto dobbiamo alla cultura napoletana nel nostro territorio, soprattutto a Cosenza e nella sua estesa provincia.

    Tra le cose che ormai da tempo mi colpiscono, la profonda differenza tra lo stato di degrado e illegalità diffusa di Cosenza, con la totale mancanza di rispetto di ogni minima regola civica, dal parcheggio in doppia/tripla fila, fino alla occupazione selvaggia di strade, marciapiedi, spazi pubblici ad opera delle automobili. Mentre scorgo che a Napoli, ancora di più oggi sotto la guida di Gaetano Manfredi, si torna ad osservare una città vivibile e ordinata, in cui i vigili urbani e polizia non sono chiusi negli uffici, ma si muovono in strada per garantire legalità e rispetto delle regole, soprattutto non fanno finta di non vedere la diffusa illegalità, ma la perseguono.

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    La stazione Toledo della metropolitana di Napoli

    Se ce l’ha fatta Napoli, perché non Cosenza?

    Mi chiedo, se ci sono riusciti a Napoli, che pareva luogo indomabile, perché a Cosenza, di gran lunga più piccola e controllabile, tutto questo non è possibile? Di chi le responsabilità? Perché non si agisce in direzione di un ripristino del rispetto minimo delle regole di vita quotidiana che peraltro paralizzano il traffico, non già a causa di qualche strada pedonalizzata, ma proprio per l’intasamento degli assi viari principali e secondari a causa di soste selvagge e illimitate e la enorme quantità di auto circolanti?

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    Cosenza, auto incolonnate in prossimità delle scuole su via Misasi

    Tanta Napoli a Cosenza

    La seconda riflessione, senza dubbio più di visione e prospettiva, mi sovviene per la lunga sequenza di storie, esperienze, collegamenti che la storia ci ha consegnato nel rapporto tra Napoli e Cosenza, a partire dal nostro dialetto e dalle evidenti influenze terminologiche napoletane, fino alla cucina e alle arti minori e maggiori, come i segni evidenti nell’architettura religiosa e civile in cui tracce di modelli e manodopera napoletana sono fin troppo palesi.

    Una collaborazione da ampliare

    Da qui sorge la mia domanda del perché con Napoli, nel recente passato, e da lungo tempo, nessuno mai abbia pensato, soprattutto in ambito pubblico, culturale, museale, economico, di costruire una solida collaborazione, che vada oltre il consolidato canale accademico tra le università, e si prefigga lo scopo di una sinergia di lunga durata, capace di garantire un sostegno a molte attività locali che pagano il prezzo di un isolamento geografico e strategico, anche per la mancanza di centri urbani competitivi in Calabria.

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    L’Università della Calabria

    Napoli è una delle più grandi città calabresi (come Roma del resto), a poche ore di treno, a poche distanze etniche, con una importante dotazione di attività a vario livello, dai centri di ricerca, al commercio, alle fiere ed eventi di richiamo nazionale. Napoli è la cruna dell’ago da cui passa, sta passando, passerà un riscatto del Sud, e senza un legame con questa realtà, locomotiva lenta ma robusta, il rischio, della parte alta del meridione in cui Cosenza ricade, è perdere di vigore e capacità dinamiche.

    Dai musei di Napoli a quelli di Cosenza e Rende

    Per queste, e ancora altre ragioni, penso, ad esempio, alla condivisione di importanti opere d’arte, con strutture museali di Cosenza, Rende, altrove possibile, non solo perché a Napoli i depositi dei musei traboccano di opere che non si possono esporre per carenza di spazio – e in questa direzione va una recente direttiva del Ministero della Cultura, che prevede il prestito a musei di provincia di opere chiuse in depositi – ma anche per stabilire circuiti espositivi e culturali dinamici e attrarre qui, grazie a opere di peso, un certo numero di turisti interessati a percorsi culturali e d’arte.

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    Il Teatro Rendano di Cosenza

    Penso inoltre alla ridotta estensione e qualità delle nostre stagioni teatrali, e a come si potrebbe collegare a quella di teatri napoletani, anche sperimentali, per avere opportunità di inserirsi in circuiti significativi, e rinnovare un rapporto speciale che ha interessato le due culture, quella napoletana e cosentina, calabrese in generale.

    C’è da preoccuparsi

    Per questo viene in mente che alla costante perdita di attrattività, a favore di altre realtà urbane, Cosenza potrebbe almeno tentare di opporre una robusta collaborazione con realtà che possano, anche solo in parte, sottrarla a questo progressivo impoverimento, tra cui senza dubbio Napoli, per evidenti ragioni storiche e culturali. Al contrario, la deludente sensazione di questa stagione di fallimenti, corroborata, purtroppo dalla quotidianità cosentina, è che in questa città, ora e in precedenza, non sembra emergere una preoccupazione, collettiva, pubblica e privata, nel fare leva sulle significative opportunità latenti e allontanare la realtà sempre più deludente.

    Vedi Napoli e poi risorgi

    Cosenza sembra essere passata da una presunta dimensione nazionale ad una paesana, ovvero dalla ricerca di consenso attraverso un effimero marketing urbano, alla soluzione di problemi spiccioli, ignorando e seguendo nell’abbandono del grande e prezioso centro storico, il quale, nella costruzione di una visione di cosa potrà essere la città di domani, dovrebbe avere un ruolo centrale. Restano solo gli eccessi trionfalistici di faraonici sogni urbanistici che si infrangono con la mancanza assoluta di uno sguardo progettuale concreto, tanto visionario, quanto fattivo.

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    La statua di Alarico ai piedi dei resti dell’Hotel Jolly, che avrebbe dovuto ospitare un museo dedicato al re barbaro (foto Alfonso Bombini)

    Se “vedere Napoli e poi risorgere”, quindi non morire, come recitava la famosa frase, nelle forme più significative auspicabili, potrebbe aiutare Cosenza a rinnovare il suo presente e futuro, i passaggi non sono poi così complessi e impossibili, ma ancora una volta la volontà potrebbe vincere sull’immobilismo e sulla minaccia, incombente, di fallimenti.

  • Galleria Nazionale, dove la cultura ha il weekend libero

    Galleria Nazionale, dove la cultura ha il weekend libero

    Gentile direttrice Rossana Baccari, gentile sindaco Franz Caruso, mi perdonerete per questa lamentela aperta, pubblica, ma sia sabato che domenica scorsa, ho tentato di fare visita alla Galleria Nazionale di Palazzo Arnone. Senza successo, perché ho poi scoperto, non senza rammarico e delusione, addirittura dalla pagina Facebook della Galleria, che sabato e domenica la Galleria è chiusa!
    A prescindere dallo stato di degrado e abbandono in cui versa l’esterno (non mi è stato possibile verificare l’interno), dai cartelli sbiaditi delle mostre, dalla (ex) segnaletica completamente illeggibile, sfido chiunque a rintracciare una qualsiasi minima informazione sul museo, sugli orari, sulle possibilità di accesso, su un telefono. Insomma, sull’attività di una istituzione pubblica regionale, di interesse nazionale. Ed è paradossale, ripeto, che si debba cercare, non senza difficoltà, tali notizie su un social, per l’unico museo pubblico importante di Cosenza.

    Tutti aperti, non la Galleria Nazionale

    Pertanto, sarebbe davvero un gesto civico, che apprezzerei non poco, se mi fosse spiegato perché mai i giorni di sabato e domenica, in cui ognuno di noi dispone di maggiore tempo libero (e in cui solitamente i Musei fanno il pienone), a Cosenza il Museo Nazionale invece è chiuso, contro la larga tendenza nazionale che prevede la chiusura il lunedì e l’afflusso maggiore nei weekend!
    Forse capisco da questo che i numeri risibili, circa 17.000 visitatori all’anno, per un Museo che contiene opere d’arte importantissime sono dovuti ad una scelta del tutto fuori dalla prassi consolidata. E per questo signor Sindaco, mi rivolgo a lei, per confermare il triste bilancio realistico che la cultura, l’arte, la bellezza, a Cosenza, sono Cenerentole di quella che lei si ostina ancora, con nostalgia, a chiamare l’“Atene delle Calabrie”!

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    Opere esposte alle pareti di una delle sale di Palazzo Arnone

    Un problema che va oltre i fondi

    Un Museo come questo, in una terra difficile e povera di spinte alla meraviglia come la Calabria, merita ben altra dinamicità. Merita di fare sistema, di essere guida di un modello diffuso di conoscenza su tutto il territorio. Merita di ospitare mostre ed eventi di livello nazionale, stimolare la conoscenza sulle Arti, ospitare con regolarità scolaresche, turisti, comitive di calabresi. E la sfida è proprio qui, ovvero sapere attrarre i visitatori in un’epoca in cui la competizione è sempre più tra reale e virtuale!
    Sono stanco e stufo, io come molti altri calabresi e meridionali, però di sentirmi rispondere che non ci sono fondi, perché non è questa la ragione. Temo invece non ci sia passione, entusiasmo, voglia di guardare oltre e cambiare un modello scontatamente perdente. Non c’è nemmeno cura, perché cambiare una sbiadita segnaletica, mettere su i paracarri, aprire i fine settimana costa pochissimo!

    Una proposta per la Galleria Nazionale

    Una proposta semplice: di recente, proprio il Ministero della Cultura ha stabilito che molte opere che giacciono nei magazzini dei grandi Musei, che non hanno spazio per esporli al pubblico, possano trovare luogo nei piccoli musei di provincia. Che possa essere questa la volta buona per un rilancio della Galleria Nazionale e l’apertura di altri spazi per l’arte? Per aprire un dialogo tra le città conurbate, tra enti pubblici e quel privato disponibile a investire e che gestisce spazi idonei, come il Castello di Cosenza, tra tutti, per offrire ai cittadini una scelta di selezione di luoghi da visitare, che contemplino secoli di storia dell’arte e non qualche brandello di mostre tra degrado e incuria?

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    La sede del Ministero della Cultura a Roma

    Sindaco, si faccia portavoce di una richiesta collettiva al ministro, e con la direttrice Baccari, arricchite le collezioni cosentine. Fate di questo Museo un luogo di eccellenze, attrattivo. Questo sì che sarebbe un bel segno di vitalità culturale, tanto semplice, immediato, ma di grande efficacia e lungimiranza, apprezzato dai calabresi e da chi ama l’arte e la bellezza!
    Con i più cordiali saluti e l’auspicio di stimolare una seria riflessione su temi dirimenti,

  • Gli indifferenti, noi calabresi assuefatti al degrado urbano

    Gli indifferenti, noi calabresi assuefatti al degrado urbano

    La società calabrese contemporanea ha ormai consolidato una negativa abitudine a convivere con qualsiasi forma di degrado possa manifestarsi, sotto ogni diversa e sempre più grave forma. Si tratta di una pericolosa assuefazione alla sciatteria, precarietà, marginalità e abbandono che interessa, per diversi ed eclatanti effetti, ogni luogo, pubblico soprattutto, ma al contempo privato.
    L’ultimo episodio che racconto qui di seguito, e che è l’apice di una catena di infelici incontri con il brutto e negativo calabrese, risale al 15 dicembre scorso, in piena atmosfera natalizia, che, a queste nostre traballanti latitudini, è la peggiore ed effimera illusione che ubriaca tutti, per il tempo necessario a dimenticare il peggio che viviamo e, forse, vivremo.

    Vaccinati in una palestra lercia e polverosa

    Il pomeriggio, mi reco fiduciosamente, per la mia civica terza dose “anti-Covid”, al cosiddetto “hub” vaccinale di Via degli Stadi s.n.c. -che sta per senza numero civico, e già questo doveva preoccuparmi- e con sorpresa noto che mi trovo all’esterno di un anonimo edificio, privo di qualsiasi minimo requisito ambientale, con una insegna appena visibile e pure storta, facciate malamente scrostate e con uno sbarramento da manifestazione di massa, posto al controllo degli accessi.

    L’interno ha i requisiti – molto sbiaditi – di ciò che era una palestra, oggi lercia e polverosa, con un paio di box di controllo e personale medico all’addiaccio, muniti di camici con sotto i cappotti, il fiore della rinascita dell’Italia (ma quando mai!) è malamente incollato su uno dei box della sala e sta per staccarsi, sintomo di quanto sia poco importante, alle nostre latitudini, comunicare bene messaggi collettivi di fiducia!

    Ogni protesta è vana

    Sul pavimento ci sono almeno due dita di polvere, qua e là, sparse nella grande sala, una ventina di sedie male assortite, assemblate tra attesa pre-vaccino e post, al soffitto un paio di lampadine fioche e mortacine da magazzino merci in disarmo. Poche persone infreddolite siedono in attesa fiduciosa della dose salvifica, e l’operatore sanitario, che mi inietta il farmaco, al quale faccio notare la situazione disastrosa, allarga le braccia e mi dice che ogni protesta (loro e nostra suppongo) è vana, perché l’azienda sanitaria non ha, da tempo, orecchie per sentire alcuna lamentela.

    La rassegnazione che colgo tra tutti gli astanti è imbarazzante, sono l’unico che prova a far notare l’evidente stato di degrado e conseguente disagio, e ancora una volta mi sovviene che su questa rassegnazione una intera generazione di politici ha costruito le proprie fortune elettorali e che il tempo di qualsiasi vera, efficace protesta è stato sostituito da qualche, inutile, invettiva sui social media.

    Lamezia airport 2021

    Mi attraversano, come in un film, i fotogrammi di una infinita serie di recenti situazioni di degrado calabrese, abbandono, precarietà e ordinarietà: le baraccone di plastica, posticce, dell’aeroporto di Lamezia, altro presunto “hub internazionale”, nate provvisorie e divenute permanenti, e nelle quali si stipano, ormai da anni come sardine i passeggeri; le sale di attesa delle stazioni ferroviarie, spoglie, disadorne, male arredate; i pronto soccorso dei diversi ospedali; gli atri di gran parte degli uffici pubblici, con segnaletica posticcia, arredi rabberciati, personale svogliato e poco educato a ricevere e accogliere…

    Calpestare la bellezza

    E poi ancora, ovunque, auto in terza fila, buche per le strade, autobus che non passano mai, intonaci cadenti, facciate dai colori sbiaditi. Persino i “salotti buoni” di Cosenza, lungo il Corso, e dei lungomare di Reggio, di Catanzaro, appaiono posticci, sbrecciati, mal rifiniti e senza alcuna costante manutenzione. Persino i resti “nobili” di un glorioso passato, come la colonna superstite di Crotone, circondata dal cemento insieme a tutta l’area archeologica, il sito dell’antica Sibari tagliato in due dalla statale 106 (statale, si noti!), con le sale del museo che sembrano il residuo di un vecchio e decrepito deposito ottocentesco di reperti.

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    Rifiuti a Lungocrati, sullo sfondo la chiesa di San Domenico a Cosenza
    Un modello turistico perdente

    E per completare il tour basta andare nelle “ridenti” località silane, Camigliatello su tutte, e trovarsi nel mezzo di un bazar confuso e sconclusionato di oggetti caotici, che occupano lo spazio pubblico del “corso”, senza dignità estetica, regole e buon senso, e che lasciano immaginare la qualità di un modello turistico che altamente competitivo non è mai stato e mai lo diventerà.

    Cittadini insensibili ai beni comuni

    Il degrado, l’abbandono, l’incuria, la sciatteria dei luoghi, in Calabria, hanno tuttavia, almeno una triplice matrice: cittadini insensibili ad ogni minimo impegno civico che comporti una pur minima assunzione di responsabilità verso “ciò che non è mio”, ma è di tutti, amministrazioni pubbliche totalmente distratte da ben altre emergenze quotidiane per le quali questo genere di attività educative, e anche repressive quando necessario, sono del tutto secondarie. Le scuole che non formano più cittadini, ma più o meno scolari-studenti indirizzati alla nozione, a qualche superficiale conoscenza di programmi antiquati, nei quali e attraverso i quali è difficile far comprendere che essere buoni cittadini, colti e sensibili, preparati, farà buone città, buone comunità, buoni luoghi di vita, buone, sane nuove economie circolari.

    I nuovi barbari

    E’ un degrado fisico e sociale, dunque, ma è soprattutto culturale per aver smarrito la guida di una civiltà e bellezza millenarie, dai Greci in poi, aver rimosso la cultura contadina e la sua sobria eleganza e semplicità ed essersi tuffati a capofitto nelle pieghe di questa modernità malata e scomposta, finta, che genera ondate di nuovi barbari, insensibili, maleducati, assuefatti al brutto e all’indifferenza.

  • La città unica del Crati per superare i campanili dell’area urbana

    La città unica del Crati per superare i campanili dell’area urbana

    «La città è il più importante monumento costruito dall’uomo», ha scritto Vittorio Gregotti, ma di città non si parla da anni nel dibattito su Cosenza-Rende, se non in forme e modi assolutamente generici.
    Per l’esteso sistema policentrico che si distende per chilometri nella Valle del Crati, si organizza come sistema lineare lungo il tracciato autostradale da Sud verso Nord e viceversa, interessa le colline, lambisce e raggiunge i centri della memoria storica, da anni si scrive, si dice, si parla di “Area urbana”. Ovvero un generico, indefinito agglomerato di centri, medi e piccoli, che possono, più o meno, essere assimilati ad una informe estensione di edifici e strade, che in questa definizione, riduttiva, è come se non avessero confini e identità.

    Unical, la terza città dell’area urbana

    Invece, ogni città nasce con un suo “genius Loci”, così che il rispetto di questa origine è dirimente nella continuità tra storia e modernità. Negarne le matrici, annullandole in geografie improbabili e irriconoscibili è negarne passato e futuro.

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    L’Università della Calabria

    Nel caso di Cosenza e Rende, per citare le due città più estese dentro una quantità di altre piccole città coinvolte in questi “filamenti”, ci troviamo nel territorio provinciale più ampio della regione, oggi esito di una compulsiva attività costruttiva, con conseguente dilagante urbanizzazione il cui disordine ha disegnato insediamenti a macchia di leopardo. Con una terza città, la più importante per prestigio e credito internazionale, ma che viene anche questa spesso rimossa, e che pure esiste, con una sua identità e valore architettonico, ovvero la città della ricerca, il Campus Unical, con una frequenza giornaliera di almeno 30mila utenti e relazioni nazionali e internazionali.

    Una città-territorio-policentrica

    Per questo insieme scomposto, esploso, fatto di una abbondante quantità di edilizia anonima, strade, luoghi diversi tra loro, periferie estese, assenza di qualità diffusa, mancanza di centralità originali, parlare di città – e non di area urbana – è far emergere il tema vero su cui fondare una visione di futuro. Tra conflitti e potenzialità, come la quantità di differenti forme insediative sparse lungo un raggio di almeno trenta chilometri, che di fatto delineano un nuovo modello urbanistico, che sfugge alla tradizionale pianificazione, e che è fatto di moderne e incompiute strutture urbane. Qui non siamo davanti ad una semplice “area urbana”, ma dentro una città territorio-policentrica, articolata, complessa, ramificata, socialmente diversificata, economicamente differenziata.

    La nuova idea di città post-pandemia

    Se insisto, da tempo, su questa sottile, ma fondamentale differenza, è perché la definizione di città, più che mai oggi, necessita di un aggiornamento dopo l’insieme di fenomeni significativi, che nel corso di almeno cento anni, dall’avvento dell’urbanistica moderna, ne hanno modificato senso e funzione.
    E città oggi è l’esito dei recenti, moderni processi di crescita e formazione, non sempre pianificati, anzi spesso assenti, città che nasce e si sviluppa su polarità economiche, culturali, sociali, politiche e che dopo la pandemia, ha assunto un carattere ancora più marcato e in progressiva mutazione.
    La città post-pandemia, per esempio chiede già alcune scelte precise: meno traffico, spostamenti meno inquinamenti, meno costruito e più verde, meno chiusura sociale e più apertura relazionale, più cultura, più attenzione ai valori e ai servizi.

    Cosenza-Rende? Meglio la città del Crati

    Ed ecco, per esempio, su queste basi, su tale riconoscimento di ruoli, di pesi territoriali e di gravitazioni, di vere posizioni geopolitiche tra storia e modernità, sul senso di partecipazione dei cittadini e di tutte le forze attive, che si può aprire la discussione sulla fusione tra i diversi centri che fanno corona al capoluogo Cosenza. Perché non solo di una relazione “privilegiata” tra le due big city, Cosenza e Rende, si tratta, ma dell’articolata città-territorio, più ampia e complessa citata, che se non riconosciuta nella forma urbanistica, nelle nuove e articolate morfologie odierne, e nelle dimensioni che ha assunto in circa cinquant’anni, ovvero quello della città estesa della Valle del Crati, resterà incapace di sviluppare qualsiasi forma di collaborazione, nonché di fusione tra centri, che avverrebbe in modi del tutto semplicistici e solo amministrativi.

    E a ben guardare il Crati, “espulso” da tempo dalle vite di città e cittadini, che lambisce naturalmente da sempre tutti gli insediamenti, e che nella sua rete ecologica, tra affluenti e sistemi idrici minori, riguarda quasi tutti i centri, potrebbe essere l’elemento unificante e l’unico capace di garantire una vera transizione ecologica, costruendo sul suo antico e prestigioso ruolo di più grande fiume di Calabria, la città che sarebbe soprattutto la Comunità del Crati.

    Evitare la sommatoria Corigliano-Rossano

    Ma quale ruolo la nuova, futura Città del Crati deve avere nel contesto regionale, meridionale e nazionale, una volta messe insieme le diverse entità, ora separate amministrativamente, potrà garantirlo solo una visione unitaria, proiettata nel futuro di almeno trent’anni, capace di dare respiro, slancio e iniziative urbane per superare le questioni numeriche e puntare alla qualità.

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    La città di Corigliano-Rossano

    Anche attraverso la somma, positiva, delle diverse identità storiche che comporranno lo scenario futuro, su cui si decideranno scelte determinanti che vanno dalla mobilità, agli spazi di relazione, a quelli della società e dell’economia, della cultura.
    Insomma, ciò che è successo a Corigliano-Rossano, dove è mancata persino la creatività di trovare un nome-acronimo comune che potesse rendere identificabile la nuova città, e dove la fusione è stata fatta a freddo, per meri calcoli amministrativi e conseguenti vantaggi (forse solo “per qualche dollaro in più”!), non dovrebbe accadere a Cosenza-Rende, alla Città del Crati, pena un impoverimento e non un arricchimento.

    Una mobilità non inquinante per Cosenza-Rende

    Rifondare una nuova città in Calabria, da città esistenti, in un momento storico come questo, in piena fase di transizione ecologica, vuol dire uscire dal vecchio modello quantitativo e muoversi su quello qualitativo. Vuol dire sapere tenere insieme la complessa rete di realtà che solo un progetto di mobilità di rango metropolitano, non inquinante, può garantire, vuol dire scelte coraggiose, lungimiranti, ambiziose, ma fondate, che purtroppo non si intravedono nei programmi delle attuali classi di amministratori.

  • Sindaci a Cosenza: ieri, oggi, domani

    Sindaci a Cosenza: ieri, oggi, domani

    Una campagna elettorale popolata di tanti candidati a sindaco è ormai consuetudine, al Sud, più che al Nord, malgrado si dica che fare questo lavoro è diventato molto rischioso!
    Il mio sguardo di viaggiatore frequente tra terre meridiane e alpine, mi costringe a salti di geografie sociali e politiche che stimolano vedute aperte, scevri da localismi, così che guardo, da studioso, a Cosenza “città interrotta” come altre al meridione. Ovvero quelle città in cui la bellezza, il decoro, la manutenzione, la cura urbana sono ormai progressivamente scomparse.

    Passato, presente e futuro

    È nostalgia pura la stagione di Falcomatà padre, Giacomo Mancini, Enzo Bianco, Vincenzo De Luca, che hanno impresso una spinta radicale e significativa al cambiamento delle città negli anni cruciali di governi attivi, propositivi, dinamici. Nostalgia, soprattutto perché sono stati sindaci capaci tanto di avere una visione che fosse in grado, con intelligenza, di tenere insieme lo sguardo sul futuro, che la risoluzione di problemi quotidiani per andare incontro alle esigenze dei cittadini.

    Ho sfogliato i programmi dei candidati di Cosenza, sindaci di domani, ovvero dei prossimi cinque anni, analizzando alcune delle proposte roboanti, ambiziose, lungimiranti (anche troppo!), ma al contempo di una imbarazzante genericità. Ne ho dedotto che rischiano di essere, a seconda della vittoria, altri cinque anni di sogni vanagloriosi, di inutili fughe verso una impossibile smart city, perché non ci sono gli smart citizens, ma non solo, di ambizioni per progetti irraggiungibili e costosissimi per la collettività, dunque irrealizzabili e fallimentari, di finte, ipocrite posizioni ecologiste, ché la vera ecologia è occuparsi della “casa dell’uomo” e del suo benessere reale, nonché della rincorsa ad un turismo impossibile perché Cosenza, la Calabria, non sono né la Sicilia, né la Puglia, tantomeno la Basilicata con Matera città d’arte.

    Le città del dopo Covid

    Ma la cosa che più preoccupa – escludendo una qualche intuizione dovuta ad una sensibilità femminile – è che nessuno, purtroppo, ha colto due questioni fondamentali: la prima è che le città del dopo Covid prevedono un crollo – già in atto – delle presenze nelle grandi aree urbane e nelle metropoli, con un ritorno di molti “transfughi” nei luoghi d’origine, al Sud in particolare, e dunque un ruolo determinante delle città medie, come Cosenza (con Rende) è a tutti gli effetti.

    Ma questo ritorno non è senza impegno alcuno e non è automatico. Chi decide di rientrare sceglierà la qualità sotto molto punti di vista, così che la seconda questione è che sarebbe stato, per i candidati di Cosenza, mettere da parte i sogni, le ambizioni, i proclami, le inutili sparate elettorali e per esempio adottare nelle proprie proposte, anche solo una parte della griglia di parametri che usa, ogni anno, il Sole24ore quando stila la classifica della qualità delle città, in cui svettano (non a caso), Trento, Bolzano, Belluno e via di seguito verso il nord.

    Come sfruttare il potenziale

    Cosenza (e Rende, non si dimentichi) ha già un potenziale di qualità della vita molto alto, che però è vanificato da alcuni drammatici parametri che non intravedo in nessun progetto di futuro proposto in questa tornata, eppure semplici, elementari, quali, un Piano Urbanistico del Traffico e della Mobilità Ecologica (non un banale piano della viabilità i cui risultati sono evidenti), possibilmente redatto con intelligenza progettuale, per liberare la città dalle migliaia di ingressi automobilistici quotidiani.

    Purtroppo, non basta fregiarsi di pochi circuiti ciclabili come alternative al caos delle auto in doppia, tripla fila. Le auto vanno tolte dalla città con coraggio e vigore amministrativo e scelte anche impopolari, ma fondamentali, e con trasporti pubblici puntuali, puliti, in sedi dedicate non invase dalle auto, mezzi nuovi, non inquinanti né traballanti, unica alternativa valida al disordine odierno.

    Stop al degrado

    Occorre anche la creativa fattibilità di un piano virtuoso per lo stoccaggio e rapida trasformazione delle tonnellate di rifiuti in eccesso, con un consorzio di comuni e cooperative di giovani, che le lacunose attività regionali non riescono e riusciranno a sostenere. La “monnezza” è oro, altrove, qui diventa nausea e degrado, l’ambiente e i servizi ad esso collegati sono la priorità dei governi nazionali e non possono essere disattesi in sede locale, dove si gioca la partita quotidiana. Ancora un importante impegno progettuale per la cultura e il tempo libero: un cittadino colto e rilassato è un cittadino felice e attivo.

    Tutto ciò è però vano senza una pubblica amministrazione efficace, incisiva, attiva, al servizio dei cittadini, e nel rigenerare tutte le aree e gli spazi urbani ad alto degrado – dalla parte storica fino alla periferia – per sottrarli alla delinquenza che ormai è padrona incontrastata e che prospera nel brutto, nel marginale, nell’indecoroso!

    Europei nei fatti, non negli slogan

    Non ho letto nemmeno l’ambizione sana, necessaria a diventare una città europea, nei fatti, non con slogan, soprattutto con la quantità di denari che il PNRR controllerà passo dopo passo e che si giocherà su pochi, determinanti parametri, basati sui programmi della UE. Così, non si scorge un cenno al New Green Deal, al New European Bauhaus, al Green Wawe, ovvero ad un concreto impegno pubblico e collettivo per la riduzione dell’inquinamento dell’80% entro il 2050, all’essere cittadini europei di serie A, non destinati dunque alla perenne periferia dell’Impero!

    Infine, mi manca l’elemento essenziale in tutto questo: sarà vano ogni sforzo senza educare i cittadini alle scelte di cambiamento della città, ad una cultura urbana condivisa per ogni necessario passaggio, a nuove forme di necessaria civiltà. Tanto è vero che persino la qualità della grafica e della comunicazione dei candidati sindaco, appare purtroppo scontata, uguale, stucchevole, vecchia e per cittadini vecchi d’altri tempi. Figuriamoci nel tentare di avvicinare alla politica i tanti, nauseati giovani!