Una condanna, ormai di circa tre mesi fa, che non ha sostanzialmente nulla sotto il profilo istituzionale. Un dibattito politico inesistente. L’ombra, tuttora alta, che le ultime elezioni comunali possano essere state viziate da brogli elettorali. Sfiducia dei cittadini crescente, con la conseguenza che persino un consiglio comunale aperto – espressione più alta della partecipazione – vada pressoché deserto, trasformandosi in una farsa. E il Pd che annaspa, nonostante il nuovo corso di Nicola Irto. Con il rischio dei “soliti noti” nei ruoli che contano.
Tre mesi dopo
Di tempi bui, Reggio Calabria ne ha vissuti tanti. Dalla guerra di ‘ndrangheta tra gli anni ’80 e ’90, quando a imporre il coprifuoco era la paura delle ‘ndrine e non le restrizioni per il Covid, agli anni del “Modello Reggio”, culminati con lo scioglimento del consiglio comunale per contiguità con la ‘ndrangheta.

Quello attuale, invece, è certamente uno dei periodi più apatici della storia recente di una città che, solitamente, si è sempre divisa un po’ su tutto. Reggio Calabria è passata dalla centralità regionale, avuta negli anni di Giuseppe Scopelliti, a un ruolo sempre più marginale. Ma come si può avere un’importanza esterna se non si riesce nemmeno a discutere internamente? Ormai il reggino medio sembra aver perso anche la voglia di alzare le barricate. E per una popolazione che di quelle del “Boia chi molla” ha fatto il proprio vessillo è preoccupante.
Il sindaco Giuseppe Falcomatà, infatti, è stato condannato ormai circa tre mesi fa per il cosiddetto “Caso Miramare”. Una decisione di primo grado che ha portato all’automatica sospensione del primo cittadino, in forza della Legge Severino. Da quel giorno, però, nulla sembra essere cambiato. Falcomatà ha deciso di non dimettersi. Ha piazzato, poche ore prima di essere condannato, un anonimo assessore alla carica di facente funzioni. Quel Paolo Brunetti che, in due mesi e mezzo, ha tirato a campare.
Dov’è la politica?
«Meglio tirare a campare che tirare le cuoia», diceva Giulio Andreotti. Può darsi. Ma nella sindacatura, seppur da facente funzioni, di Brunetti non si ricorda al momento un provvedimento simbolo. Anzi no, uno sì. La chiusura delle scuole per il riacutizzarsi della pandemia da Covid-19. Brunetti è stato l’unico sindaco di una grande città calabrese a optare per questa scelta. Né Catanzaro, né Cosenza e nemmeno le più piccole Vibo Valentia e Crotone o Lamezia Terme avevano preso questa decisione. Brunetti è andato in controtendenza. Forse anche perché “imboccato” da uno dei tanti post pubblicati su Facebook dal sindaco sospeso, Falcomatà, che quasi invocava la chiusura degli istituti. Il risultato è che, dopo pochi giorni, il Tar, investito della questione da alcuni genitori, ha dato torto all’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, disponendo la riapertura delle scuole. Con il Comune che non ha nemmeno impugnato il provvedimento.

Falcomatà ancora sindaco sui social
L’impressione è che Brunetti sia lì a tentare di tener calda la poltrona di Falcomatà, in attesa che questi possa ritornare al proprio posto esaurita la sospensione. Il primo cittadino sospeso, peraltro, non ha quasi mai smesso di parlare da sindaco tramite i propri seguitissimi social. Ha visionato cantieri, ha, come detto, reso pubblica la propria posizione circa la gestione della pandemia. Recentemente ha anche stigmatizzato l’inciviltà di alcuni reggini che, continuamente, che insozzano il waterfront, una piazza o una scalinata. Ma, a proposito di decoro e civiltà, non ha inteso dimettersi dopo la condanna di primo grado. Né, ancor prima, per lo scandalo dei presunti brogli elettorali nel corso delle elezioni che lo hanno riconfermato primo cittadino.
L’ombra dei brogli a Reggio Calabria
Sì perché un po’ ovunque, tra il serio e il faceto, in città si parla della grave vicenda che ha portato Reggio Calabria sulle prime pagine di tutti i media nazionali. In riva allo Stretto, ha semplificato molta stampa, avrebbero “votato anche i morti”. Un’inchiesta ancora aperta. La Procura di Reggio Calabria non ha infatti ancora chiuso le indagini su quanto accaduto nel settembre 2020.
Ma, al netto delle facili e ironiche narrazioni, da quanto fin qui emerso, sarebbe consolidato lo scenario di una macchina amministrativa che non solo non ha gli anticorpi per resistere a tali disfunzioni ma che, anzi, le avrebbe avallate. Eppure, a distanza di mesi dall’esplosione del caso, nulla è stato fatto.
Il consiglio comunale aperto: una farsa
Uno dei primi a sollevare la questione, fu il massmediologo Klaus Davi, da anni impegnato in città. Con la sua lista, Davi non entrò in consiglio comunale per una manciata di voti. E, fin da subito, segnalò una serie di presunte anomalie. Fu uno degli ultimi rantoli del dibattito politico cittadino. Poi, il nulla. Con la voglia dei cittadini di partecipare, di incidere sul processo democratico, ormai pari allo zero.
Alcuni mesi fa un Comitato spontaneo – “Reggio non si broglia” – ha chiesto la celebrazione di un consiglio comunale aperto per discutere del caso. Una seduta che si è svolta, con ritardo siderale, solo alla fine del mese di gennaio. E che si è trasformata in una farsa. Appena 15 gli iscritti a parlare. E neanche un terzo a presentarsi effettivamente in aula. Un’occasione persa, in cui a intervenire sono stati (pochi) oppositori politici, con alcuni nostalgici dell’era Scopellitiana. E poi, la solita ridda di interventi – non troppo significativi – da parte dei consiglieri comunali.
Il buco nero del consiglio comunale
Proprio quell’aula che dovrebbe essere la massima espressione della democrazia cittadina è diventata, sostanzialmente, una mera passerella – neanche particolarmente interessante – per qualche istante di celebrità dei singoli consiglieri. Nel corso del consiglio comunale aperto, peraltro, la maggioranza ha bocciato la proposta dell’opposizione di istituire una commissione d’indagine sui brogli elettorali. Ma non è tutto.
Proprio nelle ultime ore, i consiglieri comunali di centrodestra hanno denunciato lo stallo amministrativo in seno a Palazzo San Giorgio: «A tre mesi dalla condanna e successiva sospensione del sindaco Falcomatà e dei consiglieri comunali in carica, nessuna delle Commissioni consiliari permanenti è stata convocata nei tempi previsti dal regolamento e dallo statuto comunale per procedere alle surroghe e alle sostituzioni necessarie per garantire l’operatività», lamentano i gruppi consiliari di centrodestra. La convocazione dovrebbe avvenire entro 10 giorni dalla cessazione della carica in seguito alla sospensione. «L’impressione è che l’attuale maggioranza consideri le Commissioni consiliari permanenti solo come una concessione fatta alle opposizioni e non come un valido ed importante strumento di lavoro istituzionale», dicono ancora dal centrodestra.
La Svolta?
Dopo gli anni del “Modello Reggio” targato centrodestra e l’ignominia dello scioglimento per ‘ndrangheta e del successivo commissariamento, Falcomatà e il centrosinistra si erano proposti come l’antidoto per riportare la città a una situazione di normalità. Lo slogan dell’allora giovane candidato sindaco era “La Svolta”. Anche una delle liste a suo sostegno portava questo nome. Dopo otto anni di amministrazione ininterrotta, però, il centrosinistra e Falcomatà raccolgono i cocci.
La città continua ad avere i problemi di sempre, se possibile anche riacutizzati: dall’emergenza rifiuti a quella idrica. Ma ciò che preoccupa maggiormente è l’assenza di un dibattito e di proposte culturali. Un vuoto, questo, figlio anche di quanto accaduto in questi anni. Non solo la condanna di primo grado del sindaco e di numerosi tra i suoi fedelissimi. Ma anche lo scandalo dei brogli, con l’arresto del consigliere comunale Antonino Castorina. Uomo forte del Pd fino al momento in cui finirà ai domiciliari. Castorina, infatti, non solo era capogruppo dei Democratici nel consiglio comunale, ma anche membro della Direzione Nazionale del Pd, con entrature molto importanti nella politica romana.
Il Pd, Nicola Irto e i “soliti noti”

Già, il Pd. L’elezione, anzi, l’acclamazione del reggino Nicola Irto alla carica di segretario regionale del Partito Democratico aveva illuso qualcuno circa la possibilità di riportare la politica reggina al centro della scena. Ma il giovane ex presidente del Consiglio regionale ha probabilmente già imparato sulla propria pelle quanto possa essere lacerato il Pd reggino. Ancora in mano ai colonnelli di sempre: da Sebi Romeo al ripescato Nino De Gaetano.
Per la scelta del segretario provinciale, infatti, si va di rinvio in rinvio. Con ogni capocorrente che prova a imporre la sua linea. Falcomatà sarebbe persino arrivato a proporre quel Giovanni Muraca condannato con lui nell’ambito del processo “Miramare”. Dal canto suo, Nicola Irto non riesce a venirne a capo e sembra essersi consegnato mani e piedi a un’altra vecchia conoscenza come Sebi Romeo, ras dei democrat fino al momento in cui verrà coinvolto in un’indagine per corruzione.

Nicola Irto e Sebi Romeo
Proprio Sebi Romeo e Nicola Irto sarebbero i principali sponsor dell’avvocato Antonino Morabito, figlio dell’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Pinone Morabito. Dovrebbe essere proprio lui il candidato unico per tentare di ritrovare unità. Una candidatura tirata fuori dal cilindro (Morabito non ha particolari esperienze di politica e partitiche) per arginare l’avanzata dell’ex consigliere regionale Giovanni Nucera, rientrato nel Pd dopo una lunga esperienza in Sel. Ma anche lui è invischiato in un’inchiesta sui rifiuti a Reggio Calabria.








































