Muoia il Pd con tutti i suoi elettori: Mario Oliverio ha deciso di spaccare quel che resta dei democrat e presentarsi alle Regionali. Da solo. Contro il suo vecchio partito che lo ha scaricato come l’ultimo dei reietti. In una prova di forza che probabilmente lascerà a terra più vittime sul campo amico (?) che quello nemico.
Alle tradizioni non si rinuncia
Non è certo un fulmine a ciel sereno, la notizia era nell’aria da tempo. Almeno da quando Oliverio era riapparso sulla scena dopo un autoesilio volontario tra gli amati boschi silani tramite una Fondazione che in realtà dovrebbe occuparsi di temi che col voto di ottobre dovrebbero avere poco a che vedere. E poi a certe tradizioni nella sinistra calabrese non si rinuncia: che elezioni sarebbero se non si andasse tutti divisi? E così ecco arrivare l’ufficialità della candidatura alla presidenza della Regione del grande ex. Lo slogan, a giudicare dai post dei comitati che lo sosterranno, sarà quello di Gene Wilder nell’immortale Frankenstein Junior di Mel Brooks: «Si può fare».
Se prima eravamo in due
Non c’è due senza tre, quindi dopo Amalia Bruni e Luigi de Magistris all’elenco degli aspiranti governatori più o meno di sinistra si aggiunge il sangiovannese in cerca di un (difficile) bis a scoppio ritardato. La mancata ricandidatura al termine del suo primo mandato per far spazio al fallimentare esperimento civico targato PippoCallipo era rimasta sul groppone a Oliverio. Non che la sua di esperienza alla Cittadella sia rimasta impressa nella mente dei calabresi come una delle più felici della storia del regionalismo, ma il caos che da tempo regna in casa democrat ha convinto il politico silano che nel centrosinistra lui possa – e debba – ancora dire la sua.
Classici intramontabili
Difficile ipotizzare che la tripartizione dei voti tra i candidati della gauche crei difficoltà a Roberto Occhiuto, anzi. Con elezioni che non prevedono ballottaggi come quelle calabresi vince chi prende anche un solo voto in più dei rivali. E se i tuoi pescano tutti nello stesso bacino elettorale (o quasi) probabilmente quel voto in più non lo avranno. In compenso per Oliverio sarà l’occasione di riproporre l’intramontabile schema che da anni caratterizza le vicende del Pd locale e di quello bruzio in particolare.
Due di qua e uno di là
Protagonisti quasi sempre Oliverio e altri due big cosentini: Nicola Adamo e Carlo Guccione. A rotazione due di loro si alleano e l’altro si smarca, con combinazioni di volta in volta differenti. Il solitario di turno in questo modo fa vedere quanto ogni tentativo di vittoria sia impossibile senza lui e i voti che porta con sé. Spesso, per un curioso scherzo del destino, accade quando a contrapporsi al centrosinistra è uno dei fratelli Occhiuto. La storia recente di Cosenza ne è l’esempio più evidente, con l’attuale e ormai uscente sindaco che ha beneficiato dei dissidi del momento tra i tre ex Pci per sbancare alle Amministrative sia nel 2011 che nel 2016.
Il toto-nomi
Sarà così anche alle Regionali? Stavolta gli avvantaggiati dalla sua corsa in solitaria potrebbero essere in due, quel de Magistris con cui Oliverio avrebbe anche flirtato e Occhiuto Jr, seppur con risultati finali ben diversi. Certo è che all’annuncio del sangiovannese è scattato il toto-nomi su chi potrebbe seguirlo in lista. Con lui dovrebbero esserci il fedelissimo Giuseppe Aieta e il suo carico di preferenze e il figlio di quel Brunello Censore che a Vibo i suoi voti li ha sempre. Quanto a Reggio, altri esclusi eccellenti del recente passato, come l’ex consigliere Francesco D’Agostino, potrebbero dar man forte a Oliverio. Una grana non da poco per la Bruni, visto che “Palla Palla” difficilmente non si sarà fatto i conti prima di sciogliere le fatidiche riserve sul suo ritorno in prima linea. Se poi quei conti gli permettano di aspirare davvero alla presidenza della Regione o solo di uscire vincitore dalla guerra fratricida si vedrà.
Farsi una cultura non ha prezzo. Lo sanno bene alla Cittadella, dove hanno deciso di arricchire gli scaffali della libreria (e non solo) senza badare troppo a spese. Nell’ultimo Burc pubblicato – il numero 60 del 29 luglio – è apparsa infatti una delibera dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale che ha come oggetto “Adesione proposte di acquisto di libri, pubblicazioni e altro materiale illustrativo o documentario”. L’atto porta la firma del segretario Dina Cristiani e del presidente Giovanni Arruzzolo.
Un omaggio ai visitatori
La dirigente e il politico scrivono di accettare le proposte arrivate da quattro case editrici locali, disponendo di acquistare complessivamente poco meno di 500 volumi per una spesa totale di quasi 14.750 euro. I libri in questione, si legge nel documento, in realtà non amplieranno il bagaglio culturale dei nostri rappresentanti a Palazzo Campanella. Serviranno, invece, ad «omaggiare rappresentanti delle istituzioni, delegazioni, scolaresche o altri soggetti in visita al Consiglio regionale o per la realizzazione di eventi culturali previsti dal Piano della Comunicazione del Consiglio regionale della Calabria».
Qualcuno fa lo sconto
Un atto di generosità, dunque, che meriterebbe un encomio, ma che suscita al contempo qualche perplessità. Dell’opera Calabria letteraria edizione 2021, pubblicata da Città del Sole edizioni, per esempio verrano acquistati solo due volumi su quattro, seppure in 110 copie per ciascun tomo. Considerato lo sconto proposto dall’editore (10,50 euro invece di 15), forse sarebbe stato il caso di prendere anche l’altra metà dei volumi. Uno sconticino (18 euro invece di 20) è arrivato anche da Gangemi editore per le 50 copie di Raccontare Sambatello – Dalle origini ai giorni nostri un passato sempre vivo nella memoria di Matteo Gangemi. Meno disponibile a ribassi di prezzo, invece, la casa editrice Il cerchio dell’immagine, che incasserà 5.250 euro per le 150 copie (35 euro ciascuna) di Un luogo bello di Alessandro Mallamaci.
Quattro volte e mezzo il prezzo base
Quello che stupisce davvero è il prezzo per l’acquisto dell’opera Guida ai siti archeologici del Parco nazionale dell’Aspromonte – Dove la natura incontra l’archeologia. A scriverla è Lino Licari, che da oltre 25 anni si occupa di accompagnare i visitatori attraverso le montagne del Reggino. Il volume in questione, edito da Kaleidon, ai comuni mortali costa 20 euro (o anche meno) da quel che si apprende girovagando per il web. La Regione, però, lo pagherà più del quadruplo: per averne 70 copie ha stanziato 6.240 euro, come se ognuna ne costasse 89,15.
Il logo d’oro
Certo, sarà un’edizione diversa dalle altre. Nella delibera dell’Ufficio di presidenza si legge infatti che «il volume è composto di 128 pagine a colori, con copertina cartonata con stampa a caldo in oro, in edizione “fuori commercio” su cui verrà impresso il logo dell’Ente e saranno dedicate due pagine ad un testo istituzionale». Se cotanti cambiamenti rispetto all’originale meritino un esborso di quasi 5.000 euro in più del previsto potranno spiegarlo solo dai piani alti di Palazzo Campanella. Sempre che gli interessi farlo: in fondo i soldi impiegati per l’acquisto li mettono i contribuenti, non loro.
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»: è quasi automatico pensare alle parole di Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo dopo la decisione della Figc di non riammettere già da ieri mattina il Cosenza in serie B.
Una scelta inedita, quella di attendere le motivazioni della sentenza prima di eseguirla, che ha fatto storcere il naso a parecchi. Il nuovo modus operandi adottato per la prima volta con (o, secondo qualcuno, a danno de)i Lupi, che già pregustavano la riammissione, non è privo di fondamenti giuridici. O, almeno, non lo è del tutto.
A spiegarlo a I Calabresi è Vincenzo Ferrari, professore emerito dell’Università degli Studi di Milano e già preside e direttore della Scuola di dottorato della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo meneghino. «L’attesa della motivazione rientra nella discrezionalità della Federazione che deve dare esecuzione alla sentenza», spiega l’accademico. Ma quella discrezionalità ha comunque vita breve: «Cesserà immediatamente – aggiunge Ferrari – non appena verrà depositata la motivazione».
Lo Sport si inchina al Tar?
Quello che al professore non torna è che la Figc, nel lasciare la patata bollente in mano al suo presidente Gravina, abbia chiamato in causa in un comunicato di ieri anche «le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico» che potrebbero arrivare dal Chievo. «Non sarebbe in ogni caso legittimo – precisa Ferrari – attendere la decisione del Tar, poiché quello sportivo è un ordinamento autonomo e le decisioni vanno attuate senza ritardo dagli organi sportivi».
Eppure a coinvolgere nel discorso i tribunali amministrativi è proprio la Figc, quasi come se quelli che hanno già respinto il ricorso dei veronesi (a cui invece dovrebbe fare riferimento la Federazione) rinunciassero alla propria autonomia. O come se nelle udienze “contro” il Chievo non ci fosse la Federazione stessa. «È un po’ strano – prosegue ancora Ferrari – che si dica “aspettiamo il Tar”, la giustizia sportiva è indipendente da quella ordinaria. Ed è alle decisioni della prima che la FIGC si dovrebbe adeguare». Stranezza che aumenta quando si pensa che ad esprimersi contro i veneti sono già stati la Covisoc, il Consiglio federale e il Collegio di Garanzia del Coni. Tre gradi di giudizio evidentemente non bastano, se nel calendario della prossima stagione di B, quantomeno fino al 2 agosto, per il momento resta una X al posto della ventesima squadra iscritta.
La politica alza la voce
In riva al Crati, nel frattempo, si grida al complotto per paura che dopo una riammissione che sembrava ormai certa possano arrivare spiacevoli sorprese. La politica, com’è scontato che sia, prova a blindare la “vittoria” dei rossoblu. Il consigliere comunale Giovanni Cipparrone invita alla battaglia «tutta la deputazione cosentina e calabrese», chiedendo che presenti un’interrogazione parlamentare «cazzuta». «Non solo si sta perpetrando un danno ad un’intera città calcistica, ma si sta cercando di far passare per giusti degli evasori riconosciuti da tutti fino ad oggi.». Il suo collega Sergio Del Giudice, a propria volta, non usa troppi giri di parole, commentando «l’ennesimagrottesca baggianata degli organi federali». Auspica anche lui interrogazioni parlamentari, ma anche che sia Cosenza stessa a dare un segnale. «Chiedo – scrive – al sindaco Occhiuto ed alla Giunta tutta, nonché allo stesso presidente Guarascio ed ai suoi legali, di presentare formale diffida alla Figc ed al suo presidente Gravina al fine di predisporre l’immediata riammissione del Cosenza Calcio al campionato di Serie B. Diciotto anni fa, per cose molto meno gravi, proprio il Cosenza fu fatto sparire dal calcio che conta per favorire la Fiorentina».
Occhiuto alle diffide per ora non pensa. Ma dichiara che «alla luce del pronunciamento del Consiglio federale, la serie B per il Cosenza non può più essere messa in dubbio, né dalle motivazioni del Collegio di garanzia che il presidente Gravina ha chiesto di attendere, né da tardivi ricorsi al Tar. Cosenza e la sua squadra di calcio – prosegue – meritano rispetto. Fiduciosi nella positiva conclusione di questa vicenda – conclude il sindaco – vigileremo contro ogni eventuale colpo di mano affinché trionfino i valori dello sport e della correttezza».
Le differenze tra 2021 e 2003
Quanto al precedente del 2003 rievocato da Del Giudice, quasi vent’anni dopo quella decisione che favorì la Viola è ancora dura da digerire per i tifosi rossoblu. Ma anche per chi a quei tempi guidava il Cosenza. Luca Pagliuso – figlio dell’allora presidente dei Lupi, Paolo Fabiano – racconta come il parallelo tra quanto accaduto allora e gli ultimi avvenimenti sia però improprio. «All’epoca subimmo un danno economico enorme, con un parco giocatori che valeva decine di milioni che si svincolò». «Penso che fosse stato tutto deciso già da mesi, il Cosenza fu ucciso dalla Figc e da altri», aggiunge alludendo all’inchiesta del pm Facciolla che vide coinvolto – e poi assolto con formula piena negli anni successivi – suo padre.
Tornando all’attualità, Pagliuso Jr preferisce non esprimere giudizi sulla gestione Guarascio. Ma la scelta della Figc ha lasciato pure lui perplesso e un consiglio al presidente rossoblù alla fine prova a darlo. «La società dovrebbe diramare un comunicato in cui dichiara che in base alle decisioni arrivate si considera riammessa in B, cominciare ad acquistare giocatori per la categoria e depositare i loro contratti. Così facendo metterebbe spalle al muro la Federazione, paventandole il rischio di dover risarcire poi i Lupi se quei contratti si dovessero stracciare per la mancata riammissione».
Difficile pensare che a via degli Stadi gli diano retta: la proverbiale parsimonia di Guarascio non lascia immaginare esborsi nel breve, tanto più con la possibilità di ritrovarsi sul groppone stipendi più alti della media di un eventuale campionato di C.
La riforma dei campionati dietro la scelta della Figc
Il vero nodo della questione, più che la giurisprudenza, le dietrologie e le strategie, sembra essere la riforma del calcio professionisticoche Gravina e Figc vorrebbero concludere nel giro di tre anni. La riduzione da 20 a 18 squadre della B mal si concilia con l’ipotesi che nella stagione 2021/2022 ce ne possano essere 21 a sfidarsi. Riammettere il Cosenza fin da subito, come logica avrebbe voluto dopo l’ennesima bocciatura delle ragioni del Chievo, non implica automaticamente che i veronesi non possano vederle riconosciute dal Tar nel futuro prossimo. Questo obbligherebbe la Figc a far rientrare in serie cadetta anche i gialloblu oltre ai Lupi. E passare da 21 a 18 è più complicato che farlo partendo da 20.
E allora, proprio come nel libro di Tommasi di Lampedusa, per far restare tutto come è ora, senza squadre di troppo, meglio cambiare tutto. Ossia non fare quello che si chiedeva di fare – in aula contro il Chievo c’era la Figc stessa, non il Cosenza – nonostante la decisione arrivata sia favorevole. Poi prendere ancora tempo in attesa delle fatidiche motivazioni della propria vittoria. Se è per essere sicuri che l’esclusione dei veronesi sia blindata e non modificabile dal Tar oppure per far fuori il Cosenza si potrà capire solo tra qualche giorno.
La Regione pagherà poco meno di 600mila euro alla Rai per l’esordio a cinque cerchi del discusso cortometraggio di Gabriele Muccino sui canali della tv nazionale. Nonostante la presentazione dello spot risalga alla tarda estate del 2020, nei successivi undici mesi la battaglia legale tra la Cittadella e la Viola Film, società di produzione individuata dal regista, per la condivisione anticipata del filmato ha fatto sì che quest’ultimo circolasse, con non troppe fortune e numerose parodie, soltanto sul web. Passata la tempesta di critiche iniziali, le visualizzazioni si sono sempre più ridotte mentre l’estate si avvicinava.
Un aiuto in regia per Muccino
Il corto, però, ufficialmente è rimasto nei cassetti fino a fine luglio. La diatriba in tribunale si è chiusa in primavera con uno sconticino alla Regione, che si è accaparrata l’opera per poco meno di un milione e 400 mila euro (circa 300mila in meno del previsto), e la promessa di ritocchi – a spese (circa 90mila euro, recitano gli atti) della Viola – per qualche scena particolarmente infelice.
Nino Spirlì sul set a Palmi per la nuova versione di Calabria Terra mia
«Come può raccontare l’Amore, l’Eterno Bello, le profonde rughe dell’Arte, che sono l’Anima di questa Calabria, morbida e tortuosa, solennemente silenziosa e guardinga, seppur maternamente amorevole, un uomo che non conosce la fraternità, il “cum patire”, la solidarietà, l’equità?», chiedeva, d’altra parte, proprio Spirlì soltanto dieci mesi fa riferendosi a Muccino. All’inizio di giugno, invece, il successore di Jole Santelli era sul set di Palmi per la realizzazione della nuova versione riveduta e corretta dello spot.
Tokyo costa
Nonostante l’illustre supporto istituzionale alle riprese, per avere il remake di Calabria Terra mia – questo il titolo scelto da Muccino – in Cittadella hanno atteso il 2 luglio 2021 e altri quindici giorni sono passati per il preventivo della Rai. In Regione avranno pensato che, visto che un anno era andato già perso, tanto valeva far partire la campagna promozionale in ritardissimo ma col botto. E cosa fa più spettatori delle Olimpiadi in questo periodo? Nulla. In più Tokyo 2020 arriva un anno dopo il previsto. Proprio come lo spot, che avrebbe dovuto portare i turisti quest’anno e non il prossimo.
Quindi ecco 482.435,45 euro per mamma Rai, di cui 417.437,45 per il piano TV e 65.000 per quello digital. Tutto condito da un altro centinaio abbondante di migliaia di euro per l’Iva. Totale 588mila e rotti euro, che sommati al milione e quattro speso per girare il corto portano il costo dell’operazione Muccino a poco meno di due milioni.
Sulla Rai per due settimane
Ma è un conto che presto dovrà essere aggiornato: l’accordo con la Rai prevede la trasmissione degli spot soltanto dal 24 luglio all’8 agosto. Poi per farci rivedere ancora Raul e Rojo sul piccolo schermo alla Cittadella toccherà di nuovo allentare i cordoni della borsa. Sarà anche per questo che sempre Spirlì dalla sua bacheca Facebook ha annunciato urbi et orbi gli orari indicativi della messa in onda dei filmati per il weekend, non sia mai ce ne perdessimo uno.
Dopo il bombardamento di sabato, infatti, con il corto di Muccino andato in scena una quindicina di volte, stando al palinsesto diffuso dal presidente f.f. già domenica si era scesi a cinque passaggi in tv. Aumenteranno di nuovo? Diminuiranno? Ai followers l’ardua sentenza. Per capire se, invece, gli spot porteranno davvero nuovi turisti ormai toccherà aspettare l’estate prossima.
Fausto Orsomarso l’ha detto e ripetuto: è pronto a denunciare chiunque oserà dire che il mare calabrese è inquinato. Il motivo? La buona qualità delle acque è certificata dai controlli dell’Arpacal. E le chiazze marroni che vi galleggiano sopra? Altro non sono che fioritura algale.
Poco importa che agli occhi (e spesso al naso) dei comuni mortali quelle macchie ricordino più lo sterco che fioriture. O che queste ultime, qualora la versione dell’assessore venisse confermata in toto, non siano esattamente le beniamine dell’associazione Dermatologi italiani. O, ancora, che tra le possibile cause delle fioriture ci sia anche l’inquinamento. Trascurabili dettagli.
Questa mattina, però, a mettere in dubbio la bontà delle affermazioni di Orsomarso sono stati proprio coloro che avrebbero dovuto raccogliere le sue eventuali denunce, ossia magistratura e forze dell’ordine. Con la prima che se l’è presa, tra i tanti, proprio con un tecnico dell’Arpacal, reo secondo gli inquirenti di aver taroccato i controlli delle acque in modo da farle risultare più pure di quanto siano in realtà.
Fossimo in un sillogismo aristotelico l’enunciato sarebbe semplice: Orsomarso denuncia chi dice che il mare è inquinato, la Procura dice che il mare è inquinato, Orsomarso denuncia la Procura. La logica, però, quando c’è di mezzo la politica calabrese non sempre è applicabile.
Dal maestro Scopelliti al discepolo Orsomarso
Qualche anno fa, ad esempio, l’allora governatore Scopelliti si presentò in enorme ritardo a una conferenza stampa presso la Confindustria bruzia. Si giustificò spiegando di aver passato le ore precedenti sorvolando in elicottero il Tirreno cosentino insieme agli esperti regionali e la Guardia costiera. Dal volo avevano tratto una conclusione (secondo lui) rassicurante, che enunciò con solennità: «Il mare calabrese non è inquinato, è sporco». Se fosse impolverato o altro non lo chiarì, nonostante gli sguardi curiosi dei suoi ascoltatori.
Fausto Orsomarso insieme al celebre dj Bob Sinclar
Orsomarso, che di Peppe Dj è stato fido discepolo al punto da intrattenersi in consolle con Bob Sinclar l’estate scorsa, ha usato più o meno la stessa tecnica. Solo che l’operazione della Procura di Paola gli ha scombinato i piani. La minaccia gli si è ritorta contro, mentre sui social fiorivano i commenti ironici sull’accaduto. Una figura degna delle celebri profezie di Fassino. O, per restare in tema, una figura di fioritura algale.
Molto rumore – e altrettanto denaro – per nulla, la storia recente di Cosenza ha per protagonisti i fantasmi delle opere pubbliche mai completate e le ambizioni personali dei politici che le hanno annunciate, spesso in concomitanza con appuntamenti elettorali. Simbolo principale (ma non unico) di questa stagione è la metro leggera, piatto forte dell’agenda politica bipartisan locale da un ventennio. L’idea risale a quando sulle due sponde del Campagnano regnavano Mancini e Principe. Socialisti entrambi ma rivali storici, per una volta si trovano d’accordo su una cosa: si fondano o meno in una città unica, Cosenza e Rende hanno bisogno di servizi integrati. Trasporto pubblico in primis, con buona pace delle aziende private che, di proroga in proroga, continuano a vedersi affidare dalla Cittadella i collegamenti tra i due comuni.
Vent’anni dopo
Da allora sono passati due settennati di programmazione Ue che consideravano strategica la metro, cinque presidenti in Regione (più due facenti funzioni), altrettanti alla Provincia, tre rettori all’università e quattro sindaci per ognuna delle due città, con quelli in carica entrambi al secondo mandato consecutivo. Dai circa 46 milioni di spesa ipotizzati a inizio millennio per realizzare la tranvia si è passati a 90, che sono diventati 160 al momento di fare la gara d’appalto . Ne servirebbero altri 50 però per completare l’opera, stando alle ultime comunicazioni tra Regione e Commissione europea, se mai lo si farà. Nessun binario montato finora, né alternative all’orizzonte. In compenso la sola progettazione definitiva è costata 3,9 milioni di euro fino al 2015. Ma andava completata ed ecco un altro milione e 630mila euro impegnato ad hoc nel 2016.
Cambio di rotta
Non un anno qualsiasi, ma quello della sfiducia al sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto. Lascia Palazzo dei Bruzi a pochi mesi dal termine del suo primo mandato. Aveva cominciato nel 2011 proclamando di voler affiancare la Regione nel progetto della metropolitana e di sognare un viale Mancini attraversato dai tram. Si ripresenta agli elettori cinque anni dopo cavalcando l’onda anti-metro cresciuta in città. Nel nuovo programma scrive di voler sfruttare il vecchio rilevato ferroviario e non più il viale per il nuovo collegamento. Sono in tanti a credergli e votarlo per questo. Il sindaco rieletto blocca i tentativi della Regione di dare il via ai lavori, visto che nel frattempo un’Ati composta dalla ravennate Cmc e dalla spagnola Caf si è aggiudicata (da unica partecipante) la gara per la progettazione esecutiva e la realizzazione dell’opera.
Il baratto tra Cosenza e Regione
I ruderi dell’ex hotel Jolly, abbattuto per far posto al museo dedicato ad Alarico
Va in scena il braccio di ferro tra Occhiuto e Mario Oliverio, all’epoca presidente della Regione. Quest’ultimo – insieme alla gauche locale, compreso il candidato democrat a sindaco Carlo Guccione – punta forte sulla metro in centro. Occhiuto, che coltiva ambizioni da leader politico della Calabria postoliveriana, parrebbe pensarla all’opposto. Ma nel 2017, tra lo stupore generale, baratta il suo ok al tram sul viale con altre opere complementari sparite quasi tutte dai radar poco dopo. Le uniche a partire saranno il museo dedicato ad Alarico nel centro storico e il Parco del benessere, proprio sul viale della discordia. Per il primo si è speso già quasi un milione e mezzo, impiegato per acquistare dall’Aterp e poi abbattere l’ex hotel Jolly, sulle cui ceneri dovrebbe sorgere, grazie ad altri tre milioni e mezzo, la struttura in onore del barbaro. Attirerà davvero turisti a Cosenza? Rivitalizzerà il quartiere? A quattro anni dall’accordo è un cumulo di macerie racchiuse tra le reti di un cantiere fermo. Lo scorso ottobre Palazzo dei Bruzi ha annunciato l’imminente ripresa delle attività. I fatti l’hanno smentito.
Quer pasticciaccio brutto de viale Mancini
Va peggio con il parco, che ha costretto a rimodulare a sua misura l’intero progetto della tranvia. Per ora pezzi aperti al pubblico senza collaudo si alternano ad aree chiuse e si è spesa già la metà dei 2,6 milioni previsti. Solo che l’altro milione e 300mila non basta più per finirlo. È recente la notizia di un nuovo impegno di spesa per ulteriori 2,8 milioni che dovrebbero permettere di consegnarlo alla città nel 2022. I cosentini lo attendono dal 2019. Scherzi del calendario, proprio l’anno in cui era attesa la sfida alle Regionali tra Occhiuto e Oliverio, entrambi trombati dai rispettivi alleati prima ancora del voto.
I nuovi stanziamenti si aggiungeranno ad altri 5 milioni liquidati dalla Regione tra il 2018 e il 2020 per la metro che non c’è. E se quest’ultima saltasse definitivamente il conto rischia di aumentare parecchio, con Cmc e Caf a chiedere risarcimenti per i mancati guadagni legati all’appalto. In casi simili si parla sempre di almeno il 10% del suo valore complessivo, ossia un decimo dei 160 milioni alla base della gara vinta dall’Ati.
I fondi dirottati
Sventrare il viale ha creato non pochi problemi di traffico a Cosenza, forse li risolverà una bretella stradale parallela da 800mila euro rifinanziata insieme al parco. Puntare prima sul completamento di quella tornerebbe (o sarebbe tornato) più utile alla città? Chissà, per adesso il Comune pensa a completare il parco. Fatto sta che quest’ultimo, pur restando praticamente uguale, ha bisogno di essere riprogettato. Tant’è che il Comune ha affidato nelle scorse settimane un incarico da 17mila euro al fido – è stato già reclutato per progetti inerenti il verde pubblico e l’edilizia scolastica in passato- ingegner Antonio Moretti affinché provveda.
Ma la metro si farà? Nel nuovo progetto sui lotti numero 1 e 2 del parco approvato dal Comune non ci sono riferimenti ai binari che dovrebbero attraversarlo. A difenderla pare rimasto solo Occhiuto, ormai agli sgoccioli di un’esperienza da primo cittadino in cui ha condotto il Comune ad un inedito dissesto. Il suo collega rendese Marcello Manna pare non contarci più e la Regione ha messo nero su bianco le proprie perplessità. Per ora le coperture finanziarie restano garantite da vecchi fondi Fsc, da cui si pensa di attingere anche nella programmazione 2021-2027 qualora si decida di perseverare. I soldi per la metro che erano nel Por 2014-2020, invece, sono stati dirottati (finora virtualmente) a Natale scorso sulla lotta al covid.
Un tesoro per Cosenza nei cassetti
Il progetto per il nuovo ospedale presentato nel 2016 da Occhiuto in campagna elettorale
Denaro per la sanità cosentina, costretta ad affrontare la pandemia in condizioni disastrose, ce ne sarebbe stato comunque a iosa in realtà. È un tesoro da 375 milioni di euro destinato alla costruzione di un nuovo ospedale che sostituisca l’attuale, più altri 45 per trasformare il vecchio nosocomio. Anche su questo, però, la politica si è spaccata a ridosso delle scorse elezioni. Occhiuto voleva un polo sui colli che sormontano l’Annunziata, da demolire parzialmente e riconvertire in parco con annessa una facoltà di medicina che l’Unical non prevedeva ancora di istituire; il centrosinistra lo preferiva a Vaglio Lise lungo la statale Paola-Crotone, nei pressi della semideserta stazione ferroviaria, così da essere più baricentrico per l’intero territorio provinciale, con quello storico tramutato in una cittadella della salute dove raggruppare uffici e ambulatori di Ao e Asp oggi sparpagliati per la città.
I diritti possono attendere
Liquidati finora 330mila euro per lo studio di fattibilità sulla sua migliore ubicazione (individuata a Vaglio Lise, che si è imposto sulla soluzione di Occhiuto e una a Campagnano), tutto si è fermato. Sulla costruzione dell’ospedale, il relativo studio e altri appalti hanno acceso i fari Gratteri e i suoi. L’inchiesta si chiama Passepartout e per adesso alle accuse della Procura hanno fatto seguito solo proscioglimenti e assoluzioni con formula piena.
Poi, dopo decenni di discussioni, l’Unical ha annunciato l’istituzione ad Arcavacata dell’agognata facoltà di Medicina. E subito Marcello Manna ha colto l’occasione per dire che il nuovo ospedale dovrà sorgere a Rende visto che l’ateneo è lì. Occhiuto invece, considerato che suo fratello è dato per favorito tra gli aspiranti presidenti della Regione, a sua volta ha ritirato fuori il suo progetto per l’ospedale. La famiglia e/o i campanilismi contano più delle valutazioni dei tecnici lautamente pagati, si direbbe.
Il paradosso è che nell’area urbana, tra litigi vecchi e recenti, un nuovo ospedale è sorto, proprio a Vaglio Lise. Quello dell’Esercito però, spedito dal Governo a montarne in fretta e furia uno da campo spendendo un milione. In quello di Cosenza lo spazio per i pazienti covid, infatti, non bastava più. Al danno poco dopo si è aggiunta la beffa di veder convertiti quei tendoni in centro vaccinale, mentre all’ingresso dell’Annunziata la fila di ambulanze cariche di positivi si faceva interminabile. Per garantire il diritto alla salute e quello alla mobilità nell’area urbana ci sono circa 600 milioni di euro. E, infatti, i quattrini scorrono a fiumi. Per realizzare cosa, si vedrà.
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