Che la mamma dei cretini sia sempre incinta è cosa nota, un po’ meno che uno dei suoi figli prediletti metta in mostra le proprie doti a colpi di spray nel cuore di Cosenza. Il giovane, però, ha tenuto a farlo notare questa notte quando, incappucciato, ha pensato bene di nobilitare il muro esterno della sede de La Terra di Piero con una sua opera.
Al cospetto della parete immacolata ha vacillato: «Qui aiutano le persone, cosa scrivere di assurdo per omaggiare mia madre?». Ci fosse stata un’invasione aliena nel Savuto avrebbe potuto optare per un «Marzi ai marziani», ma – trovandosi nel capoluogo – ha dovuto ripiegare su un meno fantascientifico «Cosenza ai cosentini». L’artista – ha assicurato la madre, contattata per l’occasione – ha origini di Creta che rivendica con orgoglio.
La scelta del luogo non appare casuale. L’associazione in questione, fiore all’occhiello della città, è impegnata, tra le tante iniziative, fin dalla sua fondazione in progetti di solidarietà nel cuore dell’Africa. Il legame col continente nero avrà probabilmente stimolato il genio creativo dell’improvvisato Banksyde’ noantri. E così, quando in giro non c’era più nessuno, ha voluto lasciare il segno del suo passaggio, un po’ come fanno i cani quando vedono dei bei fiori e hanno la vescica piena.
Scritta apparsa a novembre sulle sponde del Crati
I tempi cambiano
Ci sono fasci e fasci
Sembrano finiti i tempi in cui era la poesia a trionfare in città, come l’ormai scomparsa «Rainer Maria Rilke regna!» impressa sulle lamiere di un cantiere al confine con Rende. Oggi tira vento da destra anche qui, tant’è che qualche mese fa lungo le sponde del più noto fiume cittadino qualche ragazzino nostalgico di epoche per lui remote – ma non delle lezioni di storia e geografia alle scuole elementari, è evidente – ha vergato «Il Crati mormorò: “non passa lo straniero”». Mentre sul muretto dietro via Miceli non c’è più nemmeno il celebre manifesto dell’antifascismo ortofrutticolo militante dei cosentini: «L’unico fascio ca mi piacia è chiru ‘i vruocculi ‘i rapa».
Galeotto fu… il garante dei diritti dei detenuti. Che la memoria a volte giochi brutti scherzi a Franz Caruso e l’amministrazione comunale di Cosenza lo avevamo già appurato in campagna elettorale quando avevamo chiesto al futuro sindaco (e i suoi sfidanti) i nomi dei sette colli raffigurati nello stemma municipale. Questa volta il vuoto dei ricordi pare aver colpito invece la consigliera comunale Chiara Penna, per poi contagiare anche il primo cittadino e il presidente dell’assise, Giuseppe Mazzuca.
Da Palazzo dei Bruzi, infatti, è arrivato l’annuncio dell’imminente istituzione di una cosa già istituita da quasi due anni: il Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà, appunto.
Il carcere di Cosenza
Penna firma la mozione
La nota partita dal municipio è inequivocabile a riguardo. «Il consigliere e presidente della commissione legalità, Chiara Penna» è la prima firmataria di una mozione depositata affinché Cosenza si doti di questa importante figura. Caruso ha accolto «con entusiasmo» la cosa e si è subito attivato con Mazzuca perché se ne parli al più presto in sala Catera. L’idea, si apprende, arriverebbe dagli avvocati bruzi. «Lo stimolo proveniente dalla Camera Penale di Cosenza non poteva, per quanto ci riguarda – le parole di Caruso e Penna – che essere condiviso pienamente. L’iniziativa della Camera penale “Fausto Gullo” sarà immediatamente sottoposta ai diversi passaggi amministrativi-istituzionali necessari, onde procedere alla istituzione, mediante Regolamento, del Garante».
Paganini non concede il bis, Palazzo dei Bruzi sì
Tutto molto bello, anche perché – precisano ancora i due – «non bisogna dimenticare mai la reale scala dei valori di un ordinamento democratico e, soprattutto, bisogna vigilare affinché gli istituti penitenziari non siano luoghi di violenza e di sofferenza, ma di rieducazione.»
Forse, però, non bisognerebbe dimenticare neanche che il municipio che si amministra si è già dotato, almeno sulla carta, del Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà.
L’articolo dello Statuto approvato nel 2021
È successo, riportano le cronache e il sito istituzionale di Palazzo dei Bruzi, nell’ormai lontano (ma nemmeno troppo) 28 giugno del 2021. Il nuovo Statuto approvato in quella data, infatti, contiene un articolo, il numero 11, che lascia poco spazio ai dubbi. Si intitola, per l’appunto, “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale». E il primo comma recita: «Il comune di Cosenza istituisce il garante dei diritti delle persone private della libertà personale».
Scherzi della memoria
Il Garante, insomma, lo avevano già istituito i consiglieri verso la fine della scorsa sindacatura, giusto pochi mesi prima che cominciasse quella attuale. Al massimo, quindi, mancherebbe il regolamento. Fondamentale, certo, ma il vuoto di memoria – chissà se il relativo imbarazzo – resta.
A confermarlo, il fatto che dal Comune siano arrivate ai giornali due versioni del comunicato di giubilo a distanza di un paio d’ore. Nella prima si parlava a chiare lettere di «modifica dello Statuto». Nella seconda una mano provvidenziale gli ha fatto cedere il posto alla «adozione di un apposito regolamento che dovrà essere deliberato dall’assise cittadina».
Meglio così, commentano i più maliziosi nei corridoi del municipio, altrimenti come si istituisce una cosa che ci sarebbe già?
Si chiama Aliva perché produce oggetti di artigianato di design fatti in ferro e, appunto, legno degli scarti di potatura degli ulivi. Un nome semplice, per un progetto che semplice non è. Perché va ben oltre gli aspetti economici, cui pure ogni azienda – anche la più piccola – deve badare. Aliva si è data una missione: raccontare la storia dei territori proteggendone al contempo la natura. Come farlo? Realizzando prodotti con il legno di alberi secolari senza che uno solo di essi venga abbattuto. Di più, piantandone uno per ogni oggetto realizzato. E, con parte del ricavato, formando gratuitamente i contadini sulle migliori tecniche per proteggere le loro piante.
Fare impresa e difendere l’ambiente è l’idea di quattro giovani calabresi; Antonio Centorrino, Vincenzo Fratea, Gabriel Gabriele e Marco Macrì. «In Aliva – ci racconta Antonio – sono quello che “fa il pr”, curo i rapporti con le aziende e ho disegnato la linea dei prodotti. Chi li ricrea è Vincenzo, artigiano e falegname a Dinami da 25 anni, ne ha 36. Gabriel è uno sviluppatore di Gimigliano e si occupa di tutta la “struttura” web e della sua evoluzione; Marco, di Catanzaro Lido, è il nostro esperto di comunicazione digitale, curerà la promozione e dei social.».
Secoli in cenere
Aliva l’hanno creata durante la pandemia, giorni di call, bozzetti, prove scartate. Ma il seme da cui è germogliato il progetto risale al giorno in cui uno di loro stava osservando il suocero accatastare i rami appena potati nel suo piccolo uliveto. Pezzi di alberi che erano là da secoli e di lì a poco sarebbero diventati cenere in qualche caminetto o stufa.
Perché non farli ancora vivere in un’altra forma, magari una che raccontasse qualcosa del territorio in cui l’albero era cresciuto? La risposta è stata Aliva. Ossia prendere quella legna – ritenuta troppo fresca per usi diversi dal finire nel fuoco – e utilizzarla invece per creare complementi d’arredo. Oggetti, cioè, dalle dimensioni abbastanza contenute da non soffrire l’eccessiva “giovinezza” di una materia prima che, in pratica, non costa nulla.
Storia e modernità
«Siamo partiti con l’idea di utilizzare legna di cui ci sono milioni di tonnellate all’anno gratuite. Già ora abbiamo almeno 50 aziende agricole che ce la darebbero gratis, in quale altro ambito puoi avere tutta quella materia prima senza pagarla? Anche volendo comprarla, spenderemmo meno di dieci euro a quintale e con una quantità del genere facciamo centinaia di prodotti. Abbiamo studiato come potere utilizzare il legno più fresco in maniera funzionale».
E così dai rami di un albero potato a Borgia è nato, ad esempio, Dinami, il primo oggetto prodotto da Aliva. Incarna a pieno lo spirito del progetto: è uno speaker passivo in legno secolare da utilizzare con gli smartphone. Storia, modernità e nessun albero tagliato.
Il primo esemplare di Dinami, lo speaker passivo realizzato da Aliva
Aliva: dalla potatura all’artigianato di design
Ne saranno realizzati soltanto mille esemplari al massimo, tutti su ordinazione, e di ognuno sarà tracciabile l’intera filiera. «Non siamo noi ad occuparci dell’albero che useremo, ma un potatore certificato da un ente nazionale. Ce ne sono quattro, noi ci affidiamo alla prestigiosa “Scuola Potatura Olivo” del dottor Pannelli. In Calabria sono solo cinque i potatori certificati da Pannelli, più altri 14 con attestati di altri enti. Non ci siamo autocertificati perché pensiamo che la collaborazione con un ente esterno autorevole aiuti anche a dar valore a quello che facciamo. Non vogliamo che qualcuno compri qualcosa che facciamo semplicemente per l’estetica. Il valore e il senso dei nostri prodotti è un altro».
Si parte sempre solo e soltanto da scarti di potatura. Poi si trasformano in oggetti dal design minimalista legati a un personaggio, un luogo, un mito da ricordare o scoprire. La Torre dell’orologio nel caso di Dinami, piccolo centro di meno di mille anime nel Vibonese e sede dell’azienda, che ha ispirato l’omonimo speaker. Oppure Kaulon, il portachiavi a forma di tassello di mosaico; l’orologio Milone, simile ai cerchi delle Olimpiadi in cui trionfava il campione crotonese, e quello Demetra, richiamo a un’antica statuetta esposta al museo di Cirò Marina. E poi ci sono i vasi ornamentali Castore e Polluce, omaggio alle colonne dell’omonimo tempio perduto rimaste all’interno di Villa Cefaly a Curinga. Infine, la lampada da tavolo Amendolara, ispirata alle forme della Torre spaccata del paese ionico.
La lampada Amendolara
I vasi Castore e Polluce
L’orologio Demetra
L’orologio Milone
Tre regioni per cominciare
Una Calabria straordinaria eppure a basso costo, insomma, diametralmente opposta a quella tanto cara – in tutti i sensi – alla Regione di questi tempi. «Non sono le classiche icone tipo la Cattolica di Stilo o il monastero di Tropea. Pensiamo abbiano pari valore, ma siano meno stereotipate. Ne doneremo una copia alle comunità anche come stimolo: sarebbe bello se grazie ai vasi Castore e Polluce, ad esempio, qualcuno riprendesse le ricerche del tempio».
Gli oggetti appena elencati compongono la collezione Kalavrìa e un esemplare di ognuno andrà in omaggio ai Comuni che li hanno “ispirati”. In arrivo anche la Trinacria e l’Apulia, così da dedicarne una a ciascuna delle tre regioni che insieme hanno l’86% degli uliveti italiani. «Il valore storico degli ulivi nelle altre regioni è inferiore, hanno poco da raccontare. Non c’è legame storico, ideologico, identitario. Per i pugliesi l’ulivo è un simbolo iconico, è nella loro bandiera».
Un albero piantato per ogni oggetto venduto
Ma è proprio in Puglia che si è consumata una vera e propria ecatombe di ulivi secolari, oltre venti milioni le vittime della Xylella. Aliva prova a dare il suo contributo anche qui. Grazie alla collaborazione con l’associazione pugliese OlivaMi, per ogni oggetto venduto dall’azienda calabrese si pianterà in Salento un nuovo ulivo. E sulla collaborazione, in generale, Antonio, Vincenzo, Gabriel e Marco puntano tantissimo, proprio alla luce di quanto accaduto in Puglia. Lì la Xylella ha fatto scempio degli alberi proprio perché i contadini non parlavano tra loro, spesso per vecchi asti tra confinanti, ed ognuno ha agito per sé con risultati nulli. È mancato il collante, ruolo di cui vorrebbe farsi carico, invece, Aliva in Calabria.
L’unione fa la forza
«Premessa: il nostro primo obiettivo è il profitto. Siamo micro ma pur sempre un’azienda e come tale senza profitto non possiamo sostenerci. Ma ci siamo detti “perché non legare tutto a un progetto ambientale-sociale?”, si potrebbe ottenere un risultato migliore. Se l’obiettivo fosse distribuire corsi di formazione guadagneremmo di più. Ma il nostro non è greenwashing,: non siamo un’azienda che ha sputtanato l’ambiente per 50 anni e poi trova un testimonial green per ripulirsi. Noi non dobbiamo pulirci nulla». Tant’è che i corsi di formazione, li offriranno loro gratis ai proprietari di uliveti con parte del ricavato delle vendite.
La prima potatura da cui è partita la produzione di Aliva
A insediare gli alberi, infatti, non c’è solo la xylella, ma incendi, malattie, altri parassiti e incuria. E insegnare a occuparsi di prevenzione o affidare la potatura a personale qualificato è il modo migliore per preservare le piante. «Io vivo a Bovalino superiore, ma sono originario di Gioia Tauro. Zone piene di uliveti, ma non ho mai avuto la percezione che tra tutti quelli che hanno alberi ci fossero connessioni. Che ci costa provare a essere noi quel collante? Ai Comuni a cui doneremo i primi esemplari che produrremo chiediamo di collaborare alla creazione di un osservatorio sullo stato di salute degli ulivi nel territorio. Il progetto è ambizioso, si tratta di monitorare quasi in tempo reale lo stato di salute degli ulivi in Calabria, Sicilia e Puglia. Il nome del laboratorio lo abbiamo già: SalvOliva».
La sfida comincia ora
Nel frattempo, dopo le prime uscite ufficiali alla Fiera dell’Artigianato di Milano e a RaccontArti a Catanzaro, tocca affrontare un’altra sfida, quella del mercato. Con una confezione che più green non si può per ogni prodotto, ovviamente: cartone riciclato ed un letto di foglie di ulivo al suo interno.
Tempi duri per Eugenio Guarascio. A Cosenza, come presidente della locale squadra di calcio deve fare i conti con le contestazioni dei tifosi. A Reggio Calabria, invece, ha visto sfumare un appalto da quasi 120 milioni di euro potenziali che, soltanto pochi mesi fa, considerava ormai cosa sua. Ecologia Oggi Spa, l’azienda del patron rossoblu, non si occuperà infatti della raccolta dei rifiuti in riva allo Stretto, come pure la ditta dell’imprenditore lametino aveva dichiarato con una nota a fine ottobre. La gestione della spazzatura reggina resterà di competenza della piemontese Teknoservice, che se n’era già occupata negli ultimi tempi e continuerà a farlo per i prossimi 48 (che potranno diventare 60) mesi.
L’appalto finisce in tribunale
L’assegnazione a Teknoservice e non ad Ecologia Oggi del servizio è figlia di una lunga battaglia giudiziaria che ha visto pronunciarsi il Tar prima e il Consiglio di Stato poi. A scontrarsi, da un lato il Comune e l’azienda piemontese, dall’altro quella calabrese. Guarascio contava molto sull’aver fatto un’offerta migliore dal punto di vista economico. La cosa, però, non si era rivelata sufficiente perché da quello tecnico la proposta di Teknoservice risultava decisamente superiore a quella dei rivali. Il problema per i piemontesi, però, era che la commissione chiamata a valutare le offerte e aggiudicare l’appalto non era stata sufficientemente accurata nel motivare le proprie valutazioni. E così, di fatto, le aveva rese contestabili.
Teknoservice già al lavoro
L’aggiudicazione definitiva dell’appalto, pertanto, era rimasta sub iudice. Teknoservice aveva iniziato a lavorare solo grazie a un’ordinanza emanata dal Comune per tamponare l’accumulo di rifiuti che la mancata assegnazione del servizio avrebbe comportato. Poi, nelle scorse settimane, la sentenza del Consiglio di Stato sembrava aver riaperto i giochi per Ecologia Oggi. In realtà, le cose non stavano come Guarascio e i suoi avevano dichiarato. I giudici avevano sì respinto i ricorsi dei piemontesi e Reggio, ma anche chiesto al Comune di motivare meglio i perché della prima scelta pro Teknoservice. E le motivazioni sono arrivate: non c’erano difformità nell’offerta rispetto a quanto richiesto, come lamentava Ecologia Oggi.
Un mezzo della Teknoservice
Il Comune conferma: l’offerta tecnica era regolare
L’ulteriore istruttoria seguita alla sentenza ha consentito – si legge in una determina pubblicata a San Silvestro – di«affermare la validità dell’Offerta tecnica della Teknoservice srl, rispetto alle finalità prefissate dalla stazione appaltante, essendo stato dimostrato, in punto di equivalenza funzionale e di effettiva idoneità al conseguimento dei prefissati obiettivi di raccolta differenziata, che le modalità di raccolta ivi proposte soddisfano pienamente le indicazioni operative recate dalla lex specialis (che di per sé ammetteva varianti ed ottimizzazioni rispetto al progetto posto a base di gara, purché funzionali agli obiettivi dell’Amministrazione comunale».
Costa meno, ma Ecologia Oggi è fuori
Quanto proposto da Teknoservice, insomma, non sarà economico quanto il progetto di Ecologia Oggi (il ribasso rispetto alla base d’asta si ferma a un 1,08%) ma decisamente più efficace rispetto alla concorrenza per ottenere i risultati auspicati dell’amministrazione reggina. «Tant’è vero – si legge ancora nell’atto del Settore Ambiente – che la considerevole diversità quali-quantitativa delle due offerte tecniche si traduce in un forte distacco nei punteggi attribuiti ad esse (59,480 per Teknoservice Srl contro 46,218 per Ecologia Oggi Srl)».
Un estratto dell’atto che assegna l’appalto a Teknoservice
Non esistono, quindi, motivi ostativi all’aggiudicazione della gara, i precedenti rilievi risultano sanati dall’istruttoria extra. A raccogliere i rifiuti per i prossimi 4 anni sarà dunque Teknoservice, in cambio di circa 93,5 milioni di euro, oneri di sicurezza inclusi. Ai quali si aggiungerà un’ulteriore ventina abbondante di milioni nel caso il contratto sia esteso a un quinto anno.
Di profeti, veri o falsi che siano, la Calabria ne ha avuti parecchi nei secoli. Il più famoso? Senza dubbio l’abate Gioacchino, personaggio simbolo della silana San Giovanni in Fiore. Il religioso si ritrova adesso al centro di un dibattito che nemmeno le sue tanto decantate doti divinatorie gli avrebbero potuto far prevedere. In città, infatti, sta andando in scena uno scontro tutto politico che lo riguarda. O, meglio, che vede coinvolto il Centro internazionale di studi gioachimiti a lui dedicato. A darsi battaglia sono la sindaca Succurro e… l’ex sindaco Succurro.
La cosa, però, in municipio pare non interessare quanto in passato. Tant’è che la maggioranza che fa capo alla sindaca ha deliberato poco prima di Natale una drastica riduzione al contributo previsto per il Centro. Da quasi 10.500 euro si passa a 2.000 tondi tondi, un taglio di circa l’85%. Tutto mentre il Comune nello stesso periodo stanzia oltre 70mila euro – costo dell’elettricità escluso – per luci artistiche che illumineranno San Giovanni da qui fino a febbraio inoltrato.
Una variazione di bilancio che fa discutere
Il caso è scoppiato pochi giorni fa, il 20 dicembre, durante un consiglio comunale di indubbia teatralità, la cui visione si consiglia agli amanti del vernacolo. L’aula si è infiammata quando al centro del dibattito sono finite alcune variazioni di bilancio da ratificare dopo la relativa delibera di Giunta. Soldi spostati da un capitolo all’altro o all’interno dello stesso, col Centro internazionale studi gioachimiti a beneficiare di 8.426,53 euro meno del previsto per il 2022. E gli stanziamenti per la voce “Luminarie e addobbi natalizi” in aumento di 40mila euro.
Quest’ultima somma, peraltro, coprirà le spese solo per dicembre. Perché, recita la determina 589 del primo dicembre scorso, «oltre al periodo natalizio, è prevista l’installazione delle luminarie artistiche anche in occasione del periodo dei saldi, San Valentino e Carnevale». Ergo, serviranno altri 33.200 euro, impegnati fin d’ora sul bilancio 2023.
Déjà vu
Il Comune ha optato, in questo caso, per un affidamento diretto, visto il Natale ormai alle porte. A beneficiarne, una ditta in grado di fornire «installazioni esclusive, originali e dal forte richiamo turistico»: la Med Labor. Più che nella San Giovanni in Fiore del 2022, sembrerebbe di essere nella Cosenza del decennio scorso. Qui si parla di Buone feste florensi, lì si parlava di Buone feste cosentine. Anche all’epoca Rosaria Succurro sedeva in giunta, ma come assessore a Palazzo dei Bruzi. E Med Labor infiammava il dibattito politico (e non solo) come e più di adesso.
Palazzo dei Bruzi illuminato dai cerchi luminosi a Natale di qualche anno fa
L’azienda era, infatti, assisa ad esclusivista o quasi delle forniture di luminarie al municipio bruzio a botte di affidamenti diretti sotto la soglia dei 40mila euro (oltre la quale, per la normativa del tempo, sarebbero state necessarie gare d’appalto aperte a più concorrenti) fatturando somme mai guadagnate prima d’allora. La questione finì pure in un’inchiesta della Procura locale sui cosiddetti “appalti spezzatino”. Nemmeno sfiorata da sospetti Succurro; a giudizio invece, tra gli altri, il titolare dell’azienda insieme ad alcuni dirigenti comunali. La notizia finì al Tg1, ma gli inquirenti fecero un buco nell’acqua: imputati tutti assolti perché il fatto non sussiste.
La rendicontazione c’è o no?
Memore senz’altro della buona fattura delle luminarie cosentine, è probabile che la sindaca abbia suggerito Med Labor come «operatore economico con capacità tecniche ed organizzative, che possa fornire quanto richiesto in tempi brevi». Dimenticando, però, l’importanza per San Giovanni in Fiore del Centro studi. E, per di più, senza fornire una spiegazione plausibile al taglio dei fondi.
Succurro, infatti, nel replicare in aula alle critiche dell’opposizione ha giustificato così la scelta di ridurre lo stanziamento: il Centro non avrebbe rendicontato le attività svolte nell’anno precedente, ragion per cui dargli più dei 2.000 euro rimasti avrebbe potuto creare anche problemi con la Corte dei Conti.
Succurro vs Succurro
E qui entra in scena l’altro Succurro, il professor Riccardo, che peraltro di Rosaria è zio. Udite le dichiarazioni della nipote, le ha definite in una nota «fortemente lesive della reputazione e del prestigio del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti». Il giudizio sulla cifra destinata al Cisg dopo la variazione di bilancio? Lapidario: «Mortificante». Non meno severo quello sul perché del taglio ai finanziamenti. «Il sindaco ha affermato che il Centro Studi non ha rendicontato le attività svolte nel 2021. È un’affermazione non vera. Il sindaco mente? Pensiamo non sia informata. Il Centro Studi ha invece rendicontato le attività svolte nel 2021 ed inviato il piano delle attività del 2022 con comunicazioni che gli uffici comunali hanno acquisito agli atti». E con il denaro decurtato prevedeva di realizzare materiale didattico sull’abate Gioacchino da Fiore per le scuole del territorio.
Riccardo Succurro
E l’altro 15%?
Ad alimentare i dubbi è arrivata un’ulteriore nota, stavolta del Psi locale. I socialisti riportano che «in data 20.07.2022 ed in data 19.08.2022, sono state notificate alla Responsabile del Settore Cultura del Comune due note, aventi per oggetto: “richiesta contributo finanziario per l’attività del CISG”. In entrambe sono state allegati i seguenti documenti:
Relazione sulle attività svolte dal CISG;
Piano delle attività per l’anno 2022:
Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2022.
Si precisa che i tre documenti inviati sono stati approvati dall’assemblea dei soci ad unanimità».
Circolano anche immagini di una lettera protocollata che risalirebbe al 28 luglio. Date e protocolli a parte, c’è un dettaglio non da poco: uno dei soci è proprio il sindaco pro tempore di San Giovanni in Fiore. E se anche fossero il professor Succurro o il Psi a non raccontarla giusta resterebbe comunque un dubbio: in assenza delle rendicontazioni, perché dare i 2.000 euro rimasti e non eliminare del tutto il finanziamento, scongiurando così gli eventuali problemi con la magistratura contabile?
Tressette
Ma la querelle tra i Succurro non finisce qui. Rosaria nel suo intervento in aula ha aggiunto che la progettualità del Centro dev’essere adeguata alla linea di indirizzo politico dell’amministrazione comunale. Parole che Riccardo ha accolto così:«Il Centro Studi non è un circolo di tressette che dipende dal Comune. Il Centro Studi è un istituto culturale autonomo statutariamente, giuridicamente riconosciuto di valenza nazionale. Il piano delle attività del Centro viene approvato dall’assemblea dei soci dove il Comune è rappresentato. La programmazione pluriennale del Centro è di altissimo livello culturale ed è apprezzata in tutto il mondo».
Pare che iniziative come il Premio Città di Gioacchino, istituito dalla sindaca e organizzato spendendo qualche decina di migliaia di euro nei mesi scorsi, non incontrino il gradimento del professore. Che alle passerelle di personaggi più o meno illustri continua a preferire lo studio dei testi antichi come omaggio al fondatore della locale abbazia.
La tomba dell’abate Gioacchino all’interno dell’Abbazia florense
Tra zio, nipote e rispettivi enti, insomma, le posizioni sembrano inconciliabili. Qualcuno si diverte a suggerire che per mediare tra le parti si potrebbe piazzare qualche luminaria pure nel Centro Studi. Ma non serve essere «il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato» collocato da Dante nel suo Paradiso per prevedere come andrebbe a finire.
Quando i calabresi (e non solo) hanno appreso degli oltre due milioni e mezzo di euro spesi dalla Regione per far pubblicità alla Calabria dentro (e di fronte a) la stazione di Milano Centrale non sono stati pochi a storcere il naso, Tra questi, lo stesso governatore Roberto Occhiuto, che già nei mesi precedenti aveva battibeccato indirettamente con l’assessore al Turismo (oggi senatore) Fausto Orsomarso per altre iniziative promozionali. Troppo calda ancora la figuraccia fatta col mitico corto di Muccino, costato l’ira di Dio tra realizzazione e messa in onda, per permettersi nuovi passi falsi nel campo del marketing territoriale e del turismo.
A volte ritornano
Una soluzione per evitare – o, quantomeno, posticipare – nuovi esborsi monstre dai risultati imprevedibili, però, alla Cittadella la conoscono già. Basta fare come con mamma Rai, che per farsi pagare quanto le spettava dopo aver promosso la Calabria in tv ha dovuto aspettare un’eternità. Risale infatti al 2011 una pratica riemersa dai cassetti e riapparsa in queste ore sul Burc. Cosa c’è scritto? Che i contribuenti calabresi si troveranno a spendere nei prossimi giorni oltre 800mila euro destinati a pubblicizzare il nostro territorio oltre un decennio fa.
Miss Italia a Reggio Calabria, pubblicità per la regione
All’epoca dei fatti a regnare sulla Cittadella è Peppe Scopelliti, ex sindaco di Reggio. Ed è proprio in riva allo Stretto che si terrà la finale di “Miss Italia nel mondo”. La Rai ha 180mila buone ragioni per far svolgere l’evento lì, tante quanto gli euro (Iva esclusa) che la Regione sborserà per la copertura dell’evento e la celebrazione dei luoghi che lo ospiteranno. Ed ecco i vertici di Germaneto e Saxa Rubra stipulare una prima convenzione il 5 agosto 2011. Ne seguirà, quattro mesi dopo, una seconda. La cifra, stavolta, è più alta, il doppio della precedente. Per 360mila euro più Iva la Calabria troverà spazio in alcune trasmissioni della Tv di Stato nel corso del 2012: Uno Mattina, Linea Blu, Sereno Variabile e la Giostra sul Due.
Impegni
Gli italiani vedono la Calabria sulla Rai, ma la Rai non vede un centesimo dalla Calabria. Gli anni passano e in viale Mazzini iniziano a lamentarsi del ritardo. Email e telefonate alla Cittadella si susseguono, le risposte però non sono quelle che ci si aspetterebbe. Soldi, infatti, a Roma non ne arrivano. Dal Bilancio provano a saldare parte del debito con i quattrini impegnati per la promozione turistica illo tempore, ma la somma basterebbe a versare più o meno la metà del dovuto. Del resto del denaro (e dei relativi impegni di spesa) non c’è traccia. Ci si mettono pure di mezzo problemi informatici alla piattaforma dei pagamenti. E così dalle casse regionali finisce per non uscire neanche un centesimo.
La sede della Rai in viale Mazzini a Roma
Il tribunale dà ragione alla Rai
A essere scomparsi, oltre ai soldi che ci si aspettava già impegnati alla luce delle due convenzioni, sono anche quelli del Dipartimento Turismo, a cui toccherebbe gestire la vicenda. A nulla valgono le sollecitazioni dei colleghi che si occupano dei conti regionali. Nonostante la Rai chieda soldi ormai dal 2016, nonostante abbia fornito più volte negli anni ogni documento possibile (a partire dalle fatture), nonostante abbia pregato la Regione di non farsi portare in tribunale per farle sborsare il dovuto, nonostante in tribunale ci sia effettivamente andata e quest’ultimo abbia riconosciuto con un decreto ingiuntivo ormai esecutivo da maggio 2021 che quei soldi la Rai dovrà averli entro i successivi 40 giorni, non succede nulla fino a quest’estate.
Regione Calabria, riecco i soldi per la pubblicità
È il 28 giugno 2022 – qualcuno trova la formula più efficace per svegliare dal torpore anche il più inoperoso dei burocrati: se ci saranno ulteriori aggravi di spesa, a pagare di tasca propria saranno funzionari e dirigenti rimasti immobili fino a quel momento.
Come per magia – ma senza troppa fretta, alle tradizioni non si rinuncia – riparte l’iter. Prima (siamo in autunno) arriva la copertura finanziaria per circa 400mila euro. Poi, con atto del 14 dicembre pubblicato sul Burc di ieri, si ufficializza come debito fuori bilancio da sentenza esecutiva il resto della somma. Che nel frattempo, tra interessi e spese legali è arrivata a poco più di 816mila euro. Se una parte dovrà essere a carico di qualche burocrate regionale è materia da Corte dei Conti. Ma una cosa è certa: se fossimo nei panni della concessionaria che si occupa della Calabria Straordinaria targata Orsomarso nella stazione Centrale, di fronte a precedenti come questo, qualche preoccupazione per il futuro l’avremmo.
Il miracolo di Natale quest’anno non arriva dalla 34° strada di New York ma da via degli Stadi a Cosenza. Niente Jingle Bells di sottofondo, però: solo silenzio. Né tantomeno regali, ché quelli costano. Eugenio Guarascio, presidente con la passione per il risparmio, è riuscito dove tutti gli altri hanno fallito, compiendo una vera e propria impresa: mettere d’accordo gli ultras della squadra che ha acquistato nell’ormai lontano 2011.
Separati in casa
La parte più calda della tifoseria rossoblu, infatti, si è divisa in due tronconi tra il 2014 e il 2015 e da allora ognuna delle due “fazioni” ha seguito le partite in casa da settori diversi dello stadio. E il divorzio, apparentemente pacifico, è perfino degenerato in scontro in occasione di alcune trasferte del recente passato. Emblematica in tal senso, la battaglia a Matera del 2017, con le due anime del tifo cosentino a darsele di santa ragione nel settore ospiti tra gli sguardi attoniti degli spettatori di casa e del telecronista.
Oggi gli animi sono più pacati e la convivenza in trasferta fila liscia. Di tifare davvero insieme dentro il San Vito-Marulla, però, non se ne parla proprio. La Curva Sud fa i suoi cori, la Nord altri.
Nel match di domenica 18 contro l’Ascoli, invece, si tornerà ai vecchi tempi. Tutti uniti, anche se a distanza. In silenzio, però, per protesta contro l’ultima mossa di Guarascio e del club.
Ultras: il miracolo di Guarascio
Nella mattinata, infatti, il gruppo Anni Ottanta, anima della Nord, ha rilasciato un comunicato per annunciare l’accoglienza che riserverà alla squadra all’ingresso in campo: 15 minuti di silenzio. Il motivo? «Adesso il presidentissimo Guarascio ha deciso anche di chiudere la bocca ai tifosi e agli ultras che lo contestano. Una multa – si legge nella nota degli ultras – è stata notificata ad uno dei nostri lanciacori per aver osato intonare un coro offensivo, accompagnata da minacce di Daspo».
Che l’imprenditore lametino non brilli per tolleranza di fronte a chi ne critica l’operato è cosa nota in città. Sono ancora gli Anni Ottanta a ricordarlo: «Già qualche anno fa aveva applicato il cosiddetto “daspo societario” ad un tifoso ultrasessantenne che aveva osato contestarlo nella tribuna centrale». La novità però, si diceva, è un’altra. E cioè che l’astio verso Guarascio – dopo l’ennesimo inizio di stagione fallimentare – è cresciuto al punto tale che alla protesta della Nord si unirà anche la Sud.
«Indipendentemente dal settore in cui vengono applicati, questi provvedimenti assurdi rappresentano una minaccia per chiunque occupi i gradoni del Marulla. È per questo che tutto il popolo rossoblù – si legge in un altro comunicato, stavolta degli inquilini della Bergamini – deve dare un segnale unito e compatto. Invitiamo tutti coloro i quali prendono posto in Curva Sud a restare in silenzio per i primi 15 minuti della partita».
Un silenzio assordante
Niente cori all’unisono neanche stavolta, quindi. Ma «un silenzio assordante» sì. Poi l’amore per il Cosenza tornerà a trionfare (con voci distinte), sperando che i giocatori facciano altrettanto.
Quel quarto d’ora muto per una squadra che di buono ha avuto finora quasi solo il supporto dei tifosi non è una bella notizia. Resta un dubbio nei più disillusi: dopo 11 anni di disinteresse sul tema, basteranno gli ultras temporaneamente muti per convincere Guarascio a «riflettere su quale sarebbe l’atmosfera nel nostro stadio senza la spinta e la passione del suo pubblico»?
Siete mai stati terroni? Il vibonese Giovanni Parisi una volta sì, quando era povero. Poi, veloce come i suoi pugni, è diventato un campione, uno dei più grandi che lo sport italiano abbia mai avuto. E più veloce ci ha lasciati, schiacciato tra le lamiere lungo le strade di Voghera, la città che lo aveva adottato. Aveva 42 anni. Lassù, nella provincia pavese dove il piccolo emigrante calabrese aveva trovato in palestra il rifugio dalle frecciate degli altri ragazzi sulle sue origini, Giovanni Parisi è ancora un eroe.
Giovanni Parisi, oro olimpico a Seoul ’88 tra i pesi piuma
Oggi invece, pochi giorni dopo quello che doveva essere il suo 55esimo compleanno, di lui nella sua Calabria, nella sua Vibo, non restano che qualche sparuta traccia e sbiaditi ricordi. Eppure di questa terra – che oggi prova con dubbia grazia a intestarsi un briciolo dei successi di Marcell Jacobs celebrandone le estati rosarnesi – Giovanni Parisi resta il solo ad aver vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi moderne. Non solo: insieme a Nino Benvenuti e Patrizio Oliva (trionfatore però nell’edizione “dimezzata” di Mosca ’80) è l’unico pugile italiano ad avere aggiunto nella propria bacheca anche la cintura di campione mondiale, una volta passato tra i professionisti. Parisi di titoli iridati ne ha conquistati due, in altrettante categorie di peso differenti.
Un precedente illustre
Già, le Olimpiadi moderne. In quelle antiche, infatti, la Calabria se la cavava alla grande, tanto da potersi vantare di aver dato i natali a Milone da Crotone, probabilmente il più grande lottatore della sua epoca. Un uomo dall’appetito leggendario, come Michael Phelps, e che proprio come il plurimedagliato nuotatore statunitense aveva fatto incetta di allori olimpici imponendosi in sette edizioni tra il 540 e il 512 avanti Cristo.
La statua di Milone da Crotone esposta al Louvre di Parigi
Di omaggi a Milone, però, il mondo è pieno. La Coca Cola gli ha dedicato una cartolina inserendolo tra i grandi campioni della storia delle Olimpiadi. C’è una città nel Maine (USA) che porta il suo nome. Senza contare la statua di Puget al Louvre oppure quelle nello stadio di Olimpia e nello stadio dei Marmi a Roma. O, ancora, il fatto che a citarlo nelle loro opere ci siano autori del calibro di Shakespeare, Rabelais, Dumas padre e Balzac. E come si chiama uno dei principali appuntamenti per gli appassionati di lotta greco-romana? Trofeo Milone. Giovanni Parisi, invece, di tributi, specie in Calabria, non ne ha mai ricevuti abbastanza. Né dopo la morte, sic transit gloria mundi, né quando la sua stella brillava sotto i riflettori al centro del ring.
Un cartello di benvenuto a Milo (USA)
Da Vibo a Voghera
Giovanni Parisi nasce a Vibo il 2 dicembre del 1967 ma l’abbandona ancora bambino; sua madre Carmela vuole lasciarsi alle spalle un marito uccel di bosco e cercare fortuna al Nord. Ci prova prima a Pavia, poi a Voghera. Carmela non gode di buona salute ma si ammazza di lavoro, dovunque lo trovi, per sfamare i suoi tre figli. Gli anni ’70 passano e Giovanni ha sempre meno voglia di trascorrerli tra i banchi. Irrequieto, diffidente, non esattamente il beniamino di tutti a causa delle sue origini e delle ristrettezze economiche. Una volta salta fuori dalla finestra della scuola (per fortuna la classe è al pian terreno) per darsi alla fuga. Il modo di scappare da quella vita lo trova nella boxe, sport di poveri per poveri.
Il piccolo Giovanni in braccio a sua madre Carmela
Giovanni muove i suoi primi passi nella palestra di Voghera
Parisi e Locarno
Giovanni Parisi e il suo allenatore Livio Locarno
Un ultimo controllo ai guantoni prima di un incontro
Allenamenti in palestra
Giovanni salta la corda
Parisi durante un allenamento a Voghera
È il 1980 quando in palestra arriva quel ragazzo mingherlino, meno di cinquanta chili su un corpo sempre pronto a scattare. L’allenatore Livio Locarno, che negli anni successivi diviene quasi il padre mai avuto prima, lo chiama “nano” per temprarlo. Ma capisce presto che ha davanti uno di quei treni che, se va bene, passano una volta sola nella carriera. Il “nano” in realtà è un gigante. Di più: un campione. È velocissimo, disposto al sacrificio, con tanta fame e nessuna paura. E ha qualcosa che non tutti i pugili, anche tra i migliori, hanno: un pugno da K.O.
Lacrime e ananas
L’unica cosa che sembra poter fermare il ragazzo è l’ansia, che gli manda lo stomaco in subbuglio a ridosso di ogni incontro. Risolverà tutto con un semplice cracker mandato giù negli spogliatoi prima di infilare i guantoni. Da quel momento la strada per Giovanni Parisi si mette in discesa. Nel 1985 è campione italiano tra i piuma, titolo bissato un anno dopo tra i leggeri. Quando le Olimpiadi di Seoul si avvicinano, però, si rompe il metacarpo di una mano. È fuori dalla selezione azzurra in partenza per la Corea del Sud.
La nazionale italiana di boxe in partenza per Seoul ’88
Ritroverà un posto solo grazie a un infortunio identico al suo occorso al collega Cantarella. Ma Franco Falcinelli, il selezionatore della delegazione italiana, non vuole che partecipi nella sua categoria abituale. Per il c.t. la concorrenza lì è troppa, Giovanni Parisi deve dimagrire per tornare tra i pesi piuma, pena l’esclusione dalla squadra. Inizia una corsa contro il tempo: sacrifici, sudore e tonnellate di ananas per tenersi in forza ma perdere peso. Poi, improvvisa, la morte di mamma Carmela. Parisi, distrutto dal dolore, si mette in testa di dover vincere per lei, per restituirle tutto quello che gli ha dato. E si presenta puntuale e in forma smagliante all’appuntamento con la Storia.
Il bambino d’oro: Giovanni Parisi diventa Flash
I Giochi dell’88 rappresentano una delle pagine più buie di quel grande romanzo sportivo che è la Boxe. Restano negli annali per l’oro scippato al leggendario Roy Jones Jr, che dopo aver massacrato per tutto l’incontro il suo avversario Park Si-Hun, vede i giudici assegnare il match all’incredulo e malmesso pugile di casa. Ma nessuno può battere Giovanni Parisi, non ancora ventunenne, in quei giorni.
Il vibonese elimina gli avversari uno dopo l’altro. E quando sale per l’ultima volta sul ring gli bastano un minuto e 41 secondi per chiarire chi sia il campione. Il suo sinistro d’incontro si abbatte come un fulmine sul romeno Daniel Dumitrescu, che non riesce a rialzarsi. Con quel pugno a velocità supersonica Parisi fa suoi l’oro e un soprannome che si porterà appresso per il resto della carriera: Flash. Giovanni festeggia con una capriola poi le prime parole, i primi pensieri, sono per Carmela. E da quel giorno ogni volta che entrerà tra le sedici corde avrà al collo una mezzaluna d’oro su cui ha fatto incidere il nome della madre e la scritta “Seoul 88”.
Un giovane Parisi
Rino Tommasi porge il microfono al pugile vibonese
Parisi si impone su Fernandez
Il podio alle Olimpiadi dell’88
Parisi manda KO il suo avversario
Parisi agli esordi tra i professionisti
Giovanni con la medaglia dedicata alla madre e la cintura di campione del mondo
Parisi mostra la medaglia vinta a Seoul
Giovanni negli Stati Uniti
Flash in America
È ora di passare tra i professionisti. E Parisi anche lì fa scintille. Il primo incontro senza caschetto lo disputa nel 1989 proprio in Calabria, nell’ex Cgr di Melito Portosalvo, a rimarcare il legame indissolubile con la sua terra natia. Tre riprese e l’americano Kenny Brown finisce K.O.
Il titolo mondiale, invece, se lo aggiudica nella sua città d’adozione: il 25 settembre 1992 a Voghera manda a tappeto Francisco Javier Altamirano. La cintura di campione del mondo Wbo dei pesi leggeri è sua. La difende due volte, poi decide di lasciarla per passare tra i superleggeri.
Altamirano va giù e non si rialza, Parisi è campione mondiale
Vuole l’America, si trasferisce lì, entra a far parte della scuderia di un altro mito della boxe (e della truffa): Don King. Il promoter dai capelli elettrici in quegli anni è il dominus della Noble art e gli organizza la sfida dei sogni: a Las Vegas Giovanni Parisi proverà a strappare la cintura Wbc nientepopodimeno che a Julio Cesar Chavez. Il Toro di Culiacàn si rivelerà un osso troppo duro per lui. Parisi resta in piedi fino all’ultimo, ma la sconfitta ai punti è l’unico verdetto possibile. L’appuntamento col secondo titolo mondiale, però, è solo rimandato.
Giovanni Parisi torna in Calabria: la bomba a Vibo
Parisi torna in Europa e nel 1996 a Milano si prende la cintura Wbo dei superleggeri sconfiggendo il portoricano Sammy Fuentes. Decide di difenderla nella sua Calabria, in quella Vibo che ha dovuto lasciare da piccolo. L’accoglienza non è esattamente quella che si riserva al figliol prodigo. Le operazioni di peso si svolgono nell’Hotel 501, ma pochi minuti dopo a due passi dalla hall scoppia una bomba. «È il racket, escluso dall’incontro, che ha voluto farsi sentire in maniera rumorosa? O una premessa estorsiva ai titolari del grande albergo?», chiede Pantalone Sergi dalle colonne di Repubblica. Domande che resteranno senza risposta.
Il manifesto dell’incontro, poi spostato, in piazza San Leoluca a Vibo
Non è l’unico problema da affrontare per Parisi in quei giorni. Monsignor Onofrio Brindisi, parrocco del duomo cittadino, ha costretto gli organizzatori a spostare l’incontro da piazza San Leoluca alla periferia di Vibo. Secondo il prelato, disputarlo di fronte a una chiesa profanerebbe la sacralità del luogo. «Un’offesa alla cristianità? Spero – commenta Parisi – di far cambiare idea a monsignore. Vibo Valentia è la mia città natale e avevamo pensato di valorizzarla facendo ammirare in televisione le sue bellezze artistiche». Sarà per un’altra volta. Parisi sconfigge comunque l’inglese Nigel Wenton e festeggia tra i suoi corregionali. Sul ring dalle nostre parti, però, non risalirà più.
Giovanni Parisi festeggia la difesa del titolo sul ring di Vibo
Il lungo addio
Negli anni a seguire il pugile calabrese difende la cintura altre cinque volte, prima di doverla cedere al messicano Carlos Gonzalez. Prova a riprendersene una un paio d’anni dopo passando tra i welter, ma perde la sfida decisiva contro il portoricano Daniel Santos. Poi i problemi a quella mano che rischiavano di fargli perdere le Olimpiadi dell’88 ritornano, costringendolo a restare lontano dal ring per un paio d’anni. Annuncia più volte il ritiro, poi torna sempre, spinto dalla passione. Ha un’ultima grande chance, prendersi il titolo europeo dei welter contro il francese Frederic Klose. Subisce una batosta, le immagini di suo figlio che piange a bordo ring conquistano le pagine dei giornali. E lui, dicendo addio a quella boxe che gli aveva dato tutto strappandolo alla povertà, dedica al bambino una struggente lettera dalle colonne della Gazzetta dello Sport. È il 2006.
Nemo propheta in patria: la Calabria e Giovanni Parisi
Il 25 marzo del 2009 sulla circonvallazione di Voghera una BMW si schianta poco prima dell’ora di cena contro un furgone. Tra i rottami dell’auto c’è il corpo di Giovanni Parisi. Lì dov’era stato terrone, ora tutti piangono quello che considerano da tempo il loro campione. Danno il suo nome allo stadio e nel decennale della sua morte gli dedicano, col supporto della Rosea, una statua che lo ritrae mentre esce da una pagina del giornale per sferrare uno dei suoi formidabili pugni.
Voghera, la presentazione della statua dedicata a Giovanni Parisi
Vibo, invece, fatica a ricordarlo. Ci provano i tifosi, che di recente hanno realizzato anche un bel documentario dal titolo Flash – La storia di Giovanni Parisi, un po’ meno le istituzioni locali. Certo, c’è ancora la decrepita targa che ricorda l’intitolazione di una struttura nel 2011 al pugile scomparso. Deserta la messa celebrata in suo onore nel 2016. A fine 2020 dal Comune arriva l’annuncio che, su proposta del pentastellato Marco Miceli accolta all’unanimità dagli altri consiglieri, una delle tredici “via Roma” presenti in città diventerà “via Giovanni Parisi”. Due anni dopo pare siano ancora tutte e tredici lì. Quella strada, dichiarava Miceli, avrebbe dovuto «essere da esempio e da stimolo per le nuove generazioni vibonesi, affinché credano nei propri sogni, trovando la forza di non mollare mai». Forse conviene la cerchino altrove, a Voghera magari.
Il ponte di Calatrava potrebbe abbattersi sul Comune di Cosenza. Non fisicamente, ma con un salasso che metterebbe k.o. le già disastrate casse dell’ente. Cimolai Spa, l’azienda che lo ha costruito, ritiene che il suo credito nei confronti di Palazzo dei Bruzi non sia affatto esaurito. E chiede altri 19,2 milioni di euro per il lavoro fatto. Raddoppierebbe così il conto da saldare per il più grande inno alla grandeur cosentina, un gioiello architettonico che, a detta di molti, ora come ora collega il nulla al niente.
L’architetto e ingegnere spagnolo è già una star in patria e all’estero, ma il ponte cosentino sarà – meglio, dovrebbe essere – la prima opera a sua firma in Italia. Dal Rendano parte la prima sfida di Palazzo dei Bruzi, quella alle ovvietà. «La committenza», riportano i resoconti ufficiali di quella serata, ha voluto e avrà «un ponte che colleghi Cosenza con l’Europa», con buona pace dei cartografi e della tettonica a zolle così poco inclini alla retorica da aver già piazzato qualche millennio prima la città nel Vecchio Continente.
Le ultime parole famose
Passano un paio di mesi dalla première al Rendano e nel Salone di rappresentanza del municipio arriva pure la presentazione del plastico del ponte. Le fanno da contorno i primi dettagli tecnici e gli annunci dell’allora assessore all’Urbanistica – e di lì a breve sindaca – Evelina Catizone. Traendo forse ispirazione dal collega di Giunta ed esperto conoscitore delle volte celesti Franco Piperno, Catizone dichiara che «i tempi di realizzazione potranno essere contenuti fra un anno e mezzo e due anni. I costi: 16 miliardi (di lire, nda) per il solo ponte, 34 se si vorranno realizzare anche le opere di complemento, piazza e viali di collegamento alla città compresi».
Evelina Catizone insieme a Franco Piperno
In quelle parole, cariche di ottimismo, si nasconde il segreto per rispettare il cronoprogramma e sconfiggere lo scetticismo generale. Basta infatti calcolare gli anni in questione come se fossimo su Giove, pianeta che per completare tutto il suo giro intorno al Sole impiega oltre 4.300 giorni terrestri. E che ha pure un satellite che si chiama Europa. Se la committenza avesse voluto collegare Cosenza a quello tramite il ponte di Calatrava tutto tornerebbe. E a un costo irrisorio per un’opera così audace.
Secondo il meno confortante calendario gregoriano in uso dalle nostre parti tra quell’annuncio di metà estate del 2000 e il taglio del nastro, invece, di anni tocca contarne quasi una ventina. E il conto da pagare, già più salato del previsto, adesso rischia di schizzare – per restare in tema – alle stelle.
Il tempo se ne va
In omaggio alla tradizione italiana, infatti, nonostante l’opera «stia per passare alla fase esecutiva» a settembre 2001, per aggiudicare l’appalto toccherà attendere l’autunno del 2008, quando il successore di Catizone, Salvatore Perugini, è già a metà del proprio mandato da sindaco. I lavori, stando agli atti, dovranno durare 877 giorni (terrestri, nda). Ad occuparsene, questo l’esito della gara, sarà proprio la già citata Cimolai, colosso delle costruzioni in acciaio.
Se a Venezia si scivola (e non solo), a Cosenza fa discutere il denaro utilizzato – o, meglio, la sua provenienza – per realizzare il ponte, il cui montaggio vero e proprio è partito solamente nel 2014 con un altro sindaco ancora, Mario Occhiuto, insediatosi tre anni prima. È Sergio Pelaia a sollevare il polverone dalle colonne del Corriere della Calabria. Già da tempo il giornalista ha rivelato con una serie di articoli che per anni la Regione ha fatto un uso allegro dei fondi Gescal. Cosa sono? Soldi detratti dalle buste paga dei dipendenti pubblici con l’impegno di realizzarci case popolari. Quel fiume di denaro, però, è finito disperso in mille rivoli, molti dei quali con l’edilizia popolare pare abbiano ben poco a che vedere.
Mario Occhiuto alla riapertura del cantiere del ponte di Calatrava (foto Ercole Scorza)
Un rifugio di fortuna costruito da un clochard sotto il ponte di Calatrava nell’estate del 2021
Paradosso nel paradosso, parte dei fondi Gescal legati davvero alle attività dell’Aterp è stata al centro di un’inchiesta che ha visto protagonisti anche più o meno grandi nomi della politica calabrese, quali Pino Gentile e Antonino Daffinà. Una storia tutta vibonese, quest’ultima, che si è chiusa poche settimane fa per gran parte degli imputati con l’equivalente giuridico dei tarallucci e vino: la prescrizione. A Cosenza invece, nonostante qualche protesta degli attivisti locali per il diritto alla casa, per liquidare la questione Gescal-Calatrava si è optato per una soluzione diversa. Altrettanto efficace, ancora più rapida: il tutto va bene, madama la marchesa.
Una simbolica protesta a Cosenza: 100 casette di cartone sul ponte di Calatrava per criticare l’impiego dei fondi Gescal
Cimolai va all’attacco
Il ponte di Calatrava, oggi intitolato a San Francesco di Paola, all’attenzione di un tribunale c’è finito lo stesso però, anche se finora non se n’è accorto nessuno. A luglio del 2019 Cimolai si è rivolta a quello di Catanzaro chiedendo che il Comune di Cosenza risponda davanti ai giudici di tutto ciò che l’azienda ritiene abbia provocato un «andamento anomalo dei lavori». L’elenco delle doglianze è lungo, ben 35 differenti riserve espresse su altrettanti avvenimenti. Le valutazioni dei singoli danni subiti a causa di quelle presunte anomalie vanno da circa 6mila a quasi 6 milioni di euro. Senza contare gli eventuali interessi maturati nel frattempo, sommandole tutte si sfiorano i venti milioni extra richiesti a Palazzo dei Bruzi.
Un peso notevole nella stima delle perdite ha il lunghissimo stop ai lavori dovuto alle bonifiche del terreno che ha ospitato il cantiere. Il rinvenimento di ordigni bellici e rifiuti pericolosi nell’area ha impedito per anni a Cimolai di dare il via al montaggio della struttura e costretto la ditta a tenere per tutto quel tempo i componenti del ponte – che nel frattempo aveva costruito – chiusi nei capannoni in attesa di poterli portare a Cosenza. Ma non mancano i rilievi relativi a perizie di variante in corso d’opera, aumenti dei costi dovuti allo slittamento dei lavori, presunte discrepanze col progetto messo a gara. E poi, ancora, contestazioni sulle attività extracontrattuali che non sarebbero state retribuite a dovere, il fermo forzato e improduttivo di macchinari e personale tra un’interruzione e l’altra, finanche l’allagamento del cantiere durante una piena del Crati nel 2016.
Il Comune di Cosenza si difende
A Palazzo dei Bruzi, però, sono sicuri del fatto loro, pronti a smontare le accuse punto per punto. Reputano di aver sempre agito nel rispetto delle norme e degli accordi. Le richieste di Cimolai sarebbero quindi pretestuose e infondate dal punto di vista giuridico. L’ammontare dell’eventuale risarcimento, poi, del tutto sproporzionato rispetto a quello dell’appalto originario. Se davvero l’azienda avesse subito danni di tale portata, rilevano in municipio, avrebbe potuto esercitare il suo diritto alla risoluzione del contratto a lavori ancora in corso. Invece Cimolai ha continuato ad affrontare il rischio d’impresa per anni, salvo poi tornare a battere cassa a Cosenza qualche mese dopo la consegna del ponte di Calatrava.
Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza
Alcuni ritardi, inoltre, sarebbero da addebitare ad altri soggetti coinvolti, come le Ferrovie dello Stato o la Provincia. In vista del processo il Comune ha anche assunto poche settimane fa un consulente tecnico, l’ingegnere Francesco Mordente, per far valere le proprie ragioni in aula.
Una parte dell’atto da cui emergono la causa in corso tra Cimolai e il Comune e l’ammontare del contenzioso
«Saccomanno: Lega Calabria si stringe attorno al suo assessore Emma Staine». A leggere una cosa del genere, vien difficile pensare a festeggiamenti. Qualcuno potrebbe addirittura pensare a un lutto. L’amena frase è il titolo, invece, del comunicato inviato alle redazioni dai vertici regionali del Carroccio per celebrare l’ingresso ai piani alti della Cittadella della suddetta Staine. Sarà lei a prendere il posto della leghista reggina Tilde Minasi nella Giunta di Roberto Occhiuto. E chissà se, per sicurezza, leggendo la nota del suo partito non abbia provveduto a telefonare ai suoi cari per sincerarsi della loro salute.
Da Minasi a Staine: le parole della Lega
Il comunicato prosegue con toni meno funerei, ma non troppo. «In occasione del “passaggio delle consegne” tra Tilde Minasi e il nuovo assessore Emma Staine, tutta la dirigenza della Lega ha voluto essere presente per manifestare la vicinanza e la costruzione di una squadra forte che possa sostenerla nel migliore dei modi. Una manifestazione (commemorazione?, nda) sobria, ma molto importante e significativa in quanto si è, finalmente, valorizzata la militanza, l’appartenenza e il merito».
L’email della Lega
Spazio quindi ai presenti alla cerimonia, «dal commissario regionale Giacomo Francesco Saccomanno alla senatrice Tilde Minasi, al deputato Domenico Furgiuele, al consigliere regionale Pietro Raso». Amici che per l’occasione «hanno manifestato il gradimento della scelta operata direttamente dal segretario federale Matteo Salvini ed hanno ringraziato il precedente assessore Tilde Minasi per quanto fatto ed hanno augurato un forte buon lavoro alla Staine, garantendo sostegno e partecipazione. Tanto entusiasmo (sic) per la nuova avventura che, certamente, porterà buoni risultati alla Calabria e che vedrà la Lega anche interessata della difficile materia del nuovo settore dei trasporti». Non fiori, ma opere (pubbliche) di bene. Si dispensa dalle visite istituzionali?
Gestisci Consenso
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.