Autore: Alfonso Bombini

  • Sparrow, 10 anni corsari a Rende

    Sparrow, 10 anni corsari a Rende

    Qualche anno fa si sarebbe scritto okkupato con quella “k” d’ordinanza sulle pareti. Oggi l’ossatura dei centri sociali è profondamente cambiata. Mutata nei linguaggi e nei codici, non nello spirito e nell’impegno di luoghi come Sparrow a Rende. Spa sta per spazio precario autogestito, arrow in inglese è la freccia. Ma non può sfuggire il riferimento al pirata dei Caraibi più famoso del cinema. Interpretato da Johnny Depp.

    cresce e resiste, gli accenti sono sempre quelli delle tante Calabrie di stanza all’Unical. Studenti, precari, creativi, sindacati di base come i Cobas con una sede fino a poco tempo fa proprio nel centro sociale.
    L’ingresso del centro sociale occupato Sparrow a Rende (foto Alfonso Bombini)

    Da Zenith a Sparrow

    Federico è uno degli attivisti della prima ora. Sparrow nasce con gente come lui, allora studente di Scienze politiche all’Università della Calabria: «La lotta sociale autogestita aveva come base il Polifunzionale, il nostro collettivo si chiamava Assalto». Anni di impegno politico, quelli dell’Onda, per questi ragazzi con l’Aula Zenith diventata catalizzatore di esperienze antagoniste.

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    Federico, uno dei fondatori dello Sparrow (foto Alfonso Bombini 2023)

    «Occupata durante la Riforma Moratti, poi rioccupata – ricorda – con le mobilitazioni contro la Gelmini». Cambiano i Governi, resta il solito vizio tutto italiano di mettere mano, provocando danni, alla pubblica istruzione.
    Sparrow cresce e resiste, gli accenti sono sempre quelli delle tante Calabrie di stanza all’Unical. Studenti, precari, creativi, sindacati di base come i Cobas con una sede fino a poco tempo fa proprio nel centro sociale. Pochi giorni fa Sparrow ha compiuto dieci anni. Cifra tonda, da farci una festa di due giorni. E così è stato. Nonostante le insidie di una pioggia fuori stagione.

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    Antonino Campennì, insegna Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università della Calabria (foto Alfonso Bombini)

    Difendere spazi di libertà

    Antonino Campennì, professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Unical, spiega perché un presidio così va difeso: «Negli ultimi anni i motivi per vivere un centro sociale sono aumentati. Dalla crisi del 2008 tante cose sono cambiate. Gli spazi di libertà si sono ridotti ulteriormente», complice anche «il lockdown e lo Stato autoritario». Il prof lo dice da «vaccinato». Chiama in causa uno dei problemi centrali delle nostre vite: il capitalismo securitario e quello della sorveglianza.
    Oggi la sfida è salvaguardare un perimetro che sia «inattaccabile dai condizionamenti esterni, dalle logiche del mercato, dove- aggiunge Campennì – puoi comprare una birra e ascoltare un concerto con pochi euro».
    L’ex succursale abbandonata del liceo Pitagora «poteva essere demolita e capitalizzata, gettata nel calderone delle speculazioni immobiliari ed edilizie, comunque sottratta ai cittadini. Noi siamo qui da dieci anni e lo abbiamo impedito».

    Uno dei numerosi live allo Sparrow (foto Alessandro Aiello)

    Punk e metal a via Panagulis

    Quel che resta del movimento Punk, Skin, Hardcore e Metal dell’area urbana ha subito trovato spazio e ospitalità nell’occupazione di Via Panagulis. Mario, adesso vive e lavora in Spagna, ci racconta la musica che gira intorno allo Sparrow: «In dieci anni sono state centinaia le band underground nazionali e internazionali passate da noi (Hobophobic, Hexis, The Devils, Stormo, Bull Brigade, Arsenico, Plakkaggio, Bunker 66 solo per citarne alcuni). E molte sono partite dalla sala prove autogestita per suonare poi in tutta Italia come Shameless, Eterae, Across e recentemente i Guasto».
    Tra il 2014 e il 2015 matura l’idea di una sala prove autogestita, pensata soprattutto per quei gruppi con poca o nessuna dotazione economica. Il diritto alla musica fuori dalla logica del mercato.

    Creativi e resistenti

    Sparrow è un fortino di resistenti dove hanno radici una serie di esperienze diverse. Dal 2017 prova e mette in scena spettacoli il Kollettivo Kontrora. La pandemia ha un po’ limitato, come era prevedibile, tutte le attività negli anni precedenti organizzate nel centro sociale. Il cinema ha ripreso il suo corso con le ultime proiezioni di una retrospettiva dedicata a David Lynch. Sudore e fatica sono i protagonisti nelle stanze adibite a palestra con un piccolo ring. Qui Carlo allena i suoi ragazzi alla nobile arte. Boxare per resistere. Intanto il negozio gratis continua ad essere uno dei fiori all’occhiello di Sparrow. Un altro pezzo di sharing economy in città. Migranti, studenti, pensionati, famiglie in difficoltà e appassionati del vintage trovano qualcosa da donare o prendere per sé. Non è cosa da poco. Combattere la crisi con la condivisione, percorrendo strade poco battute. Come ha fatto Sparrow in questi primi 10 anni.

     

  • Cotton club studio, Moraca tra chitarre e Calvino

    Cotton club studio, Moraca tra chitarre e Calvino

    Se l’equilibrio è un mistero, come recita una sua canzone, figuriamoci tutto il resto. Un caffè veloce, quelle sigarette masticate tra i denti più che fumate. Passo felpato e veloce, come si addice a un’ala sinistra, oggi la chiamerebbero punta esterna. Un tempo giocava pure a calcio. Non male, dicono. Dice. Proprio in quel ruolo.

    Daniele Moraca è un personaggio da Memorie dal sottosuolo, come quelle stanze inabissate sotto l’ingresso dell’autostrada che ha ribattezzato Cotton Club studio. Vai a sapere perché!
    Gli anni passano, i capelli restano lunghi. Non come quelli di Amedeo Minghi che svaniscono tra i decenni. Una metamorfosi continua fino a somigliare sempre di più allo scrittore e alpino Mario Rigoni Stern. Cercate su google una sua foto se non ci credete.

    https://www.mymovies.it/persone/francesco-maselli/16023/
    Un particolare del Cotton club studio di Daniele Moraca

    Cotton club Moraca

    La tana di Daniele Moraca è il Cotton Club studio. Un luogo dell’anima prima di essere un perimetro di muri e oggetti. Chitarre e Dylan Dog, vinili e foto cinefile, libri di Calvino e Kamasutra. Divanetti ormai sprofondati sotto il peso di chissà cosa. Una pianola confinata sulla sinistra fa molto anni 80. Ogni tanto si siede e tira fuori qualche nota, quando si rompe le scatole di pizzicare corde.
    «Cotton Club studio nasce nei primi anni Novanta. Eravamo nei magazzini a suonare. Si avvertiva già la discesa inesorabile di una città, di un Paese. Ho trovato la mia casa nella casa, oppure la casa sull’albero, fai tu».

    Cinema e cantautori

    «Ho amato il cinema in bianco e nero. Il Neorealismo in primis. E poi Citto Maselli, scomparso da poco. Forse era il 2000, organizzai una rassegna su di lui a Lamezia. Venne con la moglie, fu una settimana incredibile. Un combattente, uno che non si è piegato alle mode della settima arte».

    Ma esiste una identità musicale di Moraca? «Esce fuori – dice – dalle mie canzoni, da quelle degli altri che canto. Le contaminazioni fanno parte di ciascuno di noi. Tenco, Indrigo, Dalla, De André. Quanta storia della musica c’è in personaggi del genere».

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    Da sinistra Sasà Calabrese, Dario De Luca e Daniele Moraca al Cotton Club studio

    Quei bravi ragazzi

    Da tre anni non ci siamo fermati. È una cosa molto bella. Con Sasà Calabrese e Dario De Luca siamo impegnati in questo ciclo di concerti dedicati proprio a Lucio Dalla e Fabrizio De André che non smette di appassionare il pubblico in tutta Italia.

    Daniele Moraca inizia a suonare a 9 anni grazie a suo fratello Paolo in quel di Colosimi, piccolo paese montano. Come da copione gli ha «messo in mano una chitarra, una Eco». Sale sui palchi delle Feste dell’Unità, quando ancora avevano un senso e una religione laica da difendere.
    Gli esordi a 13 anni. La prima canzone in assoluto è Quell’uomo. Il titolo segna già il cammino di un musicista che guarda dentro e si guarda dentro.

    Un pugno nello stomaco

    Sarajevo è il classico pugno nello stomaco per Moraca. «Ogni tanto spunta quel dolore. Sono stato in Bosnia per un concerto patrocinato dall’Unione Europea. Non dimenticherò mai tutte quelle tombe e una città che portava ancora i segni della polveriera balcanica».
    L’esperienza nelle Isole Faroe non è stata solo una tappa musicale. Si è trattato di un «viaggio di studio e ricerca quando collaboravo con Cesare Pitto, professore e antropologo dell’Università della Calabria». Oggi Moraca insegna nelle scuole superiori. Sempre con un chitarra in spalla, immancabile anche in classe.

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    Daniele Moraca sul palco del Festival delle Serre a Cerisano

    Una canzone per te

    Si racconta attraverso una canzone: «Non basterebbero tutte (ride ndr). Ma ne scelgo una. Si chiama Un disegno perfetto, esplora la bellezza dell’infanzia e parla del figlio che non ho mai avuto e mi sarebbe piaciuto abbracciare». Questo abbraccio è per «tutti i bambini», compresi quelli che hanno «perso la vita a pochi metri dalla spiaggia di Cutro».
    E l’amore? Quello vissuto, perso, svanito? «Ho cantato questo sentimento in tante liriche. Ma adesso mi fermo al capolinea di una canzone su tutte: Ho semplicemente rimosso».

    Chi e cosa ha rimosso non è dato saperlo. Resta tra i tanti misteri nascosti sotto la polvere di Cotton club studio.

  • «Tre migranti sopravvissuti a Cutro accolti in Arbëria»

    «Tre migranti sopravvissuti a Cutro accolti in Arbëria»

    Tre migranti pakistani, sopravvissuti alla tragedia di Cutro, arriveranno tra martedì e mercoledì a San Benedetto Ullano, paese arbëresh in provincia di Cosenza. Sono stati affidati all’associazione don Vincenzo Matrangolo di Acquaformosa. Il presidente è Giovanni Manoccio, sempre in prima linea sul tema dell’accoglienza e della difesa di chi fugge da guerre e povertà. A ICalabresi spiega il senso del suo impegno decennale.

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    Soccorritori portano a riva i corpi senza vita dei migranti a Steccato di Cutro
    Dal 2010 opera l’associazione don Vincenzo Matrangolo…

    «Abbiamo iniziato questa avventura di accoglienza nel 2010 ad Acquaformosa. Era come nuotare in mare aperto. Non c’erano figure professionali. Ma c’era la consapevolezza che potevamo farcela. Ragazzi molto motivati e alcuni professionisti disponibili. Erano anni di grande esposizione mediatica del Comune. Tanti giovani lavoravano in questa impresa sociale. L’associazione poi si è allargata in 5-6 comuni poi diventati 10. Con una caratteristica fondamentale: l’accoglienza dei paesi arbëresh. Cinquecento anni prima i nostri avi avevano vissuto la drammaticità di questi momenti. Noi abbiamo ridato ai territori quello che abbiamo avuto dalla Calabria. Siamo stati vecchi ospiti di questa terra. Il progetto ha accolto nel corso degli anni oltre 1600 persone, provenienti da 70 nazioni, 140 etnie. Poi ancora vulnerabili, vittime di tratta. Davvero un campionario incredibile di esperienze. Oggi l’associazione ha 110 dipendenti. Questa economia sociale ha fatto sì che tanti nostri giovani laureati siano rimasti nei loro paesi. E tanti ragazzi che non lo sono hanno avuto una possibilità. Un modello di vita per loro, perché lavorare nell’immigrazione non è facile».

    Studenti stranieri per uno stage ad Acquaformosa dialogano con la mediatrice culturale dell’associazione “Matrangolo”
    Come inizia la sua storia di accoglienza?

    «Il giorno dello sbarco della Vlora  io ero a Bari. Ricordo ancora una madre che partoriva nel porto. I cittadini pugliesi che donavano cibo e vestiti. Ero un giovane assessore. Andammo alla prefettura di Cosenza e facemmo in modo che molti di loro restassero nei nostri paesi. Molti hanno messo famiglia e radici qui da noi. Quel giorno del 1991 a Bari non lo dimenticherò mai. Gente in fuga per la libertà. Da lì nasce la mia volontà di accogliere».

    Cosa c’è dietro quelle parole di Piantedosi sui migranti a Cutro?

    «È la loro cultura. La conseguenza di ciò che avevano fatto poco prima, iniziando la battaglia contro le Ong. Diventano sempre più inumani per dimostrare al loro elettorato razzista e xenofobo che loro non sono come quelli di prima. Una logica conseguenza di un non politico che utilizza un linguaggio meramente burocratico».

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    Quel che resta di una tutina da neonato sulla spiaggia della tragedia a Cutro
    Il centrosinistra ha pure le sue responsabilità

    «Molti sindaci del centrosinistra hanno fatto tanto nelle loro comunità accettando la sfida dell’accoglienza. Ma se penso a Minniti e agli scellerati accordi con la Libia… Ha affrontato l’immigrazione con un approccio securitario.
    Mi auguro che i nostri politici, destra e sinistra, cancellino la Bossi-Fini. Poi serve diversificare tra progetti di accoglienza pubblici e privati. I secondi sono la negazione dell’accoglienza. Su questo il mio partito, il Pd, ha fatto pochissimo. La sinistra ha perso un’occasione».

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    Giovanni Manoccio e la neo-segretaria del Pd, Elly Schlein all’Università della Calabria
    E adesso con Elly Schlein cosa cambia?

    «Credo in un rovesciamento di posizioni. In questi giorni ho parlato con Elly Schlein, la neo-segretaria che, tra l’altro, ho sostenuto al congresso. Da europarlamentare mi invitò a Bruxelles. Si interessava di queste cose. Anche la sua visita a Crotone, privata e senza rilasciare interviste, dimostra un approccio diverso del Pd rispetto a tali problemi.
    La Schlein deve sostituire quelli della mia generazione. E muoversi sull’onda di un entusiasmo palpabile tra la gente. La conosco dai tempi di Occupy Pd. Io c’ero quel giorno a Roma, e ho rischiato di essere arrestato (ride ndr). Non volevano farci entrare nella sede del Partito democratico».

    Autonomia differenziata o secessione? 

    «Una condanna a morte per il Sud. Un processo lungo. Quando ero sindaco di Acquaformosa mi sono accorto che ogni anno arrivavano circa 240 euro per ogni cittadino. E in Lombardia ed Emilia c’erano invece punte di quasi 500 euro di trasferimenti statali pro capite. Quindi? Il welfare pubblico funzionava con questi soldi. Consentivano di gestire asili nido, scuole materne, le strutture del dopo di noi.
    Come fa il Sud a recuperare questo gap se passa la logica dell’autonomia differenziata? Colpirà il welfare, la salute delle persone, i servizi sociali, la scuola. Così si compie un delitto ai danni delle regioni del Sud».

    Roberto Occhiuto alla fine non ha opposto resistenza al ddl Calderoli

    «Un presidente calabrese che cerca di stravolgere la realtà non fa bene né a se stesso né alla regione. La classe dirigente locale è arroccata su stessa. Vive dei poteri logorati, che sono quelli regionali. I nostri ragazzi se ne vanno, i nostri ospedali chiudono, i nostri edifici scolastici non sono a norma».

    Sono finiti i tempi del Decalogo di Firmoza? Oppure lei vede similitudini con quello che accade oggi?

    «Quel decalogo era una provocazione. Ma a rileggerlo si intravede tutto quello che emerge con l’autonomia differenziata. Era anche una trovata mediatica per denunciare l’isolamento istituzionale e politico di paesi dell’Italia interna come Acquaformosa».

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    Il Decalogo di Firmoza
  • Fico frontale contro Occhiuto: «Indebolisce la Calabria»

    Fico frontale contro Occhiuto: «Indebolisce la Calabria»

    Roberto Fico a Cosenza va subito al dunque: «Il governatore Occhiuto indebolisce la Calabria e i calabresi» con il parere favorevole all’Autonomia differenziata. Quella di Calderoli, l’autore del ddl in questione. Ecco pronto l’altro affondo confezionato dall’ex presidente della Camera: «La Lega ha fallito al Sud e per questo li hanno ricacciati al Nord». Poi arriva il bersaglio grosso per il presidente del comitato di garanzia del Movimento 5 Stelle: «Dobbiamo attaccare FdI e il presidente del Consiglio». Perché in merito alla riforma che rischia di dividere l’Italia in due non avrebbe arginato il Carroccio.
    E adesso che il Pd ha cambiato segretario con una (per ora solo annunciata) svolta a sinistra tutto sembra più facile? Fico sottolinea: «So che la Schlein ha delle sensibilità comuni su molti temi quindi vedremo come verranno declinati all’interno del partito democratico. Penso alla transizione ecologica, al salario minimo. Siamo all’inizio di un percorso e dobbiamo valutare».

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    La parlamentare del M5S, Anna Laura Orrico con l’ex presidente della Camera, Roberto Fico (foto Alfonso Bombini)

    Il tour di Fico contro l’Autonomia differenziata

    “Verso Sud. La strada per crescere non è l’autonomia differenziata”. È questo il titolo dell’incontro di ieri a Villa Rendano, organizzato dal Movimento 5 stelle. Prima tappa del tour calabrese di uno degli esponenti di punta dei pentastellati.
    A coordinare i lavori e intervenire per prima è stata la parlamentare Anna Laura Orrico: «Il centrodestra vuole un’Italietta di interessi particolari e regionalismo». Ribadisce i problemi dei piccoli comuni calabresi alle prese con le difficoltà tecniche del Pnrr: «Saranno costretti a rinunciare a 10 milioni di euro». Il Disegno di legge Calderoli «ingigantisce le disuguaglianze». Il rischio è pure la «differenziazione degli stipendi degli insegnanti».

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    Veronica Buffone, assessore al Welfare del Comune di Cosenza

    Senza mezzi termini l’assessore al Welfare del Comune di Cosenza in quota 5 stelle, Veronica Buffone: «Avremo cittadini di serie A e serie B con la riforma Calderoli, che attacca le fasce più deboli e si basa sulla spesa storica».
    Giuseppe Giorno, consigliere comunale di Luzzi, tuona: «La Regione Calabria è disastrosa in merito a questa vicenda».

    Per il consigliere regionale del M5S, Davide Tavernise «la chiamano autonomia differenziata ma in realtà è secessione» e intanto «Occhiuto segue i comandi del suo partito».
    Tra gli interventi spicca quello di Umberto Calabrone, segretario regionale della Fiom Cgil. Che sottolinea l’inadeguatezza e la poca lungimiranza della classe politica rispetto al Ddl Calderoli. Hanno preso la parola anche i parlamentari grillini Antonio Caso e Carmela Auriemma. Fino alla chiosa di Roberto Fico: «Nessuno vuole l’autonomia differenziata se gliela spighi bene».

  • Il cielo sopra Mammola è l’utopia di Nik Spatari

    Il cielo sopra Mammola è l’utopia di Nik Spatari

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    Tutto sommato è facile raggiungere Mammola. Puoi arrivarci da una statale che taglia l’Aspromonte, oppure da sotto, lasciando la 106 Jonica a Marina di Gioiosa. E ci vai essenzialmente per due motivi. Uno per tenere a bada lo stomaco mangiando stocco in una delle due capitali calabresi (l’altra è Cittanova) del predetto prelibato; oppure per nutrire l’anima fermandoti al MuSaBa di Hiske Maas e Nik Spatari, artista di fama internazionale, amico di gente come Pablo Picasso e morto nel 2020.

    Un documentario diretto da Luigi Simone Veneziano ha raccolto il testamento poetico di questo personaggio fuori dal comune. Il lungo lockdown ha frenato la distribuzione dell’audiovisivo prodotto dall’associazione Le sei Sorelle. Da alcuni mesi è tornato ad emozionare il pubblico. In Calabria soprattutto nei cinema storici come il Santa Chiara a Rende.

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    Una veduta aerea del MuSaBa (foto sito www.musaba.org)

    Nik Spatari: un doc per Il sogno di Jacob

    Appena vedi uno come Veneziano, capisci subito che ha buone storie da raccontare. Con Il sogno di Jacob ha riannodato un pezzo di Calabria capace di produrre meraviglia. Regia attenta, fotografia accurata, recitazione appropriata e musiche al passo con la narrazione. E una sceneggiatura affidata alle sapienti mani di Alessia Principe, scrittrice e giornalista de LaC. Con un’incursione-cameo di Gioacchino Criaco, autore di libri come Anime nere e Le Maligredi. Criaco dialoga con Spatari, due sensibilità stregate dalla luce accecante dell’Aspromonte. Una luce in grado di riprodurre la gamma di colori utilizzata da Michelangelo, spiega Nik in una sequenza dell’intervista.

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    Lo scrittore Gioacchino Criaco intervista Nik Spatari e Hiske Maas al Musaba

    Nei manuali si dice metacinema. In realtà la parola è entrata nel vocabolario dei giornali e degli appassionati da tempo memorabile. Veneziano porta sul grande schermo un regista impegnato a realizzare un lavoro per la tv su Spatari e sul Musaba. Sarà un motivo per riflettere su se stesso insieme alla troupe.

    Quando il bambino era bambino

    In principio era un bambino di una Reggio Calabria sotto le bombe sganciate dalle Fortezze volanti. Ai più attenti ricorderà in parte il ragazzino del cult movie The Wall, il film di Alan Parker ispirato al capolavoro musicale e concettuale dei Pink Floyd.
    Uno di quegli ordigni ruba per sempre l’udito a Nik. Da allora sentirà il mondo solo attraverso le tonalità uniche delle sue opere.

    Nel documentario una precisa scelta stilistica mescola il bianco e nero con il colore. Come fa Wenders ne Il Cielo sopra Berlino. Veneziano dice di essersi ispirato espressamente alla cifra narrativa del regista tedesco approdato, non molti anni fa, proprio in Calabria a pochi chilometri da Mammola. A Riace ha girato un film-documentario sul paese dell’accoglienza e la forza del messaggio di Mimmo Lucano.

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    Particolare de “Il sogno di Jacob” di Nik Spatari (foto sito www.musaba.org)

    L’utopia di Nik Spatari

    Nik non dimenticherà mai la bibbia a puntate sulla rivista religiosa letta dalla madre. Le illustrazioni di Gustave Doré e il messaggio universale di quelle storie. Il sogno di Jacob nasce da lontano per poi diventare un’opera d’arte lunga 14 metri. Fogli di legno e colori «alla Spatari» direbbe Hiske Maas per il racconto di Giobbe abbandonato da Dio e dagli uomini.

    Lucano, Spatari e Tommaso Campanella. Tre utopie che si mescolano, si inseguono, percorrono strade poco battute. Non è un caso se un capitolo del documentario del regista cosentino si chiama: “La città del sole”. E Stilo non è lontana da Mammola.

    Il regista Luigi Simone Veneziano e l’artista Hiske Maas al MuSaBa di Mammola durante le riprese de “Il sogno di Jacob”

    Il furto di Jean Cocteau

    Nik Spatari espone a Parigi negli anni Sessanta quando il grande Jean Cocteau gli ruba una tela. Il fatto non sfugge alla stampa della capitale francese. L’episodio è raccontato dal filmaker calabrese nel documentario. Con la sua compagna, l’artista Hiske Maas, alla fine di quel decennio Nik decide di tornare a Sud. Stregati dai ruderi del complesso monastico di Santa Barbara e da un paesaggio ammaliante, mettono radici alle pendici dell’Aspromonte.
    Trasformeranno questo posto in un museo-laboratorio unico. Qualcuno, più di uno, cerca di mettere il bastone tra le ruote a questa coppia di visionari. Tanti ostacoli superati; compresa la superstrada che doveva passare a pochi metri dal MuSaBa. L’ostinazione di Iske contiene pure un messaggio per chi non crede in un futuro quaggiù: «Ci sarebbero mille cose da fare in questa Calabria».

  • Dottor Auser, l’ambulatorio dei migranti

    Dottor Auser, l’ambulatorio dei migranti

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    La sala d’attesa dell’ambulatorio medico Senza confini dell’Auser inizia ad essere affollata intorno alle 15:30. Qualcuno prega, leggendo, forse recitando a voce meno che bassa le sunne del Corano in attesa del suo turno. Una signora africana con un copricapo multicolore non gradisce l’obiettivo della macchina fotografica e si allontana sorridendo. Intanto arrivano una nonna, la sua nipotina con una forte tosse e la mamma che indica al medico un dente. La tormenta da giorni. Storie dei tanti lunedì, mercoledì e venerdì pomeriggio all’Auser di Cosenza.

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    Dentisti volontari nell’ambulatorio dell’Auser a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023)

    Noi non denunciamo, noi curiamo i migranti in Calabria

    «C’è una fascia ampia di migranti in Calabria, come del resto in tutta Italia, esclusa dal diritto di iscrizione al Servizio sanitario nazionale», spiega il presidente dell’Auser territoriale di Cosenza, Luigi Campisani. Qui trovano assistenza di base e specialistica molti degli invisibili presenti nell’area urbana. La Legge Bossi-Fini era entrata in vigore già da alcuni anni quando l’ambulatorio ha iniziato le sue attività nel 2010. «L’invito era quello di denunciare i cosiddetti clandestini – ricorda Campisani -, la missione è stata sempre quella di prendercene cura. Vuole sapere il nostro motto di allora? Eccolo: noi non denunciamo, noi curiamo».

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    Luigi Campisani, presidente dell’Auser Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023)

    Dal Gambia all’Ucraina

    Ogni anno circa 2000 persone hanno accesso a cure completamente gratuite. Prima erano soprattutto africani, da Gambia e Mali in maggioranza. Oggi la geografia dei conflitti si ferma in queste stanze della solidarietà: curdi, afghani, siriani, iracheni e pure ucraini. Completano l’atlante filippini (vive una nutrita comunità in città), bengalesi, romeni e albanesi. Gli italiani sono in aumento. Le crisi ripetute non risparmiano nessuno. Sofferenza e povertà non hanno passaporto.

    L’Auser, finanziato con il cinque per mille, è una diretta emanazione della Cgil e dello Spi Cigl. «Mamma e papà li chiamiamo noi», precisa Campisani. Garantiscono 12mila euro all’anno. Pochi rispetto alle attività svolte. E non sono destinati solo all’ambulatorio, il primo a vedere la luce in Italia. Sono utilizzati, anche se in piccolissima parte, per il centro Auser di Rende (sede della università della terza età) e per gli altri disseminati nella provincia di Cosenza.

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    Valerio e Raffaella Formisani, fratelli e medici dell’Ambulatorio senza confini dell’Auser (foto Alfonso Bombini 2023)

    I medici dell’ambulatorio

    La procedura è sempre la stessa, cambia poco o niente negli altri ambulatori di migranti in Calabria e altrove. Si va dal medico generico dell’Auser. Valuta se sono necessarie visite specialistiche e si procede. Il dottore in questione è Valerio Formisani, volto noto della sinistra in città; da anni presta il suo lavoro e le sue competenze al servizio di chi ha bisogno. Mercoledì pomeriggio è impegnato a medicare un bengalese. Subito dopo esce, saluta, sorride e scambia due parole con il dentista in servizio nella stanza accanto. È Raffaella Formisani, sua sorella.

    I dottor Auser dell’ambulatorio sono odontoiatri, un cardiologo, un ginecologo, un oculista, un internista e due ecografisti. Una ragazza rumena e un’altra afghana danno una mano. Completano la squadra uno psicologo e due assistenti sociali.

    Il mediatore culturale viene dal Mali. Si chiama Ibrahim Conté, da 12 anni è in Italia. Lavora alla San Pancrazio, altra realtà solidale del tessuto urbano. Michele Bochicchio, segretario dell’ambulatorio, accoglie i pazienti. Ha dato pure il suo numero personale ai migranti che lo contattano per prenotare le visite.

    I soldi fermi in Regione

    Come tante altre associazioni del terzo settore, anche l’ambulatorio – il direttore sanitario è Valerio Formisani – si è fermato con le restrizioni imposte dalla pandemia. Dal 2022 ha ripreso a funzionare. I locali di via Cesare Gabriele sono piccoli. Ecco perché il Comune di Cosenza ha concesso all’Auser l’utilizzo del vecchio centro anziani di via Milelli. Un locale molto grande, circa 400 metri quadrati. Dove Campisani intende aprire pure uno sportello di ascolto. L’involucro c’è. Manca la fruibilità. E servono tanti soldi per trasformarlo in ambulatorio. Denaro che pure ci sarebbe. In teoria. «Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha finanziato – sostiene Campisani – un progetto per 500mila euro nel 2019. I soldi sono stati trasferiti alla Regione Calabria. Dove sono ancora fermi, in attesa di essere erogati».

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    Migranti all’ingresso del centro Auser di Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Un presidente per il Mali

    Un progetto di cui vanno molto fieri all’Auser di Cosenza è “Vengo anch’io” per la mobilità assistita. Un’altra tassello aggiunto grazie a un Fiat Doblò donato all’associazione dalla Fondazione Terzo Pilastro di Roma e dalla Pmg Italia Spa di Bologna. Un mezzo attrezzato che consente anche il trasporto delle persone disabili. L’autoveicolo è stato utilizzato anche per la raccolta e la consegna di coperte e vestiario in collaborazione con il Comune di Belsito.
    All’Auser di Cosenza si respira un senso di comunità. Con servizi che non si limitano alle, pur essenziali, prestazioni mediche. Il progetto “Adozione in vicinanza” consente, grazie alle donazioni mensili di alcuni soci, di studiare a una serie di ragazzi stranieri di diverse età. Un giovane del Mali si è diplomato e laureato a Cosenza. Si è specializzato a Parigi in Economia politica. Adesso sogna di tornare nel Paese della mitica Timbuctu per diventare presidente.

     

    Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.

  • San Francesco d’Assisi: la macchina del bene a Cosenza

    San Francesco d’Assisi: la macchina del bene a Cosenza

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    Una fredda domenica di gennaio non scoraggia Rosellina. Dalle 7:30 è già ai fornelli della mensa dei poveri della parrocchia di San Francesco d’Assisi a Cosenza. Da 35 anni trovano qui un piatto caldo, un sorriso ad accoglierli, una coperta o un indumento della taglia giusta. Con l’arrivo del Covid 19 le regole sono un po’ cambiate: i pasti non possono essere consumati all’interno. Ma solo consegnati al di fuori della struttura.

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    Pino Cristiano e sua moglie Rosellina, colonne portanti della mensa dei poveri nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023)

    Rosellina e Pino

    Pino Cristiano è il marito di Rosellina. Immancabili baffi e un’abilità perfezionata nel tempo: accogliere e fare del bene ai tanti che hanno bisogno. Un particolare racconta perfettamente il suo attaccamento alla causa. Nel 2020 ha subìto una delicata operazione al cuore. Con un grosso cerotto sul petto, a due mesi dall’intervento chirurgico, è tornato in cucina.

    Catechista e responsabile della mensa, senza di lui tutto si era interrotto. Sorretto da una grande fede il 67enne ha deciso di andare avanti, nonostante il coronavirus potesse essere estremamente pericoloso, soprattutto nelle sue condizioni di allora. Non poteva mancare. Altrimenti tanti, troppi, non avrebbero avuto un pranzo o una cena completa almeno nel giorno del Signore. Pino e Rosellina sono due simboli di Cosenza capitale italiana del volontariato del 2023.

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    Elisa, Francesco e Damiano volontari nelle cucine della chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Non solo a Natale si fa del bene

    «Pochi ci danno una mano in cucina, siamo sempre gli stessi». Pino ne parla come un dato di fatto, senza lamentarsi, come si addice a chi si rimbocca le maniche e agisce. Comunque lui c’è. Sempre. Le uniche parrocchie a fare un turno al mese sono quella di Loreto e quella di Laurignano.

    Domenica a preparare le porzioni per i bisognosi sono arrivati di buon mattino tre ragazzi: Elisa da Spezzano Albanese, Francesco e Damiano abitano a Terranova da Sibari. Erano già stati in questa mensa dei poveri di Cosenza il 24 dicembre. Hanno deciso di tornare. Non sono tanti quelli che lo fanno lontano dal Natale o dalla Pasqua. Durante le feste religiose si sente il bisogno di donare tempo agli altri. Purtroppo l’indigenza e la fame non hanno un calendario prestabilito. Le trovi puntualmente a due passi da te. O nelle case diroccate della parte vecchia della città. Dove lingue, suoni e odori si mescolano in questo grande suk della sopravvivenza.

    Il francescano 

    Don Francesco Caloiero dal 1983 è parroco nella chiesa di San Francesco d’Assisi, tre anni fa ha superato il 50esimo di sacerdozio. Frate minimo e cappellano militare, ha partecipato a cinque missioni: Bosnia, Albania, Macedonia, Kosovo, Iraq. Non ha mai dimenticato le «colline piene di lapidi a Sarajevo». Era il 1996 e la guerra era finita da poco.

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    Don Francesco Caloiero, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023)

    Prima di celebrare messa a I Calabresi affida una critica perentoria e senza appello: «Ci troviamo in un quartiere senza legalità e le istituzioni sono completamente assenti». Parole sostenute dal tempo passato nel tessuto sociale più problematico della comunità. Non solo mensa dei poveri nella sua parrocchia. «Martedì e giovedì – spiega – sono due giorni di consegna dei pacchi alimentari. Grazie alle donazioni private, gli aiuti del Rotary e del Banco alimentare. Purtroppo capita sempre più spesso di finire le scorte e non poter dare un sostegno a tutti».

    I poveri aumentano con il lockdown

    La situazione è peggiorata con il lockdown imposto per via della pandemia. Pino Cristiano ricorda perfettamente il baratro di tante famiglie italiane e straniere: «Consegnavamo 500 pacchi alimentari due volte a settimana. Alcuni li portavo io stesso a casa di persone che non avevano mai chiesto aiuto; gente che ha sempre lavorato. Piccoli impieghi precari e a nero, ma riuscivano a far quadrare in qualche modo i conti. Il Covid ha cambiato tutto in peggio».

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    Mario Parise allestisce da sempre il presepe della chiesa di San Francesco a Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Zio Mario

    Mario Parise è un’altra presenza quotidiana nelle attività della parrocchia. Tutti lo chiamano zio Mario. Noto in città per il suggestivo presepe che allestisce ogni anno. Si occupa della distribuzione dei pacchi alimentari. Ha stabilito un rapporto diretto con i meno abbienti, ha modi pacati e una grande sensibilità quando qualcuno bussa alla porta della solidarietà: «So che c’è imbarazzo e per questo sono io a chiedere di cosa hanno bisogno». Prima del 2020 «tanti venivano pure per fare una doccia e la barba, ne hanno tanto bisogno coloro che vivono in strada». Disposizioni, evidentemente applicate ai luoghi religiosi, impediscono di ripristinare questo servizio. Ma tra mille difficoltà la macchina del bene non si ferma mai a San Francesco d’Assisi.

     

    Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.

  • L’uomo del cinema aspetta il secolo del Santa Chiara a Rende

    L’uomo del cinema aspetta il secolo del Santa Chiara a Rende

    C’è gente come Tullio Kezich che ha passato una vita al cinema. Altri come Orazio Garofalo non possono farne a meno. Una questione di famiglia. Il Santa Chiara a Rende non è solo il cinematografo più antico della Calabria ancora in funzione. È un luogo predestinato sin dalle origini. Regala sogni ed emozioni dal dicembre del 1925, come La Corazzata Potëmkin di Sergej M. Ėjzenštejn.

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    Orazio Garofalo davanti all’ingresso del cinema Santa Chiara a Rende (foto Alfonso Bombini)

    Il nonno d’America

    Pietro Garofalo lascia Rende per New York nel 1912. È uno tipo scaltro. Dopo le inevitabili difficoltà degli inizi, trova la sua strada. Non se la passa male, gestisce pure un biliardo nel Bronx. Il sogno americano finisce e si sveglia in Calabria nel 1924. Gli resta un bel gruzzolo da investire nell’acquisto di una parte del convento Santa Chiara. Diventerà nel 1925 il cinematografo omonimo.
    Compra un proiettore “Pio Pion”. Oltre 130 posti in sala tutti occupati. Oggi si dice sold out. Al mattino il cinema sparisce e in quel posto si producono fichi secchi.

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    Il proiettore Pio Pion in dotazione al Santa Chiara

    Il buttafuori

    Pietro Garofalo ha tre figli maschi: Italo Costantino, Francesco (che diventerà preseparo di fama) e Antonio. Lavorano col padre. L’ultimo è il buttafuori del cinema Santa Chiara: dopo la prima proiezione trova sempre qualcuno che fa il furbo e vuole restare, gratis, per la seconda. Ci pensa lui. Braccia possenti e spalle larghe. Lo racconta così suo nipote Orazio.

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    Italo Costantino Garofalo

    Il cinema sfida le bombe

    L’epopea del muto, Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio segnano gli albori del Santa Chiara. In sala suona l’immancabile orchestrina. I grandi western americani, la Garbo e poi l’arrivo del sonoro sono impressi nella memoria collettiva di una comunità. La sala è talmente piena e i muri sudano dal calore e dall’umidità. Poi arriva la guerra e ferma il cinema. Mancano le pizze coi film. Italo Costantino Garofalo sfida le bombe degli Alleati, corre a Napoli e torna con le pellicole a Rende. Per certi versi sembra una storia alla Theo Angelopoulos de Lo sguardo di Ulisse.

    La tv uccide il grande schermo

    Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono già un classico del Santa Chiara. Proiettano i film di Fellini, poi quelli con la Loren e la Lollobrigida, la “bersagliera” morta da poco. La macchina dei sogni a Rende si ferma alla fine degli anni Settanta. La tv a colori ha invaso le case degli italiani. Il grande schermo comincia ad avvertire i primi contraccolpi. Il Santa Chiara chiude.

    Nuovo cinema Santa Chiara

    Arintha perde il suo storico cinema. Ma qualcosa si muove. Si moltiplicano le riunioni nel centro storico alla presenza dei Principe (Cecchino e Sandro), i due politici che hanno trasformato Rende in una città modello nella Calabria di quegli anni. Il Comune alla fine rileva la sala diventata una specie di magazzino. Resterà tale per tanto tempo.
    Intanto Italo scrive a Giuseppe Tornatore. Il regista de Il Camorrista e di Nuovo cinema Paradiso, risponde all’appello. E butta giù una lettera per Italo e suo figlio, un giovane Orazio. Li incoraggia a non mollare. È il 1996.

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    La lettera del regista Giuseppe Tornatore a Italo Costantino Garofalo

    Bisogna aspettare il 2015 per la riapertura del Santa Chiara. A tagliare il nastro è il sindaco Marcello Manna. La palla passa ad Orazio. Che mette a disposizione la sua competenza e il suo tempo a titolo interamente gratuito.
    Sono circa 235 i film proiettati negli ultimi 7 anni. Cinema d’autore quanto basta. E in attesa dell’inizio delle pellicole Orazio proietta la sua videoarte: un vero maestro nella tecnica del found foutage.

    I giovedì al cinema Santa Chiara

    La passione di Orazio ha inizio con i giovedì del Santa Chiara. Quando Italo prova ad aprire le pizze e prova le pellicole che poi allieteranno le serate del pubblico pagante. Qualcuna è spezzata, rovinata. Cosa fare? Italo non si dà per vinto. Taglia e cuce come un montatore. «I film non perdono coerenza e non hanno interruzioni. Quanta abilità mio padre». Orazio Garofalo ricorda il suo genitore e mentore. Non dimenticherà mai i ritagli delle pellicole, il proiettore 35 mm a manovella e quel fazzoletto di stoffa aperto sul quale si materializzano le immagini in movimento: così nasce l’amore per il cinema.

    La filosofia di Finuzzu

    Il Santa Chiara di Orazio «non è d’essai ma nickelodeon», espressione nata negli Stati Uniti per indicare il carattere economico e proletario della Settima arte a 5 centesimi di dollaro all’ingresso. Il Santa Chiara procede in qualche modo insieme a un altro simbolo della cultura rendese: il Finuzzu film festival. Sulla terrazza di Serafino, presidente del circolo Reduci e combattenti morto lo scorso anno, la nuova commedia all’italiana ha divertito gli abitanti del centro storico insieme ad anguria, dolci e bibite. Perché il cinema, prima di essere legittima masturbazione mentale degli intellettuali (o presunti tali), è soprattutto arte popolare.

  • Il tè con Platone: la filosofia fuori classe a Roccella

    Il tè con Platone: la filosofia fuori classe a Roccella

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    Prenderla con filosofia non significa affrontare le cose con troppa leggerezza. Almeno a Roccella jonica la pensano così. Qui un gruppo di ex studenti dell’Unical nel 2010 ha dato vita a una scuola estiva di alta formazione proprio in filosofia. Tutto così serio da portare nella cittadina marittima gente anche dall’estero. E questa volta non per il rinomato  festival del jazz.

    Roccella jonica: un tè con Marx e Platone a Scholé
    Remo Bodei è stato direttore della Scuola estiva a Roccella

    Il prof Nizza

    Angelo Nizza è uno dei cervelli che ha costruito questo presidio culturale. Oggi insegna storia e filosofia in un liceo di Oppido Mamertina. Il progetto nasce tra i cubi dell’Università della Calabria. Più precisamente nello studio di Mario Alcaro, allora docente nell’Ateneo di Arcavacata e direttore del dipartimento di Filosofia. Un manipolo di ragazzi brillanti butta giù un’idea che conquista anche il professore Giuseppe Cantarano. Complice il mare di Roccella e la capacità organizzativa di un gruppo affiatato, nel cuore della Locride arriva gente come Remo Bodei, nome noto della filosofia italiana. Allora insegnava alla prestigiosa Ucla di Los Angeles. Avrebbe diretto la scuola estiva per tanti anni. Un appuntamento fisso. Diventando cittadino onorario di Roccella. Un posto particolare. Dove approdano le carrette del mare coi migranti. E la gente è ospitale alla maniera greca.

    Il professore dell’Unical Mario Alcaro si intrattiene con i ragazzi durante una vecchia edizione della Scuola estiva a Roccella

    Scholé in trasferta 

    Alla morte del prof Mario Alcaro, la famiglia offre i soldi vinti con il premio Sila ai ragazzi di Roccella. Grazie a questa donazione nel 2011 nasce l’associazione culturale Scholè per dare continuità alla organizzazione della scuola estiva (oggi diretta da Bruno Centrone e Salvatore Scali) che raddoppia, diventando pure invernale. Le attività si moltiplicano. Compresi i seminari nelle superiori. Non solo in Calabria. Nel 2023 sono già in programma due trasferte a Mirandola in provincia di Modena e Civitanova Marche. «Fare filosofia con i ragazzi, – sostiene Angelo Nizza – approfondimento con relatori di altissimo livello leggendo direttamente i testi è un’operazione non solo culturale e didattica ma anche politica. Le scuole e l’università sono sotto attacco da 30 anni. Aziendalizzare è la parola d’ordine da abbattere».

    Lezione all’aperto durante una della passate edizioni della Scuola estiva di filosofia

    Un tè con Platone

    Socrate e Platone non bastano. Arrivano corsi di fisica, latino e greco. L’Ora del tè è un appuntamento dedicato a letture e conversazioni su argomenti di varia natura, filosofia compresa. Un giardino consente di portare all’esterno gli incontri in primavere e in estate. Qualche film da proiettare e una fisiologica attività ricreativa completano l’offerta. Anche per aggiungere un po’ di spensieratezza. Non fa mai male.

    Pochi soldi molta passione 

    Scholé si regge sull’autofinanziamento. «Se si organizzano attività – spiega il prof Nizza – il nostro progetto comunitario vive e prosegue, altrimenti è un problema. Tessera, contributo spontaneo, cene sociali consentono di fare le cose liberamente, senza dipendere da nessuno».
    Durante il primo lockdown il meccanismo va in tilt. «Abbiamo rischiato di chiudere senza attività in presenza. Non basta il web che abbiamo pur utilizzato». L’unico contributo fisso viene dal Comune di Roccella. Un capitolo di bilancio è dedicato a Scholé. Non è una cifra altissima. Ma è già una gran cosa.
    Il consiglio regionale per alcuni anni ha dato un contributo alla scuola estiva quando era presidente Nicola Irto. Oggi è tutto finito. E con i bandi della Regione pensati per grandi eventi è davvero difficile ottenere finanziamenti.

    Arianna Fermani insegna Storia della filosofia antica all’Università di Macerata, è condirettore della scuola estiva a Roccella

    Il legame con l’Università di Macerata

    Un protocollo di intesa lega Scholé all’Università di Macerata. Dove insegna Storia della filosofia antica Arianna Fermani, condirettore della scuola estiva a Roccella. L’Unical, solo ateneo in Calabria ad avere facoltà umanistiche, non ha un rapporto formale con Scholé. Ma una serie di suoi prof  tra cui Fortunato Cacciatore (altro condirettore della scuola estiva), Guido Liguori, Felice Cimatti, Luca Parisoli, Giuliana Commisso hanno dato, e in alcuni casi continuano a dare, il loro contributo. Tanti altri sono passati dalla suola estiva. Del comitato scientifico fa parte «Gianni Vattimo, uno dei padri del Pensiero debole, che ha soggiornato per un’intera settimana a Roccella jonica, vagando all’interno della cittadina e conversando con la gente. Ha percorso in macchina tutta la Locride». Racconta Nizza.

    Roccella jonica: un tè con Marx e Platone a Scholé
    Fortunato Cacciatore insegna Teoria della Storia all’Università della Calabria, è condirettore della scuola estiva a Roccella

    La filosofia diventa pop ma non è show 

    «Se per pop intendiamo popolare allora sì, siamo pop». Angelo Nizza ci tiene a precisare: «Un pubblico variegato partecipa alle nostre iniziative. Per esempio molti adulti frequentano il corso base di filosofia. Non serve essere già esperti di Hegel. Basta una sana curiosità e il gioco è fatto.
    Non è un pubblico di soli specialisti. Così la filosofia parla a più persone possibile in un senso democratico; anche a chi nella vita si occupa di altro. Tutto senza puzzetta sotto il naso e arroganza da intellettuali.
    Ci guadagnano tutti a Roccella. Non mancano le ricadute positive sul commercio. «La cultura innesca l’economia – sottolinea Nizza – e non il contrario. Fare alcune cose in un piccolo centro ha vantaggi relazionali. Penso ai fornitori, alla gente, la città, tutti i componenti di una comunità».

    Studenti prendono appunti durante una sessione della scuola di filosofia a Roccella Jonica

    Marx a Roccella jonica

    Scholé ha un taglio chiaro, netto. Si capisce dagli argomenti trattati: una scuola estiva dedicata alla rivoluzione, un’altra a Marx. «È apartitica ma fortemente politica» – confessa Nizza: «Non è un festival di filosofia. Non è spettacolo, non è intrattenimento. Non c’è consumo, ma c’è uso. Uso che implica la cura, l’aver cura». Non è un caso se i prossimi appuntamenti sono dedicati a un pensatore rivoluzionario come Spinoza con un week end filosofico in programma dal 26 al 29 gennaio.

    Roccella jonica: un tè con Marx e Platone a Scholé
    Gianni Vattimo, filosofo e teorico del Pensiero debole e Giuseppe Cantarano, prof dell’Unical, a Roccella Jonica

    Caro collega Pino Certomà

    Ci siamo quasi. La biblioteca di Scholé sta per partire. C’è una persona che ha contribuito più di tutti alla sua nascita. È Pino Certomà, originario di Roccella. Ha lavorato come assistente sociale nelle carceri. Abitava a Roma. Ha studiato la filosofia da autodidatta. Al punto da possedere una biblioteca piena di testi fondamentali della materia. Tornava ogni anno in occasione della scuola estiva. Partecipando attivamente agli incontri. Uno di casa a Scholé. Un «caro collega» come lo definì Gianni Vattimo. Oggi Pino non c’è più. La sua famiglia ha donato tantissimi suoi libri ai ragazzi di Roccella jonica. Altri sono stati regalati da Remo Bodei e Pietro Montani. Un bel gruzzolo che aumenta di giorno in giorno. Una specie di «resistenza culturale», dice Angelo Nizza. In una Calabria che ne ha sempre più bisogno.

  • Anpi Presila: c’è sempre tempo per essere partigiani

    Anpi Presila: c’è sempre tempo per essere partigiani

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    Mancava fino a poco tempo fa. Ma da ottobre dello scorso anno anche la Presila cosentina ha la sua sezione dell’Anpi, associazione nazionale partigiani d’Italia. Il presidente è Massimo Covello, ex segretario regionale della Fiom. Adesso è il responsabile dell’ufficio studi Formazione e Archivio storico della Cgil. A I Calabresi spiega perché questo territorio ha bisogno di riannodare il suo legame con la Resistenza.

    La Presila ha un deficit di memoria storica?

    «È stata una delle aree calabresi a più alta intensità di lotta sociale e di protagonismo antifascista. E non solo. Tornerei indietro al pensiero garibaldino e alla lotta dei briganti traditi dalla unificazione dello Stato nazionale, elemento che ha visto crescere tra le masse diseredate uno spirito di lotta. Purtroppo la memoria è un po’ sbiadita in questi anni».

    Molti ritengono, anche a sinistra, che l’Anpi sia anacronistica?

    «Non condivido per nulla chi ha un pensiero di questo tipo. C’è sempre tempo per essere partigiani. Significa aderire a una lezione etica e politica che sta dentro i valori della Costituzione. L’Anpi oggi è un soggetto che deve e può essere rafforzato con una visione moderna e prospettica. C’è bisogno di difendere valori come la libertà, l’inclusione, la valorizzazione delle differenze».

    Non è una battaglia di retroguardia?

    «Restano sempre meno, purtroppo, le persone che hanno condotto in prima persona la lotta partigiana. La realtà ci insegna che la lezione di questa lotta – pluralismo, democrazia, libertà – non sono venuti meno. Anzi, il fatto che negli anni recenti sia entrato in un cono d’ombra l’antifascismo e abbia prevalso un revisionismo carico di un lettura distorta della storia, ha prodotto e sta producendo risultati e fenomeni negativi».

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    Pietro Ingrao a Pedace prima e dopo la caduta del regime fascista. In alcune foto compare Cesare Curcio

    Quanti conoscono una figura come Cesare Curcio?

    «Non solo Cesare Curcio (che nascose Pietro Ingrao). Penso a Edoardo Zumpano, Salvatore Martire, Luigi Prato. Tutti espressione della lotta partigiana qui in Calabria. Senza dimenticare due militari come Filippo Caruso e Mario Martire che, nell’esercizio delle loro funzioni, anche prima dell’8 settembre decidono di schierarsi dalla parte dei resistenti all’occupazione nazifascista».

    C’è stato un antifascismo “minore” al Sud?

    «Gli studi storici più recenti hanno dimostrato che non è vero. Poi è ovvio che lottare contro il Fascismo ha significato in alcuni luoghi imbracciare le armi e unirsi alla lotta partigiana, in altri resistenza per l’affermazione di alcuni valori. Noi abbiamo confinati politici per avere mostrato la loro estraneità e contrarietà al regime di Mussolini. A Casali del Manco c’è stata una cellula molto forte della Resistenza. Che era trasversale: comunista, socialista, in alcuni frangenti anarchica, anche bordighista e cattolica».

    Poi, improvvisamente, cosa è cambiato?

    «Possiamo individuare una data: il 1989 e il crollo del Muro di Berlino. Da lì c’è stato un revisionismo anche a sinistra quasi come se ci fosse una colpa da espiare. Con una interpretazione della storia assolutamente inaccettabile. Le conseguenze sono ben visibili. Comprese le istituzioni locali della Presila vocate a un approccio governista dei problemi, svendendo quei valori di riscatto sociale cari alla generazione dei vecchi gruppi dirigenti.
    Mi vengono in mente Rita Pisano, Pietro D’Ambrosio, Peppino Viafora, Oscar Cavaliere, Eleandro Noce. Anche nella loro storia amministrativa erano ancorati a quella cultura della politica come servizio e riscatto sociale. Invece negli ultimi anni l’obiettivo è stato l’occupazione del sistema istituzionale. E la classe politica locale e regionale? Indifferente ai destini collettivi».

    E la destra ormai è entrata nella ex fortezza rossa

    «Addirittura una delle candidate più votate è una leghista, una delle forze con più consensi è Fratelli d’Italia. Casali del Manco rischia di essere una palude in cui tutte le idee sono uguali. Si è tutti gli stessi e l’unica cosa che conta è l’intercessione per avere accesso a benefici privati invece di promuovere benefici collettivi».

    Un assessore regionale leghista, che smacco per la sinistra?

    «Questa è la conferma della confusione e del grande smarrimento. Che io leggo come una responsabilità storica di quei partiti che, a parole, dicono di rifarsi alla storia della Resistenza. Poi come sia arrivata a diventare assessore la dottoressa Staine è questione politicista. Il suo legame con il territorio non esiste se non per essere nata a Celico e avere origini pedacesi».

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    Emma Staine

    In pochi hanno trovato spazio nelle istituzioni?

    «Sono stati consiglieri regionali Enzo Caligiuri, Ciccio Matera e Giuseppe Giudiceandrea. Il problema non sono gli uomini e le donne, ma le idee per cui ci si impegna in un percorso. L’Anpi nasce qui per dire alle giovani generazioni che questa storia oggi sbiadita e messa in disparte merita di essere riportata in auge, valorizzando il patrimonio accumulato nella Biblioteca Gullo, nel Fondo storico Curcio, Zumpano, Malito. Sono patrimoni librari e documentali misconosciuti. Il nostro intento è metterli in circuito, coinvolgere le scuole in un lavoro di approfondimento e ricerca».

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    Lo studio di Fausto Gullo nella casa-museo che ospita la biblioteca omonima a Macchia nel Comune di Casali del Manco

    Le elezioni si avvicinano e l’Anpi Presila che farà?

    «L’Anpi da statuto non sarà della partita elettorale. Noi vogliamo dare un contributo alla comunità con idee, teorie, valori. Certo, sarebbe una contraddizione se uno si iscrive all’Anpi Presila e poi concorre con Fratelli d’Italia o con la Lega. Intanto siamo in prima fila per la raccolta firme contro l’autonomia differenziata. In quello saremo parte della lotta, eccome».