Autore: Alessia Bausone

  • Superburocrate nomina se stessa nel silenzio della politica

    Superburocrate nomina se stessa nel silenzio della politica

    Nel Consiglio regionale delle leggi che «s’illustrano da sé» può veramente succedere qualsiasi cosa. La politica si dimostra supina rispetto all’incancrenirsi di certe sacche di potere, indifferente ad ogni moto di cambiamento, con conversione lampo anche dei sedicenti rivoluzionari. E la burocrazia fa da contraltare, anche se non mancano commistioni e connivenze.

    Un esempio emblematico è la nomina (prima ad interim, poi effettiva) della segretaria e direttrice generale del Consiglio regionale, Maria Stefania Lauria. Sulla regolarità delle procedure adottate permangono dubbi che la “manina” della politica si sia messa di mezzo.

    Guadagna più di Mattarella e Occhiuto

    È una poltrona che fa gola quella che include segreteria e direzione generale del Consiglio regionale. Due cariche di vertice per una sola persona, che fanno del destinatario della nomina uno dei più potenti nei palazzi della politica calabrese. E anche quello che guadagna più di chiunque altro. Il compenso totale arriva a toccare i 240mila euro annui. Una somma superiore a quella per il presidente della Regione Roberto Occhiuto, che, invece, si ferma a 212mila euro.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Non solo, è addirittura più alta di quella del Presidente della Repubblica, a cui spetterebbero 239.182 euro lordi annuali. Sergio Mattarella, a seguito della sua riconferma, ha chiesto al Mef una riduzione di circa 60mila euro, portando l’importo lordo annuo a 179.835,84 euro come segnale per il Paese. Il presidente del Consiglio dei ministri ha un compenso relativo alla carica di 114mila euro lordi annui.
    Mario Draghi ha rinunciato
    , Giuseppe Conte si decurtò lo stipendio del 20%, arrivando a percepire 91.800 euro lordi.

    Dopo Lauria arriva… Lauria

    La nomina di Lauria come segretaria e direttrice generale ad interim è uscita dal cilindro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il 26 giugno del 2020. A guidarlo era Domenico Tallini, segretario questore Filippo Mancuso.
    Dalla deliberazione e gli altri atti della procedura è emersa da subito l’assenza della pubblicazione nella sezione “avvisi” del sito istituzionale del Consiglio regionale della Calabria di una apposita manifestazione di interesse per ricoprire l’incarico conferito ad interim.

    Tuttavia nell’atto deliberativo si giustifica la scelta «nell’ambito della disponibilità delle risorse interne». Il rischio è di aver violato l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che per le selezioni impone di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati e di valutarle.
    Inoltre, non è mai stato previsto un termine per la conclusione dell’interim; solo il conferimento del potere di predisporre gli avvisi per la selezione del successore di Lauria (che poi si rivelò essere lei stessa).

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    Alessandro Melicchio, parlamentare del Movimento 5 stelle

    L’interrogazione parlamentare del M5S

    In merito, nell’ottobre 2020 il deputato del M5S Alessandro Melicchio e l’attuale sottosegretaria alla Coesione territoriale Dalila Nesci avevano firmato una interrogazione parlamentare all’allora ministra per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone. Quest’ultima ritenne di attivare l’Ispettorato per la Funzione pubblica, che inviò le richieste istruttorie per conoscenza alla Procura di Reggio Calabria.

    I magistrati reggini nel dicembre 2020, per il tramite della polizia giudiziaria, acquisirono tutti gli atti relativi alla nomina di Maria Stefania Lauria. La risposta della ministra replicò o quasi la relazione fornitale all’epoca dal presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, farcita di intenzioni future probabilmente atte solamente, come vedremo, a giustificare nel presente la nomina dell’interim.

    La risposta “attendista” della ministra Dadone

    Scrive Dadone: «Secondo quanto riportato nella relazione (di Tallini, ndr), detta nomina fa parte della rivisitazione della struttura burocratica consiliare, considerata dall’ufficio di presidenza obiettivo fondamentale per la realizzazione del programma politico della nuova legislatura. L’esigenza di riordinare l’organizzazione del consiglio regionale e di varare bandi aperti e partecipati sarebbe supportata, d’altra parte, anche dalla deliberazione n. 20 del 26 giugno 2020 {Modifiche al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Consiglio regionale della Calabria…} con la quale è prevista la partecipazione di professionalità esterne ai bandi in oggetto.

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    Fabiana Dadone

    Per le descritte attività, stante pure la succitata situazione contingente (insediamento nuovo consiglio regionale e l’emergenza epidemiologica), viene fatto presente che «non era, al momento della nomina, astrattamente individuabile un termine finale certo, pur essendo sempre stato intendimento di questa presidenza procedere alle nuove nomine dei dirigenti generali, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, con decorrenza dal primo gennaio 2021».

    Interim e ritardi

    Sulla mancata attivazione delle procedure per il conferimento degli incarichi di segretario/direttore generale si afferma «come l’arco temporale di due mesi non possa, in alcun modo, essere qualificato come ritardo».
    Certo è che, invece, la Regione ha emanato gli avvisi per la selezione “effettiva” il primo febbraio 2021. Sono oltre 7 mesi dall’inizio dell’interim. La procedura si è conclusa in altri undici mesi, alla fine dello scorso dicembre. Un totale di 18 mesi.

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    L’ex presidente del consiglio regionale, Mimmo Tallini e il segretario generale di Palazzo Campanella, Stefania Lauria

    Consiglio regionale, norme violate?

    La deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del 26 giugno 2020, n. 20 (la 21, dello stesso giorno, ha conferito l’interim alla Lauria) ha modificato il Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Consiglio regionale della Calabria. Ora c’è un articolo 11bis: “Procedura conferimento incarichi dirigenziali di livello generale”. Impone per la nomina del segretario e del direttore generale di Palazzo Campanella l’emanazione di due distinti avvisi. Il primo serve a verificare prioritariamente professionalità interne, il secondo a valutare le candidature esterne. Solo laddove siano presenti esigenze di celerità si prevede la possibilità di predisporre e rendere pubblico sul sito istituzionale un unico avviso rivolto sia a dirigenti interni che a soggetti esterni.

    Gli avvisi di selezione predisposti dalla stessa segretaria generale Maria Stefania Lauria, approvati dall’Ufficio di presidenza a guida Giovanni Arruzzolo a febbraio 2021, non contemplano la possibilità a soggetti esterni al Consiglio regionale di partecipare, nonostante il regolamento cambiato “ad hoc” prima di conferire l’interim nel 2020. E nonostante la relazione alla ministra Dadone dell’allora presidente del Consiglio Domenico Tallini che esaltava proprio l’introduzione di una nuova procedura di selezione, aperta e partecipata.

    L’interim “chiacchierato” vale punteggio

    La deliberazione dell’Ufficio di Presidenza numero 17 del 29 dicembre 2021, questa volta a guida Filippo Mancuso, conferisce l’incarico triennale di segretaria e direttrice generale del Consiglio regionale a Maria Stefania Lauria.
    Nell’atto si legge che «dall’esame comparativo delle candidature ammesse (non vengono indicate quali, ndr), il profilo curriculare dell’Avv. Maria Stefania Lauria, dirigente di ruolo del Consiglio regionale della Calabria, appare quello più adatto e maggiormente coerente rispetto agli incarichi da conferire». Tra le motivazioni alla base della scelta vi è proprio l’esperienza maturata durante il periodo (un anno e mezzo) dell’interim “chiacchierato”. Quello del quale la Procura ha chiesto le carte e su cui i parlamentari grillini hanno interpellato la Funzione pubblica.

    In questo iter si sono alternati tre presidenti del Consiglio regionale: Tallini, Arruzzolo e Mancuso, due di Forza Italia e uno della Lega. Tutti hanno sempre difeso la bontà delle scelte fatte. Sarà, allora, una pura casualità che, subito dopo l’ambita nomina, la Lauria abbia nominato nella sua struttura – rispettivamente il 21 gennaio e 4 febbraio di quest’anno – proprio la sorella del deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro, Sabina (poi trasferita in altra struttura), ed il fedelissimo e già portaborse di Filippo Mancuso, Francesco Noto. Scherzi del destino a parte, è una situazione che cristallizza nelle determine la strana commistione tra politica e alta burocrazia.

    Priolo spina nel fianco

    È ancora pendente presso il Tribunale di Reggio Calabria (giudice Valentina Olisterno) il ricorso dell’ex segretario e direttore generale del Consiglio regionale Maurizio Priolo contro la nomina ad interim di Maria Stefania Lauria. Per Priolo è «del tutto illegittima», in quanto «si tratta di un vero e proprio affidamento diretto dell’incarico in aperta violazione di legge». L’ex capo della burocrazia sottolinea che «la durata dell’incarico di reggenza è subordinata alla redazione dell’avviso (di selezione, ndr) da parte della stessa dott.ssa Lauria, con evidente conflitto di interesse». La prossima udienza si terrà a settembre, ma il tema, alla luce della conferma triennale ricevuta, è di stretta attualità.

    Maurizio Priolo
    Maurizio Priolo

    In effetti, nella selezione che portò Priolo ai vertici della burocrazia regionale nel 2015 si affidò la valutazione delle candidature ad un nucleo di valutazione. A comporlo erano il presidente dell’Ordine degli avvocati di Reggio Calabria e due docenti universitari di diritto amministrativo. Provvedeva anche ad esprimere un giudizio sintetico sui partecipanti alla selezione stessa.

    A “giudicare” la Lauria, invece, è stata solo la politica. Prima con l’Ufficio di Presidenza a guida Domenico Tallini, che le ha affidato il “chiacchierato” interim. Poi con quello a guida Filippo Mancuso, che ha messo il placet ad una procedura aperta solo ai dirigenti interni e senza la pubblicazione delle valutazioni comparative del curriculum dei partecipanti. Si attendono sviluppi.

  • Comunali a Catanzaro, tutti con il PD. Ma la D sta per Donato

    Comunali a Catanzaro, tutti con il PD. Ma la D sta per Donato

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    Il centrodestra catanzarese, usurato dal ventennio di Sergio Abramo e scalfito dalle varie Gettonopoli, Multopoli, Farmabusiness e Basso Profilo, è in fermento. Le scelte andranno fatte e anche in fretta. Tutto in mano ai tavoli romani che, esaurito il non matrimonio tra la deputata azzurra Marta Fascina ed il Cavaliere, dovrebbero riprendere a breve. La scelta è tra rinunciare ai propri simboli (come hanno fatto molti consigliere comunali uscenti di  centrodestra in attesa di ricollocazione, definiti da Domenico Tallini come «anonimi») e nascondersi dietro il civismo per paura di “pesarsi” elettoralmente, oppure riorganizzarsi in tempo con una candidatura unitaria (che ad oggi non è pervenuta e, come si dirà, nemmeno tanto ricercata).

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    Mimmo Tallini, ex presidente del Consiglio regionale

    Centrodestra in cerca di una nuova verginità

    Occorre per il centrodestra, quindi, rifarsi una verginità alla svelta. Ed ecco che fin d’ora si è messo in campo un gioco di candidature farlocche e di nomi da bruciare in vista delle Comunali di Catanzaro. Con accuse, veti e giochi delle tre carte tra i vari attori in campo. Eppure a sciogliere la matassa sarebbe bastata la candidatura diretta dell’ex consigliere regionale Baldo Esposito, del presidente del consiglio regionale Filippo Mancuso o della parlamentare Wanda Ferro. Invece, i “big” se la sono data a gambe levate, lasciando il cerino in mano fondamentalmente a Forza Italia e alle liti più o meno sotterranee tra il coordinatore regionale Giuseppe Mangialavori e quello provinciale Domenico Tallini, con in mezzo l’ex candidato regionale Antonello Talerico tornato centrale nel dibattito dopo la vittoria in primo grado del ricorso elettorale contro l’azzurra Valeria Fedele.

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    Wanda Ferro, parlamentare di Fratelli d’Italia

    L’amicizia è sacra

    Alla base della fuga dei notabili, però, ci sarebbe la stretta amicizia tra i citati Esposito e Ferro ed il candidato sindaco Valerio Donato. Amicizia sì, ma non tale da portare ad un appoggio elettorale secondo la deputata meloniana, che avrebbe varie svolte smentito pubblicamente l’ipotesi. Troppe volte, in effetti, al punto di suscitare comunque più di un dubbio agli alleati. Lo stesso Filippo Mancuso, sarebbe pronto con la lista civica “Alleanza per Catanzaro” a rinunciare al simbolo della Lega, che gli sta assolutamente stretto, per “sposare” la causa Donato.

    Difficile per Fi replicare la strategia delle comunali di Vibo Valentia del 2015 (con rinuncia dei simboli di partito e sostegno al “civico” Elio Costa). Equivarrebbe a riconoscere kingmaker elettorale l’esponente di Coraggio Italia, Francesco De Nisi. Quest’ultimo infatti – tramite il consigliere comunale Andrea Amendola, suo referente locale – ha già messo la bandierina su Valerio Donato, la cui candidatura, come è noto, è nata su idea dell’imprenditore Giuseppe Gatto e dell’ex presidente della Catanzaro Servizi, Giuseppe Grillo.

    Incoerente risulterebbe anche la stessa Wanda Ferro che al ballottaggio delle comunali del 2006 sostenne il centrosinistra di Rosario Olivo contro il civico Franco Cimino «perchè deve vincere la politica contro l’antipolitica», disse unitamente a Michele Traversa.

    Torna la balena bianca alle comunali di Catanzaro

    Tante sono le manovre per l’agognato ritorno del “grande centro”, con una sfilza di vecchi e meno vecchi politici democristiani che dichiarano l’appoggio al docente di diritto privato ed ex commissario liquidatore di Calabria Etica. Non mancano anche le sigle di partiti e partitini. Da, appunto, Coraggio Italia con il citato Amendola (che è stato in passato consigliere comunale di Alleanza di Centro e di Forza Italia) all’Udc con Giovanni Merante, già consigliere comunale di Catanzaro dal 2006 con la Dc, poi anche assessore con Sergio Abramo nel 2008.

    Giova ricordare che proprio con l’Udc ha corso alle ultime Regionali il notabile di centrodestra Baldo Esposito. Presenti anche il nuovo Cdu, con l’ex assessore comunale Vito Bordino, e Italia viva che con il senatore Ernesto Magorno (e l’ex parlamentare Brunello Censore, unitamente al sindaco di Sellia Marina, già candidato con il centrodestra alle Regionali, Francesco Mauro) ha espresso pubblicamente l’orientamento del partito a sostegno di Donato.

    L’ex sindaco Dc e non solo

    Incognita Azione, Noi con l’Italia e mastelliani sono già schierati a favore del citato Antonello Talerico, che in queste ore continua il suo braccio di ferro con Mangialavori e al contempo è in fase dialogante sia con Donato che con Fiorita.
    A sostenere Donato ci sono anche altre personalità del passato politico catanzarese come l’ex consigliere e assessore comunale (con Sergio Abramo nel 2001) e provinciale (nel 2008) Vittorio Cosentino, già esponente di Alleanza Nazionale; l’ex sindaco di Catanzaro nel 1992 in quota Dc, Francesco Granato.

    L’elenco comprende pure Caterina Laria, anch’essa già assessora con Sergio Abramo e nel 2012 candidata alle comunali con la lista Scopelliti (le sopraggiunse una condanna in primo grado per peculato durante la campagna elettorale). Piccolo particolare: la Laria fa parte di “Comunità competente” di Rubens Curia insieme ad Amalia Bruni. Insomma, il centro c’è ed è pronto a pesarsi elettoralmente a Catanzaro.

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    Ernesto Magorno, parlamentare di Italia Viva e plenipotenziario renziano in Calabria

    Il garofano perde petali

    Il Psi, invece, si spacca e perde pezzi. Dopo l’1,83% della lista regionale a sostegno di Amalia Bruni. Il segretario provinciale Pierino Amato si dimette e “abbraccia” Donato.
    Politico di lunghissimo corso, classe ’39, già consigliere comunale e presidente della Provincia, consigliere regionale della Margherita e del Pd, assessore all’Agricoltura con Agazio Loiero e poi vicepresidente del Consiglio regionale all’epoca di Scopelliti, Amato è stato anche Presidente del Lions Club di Catanzaro.

    Nel 2015 lascia il Pd e passa al Psi, esperienza oggi conclusa, nonostante fosse la scorsa estate in prima fila al Parco Gaslini di Catanzaro alla presentazione del cosiddetto “Nuovo Centrosinistra” a favore di Nicola Fiorita e ora in campo con il “suo” circolo dedicato a Carlo Rosselli è in prima fila a favore del docente universitario della Umg.

    Il garofano rosso a sostegno di Donato (almeno idealmente, data la difficoltà a comporre una lista autonoma) ci sarà ugualmente. È arrivato, infatti, il sostegno di Domenico Fulciniti, storico coordinatore regionale del Nuovo Psi (collocato stabilmente nel centrodestra dato alle regionali 2014 aveva pubblicamente sostenuto Wanda Ferro, mentre nel 2020 Jole Santelli). Scampata, quindi, almeno in parte, la scissione dell’atomo.

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    Nicola Fiorita, professore universitario e candidato a sindaco del centrosinistra

    Da campo largo a campo di calcetto

    Fermento anche tra i dem. Al di là dei numeri e del decantato “campo largo” ( «di calcetto» però, secondo la battuta dell’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale Alcide Lodari) un fatto è chiaro: il dispensamento di pennacchi avvenuto con i congressi (regionale, provinciale e cittadino) del Pd non è servito a nulla. Sulle amministrative si rilevano importanti diaspore in casa dem.

    Era già avvenuto in parte nel 2017, con esponenti del Pd che abbandonarono partito e coalizione per sostenere l’allora civico puro Nicola Fiorita contro l’ormai ex consigliere regionale Enzo Ciconte.
    La fuga dei democrat è certificata da una sequela di comunicati stampa contenenti prese di distanza dal Partito e, contemporaneamente, pubblici atti di devozione all’altro PD (il partito di Donato).

    2022, fuga dal PD

    A “fare male”, in quanto sonoro schiaffo politico, è l’addio del sindacalista Fabio Guerriero (il fratello Roberto, consigliere comunale, è tra i “donatiani” della prima ora), primo dei votati a Catanzaro città (con 1.861 preferenze in città e 4.291 totali secondo Eligendo) alle ultime Regionali a sostegno di Amalia Bruni.

    Fabio Guerriero, a Roma con il ministro Orlando e a Catanzaro con Donato

    Fabio Guerriero è stato candidato alla Camera con il Pd nel 2013, molto vicino al già vicesegretario nazionale del Pd e attuale ministro del Lavoro Andrea Orlando, che lo scorso settembre giunse in Calabria a sostenerne la candidatura regionale. Piccolo particolare: Orlando e Boccia sono strettamente legati. Questo addio rischia dunque di portare ad un indebolimento della lista del Pd, con buona pace delle mosse del responsabile nazionale enti locali dei dem. Oltre a lui, si registra il sostegno a Donato dell’ex vicesindaco di Catanzaro, Antonio Argirò che lasciò il Pd per abbracciare “Autonomia e diritti” di Agazio Loiero. L’ex presidente della Regione, tra l’altro, in queste ore molto attivo a reperire candidati a favore di Valerio Donato.

    Gli altri con Donato per le Comunali di Catanzaro

    A sostegno di Donato ci sarà anche anche l’esercito di ex. Pino Tomasello, già coordinatore della segreteria provinciale del Pd di Catanzaro fino a due anni fa e prima ancora capo di gabinetto del Presidente della Provincia del Pd, Enzo Bruno; la dottoressa Elena Bova, che nel 2017 abbandonò il Pd per candidarsi a sostegno di Nicola Fiorita e ora lo ri-abbandona per sostenere il docente catanzarese; l’ex segretario del Pd di Santa Maria, Maurizio Caligiuri (che fino a poco tempo fa rappresentava il Pd al tavolo del “Nuovo centrosinistra” di Catanzaro); l’ex segretario del circolo Pd di Catanzaro centro, Antonio Menniti, l’ex segretario provinciale (e candidato alle regionali del 2020 e del 2021), Gianluca Cuda e l’ex consigliere comunale dem Antonio Gigliotti.

    Boccia chiama, Iemma e Viscomi non rispondono

    In tutto questo marasma il già citato ex ministro Francesco Boccia ha chiesto un impegno diretto a candidarsi  in prima persona alla Presidente regionale del Pd Giusy Iemma e al deputato Antonio Viscomi. Entrambi, per paura del flop dell’intera lista alle comunali di Catanzaro, pare abbiano risposto picche. La Iemma è molto vicina al già citato ex vicepresidente del Consiglio regionale Vincenzo Ciconte (il fratello Andrea è stato anche per anni suo portaborse), che ha visto una delle sue figlie conseguire il dottorato di ricerca proprio con Valerio Donato. Seppur lontano dalla scena politica da due anni, oggi non si esclude brami una rivincita nei confronti del suo ex sfidante del 2017, Nicola Fiorita.

    Antonio Viscomi, parlamentare del Pd e professore universitario

    A Fiorita resta il simbolo. E poi?

    Difficilmente il Pd sarà sostenuto dalla ex candidata e attuale membro dell’assemblea regionale Aquila Villella, collega di cattedra universitaria e sodale di Valerio Donato. Si è in attesa di conoscere l’orientamento della cognata, Amalia Bruni, che a Palazzo Campanella tenta di fare da garante dell’intesa e dell’opposizione M5S-Pd, oggi molto scricchiolante.

    Un altro esponente dell’assemblea regionale del Pd è Francesco Pitaro, attuale portaborse del consigliere regionale Raffaele Mammoliti, che miete vendetta nei confronti di un Pd che lo ha escluso all’ultimo minuto alle ultime regionali ed è tentato dal seguire il fratello Pino (attivo con Francesco De Nisi in Coraggio Italia) nel predisporre una intera lista a sostegno di Donato.
    Insomma, a Fiorita nel Pd di Catanzaro rischia di rimanere solo il simbolo ed una piccola cordata composta dalle sardine (!), dal segretario Fabio Celia e dal fedelissimo di Enzo Bruno col sogno di un assessorato comunale, Salvatore Passafaro. E la campagna elettorale è appena cominciata.

  • Tallini d’Achille: Mimmo sfida FI e Mangialavori, ma la Severino…

    Tallini d’Achille: Mimmo sfida FI e Mangialavori, ma la Severino…

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    L’assoluzione di Domenico Tallini un mese fa nell’ambito del processo Farmabusiness da parte del Gup distrettuale di Catanzaro Barbara Saccà ha disatteso le accuse di Gratteri e i suoi. In attesa del deposito delle motivazioni (tra circa 60 giorni) e di sapere se la Dda appellerà la decisione, il dato politico è chiaro: l’ex Presidente del Consiglio regionale è in gran spolvero.

    «Occhiuto piccolo e meschino»

    Subito dopo la pronuncia giudiziaria è stato tutto un susseguirsi di dichiarazioni alla stampa. Con una nota (molto formale) il coordinamento regionale di “Forza Italia Calabria” (che ha a capo il senatore Giuseppe Mangialavori che, però, non appone il suo nome in calce) affermava che l’assoluzione «restituisce dignità politica a un uomo delle istituzioni», con l’auspicio che «Tallini possa al più presto riprendere il cammino politico interrotto».

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    Mangialavori e Occhiuto durante l’ultima campagna elettorale per la Regione

    Queste, invece, le parole del presidente della Regione, Roberto Occhiuto: «L’assoluzione dell’ex presidente del Consiglio regionale della Calabria, Domenico Tallini, è una bella notizia: è stata finalmente ratificata la sua estraneità ai fatti che gli venivano imputati. Allo stesso tempo altre decisioni arrivate oggi – 14 condannati, con pene che variano tra i 16 ed i 2 anni di reclusione – dimostrano che il processo ‘Farmabusiness’ era tutt’altro che campato per aria».

    Il Mimmo furioso

    La dichiarazione di Occhiuto ha mandato su tutte le furie Tallini. Che in una chat di WhatsApp con qualche centinaio di simpatizzanti politici si è lasciato andare. «Registro che il Presidente Occhiuto Roberto sembra più preoccupato delle ricadute negative sulla procura catanzarese che della mia estraneità ai fatti. Ambire ad essere un grande Governatore e nel contempo rilasciare dichiarazioni che dimostrano riverenze e sottomissioni nei confronti della magistratura… Significa essere piccoli e meschini».

    Una versione edulcorata poi nella nota pubblica del suo “pupillo” e commissario di Forza Italia a Catanzaro, Ivan Cardamone: «Tallini meritava maggiore e più concreta fiducia dai vertici del partito… Una fiducia che non è stata ricambiata nel tempo».

    Il ritorno in campo

    Il ringalluzzito Tallini non ci sta a recitare ruoli di secondo piano né, tantomeno, a limitarsi a fare l’offeso. Forza Italia ha nicchiato di fronte all’accusa di concorso esterno e voto di scambio avanzata dalla Dda di Nicola Gratteri, ma, al contempo, non lo ha mai sostituito come commissario provinciale del partito. Certo, non sono mancati nuovi innesti politici catanzaresi voluti da Mangialavori che dovevano fungere da contraltare al “tallinismo”: in primis l’arcinemico Marco Polimeni – presidente del Consiglio comunale di Catanzaro e (ex?) pupillo dell’ex candidato Udc, Baldo Esposito – e Antonio Chiefalo, l’ex commissario cittadino della Lega.

    Tallini vs Mangialavori: ennesimo round

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    La neo consigliera regionale Valeria Fedele

    Sia alle Regionali che alle Provinciali di Catanzaro, Tallini e Mangialavori sono stati “separati in casa”. Nella prima competizione, il vibonese ha puntato le sue fiches su Michele Comito e (ma solo ad esclusione e per arginare altri non graditi competitor) Valeria Fedele. Tallini, a sua volta, fece votare la figlia dell’ex capogruppo regionale di Forza Italia, Claudio Parente, Silvia.

    Alle Provinciali dello scorso dicembre, invece, i due notabili azzurri corsero con due liste separate. Mangialavori (con Fedele e Polimeni) con la lista “Noi in Provincia”, Tallini con “Centrodestra per la provincia”. Vinse la prima 3 a 1. Ma ora, con il round delle amministrative del capoluogo, si gioca una nuova partita, ancora più importante.

    Come a Vibo non si può

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    Valerio Donato

    Le amministrative di Catanzaro sono, da tempi non sospetti, l’emblema del trasversalismo e del trasformismo a tinte civiche. I partiti dimostrano la loro debolezza ed in questo momento è proprio il centrodestra, usurato dal ventennio di Sergio Abramo (nonostante la vittoria alle elezioni regionali e a quelle provinciali), ad essere in tilt (ci torneremo).
    I candidati di peso se la sono data a gambe. La parlamentare di Fdi, Wanda Ferro e il presidente del Consiglio regionale in quota Lega, Filippo Mancuso, hanno entrambi rifiutato la candidatura come primi cittadini. Lo stesso ha fatto il già citato Baldo Esposito.
    E la tentazione di virare sul PD (leggasi “Partito di Donato”) si fa forte.

    Lo stesso Mangialavori fece qualcosa di simile alle comunali di Vibo Valentia del 2015, virando sul magistrato Elio Costa. In quell’occasione Forza Italia rinunciò al simbolo, la Lega non c’era e Fratelli D’Italia corse da sola. Oggi un’opzione del genere non è praticabile, pena risultare un mero gregario dei centristi (in particolare del consigliere regionale vibonese Francesco De Nisi) che con Coraggio Italia e l’Udc si sono già posizionati sul “civico” Valerio Donato.

    Tallini e le candidature

    Dall’altra parte, si susseguono i comunicati di Domenico Tallini. Invita ora all’unità, ora a far cadere quelli che definisce «assurdi veti» (nello specifico, a suo dire, quello di Mangialavori sull’ex candidato azzurro Antonello Talerico). Si è ripreso la scena politica al punto da proporre al tavolo del centrodestra la candidatura a sindaco (nientepopodimeno che) del suo avvocato difensore, Valerio Zimatore. Insomma, uno stallo che ha, giocoforza, rimesso ai tavoli romani (più volte bistrattati in sede locale) una scelta che ancora tarda ad arrivare.

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    Il Comune di Catanzaro

    Che Tallini si ricandidi a consigliere comunale pare cosa certa. Con buona pace delle ambizioni in area azzurra dell’assessore Ivan Cardamone e del consigliere provinciale Sergio Costanzo. Difficile che Tallini viri su Donato (politicizzerebbe troppo la candidatura e, dicono, non sarebbe ben accetto), per cui in spolvero, un po’ obbligato, c’è anche la sua fede partitica. Insider del Comune di Catanzaro parlano di una lite tra l’assessore Franco Longo, vicino al leghista Filippo Mancuso, e lo stesso Tallini. Secondo il gruppo che fa riferimento al presidente del Consiglio regionale, si vocifera, una candidatura diretta di Tallini sarebbe negativa per un centrodestra già ammaccato (e disgregato).

    Lo sgambetto della Severino

    La voglia di “contarsi” di Tallini, però, deve fare i conti con la legge Severino. Lo scorso gennaio, l’ex presidente del Consiglio regionale è stato condannato dal Tribunale di Catanzaro per abuso d’ufficio nell’ambito del processo “Multopoli”.

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    L’ex ministro Paola Severino

    Il Decreto Legislativo 235 del 2012 (articolo 11, comma 1, lettera a) prevede la sospensione di diritto per 18 mesi per il consigliere comunale condannato con sentenza non definitiva per determinati reati, tra cui l’abuso d’ufficio. Una norma “salvata” dalla Corte Costituzionale che ritenne ragionevole che una condanna (ancorché non definitiva) per alcuni reati susciti l’esigenza cautelare di sospendere temporaneamente il condannato dalla carica, per garantire la “credibilità” dell’amministrazione presso i cittadini ed il rapporto di fiducia che lega la prima ai secondi (sentenza 236 del 2015).

    La normativa e la giurisprudenza sono chiare: la sospensione arriva anche se la condanna avviene prima dell’elezione.
    Insomma, il gioco alla “conta” che potrebbe fare Tallini subirà lo sgambetto della sospensione prefettizia in caso di elezione, non assegnando né a lui né a Mangialavori il punto di questo ennesimo round della sfida interna agli azzurri.

  • Tutti gli uomini di Valeria Fedele: il socialista, il pentito, il… Delfino

    Tutti gli uomini di Valeria Fedele: il socialista, il pentito, il… Delfino

    Valeria Fedele è una politica dal basso profilo, che ama accentuare il suo lato da tecnica giurista e burocrate. Attuale consigliera regionale di Forza Italia, in campagna elettorale in uno spot inneggiava a scegliere la competenza. Catanzarese, dei suoi quasi ottomila voti di preferenza, la metà li ha ottenuti nella provincia di Vibo Valentia.
    Nel suo background politico si rileva una candidatura al Senato nel 2018 con gli azzurri, mentre è consigliera comunale del suo paese, Maida (CZ) dal 2007.
    Se nella sua prima consiliatura comunale è stata vice sindaca e assessora, sia nel 2012 che nel 2017 Valeria Fedele puntava invece a diventare sindaca con una lista civica. Ma è arrivata sempre terza.

    Tornando ai primi anni in politica, è stata coordinatrice cittadina, componente della direzione regionale e responsabile nazionale della segreteria femminile del movimento “Italiani nel mondo” dell’ex senatore Sergio De Gregorio.
    Quest’ultimo, lo si ricorderà, è stato indagato per corruzione nell’ambito del procedimento sulla compravendita dei senatori da parte di Berlusconi che portò alla caduta del secondo Governo Prodi. Il Cavaliere se la cavò con la prescrizione, De Gregorio patteggiò una pena di 20 mesi nel 2013. «Tra il 2006 e il 2008 Berlusconi mi pagò quasi 3 milioni di euro per passare con Forza Italia» affermò.

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    Berlusconi e De Gregorio

    La società dei D’Addosio

    Il braccio destro storico del senatore in questione, nonché coordinatore organizzativo nazionale e componente dell’ufficio di presidenza del movimento “Italiani nel mondo”, era Gennaro D’Addosio. È un ex politico locale socialista in quel di Napoli e, soprattutto, il compagno di Valeria Fedele. D’Addosio è il proprietario della Energy Max Plus srl, società di famiglia nata nel 2007. L’azienda ha sede in Campania e in Calabria (dove ha molte commesse pubbliche), si occupa di impianti tecnologici e di produzione di energia alternativa.

    Tra i proprietari di quote societarie figura il figlio di Gennaro, Gianluca D’Addosio. Quest’ultimo, già giornalista dell’Avanti!, nel 2008 finì in arresto nell’ambito dell’inchiesta “Sim ‘e Napule’” coordinata dal pm della Dda di Napoli Catello Maresca.
    Il magistrato, alle amministrative partenopee dell’anno scorso, fu il candidato del centrodestra alla carica di sindaco, sostenuto dalla ministra per il Sud Mara Carfagna.

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    La ministra Mara Carfagna

    Un’altra proprietaria delle quote della Energy Max Plus è Concetta D’Addosio, detta Conny. Nella tornata elettorale appena citata si candidò contro Maresca nella lista civica “BassolinoXNapoli” ottenendo 90 preferenze. Alle Amministrative 2016 ci aveva già provato, invece, con Forza Italia a sostegno di Gianni Lettieri (con capolista Mara Carfagna) ottenendo 962 voti personali. La D’Addosio era andata a lezione di cambi di casacca da un’autorità indiscussa della materia: nel 2011 era candidata come riempilista alle Comunali di Crotone a sostegno della trasformista per antonomasia Dorina Bianchi.

    Valeria Fedele, Tallini e i subappalti

    In questo asset societario (che comprende anche un altro parente, Leandro D’Addosio) si è inserita anche Valeria Fedele. Nel suo curriculum dichiara, infatti, di aver svolto il ruolo di direttore generale di Energy Max Plus s.r.l. dal dicembre 2015 al gennaio 2019. L’organigramma aziendale pubblicato nel blog personale di Gennaro D’Addosio, tuttavia, non prevede quella figura professionale, ma solo quella di direttore allo sviluppo e direttore tecnico.
    Dal febbraio 2019, comunque, la Fedele è divenuta direttore generale della Provincia di Catanzaro. La società della famiglia del compagno, intanto, ha continuato a vincere gare d’appalto nello stesso territorio, come quella sul servizio di manutenzione del verde dell’Asp di Catanzaro nel 2020 (per 80mila euro).

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    Domenico Tallini (Forza Italia)

    In una interrogazione del 19 novembre 2019 (la numero 521), l’allora consigliere regionale Domenico Tallini (legato politicamente alla Fedele) chiese conto alla Giunta regionale in merito al mancato pagamento di talune ditte subappaltatrici di Manitalidea spa, destinataria di una commessa dalla Regione Calabria. Manco a dirlo, una delle ditte subappaltatrici era la Energy Max Plus del compagno di Valeria Fedele.
    Conflitto di interesse? Se davvero tale, permarrebbe ancora oggi: la società risulta nell’elenco delle ditte registrate presso la Regione Calabria per manutenzione e installazione di impianti termici.

    Le dichiarazioni shock del killer Pulice

    Non solo questioni aziendali. A turbare la Fedele c’è anche un verbale di interrogatorio datato 7 ottobre 2017, acquisito su consenso delle parti, incluso il Pm De Bernardo, all’udienza dibattimentale del processo “Imponimento” dello scorso 17 dicembre. Un documento che potrebbe far non poco scalpore.
    A rendere dichiarazioni davanti ai pm Vincenzo Luberto ed Elio Romano in quel verbale c’è il killer ‘ndranghetista (considerato esponente apicale delle cosche confederate “Iannazzo e Cannizzaro-Daponte”), oggi pentito e collaboratore di giustizia, Gennaro Pulice di Lamezia Terme.

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    Il pentito Gennaro Pulice

    «Conosco Fedele Filadelfio anche perché sono stato fidanzato con la di lui figlia che si chiama Valeria dal ’92 al 2000. È un imprenditore originario di San Pietro Lametino, a Lamezia si occupa di uno scasso e gestisce il porticciolo turistico di Gizzeria. È vicino a tutte le famiglie lametine in quanto è stato sempre dedito alle truffe alle assicurazioni e non ha mai fatto mancare il proprio apporto agli ‘ndranghetisti. Praticava le truffe per il tramite dei suoi legami con periti e con i medici» dichiara a verbale Pulice.

    L’amore uccide

    Una storia adolescenziale, quella (secondo le dichiarazioni rese) con l’attuale consigliera regionale di Forza Italia, di poco conto se non fosse che già in tenera età Pulice divenne un assassino. Proprio negli anni da lui indicati come quelli del fidanzamento con la futura politica azzurra, uccise da minorenne in sequenza Salvatore Belfiore nel 1995 (nel giorno in cui ricorreva la data di omicidio del padre, su sollecitazione del nonno), Antonio Dattilo e Gennaro Ventura nel 1996.

    Un amore sgradito in famiglia secondo il pentito. Che a verbale dichiara: «Dopo aver interrotto il fidanzamento, Nino Torcasio mi disse che Fedele aveva, addirittura, cercato di assoldare un killer tra i Torcasio in quanto non sopportava che io fossi fidanzato con la figlia. Fedele aveva chiesto il killer proprio a Nino Torcasio. So che Fedele era legato anche agli Anello per come riferitomi dai fratelli Fruci e dallo stesso Fedele Filadelfio».
    Circostanze e rivelazioni tutte da riscontrare, ma che sono messe nero su bianco e acquisite nel processo in corso.

    L’incontro tra Fedele e Anello

    Il padre della consigliera regionale, Filadelfio Fedele, detto “Delfino”, in passato è stato assolto in vari procedimenti a suo carico. Assolto nel 2015 nel processo Fedilbarc per la vicenda inerente il porticciolo di Gizzeria Lido; assolto nel processo “Medusa” in abbreviato, con le accuse di aver favorito la cosca Giampà dal 2005 al 2012 respinte con formula piena.

    Seppur non indagato, il suo nome compare in altre carte di “Imponimento” in riferimento alle elezioni comunali a Maida del giugno del 2017. Nei documenti si legge che Filadelfio Fedele, detto “Delfino”, padre di Valeria, era pronto ad intercedere per la figlia, allora candidata sindaca, chiedendo aiuto a Rocco Anello, considerato dagli inquirenti (e dal Tribunale di Vibo Valentia) il boss della cosca Anello-Fruci. Il tutto, compreso l’incontro col presunto boss condannato a 20 anni lo scorso gennaio con rito abbreviato, ha a corredo intercettazioni telefoniche ed ambientali della Dda di Catanzaro, in particolare un dialogo tra Anello e Fedele del 24 marzo 2017.

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    Il municipio di Maida

    In quella tornata elettorale Valeria Fedele arrivò ultima tra i candidati sindaci, divenendo consigliera comunale. Lo si ripete, né Fedele padre né la figlia risultano indagati. Ma il faro della Procura sull’intermediazione “politica” del presunto boss Anello in quella tornata amministrativa si evince dalle carte prodotte nel processo Imponimento.
    Difatti, nel capo di imputazione di Giovanni Anello, ex assessore comunale di Polia ritenuto factotum del presunto boss, si legge: “Contribuiva a formare la strategia del sodalizio in ambito politico, come quando promuoveva il sostegno della cosca alle elezioni comunali di Maida del 2017 dei candidati al Consiglio comunale Francesco Giardino cl. 87 (al Consiglio comunale) e Valeria Fedele (candidata alla carica di sindaco)”.
    La vita da politica regionale di Valeria Fedele pare ancora dover decollare. Ma – tra situazioni scomode, conflitti di interesse e atti di processi di mafia – inizia con dei macigni di cui farebbe volentieri a meno.

  • Guccione, il Parlamento può attendere? Tanto c’è il vitalizio

    Guccione, il Parlamento può attendere? Tanto c’è il vitalizio

    C’è marasma nel Pd cosentino, unica federazione provinciale a non aver ancora celebrato i congressi e unica dove il forzato e imposto “unanimismo” generale non ha attecchito. Già in precedenza lo scorso novembre si sfiorò la rissa tra l’assessore comunale della città bruzia Damiano Covelli e il presidente della commissione per il tesseramento Italo Reale. Nei confronti di quest’ultimo l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo ha sbraitato «sei a Cosenza, non a Sambiase!», causando svariate polemiche social in quel di Lamezia Terme, città dove l’avvocato Reale (vicino ad Amalia Bruni, che si ostina ad autoincensarsi come leader dell’opposizione) è riuscito a “piazzare” come segretario cittadino Gennarino Masi, con buona pace dei Giovani Democratici guidati da Dario Rocca che han presentato più di un ricorso sul punto.

    Guccione, il Parlamento e l’incubo quote rosa

    Tornando in quel di Cosenza, è chiaro che la posta in gioco è quella da capolista alle prossime elezioni politiche, dove al taglio dei parlamentari corrisponde parallelamente il taglio delle aspirazioni di più d’un notabile locale. E se al Senato si vocifera che la partita sia chiusa con il segretario regionale Nicola Irto in testa pronto a dire “bye bye” a Palazzo Campanella, è chiaro che per la Camera dei deputati sarà Cosenza a battere i pugni.
    Ragionando con la legge elettorale vigente, però, se al Senato il capolista è uomo, alla Camera toccherà a una donna.

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    Il santino elettorale di Maria Locanto alle Politiche del 2018

    Forse proprio a quella Maria Locanto (già candidata alle politiche del 2013 con Scelta Civica di Mario Monti e nel 2018 con Civica Popolare di Beatrice Lorenzin) che Francesco Boccia vorrebbe a tutti i costi segretaria provinciale (difficilmente l’uscente Enza Bruno Bossio starà a guardare).
    Nel caos generale, l’ex consigliere regionale e anti-oliveriano di ferro Carlo Guccione col sogno di fare il parlamentare dopo una vita passata in politica, dallo scorso primo novembre incassa un lauto vitalizio, somma che si aggiungerà al suo stipendio mensile da dipendente regionale.

    Oltre 3.000 euro a vita per una legislatura

    La determina 713 del 4 novembre 2021, a firma del dirigente regionale delle risorse umane Antonio Cortellaro, liquida a favore di Guccione un vitalizio di 3.161,30 mensili lordi per il mandato di Consigliere regionale svolto nella IX legislatura, ossia dal 2010 al 2014. Il mandato da consigliere nella legislatura dell’era Oliverio, dal 2014 al 2020 in aggiunta all’anno di legislatura dell’era Santelli 2020-2021, gli “frutterà” invece una pensione differita con metodo contributivo tra qualche anno.

    Nelle more percepirà cifre molto lontane dai 145.642 euro degli eletti a Palazzo Campanella. Parliamo di 22.903 euro l’anno come dipendente regionale di categoria C (istruttore amministrativo), con indennità di struttura (da 10.730 euro annui) a seguito della nomina come componente interno nella struttura di Franco Iacucci, del quale Guccione è stato grande sponsor elettorale.

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    Carlo Guccione e Nicola Adamo nella segreteria di Franco Iacucci durante le ultime elezioni regionali (foto A. Bombini) – I Calabresi

    La carriera da portaborse

    Guccione è diventato dipendente regionale grazie al concorso indetto con la legge regionale 25 del 2002, chiamata nella vulgata “legge parenti”. Una selezione che portò ad essere assunti in pianta stabile parenti e storici portaborse (ben 86!) in Regione.
    Dall’8 giugno del 2005 Carlo Guccione è stato assegnato alla struttura speciale dell’allora capogruppo dei Democratici di Sinistra Franco Pacenza, nello stesso periodo in cui il futuro antioliveriano era segretario regionale degli stessi Ds e componente della direzione nazionale.
    Dal gennaio 2008, invece, è diventato responsabile amministrativo del nuovo capogruppo regionale dei Ds, Nicola Adamo, poco prima di diventare, con la mozione di Pierluigi Bersani, segretario regionale del Pd Calabria e poi iniziare la carriera decennale da Consigliere regionale per poi retrocedere a portaborse (probabilmente in “servizio esterno”, dato che non si vede né a Catanzaro né a Reggio Calabria) dell’ex presidente della Provincia di Cosenza, Franco Iacucci.

    Il sacrificio sull’altare di Tansi e il sogno del Parlamento

    Alle ultime elezioni regionali Carlo Guccione non si è ricandidato. Da molti il passo indietro è stato visto come un “sacrificio” in virtù del codice etico di coalizione «fortissimamente voluto» (così amava ripetere) da Carlo Tansi che imponeva lo stop per chi avesse già svolto tre legislature.
    «Guccione continuerà a portare avanti con un ruolo politico nazionale nel Pd. Il suo impegno di rinnovamento del partito è stato un punto fermo sin dalla sua prima candidatura» dichiarò subito Francesco Boccia. Gli fece seguito l’ormai ex commissario regionale Stefano Graziano «Guccione con il suo impegno sul programma per la Calabria sarà un punto di riferimento nel suo nuovo ruolo politico nazionale che il segretario Letta gli assegnerà».

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    Il geologo Carlo Tansi, leader del movimento “Tesoro di Calabria”

    L’Orlando disamorato

    Lo stesso Enrico Letta, però, che Guccione in segreteria nazionale non lo ha più voluto. Durante la segreteria di Nicola Zingaretti il cosentino aveva incassato, sotto l’auge di Andrea Orlando, l’incarico di responsabile nazionale del dipartimento “crisi industriali” del Pd. Quella casella poi, però, se l’è accaparrata il toscano Valerio Fabiani, probabilmente più orlandiano di lui.
    L’incarico arrivato a gennaio come “responsabile Pd sanità nel mezzogiorno” sa di contentino. Ricorda quello dato a Francesco Cannizzaro dopo la mancata nomina a coordinatore regionale di Forza Italia. E oggi, con Nicola Irto già proiettato su Roma e l’eterno incubo quote rosa, per Carlo Guccione pare che il sogno del Parlamento sia letteralmente sfumato.

  • Regione Calabria, bomba contabile: 24 milioni di euro per le indennità extra dei burocrati

    Regione Calabria, bomba contabile: 24 milioni di euro per le indennità extra dei burocrati

    La Calabria, come è noto, è terra di privilegi sia per i politici, sia per i sodali interni ed esterni ai palazzi. I consiglieri regionali, ad esempio, nella propria struttura, cioè tra le caselle da riempire di nomina strettamente fiduciaria, oltre a portaborse, collaboratori vari e autisti (per i capogruppo e i membri dell’ufficio di presidenza), nominano anche dei componenti interni, ossia dipendenti del consiglio o della giunta regionale chiamati a lavorare direttamente per i politici.

    I fortunati arrivano a guadagnare di più rispetto ai colleghi perché percepiscono una indennità di struttura aggiuntiva allo stipendio che può superare i mille euro mensili. Una indennità illegittima da molti anni, ma che continua a gravare sulle tasche dei calabresi nonostante norme e giudici abbiano dato un chiaro altolà. Per questo si paventa un presunto danno erariale da 24 milioni di euro in cui gran parte degli “storici” dirigenti regionali avrebbe messo lo zampino (o, perlomeno, un visto su una determina). Ma procediamo per gradi.

    Ogni anno fiumi di soldi

    Il bilancio di previsione 2022-2024 della Regione Calabria contenuto nel Burc dello scorso 12 gennaio stanzia ben 450mila euro l’anno per tre anni per l’indennità di struttura per il personale appartenente ad altre pubbliche amministrazioni e comandato presso le strutture speciali dei politici. Sono ben 950mila gli euro annui per l’indennità di struttura del personale di ruolo del Consiglio regionale assegnato alla politica. «Il rapporto di collaborazione è correlato all’espletamento delle attività istituzionali su indicazione nominativa di ciascun titolare di struttura speciale», specifica la normativa regionale risalente al 1996 (legge regionale numero 8 e sempre la 8, ma del 2007).

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    La sede della Giunta regionale a Germaneto

    Sono un centinaio tra Giunta e Consiglio i dipendenti che vengono incasellati al seguito dei politici regionali. Postazioni ghiotte e ambite che portano a qualche problemino negli uffici regionali, tant’è che nella programmazione triennale dei fabbisogni di personale del Consiglio regionale predisposta dal dirigente Antonio Cortellaro e aggiornata al 2021 c’è scritto nero su bianco che “l’ultima rilevazione dei fabbisogni ha reso evidente che a causa del gran numero di dipendenti di categoria C assegnati alle strutture speciali, sussiste una forte esigenza, manifestata dalla gran parte dei dirigenti dell’ente, di implementare il personale di tale categoria nell’ambito delle strutture organizzative, in particolare di reclutare istruttori amministrativi e contabili. Si tratta di professionalità essenziali per quanto concerne la declaratoria delle funzioni di ogni settore”.

    Benefit anche per chi rimane fuori

    Partiamo da un paradosso: più l’inquadramento del dipendente “prestato” al politico è basso (come le categorie C che sono arrivate a scarseggiare) più alta sarà l’indennità aggiuntiva.
    Se un consigliere regionale chiama nella sua struttura un impiegato del consiglio regionale (categoria C1) che ha una retribuzione annua di circa 21.000 euro, questo prenderà una “indennità di struttura” di 11.500 euro. Un funzionario (categoria D1) con stipendio tabellare di 29.638,84 euro annui, invece, prenderà “solo” 6.456 euro di indennità. Per cui, il personale più qualificato (rispetto all’inquadramento) sarà fortemente disincentivato a dare il proprio apporto alla politica, ma ci guadagnerà comunque.

    Chi rimane fuori (e sono circa 160 unità), però, beneficerà del fondo per la contrattazione integrativa che per il solo 2021 (come da determinazione del dirigente Antonio Cortellaro del 14 dicembre 2021) è stato determinato a 900.401,66 euro. Così come performance (leggasi, premio di produttività) potrà ricevere fino a 5.627,51 euro annui, ben 2.164,43 euro in più rispetto ai 3453,08 euro che arriverebbero a prendere se non ci fosse il “prestito” dei 100 dipendenti ai politici. Insomma, mangiano tutti.

    L’indennità è illegittima… e spunta Roberto Occhiuto

    Tutto nasce, sotto la presidenza di Battista Caligiuri, dalla deliberazione 89 del 22 maggio 2001, avente ad oggetto la regolamentazione delle modalità di trattamento accessorio delle strutture speciali. In quell’occasione l’Ufficio di presidenza di allora ritenne di determinare il trattamento economico accessorio del personale addetto alle strutture speciali dipendente da pubbliche amministrazioni.

    Seguì il contratto collettivo nazionale degli enti locali del 2004 che eliminava l’indennità integrativa speciale (inglobandola nella retribuzione tabellare), ma l’ufficio di presidenza del consiglio regionale a guida Peppe Bova (con vicepresidente Roberto Occhiuto, attuale presidente della Regione Calabria), con la deliberazione 17 del 20 giugno 2005 (che risulta, guardacaso, non essere stata mai pubblicata sul Burc) decise di superare le norme del contratto collettivo nazionale, in quanto prevedeva “termini assolutamente non accettabili”. Confermò così la deliberazione del 2001, facendo muro a favore del privilegio dei dipendenti regionali “prestati” ai politici.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    La citata legge regionale 8 del 2007 e la successiva delibera dell’Ufficio di presidenza numero 16 dello stesso anno (sempre con Bova presidente e Occhiuto vice) specifica che il trattamento economico dei dipendenti regionali “prestati” ai politici «è attribuito in misura fissa ed indipendente dalle dinamiche della contrattazione collettiva». Ciò nonostante l’articolo 40 del decreto legislativo 165 del 2001 imponga che «le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali e integrativi». A conti fatti, dal 2005 ad oggi si quantifica una spesa per indennità di struttura di quasi 24 milioni di euro.

    La giurisprudenza è chiara, ma non per la Regione Calabria

    Ad intervenire sono state ben due sentenze della Corte Costituzionale. La prima, la 18 del 2013, ha specificato che il trattamento economico dei dipendenti pubblici deve essere concertato (tra Aran e i sindacati) e non imposto dalla politica. Il principio giuridico secondo cui la disciplina del finanziamento e dei presupposti di alimentazione dei fondi per il trattamento accessorio del personale regionale e della loro erogazione è riservata alle leggi dello Stato e alla contrattazione collettiva nazionale cui le norme statali fanno rinvio è stato suggellato anche dalla sentenza della Consulta 146 del 2019.

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    La Corte Costituzionale

    La Corte mette nero su bianco che «sono illegittimi i fondi aggiuntivi istituiti dalla regione in tema di trattamento economico accessorio dei dipendenti regionali, al di fuori di quanto previsto dalle fonti normative prescritte perché lesivi della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e degli equilibri complessivi di finanza pubblica». Da ultimo, un inciso della sentenza 479 del 17 novembre 2020 della Corte d’Appello di Reggio Calabria, ha ricordato che «Il disposto imperativo del testo unico del pubblico impiego impone che il trattamento economico, fondamentale e accessorio, dei dipendenti pubblici debba trovare fonte nella contrattazione di comparto».

    Dirigenti nel caos e l’ombra della Corte dei Conti

    Il sistema è chiaro, ma la misura è colma. La rivoluzione burocratica annunciata da Roberto Occhiuto in campagna elettorale ha dovuto fare i conti anche con questa annosa questione. Già, perché il 1 gennaio con una rotazione degli incarichi dirigenziali, alle risorse umane è spuntata la dirigente Dina Cristiani.
    Rumors interni dicono che quest’ultima avesse chiesto un parere legale sulla legittimità delle indennità di struttura, rifiutandosi di firmare i contratti dei componenti interni delle strutture speciali. Cosa che effettivamente non ha fatto, fino a che non ha chiesto di essere rimossa dal suo incarico a “soli” 18 giorni dalla nomina (ufficialmente per una asserita incompatibilità con il ruolo di responsabile anticorruzione e trasparenza).

    Sta di fatto che colei che l’ha succeduta, la super dirigente Maria Stefania Lauria, confermata segretaria generale del Consiglio dopo il lungo interim, in poco più di un mese di contratti ne ha firmati almeno 15 coadiuvata dalla potente funzionaria responsabile delle strutture speciali Romina Cavaggion. A vistare gli atti ci sarebbe anche il dirigente dell’area gestione Sergio Lazzarino ed il dirigente del settore bilancio Danilo Latella. Il timore della lente di ingrandimento della Corte dei Conti è palpabile nonostante il silenzio tombale (o la copertura?) della politica, compresi i sedicenti gruppi neofiti d’aula come il M5S e lista di Luigi De Magistris.

    Regione Calabria, tanti nomi noti

    È chiaro che tutta la politica è perlomeno consapevole di ciò che accade. Tutti hanno fatto queste nomine, spesso “ereditando” nomi noti da colleghi di precedenti consiliature. Ad ereditare il componente interno dell’ex presidente del consiglio regionale Tonino Scalzo è stato l’esponente del M5S Francesco Afflitto, che ha nominato Santa Crisalli. Per il capogruppo pentastellato Davide Tavernise, invece, si rileva la nomina di Giovanni Paviglianiti, che era componente della struttura dell’ex democratico progressista (oggi sovranista) Peppe Neri.

    A fare incetta di componenti e supporti interni è il capogruppo della lista De Magistris, Ferdinando Laghi, che finora ne ha nominati quattro: Antonino Marra, Miriam D’Ottavio, Giuseppe Vita e Gabriella Maria Targoni, con quest’ultima che ha preso il posto inizialmente occupato da Vita.
    A dar supporto interno al vicepresidente del Consiglio regionale Franco Iacucci c’è l’ex assessore e consigliere regionale del Pd Carlo Guccione, che è dipendente di Palazzo Campanella, pur avendo di recente maturato un lauto vitalizio. Con lui, sempre sotto l’ala di Iacucci c’è la moglie dell’ex assessore regionale Nino De Gaetano, Grazia Suraci.

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    Carlo Guccione e Nicola Adamo nella segreteria di Franco Iacucci durante le ultime elezioni regionali (foto A. Bombini) – I Calabresi

    A destare attenzione è la nomina da parte della capogruppo della Lega Simona Loizzo, come supporto funzionale, di Antonia Pinneri, compagna del leghista Antonino Coco, definito dalla Dda reggina, che lo ha arrestato nell’ambito dell’inchiesta Chirone, “professionista posto al servizio dell’associazione di stampo mafioso”. Si parlava dei clan d’Aspromonte. Presente anche l’ex candidata regionale della Casa delle libertà Antonietta Giuseppina D’Angelis, nominata componente interno della forzista Katya Gentile. L’ex candidato regionale Udc, Riccardo Occhipinti, invece, è supporto funzionale interno della forzista Valeria Fedele.
    Insomma, si dovrà fare i conti con un bubbone contabile che sta per scoppiare e la politica non potrà continuare a mettere la polvere sotto il tappeto.