Autore: Alessia Bausone

  • Catanzaro, per FdI un ex di centrosinistra vale l’altro

    Catanzaro, per FdI un ex di centrosinistra vale l’altro

    Le elezioni comunali di Catanzaro del 2022 saranno ricordate come quelle della liquefazione del centrodestra. Ex alleati ora in guerra tra loro, simboli di partito messi nel cassetto, consiglieri regionali che se la danno a gambe. Sta succedendo di tutto e da più parti viene indicata una sola e unica colpevole dello sfacelo del rassemblement della destra del capoluogo: la deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia, Wanda Ferro.

    Grande promotrice (più o meno occulta) della candidatura a sindaco dell’ex Pd, Valerio Donato, ha dovuto fare dietrofront dopo aver mandato avanti Lega e Forza Italia. Il motivo? Le continue rivendicazioni del candidato sindaco come «uomo di sinistra», oltre che le gaffe televisive e politiche.

    Ferro e il jolly Colace: Fdi e il sindaco di Catanzaro

    Da settimane l’establishment romano del partito, dal capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida alla stessa leader Giorgia Meloni, pretendeva la discesa in campo della stessa Wanda Ferro. Lei, però, si è prima dileguata («Se mi candido Tallini mi impallina», andrebbe ripetendo a più riprese) e poi trincerata dietro l’assessore Filippo Pietropaolo, tornato a più miti consigli dopo l’altolà di Roberto Occhiuto sul ritiro delle deleghe assessorili in caso di candidatura.

    Risultato? Dopo qualche giorno di totonomi al ribasso, Wanda Ferro ha giocato il jolly: candida a sindaco il dirigente medico Rosario Colace. Eppure i maligni raccontano che quando Noi con l’Italia fece il nome di Colace al tavolo del centrodestra cittadino qualche mese fa la deputata Fdi scoppiò in una grassa risata. Ma si sa, in politica tutto è possibile.

    Meloni spernacchiata

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    Ciconte e Colace a braccetto

    Dopo il niet della Meloni sul candidato ex Pd Donato, FdI ha ufficializzato la candidatura di Colace, con tanto di lancio di agenzia di stampa. Eppure quest’ultimo alle comunali del 2017 ha promosso la lista “Alleanza Civica” (unitamente a Franco Granato, ex assessore della Giunta comunale di centrosinistra di Rosario Olivo) schierandosi a sostegno della candidatura a sindaco dell’allora consigliere regionale del Partito Democratico, Enzo Ciconte.

    «Con l’amico Ciconte nel momento in cui abbiamo condiviso il programma per la città, un programma che può dare a Catanzaro quella visione di insieme che è mancata in questi anni. Siamo in campo con una lista formata da persone in gran parte esordienti della politica, provenienti da mondi diversi ma unite dall’obiettivo di dare un futuro diverso a Catanzaro» dichiarò Colace in una conferenza stampa insieme al candidato sindaco di centrosinistra e alla presenza dell’allora presidente della Provincia del Pd, Enzo Bruno.

    Colace al tavolo con Ciconte in occasione della sua candidatura

    Chi c’era se lo ricorda: alla presentazione della lista di Colace a sostegno di Ciconte era presente il figlio piccolo di un candidato con una maglia con su scritto “Vota il mio papà”. Il candidato era Giorgio Arcuri, anche lui fino a ieri dato tra i papabili candidati di Fratelli D’Italia e candidato alle ultime regionali con Forza Azzurri.
    Alle amministrative del 2017 Arcuri ottenne 459 preferenze, mentre l’intera lista di Colace a sostegno del centrosinistra 1513, pari al 2,92%. Non elesse alcun consigliere, ma Colace venne eletto altrove: all’Ordine dei Medici, presieduto proprio dall’amico Ciconte.

    Colace: un democristiano di… Ferro per Fdi a Catanzaro

    Nel 2008 Wanda divenne presidente della Provincia di Catanzaro in una coalizione trainata dal Pdl. A candidarsi contro di lei, sotto il simbolo dello Scudocrociato, vi era proprio Rino Colace, al seguito di Franco Talarico che ottenne 803 preferenze e l’11,3% in uno dei collegi di Catanzaro.
    Colace, difatti, dell’Udc è stato segretario cittadino, salvo poi nel 2011 candidarsi al Comune con la lista “Scopelliti Presidente”. Presidente del Consiglio comunale nel 2005, è stato poi nominato amministratore unico dell’Amc, l’azienda dei trasporti del capoluogo.

    Dopo l’idillio di centrosinistra, è arrivata anche la nomina, giusto tre mesi fa, come coordinatore per la città di Catanzaro di “Noi con l’Italia”. Colace, però ha abbandonato il movimento dell’ex ministro Maurizio Lupi nelle ultime ore, proprio a seguito della designazione come candidato sindaco di FdI.

    Lo sgambetto di Montuoro

    Continua a dire di essere di Marcellinara e non di Catanzaro, nonostante abbia preso più del doppio dei voti di Filippo Pietropaolo nel capoluogo alle ultime regionali. Il consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro nei giorni scorsi ha dichiarato che la lista civica che fa riferimento a lui, Venti da sud, già rodata con successo alle elezioni provinciali, non parteciperà alle elezioni comunali.

    Antonio Montuoro insieme a Sergio Abramo

    «Nei giorni scorsi ho riunito tutti i componenti del gruppo di riferimento, dopo un’analisi approfondita sulla situazione politica attuale, la maggioranza dei presenti si è determinata scegliendo di mantenere la caratterizzazione civica del proprio impegno, valutando ciascuno in autonomia con quale schieramento partecipare alla competizione elettorale, per offrire alla città il proprio impegno e le proprie competenze» ha dichiarato Montuoro.

    Tana libera tutti per i consiglieri comunali uscenti che lo sostengono? Non proprio. In realtà la lista “Venti da sud” avrebbe solo cambiato nome in “Progetto Catanzaro”, a sostegno di Valerio Donato e non al seguito di Fratelli D’Italia, come dimostrano i santini circolanti del consigliere comunale “montuoriano” e signore delle preferenze, Luigi Levato.

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    Un santino di Luigi Levato

    A sgamare ulteriormente la cosa è stato l’esponente del Nuovo Cdu, Vito Bordino, che ha dichiarato pubblicamente: «I rappresentanti di “Progetto Catanzaro” sono in buona parte componenti di Venti da Sud, sigla utilizzata alle Provinciali dall’area Montuoro, che hanno deciso di sostenere Valerio Donato».

    Tallini e il capolavoro di Wanda Ferro

    Insomma, un chiaro sgambetto a Wanda Ferro da parte di Montuoro con l’intento di attribuirle nel post-voto tutte le responsabilità politiche del flop annunciato, minandone la leadership regionale in vista delle politiche, trovando sponda anche negli altri consiglieri regionali di Fdi.
    Nelle more, è intervenuta la stilettata dell’ex presidente del Consiglio regionale e fresco esponente di ‘Noi con l’Italia’, Mimmo Tallini: «Non posso non sottolineare l’ambiguità della posizione di una parte di Fratelli D’Italia che si è “sdoppiata”, restando nel suo partito evidentemente per ragioni di convenienza, ma mandando i suoi grandi elettori ad ingrossare le fila delle liste di Donato. Un capolavoro di ambiguità e trasformismo a cui nessuno era mai arrivato».

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    Mimmo Tallini, ex presidente del Consiglio regionale

    I probabili candidati

    Le candidature in Fratelli D’Italia (la lista ufficiale), a meno di una settimana dal deposito delle liste, sono ancora in alto mare. Il tempo stringe, in attesa di sapere se si formerà la “strana coppia” politica con Coraggio Italia di Sergio Abramo (che Wanda nel 2017 era assolutamente ostile nel voler ricandidare, tant’è che non presentò una lista a suo sostegno), tra i candidati è presente Stefano Mellea, ex responsabile per la provincia di Catanzaro di Casa Pound.

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    Il candidato “daspato” Stefano Mellea

    Destinatario di Daspo, nel 2019 predicava l’uscita dall’Ue e dall’Euro. «L’unica cosa che dobbiamo dire a Bruxelles è addio. Ridateci i nostri soldi, il nostro oro e tenetevi immigrati, direttive gender e austerità» dichiarava pubblicamente tre anni fa.

    Domani si parte…

    Oltre a lui, dovrebbe essere della partita il commercialista Francesco Saverio Nitti, il cui nome compare nelle carte della ‘vicenda Copanello’ in quanto intercettato in talune conversazioni con l’ex parlamentare di Fdi, Giancarlo Pittelli. Nitti è stato anche di recente immortalato a cena con Wanda Ferro ed il deputato Andrea Delmastro a fine marzo, quanto ancora la deputata catanzarese cercava di convincere i vertici del suo Partito della bontà della “operazione Donato”.

    Insomma, dal cul-de-sac in cui è finita Wanda Ferro è difficile uscirne, con molti, dentro e fuori il suo Partito, che attendono gli esiti in termini di percentuali di quello che tutti i sondaggi indicano come il primo partito italiano, nella città della commissaria regionale. E non saranno in pochi in Fdi, in caso di flop, come già si è detto, a chiedere le sue dimissioni.

  • Luxuria: essere trans non è un oltraggio alla Madonna di Capocolonna

    Luxuria: essere trans non è un oltraggio alla Madonna di Capocolonna

    Vladimir Luxuria, opinionista televisiva e attivista Lgbt. Domani riceverà una targa nell’ambito del Premio giornalistico sportivo “Franco Razionale” di Crotone, giunto alla XV edizione e promosso dall’associazione “Forza Crotone Alè”.
    Si parlerà di violenza di genere e di omofobia, in concomitanza, però, con la festa della Madonna di Capocolonna. Questa coincidenza ha generato uno sciame di polemiche che tengono banco da giorni nella città pitagorica. Ne abbiamo parlato direttamente con lei in una intervista esclusiva a I Calabresi.

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    L’ex coordinatore provinciale della Lega a Crotone, Giancarlo Cerrelli

    Vladimir Luxuria, la tua presenza a Crotone sta destando scalpore. L’ex coordinatore provinciale della Lega, Giancarlo Cerrelli, ha parlato di oltraggio alla festa della Madonna di Capocolonna. 

    «Ma per carità. Veramente si attaccano a queste cose? Io non ho parole. Non hanno altro di cui occuparsi? Ma beati loro. Io sono cattolica, cosa c’entra tutto questo? Mi sento offesa come credente. Come si fa a pensare che la presenza di una persona trans sia un oltraggio alla Madonna? Forse è un oltraggio dire queste parole. Chi decide chi è degno di essere credente o meno? Tra l’altro voglio ricordare che poche settimane fa io ho parlato dentro una Basilica sul tema della transessualità. Alla Basilica di San Giovanni Maggiore, invitata dal sacerdote don Salvatore, ho parlato di Chiesa inclusiva. Ricordo anche che il 22 febbraio, come tutte le Candelore, vado al Santuario di Montevergine, dove vengo sempre accolta dall’Abate, per devozione a Mamma Schiavona, la Madonna di Montevergine. Se vuole posso fornire io qualche altro pretesto per attaccarmi, ma questo è quello più assurdo. Non escludo che domani io possa pregare al Duomo di Crotone».

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    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    A Crotone un anno e mezzo fa il Consiglio comunale approvò una mozione contro il Ddl Zan, il sindaco fece dietrofront. E oggi cosa si aspetta Vladimir Luxuria?

    «Sinceramente non so quanta possibilità abbia il Ddl Zan di essere approvato. L’importante è che se ne parli. Mi piacerebbe che questo tema si sganciasse da ideologie di partito. L’importante, per me, è che si consideri il contrasto alla violenza fisica e verbale per orientamento sessuale o identità di genere qualcosa che riguarda tutti. E se un consigliere comunale di Crotone che ha votato una mozione contro il Ddl Zan un giorno dovesse avere un amico, un parente, un nipote che torna a casa in lacrime per una offesa subita per il suo orientamento sessuale o con un occhio livido perché gay, lesbica o trans? Forse questo consigliere comunale si pentirebbe per il voto che ha espresso. Mi auguro che su questo tema si possa trovare una convergenza ampia, bipartisan.»

    Intanto la legge regionale calabrese contro l’omofobia è stata affossata dal Pd. Quanta omofobia c’è anche a sinistra?

    «Purtroppo c’è. È vero che la maggior parte delle volte le aperture vengono sempre dalla sinistra. Però, quelle che da noi sono le eccezioni rispetto a certi atteggiamenti, in altri ambiti come in Fdi e Lega, sono la maggioranza. A destra le eccezioni, invece, sono quelle che si distinguono favorevolmente».

    A proposito di destra. Ricorda il volantino della Lega a Crotone nel 2019 sul ruolo della donna «sottomessa all’uomo, buona solo per fare la madre e non adatta a fare la rivoluzione». 

    «Che anno era? 2019 avanti Cristo o dopo Cristo? Le donne non sono adatte a fare le rivoluzioni, sono obbligate! C’è ancora questo retaggio maschilista preistorico, da uomo delle caverne, come nelle vignette dove l’uomo trascina per i capelli la donna nella grotta. Bisogna andare molto oltre».

    Hai sostenuto il referendum costituzionale del 2016. Pensi che senza il bicameralismo attuale sarebbe stato più facile approvare le leggi sui diritti, dal Ddl Zan alla legge sul doppio cognome?

    «Ero favorevole per una questione proprio di praticità. Avendo fatto anche la parlamentare conosco le lungaggini. Questi passaggi continui portano veramente a tempi lunghissimi. Si parla tanto dei tempi della giustizia, ma bisognerebbe parlare anche dei tempi per le approvazioni delle leggi. A volte capita anche che, cambiando la legislatura, occorra rifare tutto da capo. I tempi sono davvero troppo lunghi».

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    Vladimir Luxuria in prima linea nel sostegno al Ddl Zan

    Ti manca il Parlamento? Ci torneresti?

    «Ci sono momenti in cui desidererei essere lì a dire la mia o a proporre delle leggi, ma penso si possa fare politica in tanti modi. Anche parlando di un tema importante come l’omofobia e lo sport a Crotone. Penso sia molto importante.»

  • Un sindaco di nome Wanda: Meloni spinge per mollare Valerio Donato

    Un sindaco di nome Wanda: Meloni spinge per mollare Valerio Donato

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    Mors tua vita mea: è stata questa, probabilmente, la sintesi della telefonata intercorsa ieri sera tra l’aspirante sindaco di Catanzaro, Valerio Donato, e Wanda Ferro, che è stata il suo sponsor occulto fin dall’inizio della candidatura (unitamente agli imprenditori Giuseppe Gatto e Giuseppe Grillo).

    Il tentativo della deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia di far digerire a Giorgia Meloni il fronte arcobaleno che si sarebbe formato attorno al docente dell’Università di Catanzaro non è andato a buon fine. Niente matrimonio politico tra Lega e Fi con esponenti storici della sinistra catanzarese, l’ex governatore Agazio Loiero e l’ex candidata regionale Amalia Bruni.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    D’altronde, il paragone tra Donato e Draghi utilizzato da qualcuno per giustificare la fuoriuscita dal centrosinistra “classico”, non può certo essere utilizzato come carta da giocare sul tavolo dei sovranisti. Fdi è in maniera netta all’opposizione del Governo romano, con continue fibrillazioni all’interno del centrodestra. E in Calabria la linea pare debba essere la stessa.

    Lo chiamavano “Gaffeur”

    Non hanno aiutato nemmeno le continue uscite mediatiche di Donato. In primis quella – attribuita ad una nota stampa a firma del suo comitato promotore – sul trasferimento del Consiglio regionale a Catanzaro, con tanto di uscita piccata degli esponenti reggini di Forza Italia e Lega che, in teoria e fino all’imminente vertice nazionale del centrodestra, sono i principali alleati del fronte simil civico donatiano.

    Ciccio Cannizzaro, deputato e responsabile nazionale di Forza Italia per il Meridione, ha definito la proposta di Donato «grottesca». Le dichiarazioni del professore? «Sicuramente rilasciate dopo un’allegra serata con gli amici», con argomenti «di becero populismo per tentare di strappare qualche voto». Non ci è andato più leggero il leghista Giuseppe Gelardi, che ha parlato di una «boutade non certo degna di un candidato sindaco».

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    Ciccio “Profumo” Cannizzaro

    Salvini? Non sul palco, ma con le liste

    Durante un confronto televisivo con gli altri candidati, poi, Valerio Donato si è lasciato sfuggire questa frase: «Se dovesse venire Salvini farà la sua attività politica, ma non potrà vedere a fianco di Salvini la mia persona». Insomma, niente comizio congiunto su un palco, ma ben due liste, allestite dal presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso (Alleanza per Catanzaro e Prima Catanzaro) pronte a foraggiare Donato in termini di consensi.

    L’evidente contraddizione ha mandato in escandescenze il leader leghista. Uno che tre anni fa a Lamezia Terme, città del suo unico (e oggi molto silente sulle amministrative del capoluogo) deputato Domenico Furgiuele, non esitò a ritirare la lista per delle dichiarazioni dell’allora candidato sindaco Ruggero Pegna proprio contro Salvini.

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    Domenico Furgiuele

    In tutto questo marasma è intervenuto in maniera tranchant un rappresentante di un partito semi-alleato del fronte donatiano, il commissario cittadino dell’Udc con delega (di Lorenzo Cesa) alla presentazione della lista Vincenzo Speziali. Per lui «Il professor Donato confermerebbe anche un’altra sua pecca, oltre al berlinguerismo e al relativo moralismo, ammantato dalla cattedraticità, ovvero di essere un noto gaffeur».

    Palermo e Catanzaro

    Le dinamiche nazionali, checché ne dicano i feticisti del civismo catanzarese, incidono eccome. Ecco perché, nonostante il passo in avanti di Lega, Forza Italia, Italia al Centro e Udc (almeno in parte) a favore di Valerio Donato, Wanda Ferro è rimasta in un imbarazzato silenzio. Si è lasciata scappare a inizio mese solo un sibillino «l’importante è mai con il M5S e con il Pd». Senza pensare, però, che mezzo Pd era già dentro le liste del docente, comunicati stampa alla mano. E che c’era dentro pure Italia Viva, altro elemento di mugugni interni alla coalizione.

    Da due mesi, invece, a Palermo i meloniani hanno candidato come sindaca la loro deputata, Carolina Varchi. La sua candidatura in solitaria ha ricevuto il placet dei vertici nazionali, in primis del responsabile organizzativo (che già si occupò delle liste regionali in Calabria) Giovanni Donzelli. La Varchi, giusto qualche giorno fa, ha dichiarato: «Stiamo valutando tutte le opzioni per tenere compatto il centrodestra, che è il nostro perimetro. Evidentemente la nostra storia rende non percorribile la strada di una campagna elettorale in compagnia degli esponenti di Italia Viva».

    Telefono bollente

    Già, perché il tavolo nazionale del centrodestra ‘rianimato’ da Berlusconi è chiamato a risolvere le spaccature sui territori. Ma difficilmente la Meloni – a differenza di un Salvini in affanno, che arriva a tollerare di essere preso a pesci in faccia in diretta tv da un ‘suo’ candidato in un capoluogo di Regione – digerirà la candidatura di Valerio Donato, nonostante le sollecitazioni. E le telefonate roventi di questi giorni tra il cognato di Giorgia Meloni, il deputato Francesco Lollobrigida, Wanda Ferro e Fausto Orsomarso, lo dimostrano.

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    La leader nazionale di FdI, Giorgia Meloni

    Ecco perché anche a Catanzaro, fino a una determinazione del tavolo nazionale di centrodestra dal quale dovrebbe spuntare un nome unitario (e nuovo?) sia a Catanzaro che a Palermo, il diktat della Meloni alla Ferro rimane quello di correre da soli con un proprio candidato.

    Wanda si “nasconde” dietro Pietropaolo

    A differenza di Palermo, però, su Catanzaro non c’è stata la discesa in campo del deputato del luogo che, nel caso della Calabria, è anche commissario regionale. Wanda Ferro ha deciso di trincerarsi dietro il nome di Filippo Pietropaolo, il “suo” candidato (e di Michele Traversa) alle elezioni regionali, non eletto e poi ripescato come assessore regionale al Personale della Giunta Occhiuto.

    Piccolo particolare: dei circa 4500 voti raccolti, soltanto 716 sono stati presi nella città di Catanzaro, a fronte dei quasi 1700 del consigliere eletto, Antonio Montuoro (che di candidarsi non ci pensa nemmeno). Pietropaolo, inoltre, nel 2014 quale candidato regionale del Pdl prese poco più di 800 voti a sostegno dell’allora candidata presidente, Wanda Ferro. Non è, quindi, da considerarsi un candidato forte.

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    Filippo Pietropaolo, neo assessore regionale nonostante la sconfitta elettorale

    C’è da dire, però, che quello che tutti i sondaggi danno come primo partito italiano, con percentuali oltre il 21%, non si può certamente permettere di ottenere percentuali da prefisso telefonico sbagliando candidato in un capoluogo di Regione che esprime un deputato-commissario regionale del partito.

    Ecco perché Wanda è in un cul-de-sac: da sponsor (più o meno) occulto dell’ex Pd Valerio Donato, può diventare (glielo si sta chiedendo in queste ore) la candidata probabilmente di una buona parte del centrodestra, che ritroverebbe unità attorno alla sua figura grazie ai tavoli romani. In ballo c’è la credibilità (e la faccia) di Giorgia Meloni al Sud e la candidatura in Parlamento della Ferro, di Orsomarso e della combriccola sovranista nostrana. Insomma, la Meloni è stata chiara: non si gioca a fare le comparse.

    “Venti da sud” vola via?

    Un santino di Venti da Sud a sostegno di Donato

    La lista civica Venti da sud, stilata dal consigliere regionale di Fratelli d’Italia  Antonio Montuoro, intanto ha partecipato pochi giorni fa alla riunione della coalizione di Valerio Donato. Alcuni candidati, inoltre, hanno già fatto circolare il loro santino con la scritta “Donato Sindaco”. Un passo affrettato oppure un calcolo per andare verso una Forza Italia che senza Mimmo Tallini a Catanzaro è un contenitore tutto da riempire? Lo vedremo.

    È un fatto che all’interno del gruppo di Montuoro sono presenti i consiglieri comunali uscenti Roberta Gallo, sua portaborse in Regione (e già portaborse del portavoce di Mimmo Tallini nel 2020), Emanuele Ciciarello, la cui moglie Lucia Arturi è anch’essa sua portaborse in Regione, Antonio Angotti, la cui sorella è suo componente interno di struttura. Oltre a loro c’è anche Luigi Levato, già capogruppo di Forza Italia a Catanzaro, eletto nel 2017 con circa 1.300 preferenze personali.

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    Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi

    Insomma, un team di portatori di consenso di tutto rispetto (che Pietropaolo, Ferro e Traversa non hanno). E che, però, come si è detto, potrebbe tornare alla “casa madre” e non soggiacere alla disciplina di partito. Lo stesso Montuoro è stato vicepresidente della Provincia in quota Forza Italia.

    Quindi, non sorprenderebbe tale decisione che, certamente, porterebbe Wanda Ferro a scegliere tra la fedeltà romana al partito che l’ha eletta nel 2018 (con la “spintarella”, di recente pubblicamente vantata, del senatore Giuseppe Mangialavori) e lo stantio trasversalismo furbetto catanzarese dal quale è gemmata la candidatura di Valerio Donato.

  • «Ho lottato da sola, ora spero che anche altri denuncino»

    «Ho lottato da sola, ora spero che anche altri denuncino»

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    Clarastella Vicari Aversa è l’architetta di Messina che con il suo esposto penale ha portato all’inchiesta ‘Magnifica’ che ha decapitato i vertici dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, con l’interdizione del rettore Santo Marcello Zimbone e del prorettore Pasquale Catanoso.

    Classe ’71, abilitata dal ’96, è vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Messina e ha maturato una vasta esperienza anche all’estero. Intervistata da I Calabresi ci ha raccontato dell’esperienza vissuta in questi anni tra ricorsi ed esposti e della solitudine che spesso si prova combattendo battaglie di legalità. Oggi, però, sta vivendo un momento di rivincita e riscatto, con molte persone che la contattano e le esprimono solidarietà e stima.

    Lei denunciando ha scoperchiato il vaso di Pandora all’Università di Reggio Calabria, oggi crede ancora nel sistema universitario italiano?

    «Ci credo nel senso che ci devo credere. Cosa ci resta se perdiamo la speranza in una istituzione così importante come l’Università. È quella che forma il futuro, quella che forma i giovani di domani. Come possiamo rassegnarci a che non funzioni? È proprio questo che mi conduce a portare avanti questa battaglia. Non è una lotta per un posto che posso pensare sia mio, né una questione di principio e basta, è una lotta per la legalità. È una lotta per sperare che prima o poi qualcosa che nel contesto universitario – nella parte che non funziona, perché non posso pensare che sia tutto così – cambi».

    Il suo, diciamolo, è stato un atto di coraggio, quanto è stato difficile metterci la faccia? Molti suoi colleghi non hanno firmato l’esposto, lo ha fatto solo lei…

    «È stato difficilissimo. È difficile anche parlarne, infatti non l’ho fatto per tanti anni. Questa è una battaglia che conduco in solitudine sostanzialmente da 14 anni. Per diversi anni sono andata avanti solo con ricorsi amministrativi, tutti accolti al Tar e al Consiglio di Stato, una quarantina. Solo di recente anche a seguito di vicende analoghe conosciute tramite l’associazione Trasparenza e merito, e anche su consiglio dei legali che hanno ipotizzato potessero sussistere diversi illeciti penali, ho presentato l’esposto in Procura. Ho avuto la sensazione che la via amministrativa non fosse sufficiente, che arrivava fino a un certo punto. L’Università disattendeva tutto ciò che disponeva la giurisprudenza amministrativa».

    Tra l’altro ha raccontato che negli accessi agli atti che faceva in Università si trovavano degli errori macroscopici nelle valutazioni nei concorsi…

    «Se tornassimo indietro e avvolgessimo il nastro, io non avrei mai pensato di fare un ricorso. Ma quando ho fatto l’accesso agli atti per curiosità e ho visto delle cose inverosimili o stavo zitta, o mi giravo dall’altra parte e me ne andavo o affrontavo la cosa. Altri colleghi non hanno fatto ricorso perché magari la volta dopo in altre sedi avrebbero potuto rifare il concorso secondo loro. Altri, invece, non se la sono sentita. Una collega in particolare, pur non facendo ricorso, mi è stata vicina. Almeno mi attestava solidarietà, ma, in generale, ho condotto questa vicenda in totale solitudine. Ora, invece, sto ricevendo tantissimi messaggi dai miei ex studenti. Io per 10 anni ho insegnato alla Mediterranea, ero docente a contratto, ho lavorato, ero correlatore di tesi di laurea. Avevo un rapporto meraviglioso con gli studenti e ritrovare questi attestati di stima oggi è emozionante. È avvilente, invece, quello che altri continuano a fare in una istituzione, non è un bell’esempio».

    Dalle sue parole mi sembra di capire che lei volesse bene all’Università Mediterranea…

    «Io volevo tanto bene a quell’Università. Per me è stata una delusione. Era il posto dove mi ero formata. Io a 17 anni mi sono iscritta a questa Università piena di speranze, poi ho fatto molte cose fuori. Ma mi piaceva lavorare in quell’istituzione, era un arricchimento e una forma di crescita, mi piaceva la ricerca».

    Conosceva, quindi, coloro che ha denunciato…

    «Non avrei mai pensato di fare l’esposto penale. C’erano cose un po’ pesanti fin dall’inizio, molto pesanti, ma sono cose prescritte. Non me la sono sentita perché queste persone le avevo conosciute, avevamo fatto workshop insieme, era capitato di organizzare cose insieme. Di alcuni conoscevo il marito, la moglie. Una come si sente nel fare un esposto penale sapendo cosa possono rischiare? La prima volta ho pensato ad un errore. Qualcuno in Università mi ha detto che erano stati pasticcioni nella commissione d’esame, ho detto proviamo a vedere se fanno un concorso con meno pasticci. Ma così non è stato. Quando ho fatto l’esposto penale, era una cosa per me troppo intima per parlarne, lo sapevo io, l’avvocato, mio marito e il procuratore».

    L’ex Rettore Catanoso si rivolge a lei definendola “quella grandissima puttana”, cosa ha pensato nel leggere queste parole?

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    Pasquale Catanoso

    «È una cosa bruttissima per me, ma anche per le donne. È un insulto sessista, ma non fa una bella figura chi lo dice. La cosa più raccapricciante non è quello che uno legge. Rispetto a quello che ho visto io in 14 anni, queste sono solo coltellate che si aggiungono su ferite aperte».

    C’è speranza per l’Università Mediterranea di scrostarsi da questo sistema?

    «Io me lo auguro. Sono una gocciolina, però la goccia scava la roccia come si sa. Però da sola no, bisogna diventare un fiume in piena. Dobbiamo essere in tanti. Spero che tanti altri che sono vittime denuncino. Invito a contattare l’associazione Trasparenza e Merito. Porterà a non sentirsi soli come mi sono sentita io. La speranza per il contesto universitario c’è, ma è necessario che le rivoluzioni partano da dentro. Qualche attestato di stima l’ho avuto da persone dell’Università Mediterranea, ma vorrei che fossero attestati pubblici e non privati. Ripeto, le distanze vanno prese da chi è dentro l’istituzione».

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    C’è molta paura…

    «Deve essere difficile per chi è dentro vedere queste cose e girarsi dall’altra parte. La paura è tanta, ma anche la paura mia era tanta quando ho fatto il ricorso. La paura c’è sempre quando si fa una battaglia, ma bisogna trovare il coraggio. Molti mi dicono “tu hai una forza che io non ho”, ma io la forza non ce l’ho, io la forza me la do. Affrontiamo le nostre paure, le cose possono cambiare. Altrimenti non ci chiediamo perché i nostri figli vanno all’estero… Con i soldi pubblici si fanno concorsi pubblici secondo le regole della Costituzione, altrimenti cambino la Costituzione se non si vogliono fare concorsi regolari!»

  • Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

    Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

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    Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta sull’inchiesta “Magnifica” che ha decapitato l’Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria emerge quello che si potrebbe chiamare il manuale della clientela perfetta. Circostanze tutte da passare al vaglio della magistratura giudicante, ma le intercettazioni agli atti riaprono, a distanza da tre anni dall’inchiesta “Università bandita” che ha coinvolto l’ormai ex rettore dell’Università di Catania, interrogativi sulle presunte distorsioni del mondo universitario.

    Non per soldi ma…

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    Pasquale Catanoso

    L’ex rettore dell’ateneo reggino, Pasquale Catanoso, dalle carte parrebbe essere il garante di un sistema di potere ben radicato e con profonde relazioni politiche e istituzionali.
    «Emerge un quadro istituzionale sconcertante. Nulla avviene nella legalità in sede di selezione, tutto è soffocato da logiche clientelari e di favoritismo», scrive il giudice per le indagini preliminari. Quali possano essere le finalità perseguite le spiega, invece, il pubblico ministero negli atti di inchiesta: «Ciò che li spinge ad una gestione così illegale della cosa pubblica non è “la mazzetta” ma un’utilità ben più articolata, fatta di prestigio, presenza e notorietà in ambito professionale e disponibilità di risorse materiali da investire nei propri progetti».

    Abitudini radicate

    Tra gli indagati eccellenti spunta Michele Trimarchi, ordinario di Scienza delle Finanze alla “Magra Graecia” di Catanzaro. La stessa università, per intenderci, che esprime un componente del Csm in quota M5S, l’ “anonimo professore” (Palamara dixit) Fulvio Gigliotti; un deputato del Pd, Antonio Viscomi; una ex candidata regionale e ex candidata al Senato con il Pd, Aquila Villella; un candidato sindaco del capoluogo, Valerio Donato.

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    Michele Trimarchi

    Trimarchi dirige il centro di ricerca in Economia e Management dei Servizi. In un’intervista al magazine economico Costozero dello scorso dicembre affermava che «bisogna avere una visione laica della cultura». Dalle carte dell’inchiesta, però, emergerebbe ben poco di laico. Ad esempio, l’interessamento di Trimarchi per una studentessa che avrebbe partecipato al concorso di dottorato in architettura della “Mediterranea”. Nell’ordinanza il Gip rileva «quanto sia radicata l’abitudine ad interferire con le dinamiche di selezione tra candidati di un concorso, quale il dottorato, aperto ad esterni e interni all’Ateneo che lo bandisce, nell’ottica di sistemazione dei propri pupilli».

    Seconda per principio

    È proprio in questo sistema che si sarebbe mosso Trimarchi, indagato insieme alla sua presunta pupilla Francesca Sabatini. La ragazza, estremamente competente e che sarebbe potuta arrivare prima nella graduatoria di merito, secondo quanto riferiscono tutti gli altri indagati nelle intercettazioni (che la mettono al secondo posto solo «per principio», secondo quanto si legge nell’ordinanza) – si ritrova invece in questo presunto, ma potenzialmente abietto, sistema di spintarelle.

    A fine luglio del 2018 l’Università Mediterranea dà il via a una selezione per il dottorato di ricerca in “Architettura e territorio”. Inizialmente le borse di studio sono 6 (su 8 posti), poi divenute 8 su 10 posti: tre finanziate dall’ateneo reggino, altrettante dalla Magna Graecia e due da fondi POR Calabria 2014/2020. Tra le vincitrici del dottorato con borsa di studio di Catanzaro c’era proprio Sabatini, arrivata seconda con un punteggio 104/120.

    Per garantirle un posto al dottorato, il docente Umg si sarebbe letteralmente “fatto in quattro” unitamente all’allora rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso. Secondo la Procura, i candidati “favoriti” hanno conseguito «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali, legati alla remunerazione e alla progressione di carriera discendenti dall’ammissione al corso di dottorato in architettura e territorio – XXXIV Ciclo dell’Ateneo».

    Le intercettazioni

    Proprio due giorni fa, Trimarchi ha scritto sul suo profilo Facebook: «Miei cari, per circostanze complesse non ho più il cellulare. Per salvare insieme la galassia accontentiamoci dei messaggi su fb, ig, linkedin, etc.».
    Quello stesso cellulare durante le indagini è stato oggetto di intercettazioni, dalle quali emergerebbe il forte interesse del docente affinché non una, ma due “sue” candidate la spuntassero all’esito del concorso di dottorato, con relativa borsa di studio triennale. Un desiderio, però, che dovrà ridimensionare perché l’allora rettore Catanoso spiega di poter “garantirgli” soltanto un posto sul totale di quelli banditi.

    Inoltre, in altra conversazione, il professore dell’Umg specifica di aver già segnalato due anni prima una ragazza (non indagata), chiamandola “la mia dottoranda”, pur essendo all’Università di Reggio Calabria, dove Trimarchi non è docente.
    Trimarchi e Catanoso, ignari di avere i telefoni sotto controllo, ne parlano l’1 agosto 2018. Il primo si duole perché negli anni precedenti solo uno dei candidati che ha segnalato, si legge nell’ordinanza, «è stato effettivamente favorito»:

    «Trimarchi: senti, volevo anticiparti una cosa banale ma, importante che posso dirla solo a te… Quest’anno avrei due candidate per il dottorato
    Catanoso: eh
    Trimarchi: in forza delle tre borse che fa… Reggio ogni tanto
    Catanoso: se puoi… fartene una… no veramente, vabbè poi ti spiego perché… se puoi mettine una
    Trimarchi: se posso preferisco due
    Catanoso: comunque il concorso è… rigoroso si… il concorso è rigoroso
    Trimarchi: sono sono bravissime queste qua… mi… mi vergognerei di presentarle insomma… so proprio brave, però mi sembrava carino parlarne con te
    Catanoso: il concorso è rigorosissimo… si il concorso è rigorosissimo… perciò ti voglio… capito?
    Trimarchi: va bene, perché io… l’anno scorso, una su tre… due anni fa una su tre… ricordiamocelo
    Catanoso: si ma non c’entra… poi ti dico
    Trimarchi: lo so che non c’entra lo dico anch’io non c’entra niente, però… voglimi bene, va bene? Ciao Ciccio grazie…»

    Una sì, due no

    Massimiliano Ferrara

    Michele Trimarchi – un mese dopo, il 4 settembre 2018 – in un’ulteriore conversazione telefonica intercettata, parla con un altro indagato, Massimiliano Ferrara, direttore del dipartimento di Giurisprudenza. Si lamenta perché da due anni non fa parte della commissione esaminatrice per la selezione dei candidati per il dottorato in architettura. Manifesta all’interlocutore la speranza che stavolta lo inseriscano, anche perché «ha due candidate» da far entrare. Il problema che paventa Trimarchi è che il rettore gli ha fatto, invece, intendere che due candidati sarebbero stati troppi. Ma quest’ultimo, afferma, «non deve rompere i cogl…». Così annuncia di voler parlare della questione con il coordinatore del dottorato, Gianfranco Neri (altro indagato nell’inchiesta).

    «Trimarchi: no, la situazione è questa qua, allora, io sono al collegio nel dottorato, ovviamente ci rimango, quest’anno… ora non ho capito perché loro per due anni non mi hanno messo nella commissione… quest’anno gli avevo detto, eventualmente gli avevo detto eventualmente di met… dovrei avere due candidate visto che ogni anno diamo tre borse da Catanzaro
    Ferrara: eh ma ci sono le tue candidate?
    Trimarchi: eh
    Ferrara: si sono candidate? Hanno presentato la domanda?
    Trimarchi: si si serie… si si certo
    Ferrara: e… entrato sempre quello del DarTe no?
    Trimarchi: del DarTe si, tanto conoscendomi bene sai che non faccio candidare gente scarsa cioè…
    Ferrara: ma che stai scherzando?
    Trimarchi: però appunto io vedo di capire che cosa succede in questa tornata di dottorati… Pasquale mi ha subito detto… ah però… due sono troppi qua e la… e Pasquale deve rompere i coglioni
    Ferrara: che cazzo vuole dire… e si perché quelli che candidano quegli altri sono belli…?
    Trimarchi: e non me lo dire a me… io adesso ne parlo direttamente con Neri che rimane il coordinatore del dottorato e confido che non mi rompano i coglioni dopodiché ne parliamo con calma, però insomma dovrebbe essere una cosa tranquilla, quindi adesso guarda, facciamo così, io appena capisco com’è la situazione perché non so manco quando saranno le prove di ammissione al dottorato…»

    Rapporti da salvaguardare

    Alla fine, Trimarchi deve ridimensionare la sua “pretesa”, come gli ha anticipato Catanoso ad agosto. Quest’ultimo, però, in sede di concorso, pare adoperarsi comunque a favore della Sabatini. Così scrive il Gip: «Il Catanoso ha manifestato un fortissimo interesse a che la candidata Sabatini superasse il concorso, anzi l’ha preteso, si è fatto in quattro per assicurare la vincita del concorso, ritenendo che da tale fatto dipendessero le sorti dell’Università reggina. Le conversazioni hanno fatto emergere l’interesse del Catanoso a favorire la Sabatini, uno dei candidati catanzaresi, al fine di non compromettere i rapporti con Catanzaro, per assicurarsi la futura collaborazione sul piano dello stanziamento di somme da destinare al dottorato di ricerca».

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    Nella tarda serata della data di conclusione della prova orale per l’ammissione al dottorato, il 19 settembre 2018 alle ore 22, Catanoso chiede al direttore generale dell’Università, Ottavio Amaro, se siano passati candidati di Catanzaro, riferendosi proprio alla Sabatini, la candidata “segnalata” da Trimarchi.

    «Catanoso: è passato qualcuno di Catanzaro?
    Amaro: si è stata la prima, la più brava mi hanno detto
    Catanoso: eh brava si va bene va bene
    Amaro: la Sabatini
    Catanoso: vabbè, grazie Ottavio»

    Massima riservatezza

    Il concorso è stato bandito, come si è detto, nel luglio 2018, mentre le prove sono state a settembre. Quattro mesi prima dell’emanazione del bando, risulta dall’ordinanza del Gip una conversazione tra il coordinatore Gianfranco Neri (indagato) e Trimarchi circa lo stanziamento delle borse di studio finanziate dalla ‘Magna Graecia’ a favore del dottorato reggino (una delle quali, come risulta dagli atti, andrà alla “segnalata” Sabatini).

    Come scritto dal Gip, «l’intervento del Trimarchi risulta essere stato decisivo per lo stanziamento ma non è possibile però ipotizzare, a livello di gravità indiziaria, a carico del Trimarchi il compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio con riferimento alla fase dello stanziamento delle borse/fondi». «Non si conoscono – prosegue il giudice – le dinamiche che sono state attivate dallo stesso Trimarchi, anche se è emerso come lo stesso Rettore (Giovambattista De Sarro, ndr) avesse chiesto di tenere il massimo riserbo sulla questione (non si individua l’esigenza di cotanta segretezza)». Sempre nell’ordinanza si legge che «il Trimarchi nella veste di professore ordinario e quindi di pubblico ufficiale è sicuramente nella condizione di poter influenzare le scelte dell’Ateneo catanzarese in tema di stanziamento di borse di studio in favore di altri Atenei».

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    Il rettore De Sarro

    A differenza di quanto sostenuto dal pubblico ministero, però, per il Gip «gli elementi che si hanno portano a ravvisare, secondo le valutazioni che sono proprie della presente fase procedimentale, la fattispecie di cui all’art. 318 e 321 cp in relazione alla quale il Trimarchi riveste la qualità di corrotto e il Catanoso (ma anche Neri, Amaro e Tornatora) la qualità di corruttore».

    Ecco il testo della conversazione telefonica, datata 28.3.2018, tra Neri e Trimarchi sullo stanziamento dei fondi per le borse di studio:
    «Trimarchi: Sentimi sono riuscito finalmente a parlare con il Rettore e ha detto va bene.
    Neri: va bene d’accordo…
    Trimarchi: Quindi stasera gli mando una lettera, ha detto naturalmente di fare…far stare la cosa nel più massimo silenzio possibile
    Neri: D’accordo
    Trimarchi: perchè loro c’hanno sai
    Neri: D’accordo»

    Subito dopo aver parlato con Trimarchi, riportano gli atti, Neri chiama la moglie del Dg dell’Università ‘Mediterranea’ Ottavio Amaro, la docente Marina Tornatora per renderla edotta di quanto gli hanno comunicato.

    «Neri: Senti ho sentito Michele Trimarchi…
    Tornatora: si
    Neri: Si, il quale mi ha detto che ha parlato con il Rettore e che… domani mattina… che sta tutto a posto per lui va bene, domani mattina ci comunicheranno questa cosa…Mi diceva, ma lo dirà pure a te di avere il massimo… massima riservatezza su questa cosa perché il Rettore vuole così, il Rettore di Catanzaro…»

    Il silenzio del rettore

    Nessun commento è pervenuto al momento da parte del rettore dell’Università di Catanzaro, Giovambattista De Sarro. Nè è chiaro se nella prossima seduta del C.d.a. universitario o del Senato accademico si parlerà del “caso Trimarchi”.
    Certo è che l’Umg già tre anni fa, nell’ambito dell’inchiesta “Università Bandita, venne scalfita con l’inserimento tra gli indagati di docenti dell’ateneo catanzarese.

    Allora si mise tutto sotto il tappeto, ma certamente De Sarro dovrebbe spiegare come mai avrebbe imposto il silenzio sui fondi “sollecitati” da Trimarchi a favore del dottorato in architettura dell’Università di Reggio Calabria. Al tramonto del suo settennato, su De Sarro (che, si sottolinea, non è indagato) pende questa situazione assai scomoda. I molteplici organi istituzionali dell’Ateneo o i rappresentanti degli studenti gliene chiederanno conto?

  • Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

    Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

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    Fabrizio Marrazzo, ingegnere, già presidente di Arcigay Roma, portavoce del Gay Center, storico attivista LGBT* oggi è anche leader del Partito Gay. La formazione politica, nata nel 2020, ha già ottenuto le prime soddisfazioni. Nell’ultima tornata amministrativa ha eletto numerosi consiglieri comunali in giro per l’Italia e ora si appresta a concorrere anche in Calabria.

    Marrazzo, come mai la nascita del Partito Gay?

    «Il “Partito Gay per i Diritti LGBT* solidale, ambientalista e liberale” nasce per dare all’Italia un partito che si occupi seriamente dei diritti delle persone LGBT. Purtroppo, come abbiamo visto anche con la bocciatura della legge contro l’omofobia, partiti che durante la campagna elettorale hanno fatto grossi spot per dire che si stracciavano le vesti per i diritti LGBT poi, in concreto, non lo fanno. Per questo c’è bisogno di un partito. Anche nella legge contro l’omofobia che è stata affossata c’erano cose che non andavano bene. L’articolo 4, ad esempio, la svuotava perché diceva che non venivano considerati autori di discriminazioni coloro che facevano affermazioni in base al proprio riferimento sociale o culturale. Si poteva, secondo quella legge, dire che i gay sono malati, senza commettere alcun reato».

    Lei parla della legge Zan. Mi pare di capire che non è molto contento dell’operato del Partito Democratico…

    «L’operato non tanto del Pd, ma di Alessandro Zan e di Monica Cirinnà. Hanno voluto rappresentare loro le istanze della comunità LGBT*, dimostrandosi purtroppo impreparati e incapaci. La stessa legge vietava la formazione contro le discriminazioni nelle scuole, cosa che noi oggi riusciamo a fare e se fosse stata approvata la legge non sarebbe stata più possibile. Se io volessi fare un corso contro la violenza sulle donne o su tematiche simili, il problema non si porrebbe, ma, con quella legge, si sarebbe posto in caso di corsi contro la violenza nei confronti delle persone LGBT*.

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    Alessandro Zan

    Siamo riusciti, però, a fare approvare il fondo contro l’omofobia grazie alla senatrice Alessandra Maiorino del M5S, che ha fatto una lotta politica all’inizio abbastanza solitaria in cui esponenti di partiti che si dicevano favorevoli alle istanze LGBT non l’hanno aiutata».

    Oggi, però, c’è una ministra per le Pari opportunità: Elena Bonetti…

    «La ministra c’è, ma ha un ruolo esecutivo e non legislativo. Non esiste una legge che tuteli le persone LGBT ad eccezione delle unioni civili. Noi abbiamo promosso un referendum per trasformare le unioni civili in matrimonio egualitario. La ministra per le Pari opportunità, se non ha l’opportunità di legiferare con una maggioranza in Parlamento per approvare leggi di contrasto alle discriminazioni, può soltanto mettere in campo le leggi che già esistono. Cioè zero. L’eccezione del citato fondo contro l’omofobia, che è un fondo limitato, non permette di fare prevenzione.

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    Elena Bonetti, titolare del dicastero per le Pari opportunità

    È un punto di inizio, ma siamo allo zero assoluto. Se domani la Bonetti andasse in Parlamento a chiedere una legge sui pari diritti alle coppie omosessuali o per fare formazione nelle scuole, non avrebbe purtroppo la maggioranza. Si è visto con la legge contro l’omofobia, che era un compromesso, fatto pure male».

    Il Partito Gay sarà presente anche alle prossime elezioni amministrative?

    «Saremo presenti in varie città grandi e piccole. Stiamo lavorando in vari territori. In alcune Regioni abbiamo già rapporti consolidati. Abbiamo decine di consiglieri, anche un assessore, in tutta Italia. Cercheremo di esserci anche in Calabria, territorio dove ci sono vari amministratori locali LGBT che per la loro carriera preferiscono non dichiararsi».

    Lo scorso autunno avevate espresso la volontà di presentarvi anche alle elezioni regionali in Calabria, ma poi non ci siete riusciti. Come mai?

    «Ci sono stati dei problemi organizzativi e delle difficoltà sul territorio. Molte persone avevano problemi a presentarsi con una lista di questo tipo, credendo che ciò comportasse un coming out familiare e lavorativo. Purtroppo è stato un elemento che in Calabria ci ha penalizzato. Siamo certi che una volta presentate le liste, come già accaduto altrove al Sud, troverà alle urne una buona parte di consenso».

    Secondo lei in Giunta e in Consiglio regionale in Calabria ci sono omosessuali?

    «Sì, ci sono sicuramente persone LGBT sia in Giunta che in Consiglio. Però, ad oggi, non sono dichiarati. Noi ci auguriamo che facciano coming out e che sia positivo per dare l’esempio e per lavorare sui diritti. Il problema è che quando ci sono nelle amministrazioni persone non dichiarate poi c’è un problema nelle attuazioni delle azioni antidiscriminatorie. E, quindi, di questi temi non se ne occupano».

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    In Calabria nel gennaio 2019 è stata approvata all’unanimità in commissione regionale Cultura una proposta di legge contro l’omofobia, che non è stata mai portata in aula dalla maggioranza targata Pd che, di fatto, l’ha affossata. Oggi col centrodestra al potere quali speranze ci sono di vedere riesumato quel testo?

    «Sicuramente la maggioranza di centrodestra a livello nazionale ha sempre ribadito con la Lega e con Fdi l’opposizione ai diritti delle persone LGBT*. Matteo Salvini da ministro emanò il cosiddetto decreto “Padre e madre” che vieta alle coppie omosessuali con figli adottati e riconosciuti dallo Stato di poterli riconoscere anche sulla carta di identità del minore. Ha creato dei danni al minore nella vita quotidiana, ad esempio se deve viaggiare all’estero o andare in ospedale oppure se un genitore deve andarlo a prendere a scuola.

    A Pescara a seguito del Pride un ragazzo fu aggredito e gli venne rotta la mascella con una violenza inaudita. Il sindaco di Fratelli D’Italia e Giorgia Meloni diedero piena solidarietà al ragazzo, poi quando in aula in Consiglio comunale venne portata una mozione per aiutare il ragazzo a pagare le spese legali contro chi lo aveva aggredito, la maggioranza di centrodestra votò contro. Con questa maggioranza di centrodestra non si va da nessuna parte».

    La commissaria regionale di Fdi in Calabria, l’onorevole Wanda Ferro, è stata una delle sostenitrici della nascita di Arcigay a Catanzaro. Magari c’è una maggiore sensibilità su questi temi…

    «Una rondine non fa primavera. Sono persone che, anche se hanno una certa influenza nel partito, poi non riescono a concretizzare. Penso alla ministra Mara Carfagna che, nonostante si sia schierata spesso a favore delle istanze LGBT, poi in aula non è riuscita ad avere il voto favorevole della sua componente sui provvedimenti. È certamente importante avere queste presenze, ma le azioni spot non bastano.

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    Wanda Ferro

    Occorre far capire che non sono tematiche di una sola parte, sono tematiche di civiltà che tutti devono portare avanti. In Inghilterra il matrimonio egualitario è stato sostenuto dal leader di centrodestra David Cameron. Anche la Cdu di Angela Merkel votò il matrimonio egualitario in Germania. Questo lo dico al centrodestra in Calabria per far capire che questi temi devono essere trasversali. Tra i loro eletti, i loro candidati e i loro elettori ci sono persone LGBT e per questo invito a favorire la tutela e la garanzia dei diritti di tutti».

  • Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Roberto Occhiuto ha un (Alfonsino) Grillo per la testa. Ormai pare abbastanza chiaro: il presidente della Regione brilla per stravaganza quando si tratta di nomine pubbliche di sua competenza. Quella di Antonio Grande (detto Anton Giulio per la haute couture) a commissario della Film Commission ha fatto storcere il naso a tanti; quella del suo capo di Gabinetto Luciano Vigna, che si cumula a quella di direttore della stessa Film Commission, ha resuscitato persino l’opposizione targata Pd. Sarà il clima pasquale.

    A queste tocca aggiungere la recente nomina del commissario del Parco delle Serre, Alfonsino Grillo. A dettarla, probabilmente, la fede politico-partitica (in particolare, il sostegno elettorale alle ultime regionali al ticket forzista Michele Comito-Valeria Fedele) e non particolari competenze tecniche. Grillo, difatti, ha svolto la professione di geometra (oggi non risulta iscritto all’albo) ed è laureato in Scienze politiche. Certo, nel 2002 la Giunta Chiaravalloti lo nominò nel cda del Parco delle Serre e da consigliere regionale fu componente della commissione Ambiente. Un background forse un po’ scarno a fronte delle tante eccellenze calabresi, anche giovani, costrette ad emigrare.

    Il Grillo cangiante: da Esposito a Mangialavori

    Ma il golden buzz (per dirla alla Italian’s Got Talent) per Alfonsino Grillo è scattato di recente, grazie all’abbraccio con Giuseppe Mangialavori e Forza Italia, dopo anni passati al seguito del catanzarese Baldo Esposito.
    Dopo l’esperienza da sindaco di Gerocarne nel 2007, Grillo è stato eletto consigliere regionale nella lista “Scopelliti Presidente” nel 2010 con 3.400 voti. Esperienza che non riuscì a replicare nelle due successive tornate, limitandosi a “reggere” le liste che porteranno nel 2014 e nel 2020 all’elezione del catanzarese Baldo Esposito, che ottenne il seggio anche grazie al suo apporto.

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    Mangialavori e Occhiuto durante l’ultima campagna elettorale

    Nel 2014 sotto la bandiera del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano (compagine che vide Grillo assumere ruoli partitici di rilievo, in primis il coordinamento provinciale di Vibo Valentia) raccolse 3.610 voti (a fronte dei 6.400 di Baldo Esposito). Nel 2020 con la lista “Casa delle libertà” ne ottenne 2.654, mentre furono oltre diecimila quelli per l’ormai ex presidente della commissione Sanità. In quell’anno Grillo si “candidò” anche per ricoprire incarichi di sottogoverno regionale, senza successo.

    La condanna della Corte dei Conti

    Nel marzo del 2020, però, arrivò per Grillo la condanna della Corte dei Conti per il filone erariale di Rimborsopoli.
    Ben 62.570,98 euro di danno erariale per spese non ammissibili per gli anni da consigliere regionale 2011 e 2012. Per quelle del 2010 è arrivata, invece, la prescrizione.

    «Sotto il profilo formale, quasi tutta la documentazione non è riferita al Gruppo, ma all’on. Grillo, nella qualità di consigliere regionale», si legge nel testo della decisione. «Sul piano sostanziale è lapalissiano come l’erogazione di contributi alle varie associazioni presenti sul territorio non sia affatto riconducibile alle finalità istituzionali del Gruppo consiliare, ma agli scopi di promozione politica del consigliere Grillo», precisarono i magistrati contabili.

    Tra le spese, pagate con soldi pubblici per fini giudicati privati, figurano elargizioni per i festeggiamenti in onore di San Michele Arcangelo a favore del Priore della relativa confraternita di Arena, altre a favore dell’Associazione “Lira Battente” per una manifestazione, contributi a favore della Pro Loco di Zambrone e per la festa patronale di San Basilio a Cessaniti.

    Alla fine la condanna è stata pari all’80% del danno (il restante 20% rimane in capo al presidente del Gruppo consiliare per omesso controllo), ossia 50.056,78 euro. Permane, inoltre, ad oggi, il rinvio a giudizio per peculato disposto dal Gip di Reggio Calabria nel 2017 per quanto concerne gli aspetti penali.

    Portaborse e vitalizio: i “cuscinetti” alla condanna

    Con determina del 4 agosto 2020 a firma di Antonio Cortellaro e Romina Cavaggion – tra l’altro ex componente della struttura di Grillo quando era consigliere regionale – è arrivata la nomina da parte di Baldo Esposito proprio di Alfonsino Grillo quale “responsabile amministrativo al 50% del Presidente della III Commissione”. Un portaborse, insomma, nonostante il diretto interessato non ami sentirsi definire tale.

    Grazie a quella nomina ha ricevuto 7.984,64 euro lordi nel 2020 e circa 17mila nel 2021. L’erario, però, ha pignorato un quinto della somma per far fronte alla condanna della Corte dei Conti. Tutto legittimo e pazienza se pagare con un incarico fiduciario pubblico (intervenuto dopo la condanna) alla Regione un danno erariale alla Regione stessa può suscitare critiche da parte dei soliti maliziosi.

    Ma non è finita. Lo scorso 28 marzo Alfonsino Grillo ha chiesto il vitalizio per il mandato di consigliere regionale svolto dal dal 28 marzo 2010 al 22 novembre 2014. Vitalizio che si vedrà accreditare proprio dal 1 aprile per una cifra pari a 2.434,83 mensili lordi. Piccolo particolare: la somma del vitalizio è ridotta del 25%, ma solo perché Grillo ne ha chiesto la liquidazione anticipata. Ossigeno, quindi, per le tasche dell’ex geometra.

    Alfonsino Grillo, da commissario a presidente?

    Ma Alfonsino Grillo è tornato in grande spolvero a seguito del cambio di sponsor politico. Decisivo l’apporto elettorale a Michele Comito e Valeria Fedele, eletti nella lista di Forza Italia (anche se sub iudice, soprattutto la seconda, ineleggibile secondo il giudizio di primo grado del Tribunale di Catanzaro).
    Ad attendere Grillo, il Parco delle Serre e un discreto stipendio, nonostante i precedenti commissari svolgessero l’incarico a titolo gratuito. Il dirigente regionale Giovanni Aramini, voluto da Jole Santelli nel 2020, il funzionario Domenico Sodaro nel 2016 e il dottor Giuseppe Pellegrino nel 2018, voluti da Mario Oliverio, non percepivano il becco di un quattrino.

    Parco delle Serre: 30 anni di fallimenti, tagli selvaggi e scaricabarile
    La luce trafigge il bosco del Parco delle Serre (dal sito ufficiale dell’Ente: foto Salvatore Federico)

    Diversa sorte toccherà a Grillo. Lui arriverà a ricevere oltre 6mila euro lordi mensili (36.308 euro lordi per i sei mesi di durata dell’incarico da commissario). Intanto, solo due giorni fa, l’Assemblea della Comunità del Parco (guidata dalla assessora leghista di Simbario, Melania Carvelli) ha inserito lo stesso Grillo nella rosa dei 5 nominativi in lizza per la presidenza dell’ente. Ma la strada non è proprio in discesa.

    La possibile sospensione e l’orientamento dell’Anac

    Come si è detto, permane a carico di Alfonsino Grillo l’accusa di peculato dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, nel filone penale dell’inchiesta “Rimborsopoli”. In caso di condanna, anche se non definitiva, per peculato il soggetto esterno all’amministrazione che abbia un incarico pubblico (come è quello di commissario/presidente del Parco delle Serre) va sospeso senza retribuzione (come sospesa è l’efficacia del contratto di diritto privato stipulato con l’amministrazione).

    Non solo, l’Autorità nazionale anticorruzione suggerisce al legislatore di estendere la disciplina delle inconferibilità anche in caso di condanna della Corte dei Conti per danno erariale.
    Tali condanne, si legge nella delibera, «portano dietro un giudizio di disvalore, dal punto di vista della lesione dell’immagine della pubblica amministrazione… analogo a quello delle sentenze di condanna emesse all’esito di giudizio penale». Ma se a Roberto Occhiuto va bene così, non sarà certo l’opposizione a farglielo notare.

    Uno slogan elettorale di Alfonsino Grillo particolarmente azzeccato
  • Calabria film commission: se Grande divide, Vigna resta la vera anomalia

    Calabria film commission: se Grande divide, Vigna resta la vera anomalia

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    La regola dell’amico non sbaglia mai, dicevano gli 883 negli anni ’90. Invece, il ginepraio di polemiche sorte al seguito della nomina del “vecchio amico” di Roberto Occhiuto, il lametino Antonio Grande (detto Anton Giulio per l’haute couture) è arrivata a far porre dei dubbi persino al solitamente dormiente gruppo Pd in Consiglio regionale guidato da Nicola Irto. «Un atto incomprensibile», hanno stigmatizzato pubblicamente, senza annunciare (confidiamo nell’effetto sorpresa) alcun atto politico-istituzionale-ispettivo consequenziale.

    Furgiuele plaude e si smarca

    Il concittadino del neo commissario di Calabria Film Commission, il deputato della Lega Domenico Furgiuele, ha plaudito pubblicamente alla nomina. «Da tempo – il suo commento – l’amico Anton Giulio mostra interesse e sensibilità verso i temi della ripresa culturale e della promozione dell’immagine della Calabria». Poi ha smentito di essere il “suggeritore” della nomina, come pensato nell’immediato dai più. «La nomina l’ha fatta Occhiuto. Io l’ho condivisa in pieno», ha dichiarato a ICalabresi.

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    Domenico Furgiuele

    Tre imprese, tutte chiuse

    Invece, Antonio Grande, avvistato nell’estate 2021 agli eventi di presentazione della candidatura di Roberto Occhiuto, pare quasi sia stato ripescato a seguito della cessione formale delle sue attività aziendali.
    Difatti, da quanto risulta dalla relativa Camera di Commercio e dalle Conservatorie, la società in nome collettivo “Antongiulio Grande di Giovannino Antonio Macrì & Antonio Grande”, è cessata nel 2008. «Il 18 febbraio 2008 il conservatore ha trasmesso al Giudice del registro imprese di Catanzaro la proposta di cancellazione d’ufficio dell’impresa», si legge nella visura camerale.

    Nel contempo, la Anton Giulio Grande s.r.l. con sede a Roma, nata nel febbraio 1996, è finita in liquidazione (con Antonio Grande liquidatore) e poi definitivamente cancellata il 19 luglio del 2012.
    È rimasta in piedi l’impresa artigiana “Antonio Grande”, nata subito dopo la chiusura della s.r.l. romana, nel novembre 2012. Una impresa iscritta con la qualifica di “Piccolo imprenditore” e annotata come impresa artigiana.
    Una azienda di sartoria con un solo addetto (formalmente non dipendente), la cui attività è cessata il 31 dicembre 2020, con cancellazione dal registro delle imprese nel febbraio 2021.

    Silenzi e divagazioni

    Da allora non risulta nient’altro, né Antonio Grande risulta avere altre partecipazioni societarie. Eppure nel gennaio 2022 ha presentato alla Fashion Week di Torino la sua nuova collezione di Alta Moda con 30 abiti, per poi portarla anche al Digital fashion show in Sicilia. «Noto stilista con atelier a Roma e Firenze, amato dalle signore dell’aristocrazia internazionale e dal luccicante mondo dello showbiz», lo definisce l’intro dell’intervista da lui resa a AobMagazine. Mentre lui stesso dichiara nel marzo 2022 a VelvetMag «L’alta moda dovrebbe essere concepita e recepita come un’opera d’arte, sfiorare l’ideale e quindi approdare ad un concetto di eternità». A differenza delle sue aziende che, però, risultano, come si è detto, chiuse, nonostante le presentazioni dei nuovi abiti offerte alla stampa.

    Interpellato direttamente sulla questione, Antonio Grande non ha ritenuto di rispondere alla domanda. Lo stesso deputato Domenico Furgiuele, alla domanda da noi posta se fosse opportuno nominare con un incarico di gestione apicale come risultano essere i compiti del commissario di Calabria Film Commission, una personalità che ha chiuso le sue aziende non ha risposto. Ha solo ripetuto che «La nuova Film commission si occuperà di cinema e non solo, ma di cultura e di arte. Grande è un uomo di arte e di cultura».

    Ma la Lega si smarca

    Lo pseudo sillogismo di Furgiuele – seguendo la stessa logica, perché non affidare la Film Commission a un ballerino o un pittore, visto che sempre di uomini di arte e cultura si tratta? – pare cozzare con la linea ufficiale dei suoi compagni di partito. Nel pomeriggio, infatti, Francesco Saccomanno, commissario regionale del Carroccio, si è affrettato a inviare una nota in cui precisa che eventuali suggerimenti su incarichi a nome del partito spettano solo e soltanto a lui. Che però «non ha mai avanzato nominativi non essendo neanche a conoscenza di tale possibile incarico». Un documento stringatissimo in cui balza all’occhio l’assenza di qualsivoglia apprezzamento per la scelta di Occhiuto.

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    Anton Giulio Grande al Festival di Venezia

    L’incognita compensi

    Il decreto con cui Occhiuto ha nominato Grande come commissario specifica che «il presente provvedimento non comporta oneri a carico del bilancio annuale e/o pluriennale regionale».
    Lo Statuto della Fondazione, invece, dispone che «Al presidente spetta un compenso equiparato a quello dei Dirigenti generali della Regione Calabria», ossia circa 135mila euro annui. Nel nuovo Statuto (contenuto nel burc dello scorso 1 febbraio) la somma scende a 40mila euro annui, ma non è ancora in vigore.

    Non risulta, però, che il ruolo di commissario sia legislativamente equiparato a quello di Presidente (soprattutto per quanto riguarda i compensi). Difatti, l’ex presidente Giuseppe Citrigno, dopo un triennio a titolo gratuito, nel 2019 ha avuto un compenso lordo di 44.379,11 annui. Giovanni Minoli, nella sua qualità, invece, di commissario straordinario nel 2020 e nel 2021 non ha percepito nessuna retribuzione. Difficile, quindi, arrivare a fare una “forzatura interpretativa” che non trova alcun riscontro né nell’atto di incarico, né nello Statuto della Fondazione, al fine di erogare compensi non specificamente previsti.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Doppio incarico per Vigna

    Non c’è solo la questione del Commissario, ma anche quella del direttore di Calabria Film Commission. A ricoprire l’incarico è Luciano Vigna, ex assessore comunale a Cosenza, ex responsabile amministrativo (per un mese) della presidente Jole Santelli e poi suo capo di Gabinetto fino all’1 giugno 2021.
    Proprio in quella stessa data Luciano Vigna viene individuato come Direttore della Fondazione e subito nominato con decreto del Presidente della Regione (Nino Spirlì) numero 43 del 1 giugno 2021, con un compenso annuo (previsto dall’articolo 12 dello Statuto della Fondazione) pari a quello stabilito per i Dirigenti Generali dei dipartimenti della Giunta Regionale, decurtato del 20%. In soldoni sono 129.971,21 euro lordi ogni dodici mesi.

    Vigna, però, è stato nominato con Decreto n. 217 del 24 novembre 2021 a firma di Roberto Occhiuto, nuovamente Capo di Gabinetto del presidente.
    Seppur a titolo gratuito, tale incarico comporta una rilevante gestione del potere, come cristallizzato dall’articolo 9 della legge regionale 8 del 1996. Difatti, si legge che: “L’Ufficio di Gabinetto cura la trattazione degli affari connessi con le funzioni del Presidente, secondo le direttive dallo stesso impartite, ed è d’ausilio nei rapporti con gli altri organi regionali, con gli organi statali, centrali e periferici, nonché con le formazioni sociali e le comunità locali».

    L’ex presidente facente fuzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì

    Controllore e controllato: si dimette?

    C’è da dire, però, che qualcosa deve essere sfuggito, perché nell’atto di nomina come Capo di Gabinetto, risulta che Vigna abbia dichiarato di non trovarsi in alcuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge regionale 7 del 1996, né in cause di conflitto di interessi.
    Eppure nella legge regionale 16 del 2005, che modifica la citata normativa del 1996 si legge che nell’ufficio di Gabinetto non può essere utilizzato chi «sia componente di organi statutari di enti, aziende o società regionali o a rilevante partecipazione regionale».

    L’articolo 3 dello Statuto della Calabria Film Commission, invece, cristallizza che: «la Fondazione esercita la propria attività prevalente in favore del Socio fondatore Regione Calabria, nel senso che almeno l’80% delle proprie attività sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dal predetto Socio fondatore Regione Calabria». Inoltre, secondo l’articolo 16 «le cariche di Presidente e di Direttore sono incompatibili con attività, incarichi e interessi che siano in conflitto con i compiti istituzionali della Fondazione, fatte salve le altre cause di incompatibilità/inconferibilità previste dalla legislazione vigente».

    Siccome, secondo l’articolo 18 dello Statuto della Fondazione, la Regione Calabria esercita attività di vigilanza (e che la Giunta regionale sovrintende all’ordinamento ed alla gestione della Fondazione), risulta chiaro che con Vigna in entrambi i ruoli, il controllore ed il controllato corrispondono. Si dimetterà?

  • Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Un anno fa Nicola Irto era il candidato in pectore del centrosinistra alla presidenza della Regione Calabria. Sul suo nome, però, arrivò il veto del Movimento 5 Stelle. E il Nazareno, in virtù della ricerca spasmodica – più nazionale che locale – di una alleanza organica con i grillini, lo sacrificò. A nulla valse il supporto offertogli da Dalila Nesci, pronta a candidarsi a primarie di coalizione (suscitando le ire dei suoi colleghi).

    Irto si ritirò con tanto di nota polemica offerta alla stampa. «La volontà di militanti ed elettori è svilita», dichiarò. Per poi annunciare di non voler «starsene zitto e buono» e denunciare i «piccoli feudi» del Pd. Poco dopo ne divenne il segretario regionale al motto di “Rigenerare il Pd”. Ma il partito pare essere solo all’ennesima situazione di stallo dove regna il tutti contro tutti.

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    Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd

    Irtolandia, in attesa delle politiche

    Oggi, il Pd è “Irtolandia”, un mondo dove lo scenario politico interno che viene raccontato è quasi idilliaco. L’unanimismo (spesso forzato) nelle decisioni interne e nell’elargizione di pennacchi partitici riempie le rassegne stampa quotidiane con roboanti annunci di assunzioni di responsabilità.
    Il tutto è chiaramente funzionale alle imminenti elezioni politiche che vedranno lo stesso capogruppo regionale del Pd candidato capolista (probabilmente al Senato). Irto, attualmente impegnato in un tour sui territori di presentazione del suo libro, è già proiettato verso uno scenario extracalabrese. E pazienza se ad accompagnarlo sono i mugugni di alcuni suoi colleghi eletti a Palazzo Campanella.

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    L’ex ministro Peppe Provenzano e Jasmine Cristallo

    I possibili intoppi rappresentati dal vedersi catapultati rivali interni nazionali pare averli scongiurati. Francesco Boccia è commissario regionale del Pd in Puglia e Stefano Graziano candidato segretario regionale del Pd campano. Con tali cariche avranno certamente diritto di opzione nei listini bloccati delle rispettive regioni. Ma per Irto sarà comunque complicato tenere le redini del partito con una lotta tra possibili “quote rosa” imposte da Roma e dirigenti locali, dato il risicato numero di posti per il Parlamento.

    Dema e Cristallo

    Il Nazareno, soprattutto per via dell’ex ministro Peppe Provenzano, tenta in tutti i modi di trovare spazio alla “sardina” di Catanzaro, Jasmine Cristallo. Il suo omologo bolognese, Mattia Santori, è consigliere comunale e si occupa di oche e frisbee. Lei è prima finita (con sorpresa dei più) nell’ormai noto sondaggio commissionato da Roma sui papabili candidati sindaci di Catanzaro espressi dal Pd. Poi avrebbe “suggerito” (tramite Boccia) al candidato sindaco Nicola Fiorita di offrirle un qualche ruolo nella campagna elettorale. Da qui al listino, però, ce ne passa. Certo è che se Fiorita dovesse diventare sindaco potrebbe essere suo grande sponsor. Sarà questo uno dei motivi del “boicottaggio” dei dem al “loro” candidato sindaco? Si vedrà.

    Altra questione è Luigi de Magistris, radicato praticamente “solo” in Campania ed in Calabria. Il centrosinistra a trazione Pd potrà concordare qualche patto di non belligeranza, inglobando qualche candidato dell’ex pm (la cosentina Anna Falcone?) in virtù del decantato campo largo? Sulla carta un accordo simile è già in atto nel capoluogo di regione, dove Dema e il Pd andranno a braccetto. Difficile, però, che l’uscente-effervescente Enza Bruno Bossio non usi (politicamente) il bazooka per farsi spazio, unitamente alle altre donne interne al Partito con l’ambizione di un giro di giostra in Parlamento.

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    Stefano Graziano, ex commissario del Pd in Calabria

    Ciao ciao Graziano

    Unica nota accolta con sollievo unanime all’interno del Pd è il bye bye a Stefano Graziano. Dell’ormai ex commissario regionale del Pd per ben tre anni, con in mezzo due elezioni regionali stra-perse, non rimarrà certo un buon ricordo tra i militanti, eccezion fatta per le portaborse di Amalia Bruni, da lui stesso indicate. Oltre alle elezioni calabresi, Graziano perse pure la sua in Campania nell’autunno del 2020. E dire che a sostenerlo c’erano vari big locali del suo partito: il sindaco di Caserta e presidente dell’Anci Campania, Carlo Marino; il vicesindaco Franco De Michele, presidente dell’Ente Idrico; il consigliere comunale e membro del C.d.a. del Consorzio Asi, Gianni Comunale.

    Graziano, però, è stato subito “recuperato” da Vincenzo De Luca quale suo consulente. Farà l’“Esperto del Presidente in materia di Analisi e programmazione economica degli interventi inerenti alle Reti ed Infrastrutture di interesse strategico regionale”. Oggi, proprio lo stesso De Luca lo sta fortemente sponsorizzando come segretario regionale a seguito delle dimissioni di Leo Annunziata. Andasse in porto, si archivierebbe nei fatti la sua candidatura in Calabria come “risarcimento” per il lavoro svolto nel triennio da commissario regionale.

    I feudi ci sono ancora: il caso Vibo

    Nonostante la mediatica narrazione del Pd come “IrtoLandia” e i congressi celebrati con la curatela del Nazareno che ha imposto l’unanimità nell’assunzione delle varie cariche, sui territori continuano ad esserci quei feudi che Irto aveva denunciato giusto un anno fa. E la situazione non si accinge certo a migliorare.

    Emblematico è il caso del Pd di Vibo Valentia, rimasto orfano del capogruppo in consiglio comunale, Stefano Luciano. «Sono grato a Nicola Irto per avermi scelto in direzione regionale del Pd, ma quanto verificatosi recentemente nel partito cittadino e provinciale non mi ha lasciato sereno, perché ogni spinta verso un radicale cambiamento è stata impedita in ogni modo e con ogni forza», ha dichiarato Luciano prima di abbracciare Azione di Carlo Calenda qualche giorno fa.

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    Giovanni Di Bartolo, segretario provinciale del Pd a Vibo Valentia

    Rigenerazione sì, ma dei parenti

    Già, perché in città è prevalsa la linea di Francesco Colelli e Fernando Marasco (provenienti da Sinistra, ecologia e libertà) e Carmelo Apa, proveniente da Rifondazione Comunista.
    Non certo una “Rigenerazione”, per dirla con Irto, ma il riproporsi delle stesse facce o dei loro parenti. È il caso del consigliere comunale del Pd Stefano Soriano, figlio di Michele, già candidato a sindaco in quota dem nel 2010. Ma anche del consigliere provinciale Marco Miceli che, seppur iscritto al gruppo “Vibo Democratica” (strizzando l’occhio al M5S), ha come padre un dirigente cittadino di lungo corso del Pd (ha guidato la commissione di garanzia dell’ultimo congresso).

    A livello provinciale il “pennacchio” di segretario è andato, invece, a Giovanni Di Bartolo, studente universitario, classe ’96, già “social media manager” dell’ex deputato Brunello Censore. La presidenza del Partito, invece, è toccata all’ex consigliere regionale Michele Mirabello, anche lui ex pupillo di Censore e già segretario provinciale del Partito nel 2013. Per l’uscente segretario provinciale Enzo Insardà, infine, è arrivato il posto di tesoriere regionale del Partito.

    L’ambiguo rapporto con Solano

    A “rigenerarsi” con questo nuovo Pd è certamente il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Salvatore Solano, imputato per corruzione, concorso nel minacciare gli elettori e turbata libertà degli incanti con l’aggravante mafiosa nell’ambito del processo della Dda di Catanzaro “Petrolmafie”.
    Già, perché la consigliera provinciale del Pd Maria Teresa Centro ha accettato di buon grado la delega offertale da Solano (che, ricordiamo, è stato eletto con Forza Italia), unitamente al citato Miceli, supportata dal collega di gruppo comunale Giuseppe Policaro, anch’esso grande supporter di Solano. Insomma, qui il nuovo Pd inciucia quanto e come il vecchio.

    A Catanzaro ritorno al passato

    Una versione amarcord del Pd arriva pure dal Catanzarese. Sui tre colli hanno “incoronato” segretario l’ex consigliere comunale Fabio Celia, che è stato il primo coordinatore del Pd cittadino nel 2010. Dodici anni fa scriveva: «Basta con chi ha generato la morte della politica di centrosinistra in città; basta con chi ha costruito lobby di potere per gestire la politica dell’interesse e dell’affermazione di sé e dei propri amici». Un ottimo intento, che pare cozzare, però, con l’aver piazzato suo cognato Giuseppe Correale prima come portaborse di Francesco Pitaro e ora di Ernesto Alecci.

    Come primo atto, Celia ha nominato un direttivo dal quale nell’immediato si è dimesso più d’uno in dissenso con la linea del Partito. Non proprio un buon inizio. La nomina di Celia è arrivata dopo il passo indietro di Salvatore Passafaro, figlio di ex consigliere comunale, già coordinatore cittadino del Pd  – e futuro capolista, qualora i dem abbiano la forza di stilare una lista alle prossime amministrative nonché protagonista delle primarie farsa (con tesseramento fasullo) del 2019.

    Come segretario provinciale, archiviata la tragicomica era Cuda, è stato collocato Domenico Giampà. Il sindaco di San Pietro a Maida, protagonista della faida per la segreteria provinciale con Enzo Bruno a suon di ricorsi del 2013, è un ex portaborse dell’assessore all’Ambiente Roberto Musmanno, fedelissimo di Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Il Pd a guida Giampà ha confermato come presidente l’ex primo cittadino di Satriano, Michele Drosi, già portaborse dell’assessore regionale Francesco Russo nell’era Oliverio.

    Ernesto Alecci, consigliere regionale del Pd

    Il nuovo Pd che guarda a destra

    Piccolo particolare: come membro della direzione regionale il Pd catanzarese ha nominato Eugenia Paraboschi, figlia dell’ex presidente della commissione di garanzia del partito catanzarese, storico comunista di Marcellinara. È proprio in questo paese che Eugenia è stata candidata ed eletta con “Marcellinara da Vivere”, lista di centrodestra con candidato a sindaco l’allora vicepresidente della provincia in quota Forza Italia, oggi consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro. La Paraboschi correva contro il segretario cittadino del Pd di Marcellinara, Giovanni Torcasio, ed è ancor oggi nel gruppo consiliare con l’esponente dei meloniani. Insomma, c’è molta confusione in questo “nuovo Pd”. Tanto che, in vista delle comunali del capoluogo, molti suoi esponenti hanno già virato a destra con Valerio Donato, chi ufficialmente, chi in maniera felpata.

    A Cosenza tutto rimandato

    A non cedere fino ad oggi all’unanimismo forzato che è stato imposto nelle varie province è stata la federazione del Pd cosentino, che esprime la deputata Enza Bruno Bossio.
    La Commissione nazionale di garanzia ha annullato le fasi propedeutiche alla celebrazione dei congressi alla luce dei vari ricorsi presentati. Tutto rimandato a maggio, in attesa che Bruno Bossio, Bevacqua, Zagarese, Locanto e Iacucci, con la tutela nazionale imposta per il tramite del funzionario Riccardo Tramontana, trovino la quadra.

    Nel mezzo, però, ci son state le elezioni provinciali di Cosenza, che hanno visto vincere il centrodestra di Rosaria Succurro. Il sindaco di Corigliano-Rossano, Flavio Stasi, ha punzecchiato: «Bisognerebbe riflettere su quanti e sulle ragioni di chi, seppur del centrosinistra o del PD, hanno votato centrodestra, visto che è aritmeticamente accertato». Per questa resa dei conti c’è da attendere.
    Intanto il tour di Irto continua, di feudo in feudo.

    La parlamentare del Pd, Enza Bruno Bossio
  • Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

    Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

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    Proprio ieri Matteo Salvini si è detto particolarmente fiducioso per la crescita della Lega in Calabria. Un mantra che ama ripetere in ogni occasione possibile. Bisogna dirlo, a differenza di molti altri leader, Salvini in Calabria ci mette la faccia: incontra militanti e dirigenti, tenta di dirimere le (numerose) beghe interne, ha chiuso l’ultima campagna elettorale regionale il giorno prima del silenzio elettorale proprio in Calabria.
    Insomma, Salvini alla Regione che lo ha eletto senatore (salvo poi venire scalzato dalla forzista Fulvia Caligiuri) ci tiene e non poco. Peccato, però, che l’elettorato abbia cominciato a non contraccambiare.

    Un sindaco leghista? Reggio ha detto no

    Nel settembre 2020, quando il vento leghista ancora spirava forte, Matteo Salvini tentò il colpaccio: piazzare un sindaco leghista a Reggio Calabria. Si scelse un tecnico d’area di origine reggina, con un forte legame con la Liguria del leghista Edoardo Rixi, fedelissimo dello stesso Salvini: Antonino Minicuci.
    Il rientro dei mugugni del deputato Francesco Cannizzaro, che bramava per gli azzurri la sindacatura del post-Falcomatà, non bastarono per vincere. La Lega ottenne il 4,69% con 4.299 voti e un solo consigliere, a fronte dei 3 di Forza Italia (11,1%) e dei due di Fdi (7,1%).

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    Antonino Minicuci

    Insomma, il traino non c’è stato. E quel «ragazzino Falcomatà» pronunciato in diretta tv da Minicuci, ne fu il requiem politico-elettorale. Tornarono nel cassetto i sogni e le ambizioni di espansione leghista nei territori calabresi. Unica (e magra) consolazione? Aver conquistato “solo” la Taurianova di Spirlì.

    Il deserto di Crotone…

    A Crotone e a Cosenza si può chiaramente parlare di flop. Nella città pitagorica alle Regionali del gennaio 2020 la Lega ottenne oltre 3.000 voti e il 14,5% dei voti. Alle Comunali di settembre dello stesso anno, invece, 1.163 voti e il 3,6%, conquistando un solo seggio con Marisa Luana Cavallo. Il suo sponsor era l’ex segretario provinciale Giancarlo Cerrelli, poi uscito, unitamente alla consigliera eletta, dalla Lega in polemica con le scelte dei vertici. A non convincerli era l’aver visto dare sempre più centralità al commissario della Sorical, Cataldo Calabretta, divenuto poi commissario anche della Lega per la provincia di Crotone.

    Le scelte politiche di Calabretta non furono elettoralmente lusinghiere, avendo puntato le sue fiches sull’avvocata Pina Scigliano, moglie dell’ex sindaco di Cirò Mario Caruso. La Scigliano ottenne poco più di 1.400 voti, ma a Cirò Marina non raggiunse le 400 preferenze. Lì la superò la forzista Valeria Fedele, che ne ottenne 561 senza aver messo piede in paese.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Insomma, la Lega non cresce e perde pezzi a favore degli azzurri. Anche l’editore Salvatore Gaetano, big leghista nel 2020, si è poi candidato con FI l’anno successivo, divenendo consulente di Roberto Occhiuto per la comunicazione strategica del territorio.

    …e il voto “disgiunto” di Cosenza

    Alle Comunali di Cosenza, invece, la Lega ha ottenuto un misero 2,8% e 946 voti non eleggendo nessun consigliere comunale. Alle Regionali (tenutesi lo stesso giorno delle Amministrative) ha raccolto il 7,1% e 2.080 voti. Una differenza di voti quasi pari alle preferenze che ha racimolato in città (1.196) quella che è divenuta la capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, Simona Loizzo. Circostanza curiosa che non ha impedito a Loizzo di prendere le redini del partito a livello provinciale, “epurando” l’area di riferimento dell’ex consigliere Pietro Molinaro (che ha fatto ricorso contro di lei per asserita ineleggibilità).

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    Il consigliere regionale della Lega, Simona Loizzo (foto Alfonso Bombini)

    Proprio domani ci sarà la conferenza stampa delle nuove leve leghiste, con il neosegretario cittadino Davide Bruno – eletto consigliere comunale con l’Udc nel 2011 (fu anche assessore) e con “Forza Cosenza” nel 2016 – e quello provinciale Arnaldo Golletti, già segretario provinciale del Msi-Destra Nazionale.
    Proprio quest’ultimo nel 2016 si lamentava della destra “inesistente”. In una nota dichiarò, infatti, che «correre senza simboli sembra essere una surrettizia forma di indipendenza, creata per avere mano libera nel futuro: tutto questo non va bene e rischia di vanificare le logiche politiche identitarie». Chissà se lo dirà a Filippo Mancuso, pronto nel capoluogo a coprire il Carroccio con qualche emblema civico.

    Catanzaro, il fortino della Lega di Salvini

    Il vento in poppa che soffiava sul simbolo della Lega due anni fa (con sacche di voto di simbolo e amministratori locali pronti a vestire le effigie di Alberto da Giussano) non c’è più. E la flessione di consensi non offre segni di inversione di rotta, tranne che nel capoluogo di Regione.
    Alle elezioni regionali del gennaio 2020 la Lega prese 95.509 voti, con il 12,28%. Nella circoscrizione centro (Catanzaro-Vibo Valentia-Crotone) ottenne il 15,09%, con il picco nella città di Catanzaro con il 17% e 6172 voti. Di questi, 3.005 li portava in dote l’ex consigliere comunale (dal 2011, poi anche assessore) e provinciale (dal 2018) Filippo Mancuso. All’epoca era appena “zompato” sul Carroccio su indicazione di Sergio Abramo.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Nella successiva tornata regionale dell’ottobre 2021, la Lega sprofondò all’8,33% e 63.459 voti e nella circoscrizione centro scese al 9,45%. Nonostante la perdita di 7 punti percentuali, nel capoluogo di Regione il Carroccio ottenne il 10,28% con 3.257 voti. Quasi tutti (2.655) li ha portati il citato Filippo Mancuso, divenuto poi Presidente del Consiglio Regionale.
    Certo, la Lega nel complesso ha cantato vittoria perché ha mantenuto quattro Consiglieri regionali (grazie al premio di maggioranza). Ma in vista delle elezioni amministrative di Catanzaro il timore di “pesarsi” rimane alto, non potendosi permettere percentuali da prefisso telefonico nel feudo del plenipotenziario Mancuso.

    La soluzione anti-flop: a sinistra, ma senza simboli

    Più che alla Lega, però, Filippo Mancuso, anche in vista delle Amministrative, sembra più affezionato alla sua lista civica “Alleanza per Catanzaro”.
    Difatti, nel capoluogo, dopo la defezione dell’ex coordinatore cittadino Antonio Chiefalo (dimenticata la candidatura nel 2020 con la Lega è poi trasmigrato in Forza Italia, sostenendo Michele Comito alle Regionali 2021) e i risultati elettorali del commissario provinciale Giuseppe Macrì, è il presidente del Consiglio regionale ad avere carta bianca.

    A sostenerlo, però, non vi sono leghisti doc, ma suoi personali fedelissimi. Qualche esempio? I consiglieri comunali Eugenio Riccio, eletto con il centrosinistra nel 2017 con “Svolta Democratica” di cui è stato capogruppo; Rosario Mancuso, già consigliere Udc nel 2012 e poi capogruppo di “Catanzaro con Sergio Abramo”; Andrea Critelli, eletto con “Federazione popolare per Catanzaro”. All’elenco si è aggiunto Antonio Mirarchi (già esponente di “Catanzaro da Vivere”, aveva il figlio Alessio portaborse di Baldo Esposito, fino alla non rielezione di quest’ultimo e alla rottura col gruppo in vista delle elezioni provinciali). Così come Cono Cantelmigià candidato presidente di Regione con il M5S nel 2014, divenuto responsabile amministrativo di Filippo Mancuso – e l’ex consigliere comunale di “Catanzaro con Sergio Abramo”, Francesco Scarpino.

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    Valerio Donato, professore all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Insomma, una pletora di amministratori e politici locali che si troverebbe a disagio nel definirsi leghisti. Ma che troverebbe nel civismo la “scusa politica” per sostenere quel Valerio Donato che fino a ieri aveva la tessera del Pd ed era un notabile del circolo dem “Lauria” del centro di Catanzaro. Lo stesso Donato che, ancora oggi, pubblicamente nelle tv locali dichiara «ero e rimarrò un uomo di sinistra. Non ho modificato la mia ispirazione politica». Ecco perché, in attesa di sapere cosa deciderà Salvini, l’associazione “Alleanza per Catanzaro” del citato Longo ha già fatto pubblicamente un endorsement a Donato.

    Mancuso, leghista ma non troppo

    Il sostegno ad un esponente della sinistra cittadina (nel quale si riconoscono molti dem, tra cui il più votato in città alle scorse regionali: il sindacalista Fabio Guerriero) sarebbe un boccone troppo amaro per Matteo Salvini. Che si ritrova stretto tra il rischio flop al pari delle altre città (ma sarebbe troppo vicino rispetto alle imminenti elezioni politiche) e l’ipotesi Donato caldeggiata da Mancuso, mai più di tanto leghista.

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    Domenico Furgiuele

    Una terza ipotesi in campo è quella che si realizzò a fine 2019 a Lamezia Terme, città dell’unico deputato leghista calabrese, Domenico Furgiuele. Dopo gli attacchi dell’allora dirigente leghista Vincenzo Sofo al candidato sindaco del centrodestra Ruggero Pegna sulle sue idee sul tema dei migranti (con tanto di critiche a Salvini), il leader della Lega impose di non presentare alcuna lista. Decisione al quale Furgiuele si adeguò «non senza rammarico e travaglio interiore».

    Furgiuele, invece, sul capoluogo oggi tace. Difficile, però, che un uomo di sinistra come Donato, che fino a qualche anno fa riceveva in Università a Catanzaro il ministro Andrea Orlando (esponente dell’area più di sinistra del Pd) insieme all’allora consigliere regionale dem Carlo Guccione bramando un posto alle politiche del 2018 (che andò poi al rivale di sempre, Antonio Viscomi), possa essere in linea con il sovranismo salviniano. La palla tocca ora, come si è detto, ai tavoli romani.