Autore: Alessia Bausone

  • Occhiuto s’è preso Crotone: sfiducia Ferrari, riesuma Sculco, Voce in scacco

    Occhiuto s’è preso Crotone: sfiducia Ferrari, riesuma Sculco, Voce in scacco

    Acque agitate a Crotone dopo le ultime nomine del presidente della Regione Roberto Occhiuto. Non sono andate giù a molti e c’è chi parla di un Sergio Ferrari (presidente della Provincia e sindaco di Cirò Marina) imbufalito.
    Già, perché Occhiuto due settimane fa ha scelto come propria consulente Flora Sculco, l’ex consigliera regionale dei “Democratici e Progressisti”, poi candidata non eletta tra le file dell’Udc.

    Dovrà occuparsi, riporta l’atto di incarico, di «azione di raccordo politico istituzionale con il sistema delle autonomia locali del territorio della Provincia di Crotone, sui temi riguardanti la verifica della appropriatezza ed efficacia dell’attuazione del programma di governo, con particolare riferimento alla definizione e realizzazione degli obiettivi strategici afferenti il territorio della Provincia di Crotone in materia di comunicazione del territorio». Una bella gatta da pelare per Ferrari: con gli Sculco è agli antipodi.

    Occhiuto, Ferrari e Crotone: le ultime parole famose

    Soltanto lo scorso settembre Occhiuto a Crotone dichiarava che era un «riferimento per il territorio e gli amministratori locali». Non solo: gli riconosceva – informalmente, è ovvio – il ruolo di «consigliere regionale aggiunto del territorio»
    All’indomani delle Provinciali del dicembre 2021, poi, il coordinamento regionale di Forza Italia (che ha a capo il presidente della commissione Bilancio della Camera, Giuseppe Mangialavori) aveva diramato una nota. Dal testo inequivocabile: «La vittoria di Sergio Ferrari segna un nuovo inizio per la Provincia di Crotone e, dopo il trionfo alle ultime elezioni regionali, conferma l’ottimo stato di salute del centrodestra in Calabria (…) è l’uomo giusto per imprimere una svolta e far rinascere la Provincia di Crotone».La nomina di Sculco, però, pare cambiare lo scenario. Tanto che Ferrari è pronto a rilanciare e presentare venerdì un “movimento dei sindaci” definito «apartitico».

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    Occhiuto e Mangialavori in campagna elettorale

    Il casus belli

    Alle Regionali che incoronarono Roberto Occhiuto, Sergio Ferrari si accreditò sostenendo i candidati di punta scelti da Mangialavori: Michele Comito e Valeria Fedele. Quest’ultima, senza aver mai messo piede a Cirò Marina, superò le 600 preferenze nel paese di Ferrari. Il sindaco lanciò così la propria candidatura alla presidenza della Provincia. E proprio in quella occasione emerse il forte contrasto con Enzo Sculco, fresco di mancata rielezione regionale della figlia tra le file dell’Udc. Uno smacco non da poco per lui, che del partito è responsabile organizzativo regionale (anche se oltre alla candidatura della prole non risulta abbia organizzato un bel niente in quasi due anni di incarico).

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    Flora ed Enzo Sculco

    Sculco vide fin da subito come fumo negli occhi la candidatura di Ferrari. La bollò come «una scelta esterna, fuori dai partiti della coalizione». E stilò lui stesso una lista provinciale, “Crotone protagonista”. Annoverava solo 5 candidati su 10, di cui tre consiglieri comunali di Melissa, comune guidato dal “cigiellino” Raffaele Falbo ma a maggioranza sculchiana. Basti pensare che tra i candidati c’era anche Maria Carmela Sculco, sorella dello stesso Enzo.

    Sfiducia di fatto

    Fiutata l’aria, a due giorni dal voto Sculco dichiarò di votare Ferrari. La sua lista ottenne comunque il 5,5%, ma non riuscì ad eleggere nemmeno il favorito Antonio Megna, consigliere comunale di Crotone. Un segnale di debolezza rispetto a Ferrari, che asfaltò il sindaco della città pitagorica Enzo Voce toccando il 63,7%.

    Ora Flora Sculco (con tanto di ufficio al decimo piano della Cittadella, si sussurra) dovrà occuparsi del “raccordo politico istituzionale con il sistema delle autonomie locali del territorio della Provincia di Crotone” con riferimento proprio all’attuazione del programma di governo regionale. Ferrari viene, di fatto, sfiduciato. Troppi gli imbarazzi causati dalla macchina amministrativa di Cirò Marina (dal “caso Padel” alle “parentopoli” su cui abbiamo scritto). Anche perché nelle ultime settimane se ne sono aggiunti altri: incarichi in municipio coi fondi Pnrr.

    Capodanno col Pnrr

    Dopo i colloqui del 27 dicembre, il 31 sono arrivati i contratti di collaborazione per i professionisti. Ma chi sono i beneficiari? Tralasciando la nuova esperta del settore informatica Ramona De Simone – che dal suo profilo LinkedIn risulta commessa da Trony dal 2017 – ci si imbatte in una nuova sfilza di parenti.
    L’esperta in tematiche ambientali sarà – era l’unica candidata – Anna Lisa Filippelli. È la figlia dell’ex senatore e sindaco di Cirò Marina, oggi consigliere comunale, Nicodemo, esponente del partito “Italia del Meridione” di Orlandino Greco.
    Si resta ancora di più in famiglia con il settore giuridico. Lì gli esperti saranno, infatti, marito e moglie: Francesco Scarpelli e Maria De Mare. Lui solo esperto “junior” però, nonostante sia cugino della moglie del vicesindaco Pietro Mercuri.

    Ritorno al passato

    Come esperto in monitoraggio e controllo c’è Livio Zizza, marito di Caterina Fuscaldo. Che è figlia di Pino, responsabile ufficio segreteria del Comune, e nipote di Giancarlo, presidente del consiglio comunale durante la precedente amministrazione (sciolta per mafia) guidata da Nicodemo Parrilla. Quest’ultimo in Stige ha riportato una condanna in primo grado a 13 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. La Procura ne ha chiesto la conferma nell’appello tuttora pendente.
    L’esperta del settore geologia sarà invece Rosita Prato, nipote dell’ex dirigente comunale (dallo scorso marzo in pensione) Mario Patanisi e sorella dell’assessora – nel 2016 sempre con Parrilla – Assunta Prato.

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    Ferrari con Siciliani in un convegno di qualche anno fa

    Nessuna parentela, invece, per l’esperta in opere pubbliche. L’architetta Vittoria Giardino, comunque, non è nuova in municipio. Risulta, infatti, già beneficiaria di incarichi professionali dal comune di Cirò Marina anche durante la giunta guidata da Roberto Siciliani, che vedeva proprio Ferrari assessore.
    Siciliani, lo si ricorderà, è stato condannato sia in primo grado che in appello nel filone con rito abbreviato di Stige: 8 anni di carcere per concorso esterno.

    Occhiuto e il firma-gate di Crotone

    Il commissariamento (o quasi) di Ferrari non è l’unica mossa di Occhiuto a Crotone. Senza Forza Italia (o alcuni filoni di essa) probabilmente il sindaco pitagorico Enzo Voce, espressione del movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi, sarebbe già un vago ricordo politico.

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    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    Subito dopo le Provinciali del dicembre 2021, spuntò fuori un documento nel quale 13 consiglieri richiedevano la convocazione di un consiglio comunale ad hoc preannunciando di voler sfiduciare Voce. Il sindaco “tansiano” replicò in una conferenza stampa che uno dei firmatari lo aveva chiamato per disconoscere la firma, motivo per cui si sarebbe recato in Procura a presentare un esposto per falso.
    Si trattava di Andrea Tesoriere, consigliere comunale di “Forza Azzurri”, il gruppo comunale di diretta espressione del governatore Occhiuto, che dopo il “firma-gate” ritirò espressamente la firma.

    Stampelle e rimborsi: “Forza Voce”

    Un anno dopo arrivò un’ulteriore stampella da parte di Fi, direttamente dall’ex parlamentare Sergio Torromino e dall’ormai ex coordinatore cittadino, Mario Megna, divenuto presidente del consiglio comunale.
    Megna, già portaborse della consigliera regionale azzurra Valeria Fedele, è stato recentemente condannato dalla Corte dei Conti (sentenza 235/2022 del 29 dicembre 2022) al pagamento di 13.800 euro per danno erariale al Comune di Crotone. Lo stesso, lo scorso giugno, aveva chiesto l’autorizzazione al settore affari generali del Comune (determinazione 1054 del 24 giugno), per partecipare ad incontri istituzionali a Reggio Calabria presso la sede del Consiglio regionale, chiedendo il rimborso spese per viaggio e vitto.

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    Megna e Torromino

    Piccolo particolare: da portaborse, la sua sede di lavoro, da contratto, è proprio il Consiglio regionale della Calabria. Insomma, Megna ha richiesto il rimborso dal Comune di Crotone per andare a quello che era il suo luogo di lavoro.
    Oggi, invece, grazie al sindaco, avrà un compenso da 4.806 euro lordi al mese. E se Mangialavori ha preso le distanze, Torromino ha difeso l’operazione.
    In ogni caso, “Forza Voce”.

  • Terzo polo bipolare: le giravolte di Azione e Iv

    Terzo polo bipolare: le giravolte di Azione e Iv

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    Lo chiamano Terzo polo: è la compagine nata dalla federazione del partito di Matteo Renzi con quello di Carlo Calenda. Qualche giorno ad un convegno di Renew Europe il primo ha annunciato che non vi è alternativa al “partito unico”. Il secondo ne ha tracciato l’orizzonte: entro primavera per un manifesto comune e a settembre una costituente del contenitore liberaldemocratico italiano. Con una postilla: «Se incominciamo a fare a chi più è liberale, i liberali rimangono un circolo di sfigati che fanno training autogeno tra di loro. Il circolo più è esclusivo meno persone ci sono dentro».

    Le ultime parole famose

    Insomma, al solito, l’ex europarlamentare del Pd e oggi senatore del Terzo Polo non le manda a dire. Così come è chiaro nel rapporto tra la sua forza politica ed il M5S.
    «Lo dico agli amici del Pd, c’è solo un modo per gestire i 5 Stelle: cancellarli!» twittava Calenda lo scorso luglio. «Penso che il M5s dovrebbe sparire» affermava ad agosto. Mentre lo scorso mese, alla domanda se andrebbe al governo con il M5S, ha risposto: «Manco morto». Un disamore politico corrisposto, questo. Il presidente del M5S, Giuseppe Conte, giusto qualche giorno fa ha dichiarato: «Dico al Pd che il M5S non starà mai con Renzi e Calenda».

    Con tutti tranne…

    Insomma, quello che ha dettato Calenda pareva un percorso lineare. Lo ha ribadito anche sui territori, tant’è che lo scorso marzo annunciò a Catanzaro: «Ci sarà anche una lista di Azione nella competizione elettorale per le amministrative di Catanzaro di tarda primavera (…) Siamo pronti a dialogare con tutti, salvo che con l’estrema destra e il Movimento Cinque Stelle (…) non ci alleiamo con i 5 stelle e con la destra estrema perché è contrario ai nostri valori e ai nostri principi. Non lo facciamo a livello nazionale, non lo faremo a livello locale».

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    Raffaele Serò

    Pochi mesi dopo alle Amministrative del capoluogo non vi fu traccia della lista di Azione. Divenne consigliere comunale, però, il segretario provinciale Raffaele Serò. Era nella lista Io scelgo Catanzaro della coalizione civica di Antonello Talerico, quest’ultimo poi approdato, invece, in Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Entrambi sostengono la maggioranza di Nicola Fiorita (esprimendo anche un assessore in Giunta, Antonio Borelli), così colorita e variegata che contempla anche il M5S, con buona pace dei niet di Calenda.

    Donato in Azione

    Non è l’unico grattacapo per Azione nel capoluogo, patria del trasformismo politico e della liquidità (se non liquefazione) dei partiti.
    Ad agosto, dopo la scoppola elettorale alle Amministrative catanzaresi di giugno, il candidato sostenuto dalla Lega e da Forza Italia (e al ballottaggio anche da Fdi), Valerio Donato, già dirigente cittadino del Partito Democratico, ha aderito ad Azione, specificando di aver avuto una lunga interlocuzione «con i dirigenti nazionali e regionali di Azione».
    A dicembre, poi, insieme ai consiglieri comunali Gianni Parisi e Stefano Veraldi, Donato ha annunciato la costituzione del gruppo consiliare “Azione-Italia Viva-Renew Europe” con egli stesso come capogruppo.

    Alle spalle del segretario

    Piccolo particolare: il collega consigliere-segretario provinciale di Azione, Serò (loro avversario elettorale fino a pochi mesi prima), non è stato nemmeno avvertito. Tant’è che ha sbottato: «Nella mia veste di coordinatore provinciale di Azione con Calenda comunico che alcun gruppo di Azione è stato costituito in Consiglio comunale da parte di terzi. Pertanto, non si comprende l’iniziativa dei consiglieri Valerio Donato, Giovanni Parisi e Stefano Veraldi, autori di una nota stampa con la quale danno atto di avere costituito il gruppo di Azione, addirittura estromettendo il sottoscritto e senza consultare lo scrivente».

    Niente più gruppo

    Risultato: nell’ultimo consiglio comunale Donato (che nelle more si è anche auto-candidato come membro del Csm) e i suoi hanno comunicato che non ci sarebbe stata la costituzione del gruppo di Azione. Insomma, un gran caos. Ad acuirlo, i continui punzecchiamenti stampa dell’ex esponente Udc, Vincenzo Speziali, vicino al terzo polo, per cui il “fascicolo Catanzaro” andrà certamente preso in carico. Non pervenuta politicamente e numericamente Italia Viva. Il coordinatore cittadino Francesco Viapiana alle amministrative ha ottenuto, nella lista Riformisti-Avanti!, poco più di cento voti.

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    Calenda con Donato e Veraldi

    L’asse a Vibo

    Se la maggioranza variegata a Catanzaro farà storcere il naso a Calenda e disinteressare Renzi, figuriamoci il rassemblement vibonese.
    Alle imminenti elezioni provinciali il candidato sarà il segretario provinciale di Italia Viva Giuseppe Condello (sindaco di San Nicola da Crissa). A suo sostegno anche Azione, che vede come leader locale l’ex candidato a sindaco del Pd e oggi consigliere comunale Stefano Luciano (membro anche della segreteria regionale dei renziani).
    Luciano nell’assise vibonese ha costituito il gruppo “Al centro”  con i consiglieri comunali Giuseppe Russo, ex Pd ed ex Fi, e Pietro Comito, vicino al consigliere regionale di Coraggio Italia Francesco De Nisi.

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    Giuseppe Condello

    A sostenere Condello ci saranno oltre al Pd (con critiche al segretario provinciale Giovanni Di Bartolo e canoniche spaccature) anche il M5S, che a Vibo esprime due consiglieri: Silvio Pisani e l’ex candidato sindaco e candidato regionale Domenico Santoro, politicamente silente dopo l’ultima disfatta elettorale.
    La liaison tra Azione e il M5S nel vibonese non è una gran novità: l’attuale responsabile organizzativo dei calendiani è Pino Tropeano, candidato regionale dei grillini nel non lontano 2020.

    Terzo polo in Calabria: i renziani senza bussola

    Una nota di colore: nel 2021 Giuseppe Condello, sfidò alle regionali, da candidato del Psi, il segretario provinciale di Iv a Catanzaro, Francesco Mauro, alfiere di Forza Azzurri.
    Già, perché il coordinatore regionale di Italia Viva, l’ex senatore Ernesto Magorno, prima dichiarò di aver sostenuto Jole Santelli e, quindi, il centrodestra nel 2020 e poi si lanciò a favore della causa occhiutiana. «Pronto a essere candidato a presidente della Provincia di Cosenza. Data la mia disponibilità al presidente Occhiuto» dichiarò a fine 2021.

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    Renzi e Magorno in Calabria durante le ultime Politiche

    L’anno successivo incontrò il presidente della Regione insieme al presidente di Italia Viva, Ettore Rosato. «Per confermare il sostegno di #ItaliaViva all’azione del governo», dichiararono. Qualche mese fa, nuovamente, Magorno ha aggiunto: «Italia Viva è il primo partito a essere stato ricevuto da quando è iniziata questa consiliatura regionale, un dato non da poco che ci pone come validi interlocutori della Giunta regionale».
    Insomma, l’Italia Viva di Magorno è (al pari del capogruppo regionale del M5S, Davide Tavernise) il maggiore spot politico permanente della giunta Occhiuto.

    C’è chi dice no

    Di diverso avviso l’ex parlamentare grillina Federica Dieni. Giusto l’altro giorno, in riferimento alla pista di pattinaggio a Milano voluta da Fausto Orsomarso, ha dichiarato: «Ma c’è una voce di opposizione in consiglio regionale? Qualcuno che presenti un’interrogazione sulla opportunità di questa scelta? Ecco, se c’è batta un colpo».
    Non è la prima volta che Dieni lancia stoccate alla giunta e a Roberto Occhiuto, come quando gli disse: «Occuparsi del territorio non è una concessione». Non proprio in linea con i dettami magorniani.

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    Federica Dieni

    Terzo polo in Calabria, gli strascichi delle politiche

    Alle elezioni politiche dello scorso settembre il terzo polo si è fermato in Calabria al 4%, non eleggendo alcun parlamentare. I capilista alla Camera erano Maria Elena Boschi e, a seguire (appunto…) Ernesto Magorno. Già con il deposito delle liste nacque una polemica proprio nell’establishment vibonese che, sentendo odore di disfatta, mise le mani avanti: «Ci è stato spiegato che l’accordo nazionale prevedeva postazioni utili in Calabria solo per il partito Italia Viva di Renzi e pertanto non abbiamo potuto fare altro se non accettare con serenità quanto deciso, rinnovando l’impegno a favore del nostro territorio con la determinazione di sempre ad ascoltare e tentare di risolvere i numerosi problemi dei cittadini vibonesi».

    Si salvi chi può

    L’affondo dei calendiani sa tanto di sassolino dalla scarpa: «Siamo però con i piedi per terra e dunque affronteremo questa tornata elettorale tentando di guardare oltre il 25 di settembre nella consapevolezza che oggi gli amici di Italia Viva hanno una maggiore responsabilità sul risultato elettorale, posto che hanno avuto il grande privilegio di essere favoriti da un accordo elettorale nazionale che ha penalizzato in Calabria il partito di Azione, riducendone al minimo l’agibilità anche in termini di richiesta del voto». Insomma, si salvi chi può.

    Giada Vrenna, ex renziana di Crotone

    Terzo polo ma non troppo a Reggio Calabria

    E se a Crotone il coordinatore cittadino Ugo Pugliese ha sfiduciato Giada Vrenna, ormai ex consigliera comunale di Italia Viva, non va meglio nel reggino. Il sindaco f.f. di Reggio Calabria, Paolo Brunetti, risulta in quota Iv, mentre quello metropolitano, Carmelo Versace è di Azione. «Brunetti e Versace sono i più capaci, è stata effettuata una scelta saggia. Da parte mia, sarei onorata e orgogliosa di rappresentare la Calabria» disse la Boschi in campagna elettorale. Invece, nessuno slancio in termini di percentuale è venuto dal territorio, con perfidi detrattori che sussurrano: «I due sindaci hanno sostenuto il Pd». Insomma, terzo polo, che pasticcio!

     

  • Grillini ma non troppo, ecco i 9 calabresi alle “Regionarie” del Lazio

    Grillini ma non troppo, ecco i 9 calabresi alle “Regionarie” del Lazio

    Oggi, 5 gennaio, dalle 10 alle 22 si vota alle “regionarie” del Movimento 5 Stelle, l’ormai nota selezione online delle candidature dei pentastellati in vista delle elezioni, in questo caso, regionali.
    Alcune esclusioni preventive stanno suscitando dibattito tra gli attivisti. Quella dell’avvocata Claudia Majolo, ad esempio, già fuori dalla lista definitiva per le elezioni politiche del M5S a causa di vecchi post in cui dichiarava il suo amore per il leader di Forza Italia, con tanto di hashtag #BerlusconiAmoreMio. Ma anche altri candidati, come vedremo, sono destinati a far discutere.

    Intanto c’è da rilevare che sono ben 9 i candidati alle “Regionarie” nel Lazio (tutti del collegio di Roma) calabresi o originari dalla Calabria che tentano il grande salto per correre al seguito della candidata Presidente (e capolista) Donatella Bianchi.

    La “carica” dei grillini calabresi

    Tra loro troviamo l’ingegnere e project manager di Catanzaro, Andrea Mungo che nel suo profilo sul sito del M5S rivendica l’esperienza giovanile nell’Udc del capoluogo calabrese.
    Presente anche il dottore cosentino Domenico Guarascio, che svolge un post-dottorato in neurobiologia a Roma. Nel suo profilo specifica di essere stato responsabile della comunicazione del M5s alle elezioni comunali di Cosenza nel 2016, quelle con candidato sindaco il “morriano” ex presidente del Rotary club, Gustavo Coscarelli (la lista arrivò ultima con il 2,36% e non elesse nessun consigliere).

    In lista anche il 49enne Giuseppe Fazzari, nato a Sellia Marina, impiegato a Roma presso una società fornitrice di energia elettrica, e Giovanni Brescia, docente di economia aziendale in istituti secondari a Roma, originario di Scandale e fratello di Gaspare Brescia, l’artista e scultore incaricato di realizzare la statua di Pitagora a Crotone.

    A volte ritornano

    Spazio anche all’avvocato Federico Amato, nato ad Amantea e già candidato alle elezioni comunali di Roma nel 2021 a sostegno di Virginia Raggi (ottenne 190 preferenze personali e non fu eletto), e a Pierpaolo Coluccia, dirigente sanitario del Policlinico Umberto I di Roma, originario di Cosenza, nominato dalla sindaca Raggi vicepresidente del Cda dell’azienda pubblica di servizi alla persona Iras di Roma Capitale. Coluccia vanta un passato tra le file dei giovani del PCI.

    «Credo che le competenze che ho maturato in questi anni possano essere utili ad una forza politica che ha sempre difeso il servizio sanitario pubblico contro i tentativi di privatizzarlo, tutto o in parte, della destra ed anche, purtroppo, della giunta Zingaretti», ha dichiarato sui social Coluccia, noncurante che in quella stessa Giunta regionale siede anche il M5S con due assessori (di cui una crotonese, Valentina Corrado).

    Ci ritenta Silvana Denicolò, nata a Vibo Valentia e già Consigliera regionale nel Lazio per il M5S dal 2013, eletta con 1.553 preferenze. Le 1.171 del 2018, invece, non le bastarono per il bis. È stata poi assessora comunale alla cultura nel municipio di Roma X (Ostia). E ora si ripresenta alla corsa regionale.

    Un candidato “Vero”

    La Calabria deve aver deluso l’ufficiale delle forze armate Nicola Vero, originario del catanzarese e già candidato alle elezioni regionali calabresi dell’ottobre 2021.
    «Scegli un Vero candidato consigliere, vota Nicola Vero (…) se ci credi aiutami a smuovere il sistema», scriveva l’ex componente della struttura del generale Figliuolo.
    Ottenne 750 preferenze personali. Il giorno dopo le elezioni scrisse su Facebook «non sapevo di essere quasi solo in questa esperienza sul territorio catanzarese, non immaginavo lo scarso senso di appartenenza ad una nazione da parte dei calabresi, non immaginavo lo scarso dovere civico dei calabresi». Ci riprova ora vagliando il “dovere civico” dei romani.

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    Un santino Vero per le regionali calabresi

    Maria Saladino e la candidite

    È stata candidata a tutto: elezioni europee, primarie per le comunali di Castrovillari, segreteria nazionale del Pd, elezioni regionali calabresi, elezioni politiche in Calabria.
    Ora ci riprova con le regionali del Lazio, tanto che un suo ex collega democrat ironizza «ha la candidite acuta».
    Lo scorso luglio, quando la Saladino lasciò il Pd per approdare nel M5S, venne accolta dall’allora coordinatore regionale Massimo Misiti (che ha recentemente abdicato al ruolo) con queste parole: «La sua esperienza politica a servizio del Movimento in Calabria sicuramente consentirà di aprire nuovi orizzonti in una terra che ha bisogno di sempre maggiore attenzione e di proposte di crescita e sviluppo».

    L’unico orizzonte che si aprì da lì a poco fu una candidatura (rivelatasi perdente) nell’uninominale nord del Senato alle politiche in Calabria. Nonostante questo, nel suo profilo sul sito del M5S, giudica quella candidatura una «battaglia epocale» in cui si attribuisce i 119mila voti ottenuti dal M5S in quel collegio.
    Ora ha scelto di «scendere in campo nella città in cui vivo e lavoro da oltre 20 anni, Roma, perché ritengo che sia questa ancora una tappa da vivere per contribuire ad affermare il verbo del Presidente Conte», si legge sul suo profilo Facebook e facendo storcere il naso a più di un attivista calabrese.

    Con Renzi tra gli ultimi

    Saladino molla il Pd nel 2022 puntando il dito sulla linea politica di Enrico Letta e Dario Franceschini: «Il Pd è lontano dagli ultimi».
    Nel Pd, però, la neo grillina ha tentato la scalata nel 2014 con una candidatura alle Europee che le portò ben 25.710 preferenze (arrivò terzultima nella lista del Pd nell’Italia meridionale, di molto distaccata dai cosentini Mario Pirillo, che ottenne 63.934 preferenze e Mario Maiolo, che ne ottenne 72.205, entrambi non eletti).
    Nel 2015 tentò la strada delle primarie per diventare candidata sindaca del Pd nella sua città, Castrovillari. Arrivò ultima e non si presentò come candidata consigliera. Sulla stampa si qualificava però come “delegata nazionale alle politiche per l’occupazione giovanile Labdem-Pd”.

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    Renzi e Saladino

    Nel 2016, in piena epoca di Pd renziano, Saladino lo abbraccia con fervore. «La passione per la bella Politica ed il rivedersi nella linea del Leader del proprio partito è un mix esplosivo di energia positiva» scriveva nel 2016.
    «A mio modo di vedere, il PD che oggi guida Matteo Renzi è lontano dagli aumma aumma, quello che alle Europee 2014 ha segnato percentuali uniche nella storia, proprio grazie al segnale di cambiamento anche nella classe politica esposta in prima linea, voluta da Matteo Renzi e dal PD», continuava nelle sue dissertazioni a favor di stampa.

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    Saladino referendaria

    La fede renziana che l’ha portata ad entrare nel coordinamento nazionale “Basta un SÌ Roma” a favore del referendum costituzionale Renzi-Boschi. «Quale componente del Coordinamento Nazionale dei Comitati del SÌ, dalle voci di notevole impegno territoriale che giungono da ogni parte di Italia, ritengo, inviare alle Regioni Meridionali, che ho rappresentato alle Europee 2014, ai tanti elettori che mi hanno sostenuta, alle tante realtà sociali con cui mi sono confrontata in questi anni, l’appello a votare un SÌ convinto alla Riforma Costituzionale, per non perdere questa grande occasione, garantirci futuro e prospettiva d’avvenire», scriveva Saladino in una lettera aperta.

    Una calabrese per Emiliano

    Nel 2017 Saladino consolida però il rapporto con il più anti renziano dei democrat: Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia ed ex sindaco di Bari.
    Tant’è che quando presentò alla Camera dei Deputati l’associazione politico-culturale Piazza Dem, da lei presieduta, al suo fianco c’era proprio Emiliano. La Saladino lo definì «indiscusso e forte riferimento del Mezzogiorno d’Italia».
    Pochi mesi dopo si tenne la “Cerimonia federativa tra Fronte Democratico di Michele Emiliano e Piazza Dem di Maria Saladino”.

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    Un selfie ricordo con lo smemorato Maurizio Martina

    Un amore spezzato in poco meno di un anno, il loro. Alle primarie nazionali del Pd la Saladino si candidò (ottenendo lo 0,9%), mentre Emiliano sostenne il favorito Nicola Zingaretti.
    Giova ricordare che nella sfida finale alle urne delle primarie tra Zingaretti e l’ex ministro dell’agricoltura Maurizio Martina la Saladino sostenne quest’ultimo. Che, però, pochi mesi prima aveva dichiarato a La7: «Mi sfugge il nome della sesta candidata alle primarie del Pd».

    Coerenza innanzitutto

    Nel 2020 Maria Saladino, che occupava la casella di componente dell’assemblea nazionale del Pd a seguito delle primarie, è stata capolista per il collegio di Cosenza alle elezioni regionali calabresi a sostegno di Pippo Callipo (e contro il M5S).
    A sostenerla c’era Nicola Oddati, coordinatore dell’iniziativa politica del Pd nazionale e plenipotenziario del segretario Nicola Zingaretti nel Mezzogiorno (e recentemente coinvolto in una inchiesta su un presunto scambio di favori a Pozzuoli). Arrivò ottava su nove candidati del Pd, con 1.572 preferenze personali.

    Pochi mesi dopo venne inserita dall’allora commissario regionale del Pd, Stefano Graziano, nel coordinamento regionale del Partito.
    «Meditate, compagne e compagni, mentre alcune esprimono, ancora, pretese e chiedono poltrone, c’è chi crede in questo PD, non per opportunismo e senza chiedere prebende (…) Ora è arrivato il momento di stringersi attorno al Partito ed al Segretario Nazionale Nicola Zingaretti, non di cavalcare le verdi praterie di chi ha, senza vergogna, portato il consenso elettorale del 2018, degli elettori democratici, alla corte della Lega. È giusto invece chiedere coerenza». Queste le parole di Saladino all’Ansa nel marzo del 2021, poco prima della folgorazione pentastellata.

    Un berlusconiano “nerazzurro”

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    Pasquale Saladino con Alessandra Mussolini – 2007

    Il padre della ex democrat, ora pentastellata, è stato assessore comunale a Castrovillari con il Psi e due volte candidato sindaco con Forza Italia.
    Nel 2002, da candidato perdente (ottenne il 12,4%) divenne consigliere comunale e capogruppo dei Berluscones. Due anni dopo non gli riuscì l’elezione alla provincia di Cosenza, sempre tra le fila degli azzurri. Nel 2007 non venne rieletto nemmeno consigliere. Ottenne il 5,8%, venendo sostenuto anche da Alternativa per la Calabria con candidata capolista Alessandra Mussolini.
    «Castrovillari ha bisogno di ritrovare il sorriso» disse la Mussolini a sostegno di Saladino, alla presenza anche del leader di Forza Nuova, Roberto Fiore.
    Insomma, tra il passato renziano di Maria Saladino e quello berlusconiano del padre, c’è materia per far discutere i grillini più ortodossi.

  • Batoste al Tar e “parentopoli”: che pasticcio a Cirò Marina

    Batoste al Tar e “parentopoli”: che pasticcio a Cirò Marina

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    Ha sollevato un polverone a Cirò Marina a inizio estate il “caso padel”  lanciato da I Calabresi. Tutto è nato da un permesso per costruire rilasciato alla ditta Signor Padel Srls. Il provvedimento era opera dell’Ufficio Tecnico del Comune di Cirò Marina, guidato dal presidente della Provincia di Crotone, Sergio Ferrari.

    Galeotto fu il padel a Cirò Marina

    Il terreno su cui costruire l’impianto appartiene ad Antonietta Garrubba, socia unica della srls in questione. Il catasto lo qualifica come uliveto con un reddito agrario di 5,86 euro, perciò non edificabile.
    Una svista amministrativa da sanare in autotutela? Probabile. Ma la Garrubba è moglie dell’amministratore unico e legale rappresentante dell’impresa, Giuseppe Farao. E suo marito è stato condannato nel processo Stige in primo grado a 13 anni e 6 mesi per associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato dall’agire mafioso.

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    La cattura di Silvio Farao

    Inoltre, lo stesso si è visto infliggere alcune pene accessorie: incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per 5 anni, interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale durante l’espiazione della pena.
    Giuseppe è figlio di Silvio Farao, ritenuto uno dei boss della locale di Cirò, condannato in Stige a 30 anni di reclusione e attualmente detenuto. Padre e figlio, è doveroso aggiungere, sono tuttora sotto appello, quindi le loro condanne non sono definitive.

    Una revoca tempestiva

    A seguito della notizia de I Calabresi, il sindaco annunciò dopo poche ore (il primo giugno scorso) la revoca del provvedimento firmato il giorno prima dall’allora responsabile dell’ufficio tecnico, l’architetto Raffaele Cavallaro.
    In effetti, il 3 giugno uscì un altro provvedimento, sempre a firma di Cavallaro. L’atto comunicava l’avvio della revoca del permesso di costruire “incriminato” e la sospensione di ogni effetto, sia per l’errata destinazione d’uso, sia per acquisire «la prescritta documentazione inerente i requisiti dei soggetti richiedenti, dell’impresa e del progettista».

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    Il ricorso di Farao

    Non si è fatto attendere il ricorso al Tar Calabria di Giuseppe Farao, discusso in udienza pubblica lo scorso novembre. Dinanzi ai giudici amministrativi, Farao ha sostenuto che «l’attività amministrativa (del Comune di Cirò Marina, ndr) sarebbe stata sviata dal clamore mediatico verificatosi, in quanto non sarebbe stata altrimenti necessaria l’acquisizione della documentazione antimafia ai fini del rilascio del permesso di costruire» e che «in ogni caso, l’iter amministrativo seguito sarebbe evidentemente illegittimo, essendo stati contestuali la comunicazione dell’avvio del procedimento, la sospensione degli effetti del titolo edilizio e il suo annullamento». Al contrario, il Comune di Cirò Marina ha rivendicato la correttezza della revoca a firma di Cavallaro.
    Risultato: Comune condannato (in persona del sindaco in carica) alla rifusione delle spese legali a Farao, pari a 4mila euro più oneri.

    Condanna per il Comune di Cirò Marina

    Secondo il Tar Calabria (sentenza 2222 dello scorso 7 dicembre, presidente Giovanni Iannini), «il Comune di Cirò Marina non avrebbe dovuto revocare sic et simpliciter il permesso di costruire in ragione della mancata acquisizione della comunicazione antimafia; piuttosto, avrebbe dovuto acquisire tale documentazione, provvedendo solo all’esito e in base alle risultanze di questa» e che «in ogni caso, la concentrazione in un solo giorno della comunicazione di avvio del procedimento, della sospensione cautelare degli effetti del provvedimento e la revoca del titolo costituiscono, come già sottolineato in sede cautelare, violazione del corretto sviluppo del procedimento amministrativo, da cui deriva l’illegittimità del provvedimento impugnato».

    Sbaglia ma non paga?

    Insomma, secondo il tribunale, il funzionario del Comune ha “toppato” sia nel concedere il permesso di costruire a Farao, sia nel revocarlo.
    Lo stesso 3 giugno scorso, giorno del dietrofront con la Signor Padel Srls, il sindaco Ferrari aveva tolto a Cavallaro la titolarità della posizione organizzativa dell’Area urbanistica per «particolari inadempienze amministrative», pur mantenendolo nell’incarico di istruttore. Un incarico fiduciario, espressamente revocabile «per risultati inadeguati», come rilevato anche dall’ex deputato Francesco Sapia in una formale interrogazione parlamentare al Ministero dell’Interno sul caso padel.

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    Raffaele Cavallaro

    Lo stesso Cavallaro, benché privato della posizione organizzativa (e, quindi, del potere di firma), è rimasto nel medesimo ufficio con le medesime incombenze. Né risulta aperto un procedimento disciplinare a suo carico.

    Una vittoria di Pirro per Farao

    Quella di Giuseppe Farao potrebbe essere, però, una vittoria di Pirro. La necessità della certificazione antimafia non è infatti il frutto improvviso del “clamore mediatico”.
    Su questo rilevante punto, il Tar cita un precedente del Consiglio di Stato. E rileva che «il permesso di costruire di cui si tratta non è meramente riconnesso al godimento di un terreno di cui la società ricorrente abbia disponibilità, ma – evidentemente – legato all’esercizio di un’attività imprenditoriale relativa al gioco del padel».

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    La sede del Tar a Catanzaro

    Allora, «la fattispecie ricade nell’ambito di applicazione della normativa antimafia che, ad ampio spettro, esige che l’attività economica sia espletata con il corredo della documentazione antimafia che, ove mancante, impone la paralisi dell’attività medesima e la rimozione dei suoi effetti».
    In soldoni: la revoca è stata un gran pasticcio, ma la certificazione antimafia serviva prima e serve ancora adesso. Qualora non fosse rilasciata, il Comune di Cirò Marina dovrà fare una nuova revoca.

    Cirò Marina, una famiglia in Comune

    A Cirò Marina nel frattempo a tenere banco è un altro argomento. Niente a che vedere con i tribunali stavolta, ma c’entra sempre il municipio. È lì dentro, infatti, che si registra il rapido avanzamento di carriera di una dipendente comunale, Maria Natalina Ferrari, sorella del sindaco.
    Con decreto 1 del 28 gennaio 2022, da dipendente di categoria C è diventata responsabile dell’Area servizi alla persona con relativa posizione organizzativa per una indennità di 8.246,11 euro. L’ha nominata il vicesindaco Pietro Francesco Mercuri, benché privo di delega al personale.
    Né risulta dal decreto che Mercuri avesse avuto una delega dal sindaco per questo provvedimento. Insomma, sembrerebbe un altro pasticcio amministrativo. Che, però, non finisce qui.

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    Pietro Mercuri con Giorgia Meloni

    La supersorella di Ferrari…

    Con la determinazione n. 378 del 27 giugno scorso, il responsabile dell’Area Affari generali Giuseppe Fuscaldo ha indetto una selezione per una procedura comparativa per la progressione verticale di una unità di Categoria D, posizione economica D1, riservata al personale interno di Cirò Marina per il profilo di Istruttore direttivo.
    Una sola candidata ha partecipato alla selezione, come si evince dall’ulteriore determina di Fuscaldo n. 683 dello scorso 20 settembre. Indovinate chi? La sorella del sindaco Ferrari, Maria Natalina, contrattualizzata nel nuovo ruolo dal primo di ottobre.

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    Il sindaco Ferrari e sua sorella

    Il presidente della Commissione valutatrice era Nicola Middonno, segretario generale della Provincia di Crotone (guidata, ricordiamo, da Sergio Ferrari). I componenti erano Giulio Cipriotti, nominato il 3 giugno 2022 responsabile dell’Area urbanistica dal sindaco al posto di Cavallaro, e Nicodemo Tavernese, vicesegretario comunale e cognato del consigliere comunale di Cirò Marina, Giuseppe Russo (ha sposato la sorella di Tavernese), che a sua volta è zio del sindaco per via materna.

    … e la nipote del vicesindaco

    C’è chi fa rilevare, ancora, che tra i vincitori del concorso per agente di Polizia locale di Cirò Marina (graduatoria finale approvata con determinazione n. 848 del 14 novembre scorso) vi sia anche Morena Pizino, la nipote del vicesindaco Pietro Mercuri.
    Insomma, tra pasticci e promozioni il Comune di Cirò Marina torna a far parlare di sé. In paese e non solo.

  • Nu core, ‘na chitarra e la mafia: bufera sui neomelodici

    Nu core, ‘na chitarra e la mafia: bufera sui neomelodici

    La Calabria ha bisogno di buoni esempi. Lo sentiamo dire nelle scuole, nei dibattiti, nei convegni. In tanti, però, si sono interrogati in questi anni sul un fenomeno dei cantanti neomelodici che strizzano l’occhio nei loro brani alle mafie e che spopolano tra i giovani e nei territori ad alta densità mafiosa. La Calabria non ne è esente: i neomelodici riempiono le piazze dei paesi e scatenano, giocoforza, un mare di polemiche.

    Il caso Merante

    Lo scorso, ha avuto grande eco la querelle sul concerto della nota cantante folk Teresa Merante a Melissa. Lo organizzava una associazione e aveva il patrocinio del Comune guidato dall’ex segretario della Cgil del Crotonese Raffaele Falbo. Il concerto ha ricevuto il niet della Questura per motivi di ordine pubblico. Le polemiche (e gli imbarazzi, soprattutto del sindaco) non sono mancate.

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    La cantante calabrese Teresa Merante, al centro delle polemiche nei mesi scorsi per la sua canzone “U Latitanti”

    Canti di malavita 4.0?

    Tra i titoli delle canzoni della Merante c’è Il Capo dei capi. Protagonista è Totò Riina, a cui la cantante dedica versi come «Tante persone lui ha ammazzato, dei pentiti non si è scordato. Anche Buscetta tra questi c’era, uomo d’onore lui non lo era (…) Due giudici gli erano contro ed arrivò per loro il giorno. Li fece uccidere senza pietà (…) l’uomo di tanto rispetto e onore rimane chiuso a S. Vittore». Ma tra i brani del repertorio della Merante figurano anche Malandrini cunfinati, L’omu d’onori, Pentiti e ‘nfamità e U latitanti.
    La canzone Bon Capudannu fa gli auguri per San Silvestro «ai carcerati, segregati in galera. Speriamo torniate in libertà, nelle vostre case gioia e serenità».

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    Raffaele Falbo, l sindaco di Melissa

    Reazioni contrastanti

    Falbo a Melissa si trincerava nel silenzio. A Botricello, invece, l’allora consigliere comunale (oggi sindaco) Saverio Puccio – insieme al consigliere comunale di San Luca e sindacalista della Polizia di Stato, Giuseppe Brugnano – proponeva un esposto alla Procura guidata da Nicola Gratteri. Chiedeva si valutasse il reato di istigazione a delinquere.
    le polemiche sono riesplose nell’aprile di quest’anno, A Casali del Manco, dove il concerto della Merante, patrocinato dal Comune, è saltato causa pioggia. La vicenda ha mandato su tutte le furie Francesco Sapia, deputato di Alternativa.

    Francesco Sapia

    Il parlamentare dichiarò: «Trovo incredibile che il Comune di Casali del Manco rinneghi la propria storia politica e culturale e patrocini il concerto di Teresa Merante, nel cui repertorio figurano brani di promozione della cultura mafiosa e di odio nei confronti degli uomini della polizia, con versi che addirittura incitano all’assassinio degli stessi tutori della legge. Sulla vicenda vorrò verificare, anche in sede ministeriale, se il patrocinio comunale possa considerarsi in questo caso legittimo e intoccabile». Tranchant la risposta del sindaco Nuccio Martire: «Non conosco la Merante».

    Trapper e parentele

    Dal folk alla trap. Niko Pandetta vanta 150mila followers su Facebook e oltre 646mila su Instagram. È nipote del boss catanese Salvatore Cappello, sottoposto al  41 bis dal 1993.

    Al parente aveva pure dedicato una canzone. Cappello era braccio destro di Salvatore Pillera detto “Turi càchiti” («fattela addosso», la frase che diceva alle sue vittime prima di sparare).

    «Zio Turi io ti ringrazio ancora per tutto quello che fai per me, sei stato tu la scuola di vita che mi ha insegnato a vivere con onore, per colpa di questi pentiti sei chiuso là dentro al 41 bis», si struggeva Pandetta. Tempo dopo, stando alle cronache, si sarebbe pentito lui di quella canzone. Sui giudici Falcone e Borsellino, invece, cantava: «Hanno fatto queste scelte di vita, le sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce ci deve piacere anche l’amaro».

    Nel mirino degli inquirenti

    A ottobre 2021 il quotidiano La Sicilia dava la notizia di una indagine, poi archiviata, a carico Pandetta per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2019 il Tribunale di Catania ha condannato il trapper in primo grado con rito abbreviato a sei anni e otto mesi e a 30mila euro di multa per detenzione e spaccio di stupefacenti a seguito dell’operazione “Double Track”. In appello, è arrivata una riduzione della pena.
    Il suo disco Bella vita si è classificato al 53esimo posto  tra gli album più venduti del primo semestre 2022. terzo album italiano di Warner Music dopo quelli di Irama e Capo Plaza.

    A inizio mese Pandetta avrebbe dovuto esibirsi a Fuscaldo, in provincia di Cosenza, in un bar sulla Statale 18. Ma il concerto non è andato in porto. «Tumulti, gravi disordini ed abituale ritrovo di persone pregiudicate e pericolose»: con queste motivazioni la Questura ha chiuso il locale.
    Ora, il prossimo 5 agosto, si esibirà allo stadio di Altomonte nel Cosentino. Ed è molto probabile che le polemiche non mancheranno.

    Anzi, ci sono già: il nome del trapper è emerso in alcune intercettazioni a carico del presunto boss catanese Domenico Mazzeo. Questi, in favore di trojan o di cimice, si era fatto scappare alcune frasi sui suoi rapporti con Paolo Nirta, figlio di Giuseppe, lo storico boss di San Luca. Una frase in particolare riguarda Pandetta, che si è esibito al diciottesimo compleanno del fratello minore di Paolo Nirta.

    De Martino, il neomelodico più richiesto in Calabria

    Classe ’95 e fiumi di followers su tutti i social. Idolo delle ragazzine e non solo. Daniele De Martino ha pubblicato una canzone contro i pentiti di mafia, definiti «infami» e «la vergogna della gente». De Martino questa estate impazza in Calabria tra eventi privati ed altri pubblici patrocinati dalle amministrazioni locali.
    Il 14 giugno è stato in piazza a Cessaniti (Vv), il 25 alla festa della birra di San Benedetto Ullano (Cs), il 28 a San Pietro in Guarano (Cs), il 17 luglio a Spezzano Albanese (Cs); il 22 luglio in un bar di Paola (Cs), mentre il 27 sarà in piazza a Seminara (Rc) e il 20 agosto alla Festa di San Rocco di Bocchigliero (Cs).

    Daniele De Martino in concerto

    Hanno fatto discutere, soprattutto, gli eventi nel Crotonese. Il 5 agosto De Martino si esibirà in piazza a Verzino. La manifestazione è patrocinata dal Comune, che tuttavia è guidato da Pino Cozza, vittima di una intimidazione mafiosa che lui stesso ha denunciato lo scorso aprile.
    Il 18 agosto De Martino andrà in scena a Rocca Di Neto, nella kermesse Rocca estate 2022 voluta dall’Amministrazione guidata da Alfonso Dattolo di Coraggio Italia.

    Molto scalpore ha destato anche il concerto a Cirò Marina dello scorso 17 luglio in occasione della festa di Sant’Antonio. Come riportato da Margherita Esposito su Gazzetta Del Sud, il parroco di Cirò Marina, Peppe Pane, ha preso le difese del giovane cantante. «Sono solo dicerie e non fatti reali. La voce su una sua presunta vicinanza a certi ambienti è tutta da dimostrare», ha detto don Pane.

    Intanto De Martino la scorsa estate è stato “pizzicato” a Palmi alla festa di nozze della figlia di un presunto narcotrafficante, Filippo Iannì, condannato in primo grado a 18 anni di carcere per aver organizzato un traffico di hashish e cocaina fra Marsiglia e la Calabria.
    «Chi nasce libero non può morire prigioniero ci vuole solamente pazienza per affrontare tutto questo», cantava De Martino alla sposa. E ancora: «Se senti il vento sfiorare stasera è lui che con uno spiraglio esce dalla sua cella».

    L’avviso del questore

    Nel giugno 2021, il questore di Palermo Leopoldo Laricchia ha emesso un “avviso orale” nei confronti del cantante. Il motivo? «In tempi recenti, sfruttando la popolarità conseguente alla propria professione, in diverse occasioni ha manifestato vicinanza agli ambienti malavitosi». Di più: «La non estraneità del trentenne palermitano al mondo malavitoso è sottolineata anche da altri comportamenti resi espliciti dallo stesso che ha pubblicato alcuni selfie che lo immortalano in atteggiamenti confidenziali con persone pregiudicate esponenti di famiglie di Cosa Nostra. Il cantante con il suo comportamento ha messo in pericolo la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica. Ciò in ragione del fatto che gli espliciti messaggi consegnati in più occasioni ai moderni mezzi di comunicazione contengono gravi espressioni visive e verbali che implicano una istigazione alla violenza, un’esaltazione delle gravi azioni antigiuridiche connesse alla criminalità organizzata, un’accettazione e condivisione di comportamenti e azioni contrari ai valori morali della società civile e lesive delle Istituzioni dello Stato».

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    Un primo piano di Daniele De Martino

    Lo scorso mese, riporta una nota stampa di Libera, “in occasione dell’inaugurazione del Presidio Legalità a Potenza il procuratore a capo della Dda di Potenza Francesco Curcio ha ricordato il concerto del dicembre 2019 patrocinato dal comune di Scanzano Jonico (amministrazione poi sciolta per infiltrazioni mafiose) in cui si esibì proprio De Martino”. «È sintomatico di una società che non è basata sulla cultura della legalità non solo la presenza del cantante in questione, ma il fatto che sotto quel palco ci fossero migliaia di persone», disse Curcio.

    Il selfie col boss finisce in Parlamento

    Le canzoni di Daniele De Martino sono finite anche in Parlamento. La deputata emiliana del M5S Stefania Ascari, lo scorso maggio, ha presentato una interrogazione al Ministero della Giustizia.
    «Si è appreso della notizia di un cantante neomelodico De Martino, apparso su Facebook con i boss Spadaro e che canta contro un pentito; queste canzoni, così come scritte e interpretate, inneggiando alla peggiore forma di delinquenza, rappresentano un “pugno allo stomaco” per chi, come gli appartenenti alle forze dell’ordine, lavora ogni giorno rischiando la vita per estirpare dal Paese il cancro della criminalità organizzata. In tali testi, ci sono, infatti, alcune frasi che appaiono superare il limite della decenza e della semplice libertà di opinione o di espressione. I commenti che appaiono sotto i video e i post di questi presunti artisti della canzone destano perplessità e rischiano di fomentare un clima di illegalità e di ingiustizia. I messaggi che vengono diffusi attraverso questi testi non possono essere ricondotti a mere ricostruzioni artistiche e canore, ma equivalgono a espressioni di odio nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura e di esaltazione della criminalità organizzata e dei suoi componenti». Così si legge nell’interrogazione.

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    Stefania Ascari

    C’è chi dice no

    Il consigliere regionale della Campania di Europa Verde, Francesco Emilio Borrelli, in riferimento alla canzone di De Martino contro i pentiti ha dichiarato: «Ennesima vergogna, nel testo tutti i codici camorristi che indicano come infami chi collabora con le forze dell’ordine e minacciano ritorsioni. Avanti con proposta di legge su apologia di mafia e camorra».
    Prima ancora, il sindaco di Bari Antonio De Caro, presidente dell’Anci, nel 2019, in riferimento al brano Samara di De Martino, il cui video, girato nel quartiere San Paolo di Bari, vedeva ragazzi che impugnavano pistole e kalashnikov, dichiarò: «Non mi piacciono le pistole impugnate da ragazzi» e «non mi piace che il messaggio sia di esaltazione approvazione della violenza criminale […] non piace che il signor De Martino abbia girato il video in un quartiere, il San Paolo, che da tempo sta lottando per affrancarsi da quegli stereotipi che gli hanno impedito di crescere».

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    Antonio De Caro

    Ma la Calabria tace

    E la politica calabrese? Silente. Nonostante Daniele De Martino svolga eventi patrocinati dalle amministrazioni comunali di tutta la regione e riempia le piazze veicolando messaggi come quelli contenuti nelle canzoni Comando io e Nu guaglione e quartier che inneggiano alla mafia, nessuno, ad oggi, ha preso alcuna posizione pubblica.

  • «Termovalorizzatore raddoppiato? Lunare parlarne nel 2022»

    «Termovalorizzatore raddoppiato? Lunare parlarne nel 2022»

    Cristian Romaniello, psicologo e giornalista, deputato eletto nel marzo 2018 in Lombardia con il Movimento 5 Stelle, è stato espulso dal partito per non aver votato la fiducia al Governo Draghi. Nel febbraio di quest’anno è entrato in Europa Verde-Verdi Europei divenendo presidente della relativa componente parlamentare.
    In vista delle comunicazioni in Parlamento di Draghi di mercoledì, Romaniello interviene su I Calabresi affrontando argomenti di stretta attualità politica.

    Onorevole Romaniello, qual è la posizione di Europa Verde nei confronti del Governo Draghi? Voterete la fiducia?

    «Noi siamo stati sempre in opposizione al Governo Draghi, non abbiamo mai dato la fiducia. Sarebbe ridicolo anche solo pensare che si possa noi votare la fiducia. I nostri voti negativi dipendono da un giudizio che diamo sui provvedimenti che vengono approvati da questo governo. Per citarne qualcuno, il taglio alla sanità, il taglio al finanziamento sull’istruzione, sulla ricerca, sulla cooperazione, tra l’altro con scuse assurde.

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    Draghi in parlamento

    Sull’istruzione Draghi ha detto “c’è un calo demografico, possiamo tagliare un po’ di soldi”. Come se le classi pollaio non esistessero più, come se gli insegnanti non fossero ancora sottopagati e costretti a lavorare in condizioni non dignitose. Chiaramente è insensato un taglio a queste voci di spesa, salvo poi vedere che si corre a rispettare gli impegni internazionali per quanto riguarda l’aumento delle spese militari. Bisogna ricordare che anche la spesa sociale dipende da accordi internazionali. Questa incoerenza ci porta a non votare una fiducia a questo Governo che è anche contrario alle politiche ambientali che portiamo avanti noi».

    A febbraio contavate 7 consiglieri regionali e quasi 200 consiglieri comunali. Le amministrative di giugno sono andate bene, siete pronti per le elezioni politiche?

    «Sì, siamo pronti con questa alleanza con Sinistra Italiana. Ci sarà una lista unica, anche con altre realtà civiche. La mia speranza è che in questo percorso si aggiungano queste realtà civiche del popolo vero, ma anche del mondo intellettuale, giornalistico, di personalità di spicco. È un ragionamento largo e ampio, che esce dalle logiche dei partitismi degli ultimi decenni. Siamo pronti, gli argomenti ci sono, la forza c’è e si rifletterà anche nei numeri».

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    In Calabria, invece, alle regionali dell’anno scorso Europa Verde, in coalizione con il centrosinistra Pd-M5S, ha raggiunto lo 0,5%. Il “campo largo” vi ha penalizzati?

    «Penso che il campo largo penalizzi sempre. In Italia le leggi elettorali sono spesso maggioritarie, quasi non ti puoi permettere di andare fuori coalizione. Questo avvantaggia le forza più grandi, danno più sicurezza».

    Alcune forze prettamente civiche calabresi vostre alleate alle scorse regionali, come “Tesoro Calabria” del geologo Carlo Tansi, hanno pubblicamente preso le distanze dalla candidata presidente del centrosinistra, oggi consigliera regionale, Amalia Bruni, rea di svolgere una opposizione troppo “soft” a Forza Italia e Roberto Occhiuto. Avete ancora fiducia nella Bruni?

    «I modi di fare opposizione sono diversi, riguardano anche il temperamento, il carattere. Che una scienziata faccia una opposizione diciamo “mansueta” non mi stupisce. Il lavoro scientifico non è un lavoro di impeto, è un lavoro ragionato, a toni bassi. Penso che sia nell’ordine delle cose. Nessuno è mai soddisfatto del tipo di opposizione che fa il vicino di banco. Sul permanere della fiducia ad Amalia Bruni bisognerà sentire chi ha più sott’occhio l’operato locale».

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    Amalia Bruni

    Il capogruppo del M5S in Consiglio regionale, Davide Tavernise, si è detto favorevole al raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Il referente e candidato regionale di Europa Verde, Giuseppe Campana, in campagna elettorale riteneva che parlare ancora di termovalorizzatori fosse un insulto. Che ne pensa e da che parte sta?

    «La nostra posizione storica anche mia personale è di contrarietà netta ai termovalorizzatori. Ci sono sempre dei meccanismi e delle tecnologie di transizione. Si potrebbe usare un po’ tutto se è in via di transizione. Bisogna cercare di arrivare ai metodi che siano veramente più importanti per la gestione dei rifiuti, io penso alla raccolta differenziata porta a porta, al riuso, al riciclo totale. Bisogna evitare a monte di produrre rifiuti. L’obiettivo è evitarlo il conferimento in discarica. Per questo occorre investire su questo ed è lunare parlare di valorizzatori nel 2022».

    Davide Tavernise, il capogruppo regionale di M5S

    Nel vostro programma c’è la spinta verso un “Green new deal”, quali sono le vostre proposte?

    «A livello centrale bisogna partire, specialmente in questo periodo, da politiche energetiche lungimiranti. Non si può dire, ad oggi, che possiamo spegnere le centrali di ciò che non è rinnovabile domani mattina. La questione è: “come investiamo i nostri soldi?”. Io vorrei vedere che i nostri soldi siano impiegati una parte nella ricerca e nello sviluppo di nuovi orizzonti energetici puliti, dall’altra parte vorrei vedere investimenti poderosi sulle rinnovabili e su tutto ciò che riduce l’inquinamento. Vorrei vedere più investimenti sul sole, sul vento, sulle batterie naturali. Le pompe idroelettriche sono particolarmente efficienti. Partire da questo vuol dire utilizzare energie di transizione, come il gas, ma per un periodo che deve essere limitato. Da qui potremmo ridurre un costo enorme che è quello dell’approvvigionamento energetico e poi di ripulire l’aria.
    Sui rifiuti bisogna cambiare radicalmente le politiche di gestione. La salute, l’ecologia e l’ambiente sono molto collegate. I fanghi di depurazione, ad esempio, vanno gestiti, ma non in modo folle. Non devono più esserci effetti nocivi per i terreni e per le persone».

    Trattamento dei rifiuti in discarica

    Lei è promotore di una legge importante, quella per la prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo. Perché è importante intervenire su questo tema?

    «È molto importante legiferare perché l’Italia è l’ultimo tra i paesi avanzati a non avere una strategia nazionale sulla prevenzione del suicidio. Attraverso una mozione approvata il 14 giugno a mia firma obbligo il Governo ad istituirla. Ci vorrà un po’ di tempo, ma è un passo. La questione non è l’essere rimasti gli ultimi, ma il significato. In Italia ogni anno si suicidano 4.000 persone. Questo è il dato emerso, ma si parla di una forbice di 4.000-8.000. È così ampia perché il suicidio è la causa di morte che subisce più errori di classificazione. È la seconda causa di morte nel nostro paese dei giovani adulti. Si amplifica particolarmente nella seconda fase delle crisi. Ma noi oggi siamo in una fase di crisi permanente: economica, finanziaria, pandemica, bellica, inflazione. Tutte queste crisi concorrono ad aumentare il numero dei suicidi, non c’è più la speranza di tornare alla normalità, di star bene, di avere una mano tesa. In Italia non abbiamo un numero verde per la prevenzione del suicidio, non abbiamo un centro studi nel pieno delle sue competenze che possa fare una raccolta dati e aggiornarli di anno in anno, non abbiamo politiche che vanno in direzione del disarmo. Nella mozione abbiamo inserito una misura che dovrebbe arrivare a contrastare le armi in ambiente domestico, perché capita che i giovani si suicidino con le armi dei genitori, anche se debitamente e legalmente tenute. Per tutti questi motivi è importante intervenire sul tema».

  • Cinque Stelle, due morali: niente termovalorizzatore a Roma,  ma va bene in Calabria

    Cinque Stelle, due morali: niente termovalorizzatore a Roma, ma va bene in Calabria

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    Tutte le testate nazionali lo confermano: il casus belli che ha portato il Movimento 5 Stelle a non votare la fiducia (uscendo dall’aula del Senato) al Governo Draghi è una norma del Decreto Legge “Aiuti”. Quella, cioè, che concede poteri straordinari al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, per la gestione in autonomia del ciclo dei rifiuti capitolini. E, a seguire, per la realizzazione del termovalorizzatore annunciato lo scorso aprile. Quei poteri aggiuntivi, difatti, consentiranno al primo cittadino romano di derogare al piano rifiuti regionale. Che il termovalorizzatore, invece, non lo prevede.

    Termovalorizzatore, il braccio di ferro nazionale

    Giusto due mesi fa il presidente del M5S, Giuseppe Conte, stigmatizzò tale ipotesi con un secco “no”. «Termovalorizzatore vuole dire fumi inquinanti, vuol dire scorie leggere e pesanti» disse in diretta su Twitter. Il fondatore e garante Beppe Grillo, a sua volta, parlò di «scelta insensata». Il motivo? «Bruciare i rifiuti è la negazione dell’economia circolare, a maggior ragione se si pensa che quest’impianto avrà bisogno comunque di una discarica al suo servizio per smaltire le ceneri prodotte dalla combustione, equivalenti a un terzo dei rifiuti che entrano nel forno».

    Conte e Grillo

    Certo, quando si è arrivati a dover trovare una mediazione in extremis, lo stesso Grillo dichiarò: «Non esco dal governo per un c… di inceneritore». Ora, però, è arrivata la decisione di non votare la fiducia al Dl “Aiuti” in Senato, con la capogruppo pentastellata Mariolina Castellone che ha bollato l’inserimento della controversa norma come «una follia»). La contromossa di Mario Draghi? Convocare il Consiglio dei ministri e poi salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni (poi respinte). Il nodo è ancor più venuto al pettine.

    Mattarella e Draghi

    «È veramente una follia interrompere il Governo. Mandiamo in crisi un governo per un termovalorizzatore a Roma? Ma chi ci rimette? La povera gente», ha dichiarato il sindaco di Milano, Beppe Sala. «Non si fa una crisi per un termovalorizzatore. Il premier non può essere sottoposto a ricatti», gli ha fatto eco il parlamentare e dirigente nazionale del Pd, Enrico Borghi.
    Si attende la cosiddetta “parlamentarizzazione della crisi” di mercoledì prossimo, con Mario Draghi che si presenterà alle Camere. Intanto il dibattito sul termovalorizzatore romano come miccia scatenante della crisi stessa tiene banco e a pieno.

    L’imbarazzo tra i grillini calabresi per il loro capogruppo

    I pentastellati a livello nazionale hanno “inventato” il ministero della Transizione ecologica con a capo il fisico Roberto Cingolani. In altre Regioni, si pensi al Lazio, esprimono l’assessora alla Transizione ecologica, Roberta Lombardi. M5S, insomma, fa dell’ecologia, dell’economia green e della lotta agli inceneritori una assoluta priorità. Al punto d’arrivare a far saltare sia il Governo di Unità nazionale guidato da Mario Draghi sia il tentennante (e arrancante) “campo largo” con il Partito Democratico.

    Tavernise stringe la mano a Occhiuto

    In Calabria, invece, i due grillini in Consiglio regionale sono sotto il tiro sia del Pd che dal gruppo facente capo a Luigi De Magistris. Li accusano di portare avanti una opposizione “supina” o, financo, “inclinata” al Governo guidato da Roberto Occhiuto. Il capogruppo del M5S a Palazzo Campanella, Davide Tavernise, ha esternato posizioni in netto contrasto con quelle dei colleghi di partito romani. E ha suscitato non pochi imbarazzi, in primis tra i parlamentari calabresi che a Roma poi devono render conto, soprattutto in previsione delle elezioni politiche.

    Termovalorizzatore a Gioia Tauro? Va bene anche a Cosenza

    Tre mesi fa, seduta di Palazzo Campanella del 19 aprile. Proprio due giorni prima che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, annunciasse il termovalorizzatore che avrebbe poi portato alla crisi di Governo, a Reggio Calabria si discuteva della “Multiutility”.
    In quella occasione Tavernise ha preso la parola aderendo espressamente al “Partito dell’inceneritore”.

    Catanzaro abbaia e Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto
    L’aula del Consiglio regionale della Calabria

    «Voglio, invece, prendere posizione – le sue parole – su una questione che è associata a questa Multiutility, presidente Occhiuto. Ho letto proprio stamattina in un articolo, su un quotidiano, le dichiarazioni del Sindaco di Gioia Tauro, che io reputo, veramente, vergognose…».«Sentire e leggere – continuava il capogruppo M5S – che se si raddoppia il termovalorizzatore di Gioia Tauro è giusto raddoppiare i posti letto in ospedale, penso sia un atteggiamento un po’ superficiale da parte di chi fa il sindaco. Le faccio una provocazione: io non sono favorevole a priori al raddoppio, sono sicuramente a favore per l’adeguamento dell’inceneritore di Gioia Tauro, perché oggi quell’inceneritore sta ammazzando la gente, non lo dico io, ma lo dicono i fatti. Se non si è d’accordo, presidente Occhiuto, le faccio un invito: al posto del raddoppio di quell’inceneritore e dell’adeguamento, io direi di chiuderlo proprio. Iniziamo a pensare di farlo da un’altra parte».

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    Amager Bakke, il termovalorizzatore di Copenhagen celebre per ospitare una pista da sci

    «…Siccome, a differenza di quello che qualcuno ha detto, io ho coraggio, non è vero che me ne lavo le mani come Don Abbondio, la invito ad iniziare ad individuare anche un altro sito per un termovalorizzatore, magari nella provincia di Cosenza, visto che il sindaco di Gioia Tauro dice che dobbiamo farlo da un’altra parte… È facile dire che siamo contro i termovalorizzatori e contro gli inceneritori, però voi sapete che la migliore Regione, il Veneto, ha raggiunto il 75% di raccolta differenziata. Mia padre che ha la terza elementare mi ha detto che il restante 25 percento o si conferisce in discarica o si brucia. Cerchiamo di bruciarlo seguendo esempi come il termovalorizzatore di Copenaghen o anche quello di Brescia, che sono dei termovalorizzatori moderni» concluse Tavernise annunciando voto di astensione sulla Multiutility voluta da Occhiuto, tra lo stupore e i mugugni dei colleghi di minoranza.

    Sindaci in rivolta

    «La giunta regionale sta lavorando per il privato. L’azione che ci rimane da fare è la protesta, dobbiamo diventare una spina al fianco della giunta regionale» ha dichiarato il sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio, oggetto degli strali di Tavernise.
    Contattato direttamente da I Calabresi, Alessio ha dichiarato: «Inutile che si parli di adeguamento, è un raddoppio del termovalorizzatore. La salute dei cittadini viene scambiata con l’interesse economico del privato. All’interno del M5S ci sono delle contraddizioni, non hanno una posizione univoca. Nel nostro territorio c’è il senatore Giuseppe Auddino che è al nostro fianco da sempre. Tavernise è penoso, dovrebbe venire a spiegare ai cittadini gioiesi perché secondo lui deve essere raddoppiato il termovalorizzatore».

    Aldo Alessio, sindaco di Gioia Tauro

    Alessio ha richiesto l’accesso agli atti per valutare l’impugnativa della delibera di Giunta regionale dello scorso 21 marzo che approvava il documento tecnico di indirizzo per l’aggiornamento del Piano regionale di gestione rifiuti del 2016. Il sindaco della città Metropolitana di Reggio Calabria, Carmelo Versace, aveva annunciato la possibilità di impugnare proprio la legge regionale 10, quella sulla Multiutility.

    Carmelo Versace, sindaco della Città metropolitana di Reggio Calabria

    «Sin dal primo momento siamo stati contrari all’ipotesi di raddoppio di questo impianto che, ribadiamo, non è un termovalorizzatore, ma un inceneritore» ha dichiarato pubblicamente, invece, il sindaco di Reggio Calabria, Paolo Brunetti. È chiaro, quindi, che i sindaci sono sul piede di guerra.

    Termovalorizzatore, l’ultima proroga

    Intanto l’avviso pubblico esplorativo per “la ricerca di operatori economici interessati alla presentazione di proposte di project financing finalizzate all’individuazione del promotore ex art. 183, Dlgs 50/2016, per l’affidamento della concessione relativa alla progettazione e realizzazione dell’adeguamento e completamento del termovalorizzatore di Gioia Tauro comprensiva della gestione” che scadeva a maggio, è stato prorogato al prossimo 29 luglio.

    Sulla manifestazione di interesse si legge che “in Calabria la gestione dei rifiuti urbani è fortemente condizionata e dipendente dallo smaltimento in discarica; in discarica vengono conferiti i rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti urbani per cui la chiusura del ciclo di gestione dipende dalla disponibilità di volumi di abbanco, registrando una grave criticità dovuta alla carenza strutturale di discariche pubbliche e private sul territorio regionale nonché determinando un aggravio dei costi per i cittadini calabresi per il necessario ricorso a discariche o a impianti di incenerimento extra-regionali”.

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Il documento riporta anche che “la Regione Calabria, ricorrendo alla normativa vigente e alle nuove disposizioni di ARERA, intende dotarsi di un mix impiantistico in grado di assicurare il recupero e il riciclaggio di materia dalle frazioni merceologiche che compongono i rifiuti urbani e, a valle, chiudere il ciclo attraverso il recupero energetico dai rifiuti secondari (derivanti dal trattamento delle frazioni merceologiche del rifiuto urbano) nell’impianto di termovalorizzazione di Gioia Tauro”.

    Insomma, in Calabria il termovalorizzatore s’ha da fare. Anche grazie al supporto politico del Movimento 5 Stelle. Ma tra il Pollino e lo Stretto, evidentemente, manca un Draghi da mandare a casa.

  • Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Il centrodestra calabrese ha scelto i cavalli sbagliati su cui puntare alle Amministrative di questi ultimi tre anni. Nonostante abbia “sbancato” per due volte di seguito alle Regionali, nei capoluoghi di Provincia “roccaforti” della destra, come Cosenza e Catanzaro, ha ceduto lo scettro a coalizioni di sinistra. Certo, alla gauche non sono mancati “aiutini” dal campo avverso. Ora “sottobanco”, ora con litigi, divisioni e ripicche. Protagonista, in entrambi i casi, un notabilato che inizia ad arrancare in vista delle Politiche. Saranno queste ultime a rappresentare la vera resa dei conti interna al centrodestra in corso da mesi.

    La carta del “Papa straniero” a Reggio

    Quasi due anni fa il tavolo nazionale del centrodestra vedeva Matteo Salvini, forte del vento in poppa e del voto d’opinione raccolto alle Regionali calabresi del 2020, puntare i piedi per realizzare un sogno: avere un sindaco leghista a Reggio Calabria. Fumo negli occhi per il deputato azzurro Francesco Cannizzaro. Quest’ultimo bramava di piazzare un suo uomo, invece ha dovuto subire il “Papa straniero” Nino Minicuci, originario di Melito Porto Salvo e già direttore generale del Comune di Genova. Ed è proprio in Liguria che Minicuci ha trovato i suoi maggiori sponsor politici, dal segretario regionale della Lega, Edoardo Rixi, al presidente di Regione, Giovanni Toti.

    Antonino Minicuci
    Antonino Minicuci

    Vantava una notevole esperienza tecnica Minicuci. Però non gli ha garantito una volata per sfilare Reggio Calabria a quel Giuseppe Falcomatà che ben pochi (anche tra i suoi) volevano veder rieletto. In primis per il “caso Miramare”, che lo ha portato alla sospensione dalla carica dopo la condanna in primo grado nel relativo processo.

    Al primo turno Minicuci prese il 7,1% in meno rispetto alle sue 10 liste, mentre al ballottaggio straperse a favore del candidato del Pd. «Non ha vinto Falcomatà, ma abbiamo perso noi e la responsabilità è di tutti» dichiarò Cannizzaro in conferenza stampa, Una non troppo velata stoccata contro il senatore Marco Siclari. «Io non ho fatto neanche un giorno di mare mentre qualcuno è andato alle Eolie», aggiunse riferendosi al suo avversario interno. Ossia quello che, con la deputata Maria Tripodi, si era schierato subito a favore del “Papa straniero”.

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    Cannizzaro e la vice presidente della Giunta regionale, sua cugina Giusy Princi

    Profumo di sgambetto nel centrodestra reggino

    Nonostante la sospensione del sindaco per la Severino, l’inchiesta per i brogli elettorali e vari scossoni politico-partitici il centrosinistra governa ancora la città in riva allo Stretto con relativa tranquillità. Ma accade perché in Forza Italia i notabili (i citati Siclari e Tripodi, ma anche l’ex consigliere regionale da 10mila preferenze Domenico Giannetta) sono troppo impegnati a de-Cannizzarizzare il partito in vista delle Politiche. Insomma, sgambetti in vista per “Ciccio Profumo”, nonostante il pennacchio da responsabile di Forza Italia per il Meridione. E nonostante  abbia intascato già la nomina come vice di Roberto Occhiuto per sua cugina Giusy Princi.

    A Crotone briciole e pagnotte

    Coeva alla disfatta leghista a Reggio Calabria è stata quella del centrodestra crotonese. A guidarlo era il deputato azzurro (subentrato proprio nel 2020) Sergio Torromino, coadiuvato dal coordinatore cittadino di FI e oggi portaborse di Valeria Fedele, Mario Megna.
    Fi, Lega e Fdi puntarono sull’avvocato Antonio Manica. Noto professionista, ma politico non trainante, tant’è che al primo turno prese l’8,2% in meno delle sue dieci liste che arrivarono al 49,8%.
    Risultato: Manica al ballottaggio prese oltre 4.500 voti in meno rispetto al primo turno. E a imporsi fu il primo (e unico) sindaco arancione della Regione, Vincenzo Voce, espressione del Movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi.

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    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    In Consiglio comunale Fdi non entrò nemmeno, anche se oggi ha dei simpatizzanti nell’assise. La Lega invece perse la sua unica eletta, Marisa Cavallo, planata nel gruppo misto. La causa principale? I dissidi col commissario provinciale dl Carroccio, Cataldo Calabretta.
    E Forza Italia? Elemosina briciole. Anzi, pagnotte. Tutto nel tentativo (recentemente mancato) di entrare nell’esecutivo civico facendo da stampella ad un sindaco con numeri ballerini. Eppure, con la vittoria schiacciante alle ultime Provinciali che ha visto protagonista politico l’ex assessore Leo Pedace, il centrodestra pitagorico aveva di fronte a sé un governo cittadino alla canna del gas. Invece, la canna è diventata un boccaglio, fornito dal citato forzista Megna e i suoi sodali.

    L’anomalia cosentina

    Le comunali di Cosenza, invece, si sono tenute lo stesso giorno delle regionali che hanno portato Roberto Occhiuto alla Presidenza della Regione.
    Il candidato di Forza Italia, Lega, Fdi, Udc e Coraggio Italia è stato Francesco Caruso, già vicesindaco di Mario Occhiuto. Le sue liste al primo turno ottennero il 43,2%, in linea con il risultato del centrodestra alle regionali, pari al 43,7%. Il candidato, però, ebbe il 5,8% in meno delle otto liste a suo supporto. E si ritrovò come sfidante Francesco De Cicco, assessore in carica della sua stessa Giunta comunale. Lo stesso assessore che al secondo turno “abbracciò” Franz Caruso ed il Pd, sempre rimanendo in carica fino alla successiva nomina nel nuovo governo cittadino e risultando decisivo nella vittoria del centrosinistra.

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    Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale

    Che Mario Occhiuto ed il centrodestra ormai guidato dal fratello Roberto abbiano puntato su un “pupillo” senza revocare dalla Giunta una spina nel fianco da quasi 5.000 voti odora di inciucio tra schieramenti formalmente avversi. Chissà se ricambiato con la successiva vittoria della sindaca di San Giovanni in Fiore e anche lei già assessora della Giunta di Mario Occhiuto, Rosaria Succurro, alle Provinciali bruzie.

    La debacle del centrodestra a Catanzaro

    Non serve dilungarsi, ne abbiamo recentemente parlato a più riprese. Nel capoluogo di Regione andato al voto poche settimane fa, è emersa plasticamente la scarsa capacità del notabilato regionale di puntare su un cavallo vincente. E con essa tutte le frizioni in vista delle politiche.
    Nell’arco della campagna elettorale a favore del docente di sinistra Valerio Donato, il centrodestra è passato da più fasi. La prima, quella in cui era certo di una vittoria marcata al primo turno. La seconda, in cui ha coltivato la speranza (poi realizzatasi) dell’anatra zoppa. Infine, quella della desolazione post ballottaggio.

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    Nicola Fiorita, professore universitario e nuovo sindaco di Catanzaro

    Oggi il sindaco è Nicola Fiorita. E in queste ore dai partiti di sinistra sta ricevendo più telefonate per posti in Giunta che voti alle elezioni, espressione del civismo di sinistra. Un successo, il suo, frutto non solo dell’attrattività della sua figura, ma anche delle faide interne al centrodestra. Che, pur sconfitto, rimane maggioranza nel tessuto sociale della città. Il neo-sindaco rischia di essere prigioniero del “campo largo” rimasto sulla carta. E c’è la possibilità che si veda imporre dal Nazareno la nomina della “sardina” Jasmine Cristallo come sua portavoce. La cosa causerebbe malumori alle decine di aspiranti assessori che ritengono di poter rientrare in quel concetto di “nomine di alto profilo” che Fiorita vorrebbe sia per la Giunta che per le altre caselle. Insomma, i nodi verranno presto al pettine.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Detto questo, la carta bianca data dalla Lega a Filippo Mancuso in questa campagna elettorale appena conclusa, non ha premiato. Così come il tentativo del coordinatore regionale di Fi, Giuseppe Mangialavori, di replicare l’esperienza delle comunali di Vibo Valentia del 2015 con Elio Costa, in cui i partiti del centrodestra si erano “mimetizzati” con sigle differenti dalle originali.

    Il Vibocentrismo regge

    L’avvocata Maria Limardo, dopo una candidatura alle elezioni regionali del 2010 con il Pdl e l’elezione sfiorata con ben 4.736 preferenze nell’allora collegio di Vibo Valentia, è divenuta sindaca di Vibo Valentia nel 2019 al primo turno (con quasi il 60% dei voti) con una coalizione trainata dal suo partito, Forza Italia e dal già citato Giuseppe Mangialavori.

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    Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia

    La Limardo è una mosca bianca di questo centrodestra incapace di esprimere amministratori locali di chiara matrice partitica. Netta nelle decisioni, riesce a gestire le fibrillazioni politico-partitiche senza esserne succube.  è sopravvissuta politicamente dopo lo scossone di Rinascita-Scott che portò la commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro a chiedere pubblicamente la fine della consiliatura (ricevendo, di fatto una pernacchia). E alle ultime regionali ha superato il brutto sgambetto al leader di una importante formazione politica che governa con lei Vibo Valentia. Parliamo di Città Futura e di Vito Pitaro, estromesso dalle candidature a pochi giorni dal voto.

    Insomma, in una politica fatta di equilibrismi ed equilibristi (ma anche di trapezisti e clown, a dirla tutta), il decisionismo della Limardo è un tratto inedito. Che difficilmente, però, un notabilato alla perenne, famelica ricerca di un altro giro di giostra in Parlamento intende valorizzare.

    Roberto Occhiuto si smarca dal resto del centrodestra

    «Dal primo giorno del mio mandato da presidente della Regione ho detto che avrei fatto l’uomo di governo e che mi sarei occupato soltanto dei problemi della Calabria, lasciando ai partiti le scelte in ordine ai candidati sindaco delle città». «Rimango un dirigente politico nazionale del centrodestra, ed è chiaro che mi impegnerò per le prossime elezioni politiche. Ma per scegliere gli aspiranti primi cittadini non sono intervenuto e non interverrò in futuro». Queste le dichiarazioni di Roberto Occhiuto all’Ansa dopo l’ultima tornata amministrativa.

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    Vincenzo De Luca

    Una posizione molto diversa dai suoi colleghi presidenti di Regione. In Campania Vincenzo De Luca in alcuni comuni ha presentato la lista Campania Libera di sua diretta espressione. E si è preso il merito delle vittorie, tra cui quella di Enzo Cuomo a Portici (con l’80%).

    In Puglia Michele Emiliano rivendica la vittoria locale della «formazione che governa la Puglia» e che ha visto il democrat vicino a molti candidati in questa tornata amministrativa. Tra questi, il sindaco rieletto di Taranto Rinaldo Melucci. «Sicuramente è uno dei risultati più importanti in Italia perché qui la coalizione si è presentata nella stessa formazione che governa la Regione e nella stessa formazione che ci auguriamo possa governare l’Italia nelle prossime elezioni politiche», il suo commento sul voto.

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    Michele Emiliano

    Non differente la situazione a destra. Il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, in quota Fratelli D’Italia, ha messo il cappello sul risultato delle Comunali. «Il centrodestra ha sciolto il guinzaglio della sinistra sugli elettori» ha dichiarato festeggiando la vittoria del “suo” candidato Pierluigi Biondi a sindaco de L’Aquila.
    Insomma, ragionamenti e azioni diametralmente opposti a quelli di Roberto Occhiuto.
    Tra paura di ammettere sconfitte e rese dei conti, la partita per le politiche è ancora tutta da giocare.

  • Catanzaro: dopo la batosta, il centrodestra prepara la faida

    Catanzaro: dopo la batosta, il centrodestra prepara la faida

    Nei ballottaggi il centrosinistra imperversa un po’ ovunque. A Monza, a dispetto dell’impegno di Berlusconi per il sindaco uscente Dario Allevi (sostenuto anche da Lega e Fdi). E peggio che andar d notte a Verona, dove Damiano Tommasi ha approfittato delle frizioni interne al centrodestra e si è imposto sull’ex sindaco Federico Sboarina.
    A conferma che non c’è due senza tre, le stesse frizioni si sono ripetute a Catanzaro, con un esito altrettanto devastante. Al riguardo, è stato profetico Roberto Calderoli, quando si è lasciato scappare un’espressione piccante: «Comunque vincerà uno del Pd…».

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    Salvini arringa i catanzaresi

    Eppure nel capoluogo regionale Matteo Salvini si era speso assai, anche mediaticamente, per Valerio Donato. E aveva mandato giù un boccone amarissimo. Cioè quel: «Mai sul palco con Salvini» pronunciato proprio dal “suo” candidato.

    La resa dei conti

    Da oggi, però, inizia la resa dei conti nel centrodestra nazionale, in cui la batosta di Catanzaro ha il suo peso.
    Inequivocabile sul punto Flavio Tosi, big veronese passato in Forza Italia: «Se si sono rotti i tavoli a Catanzaro a Parma e anche altrove la causa è Verona. Ovverio: Fratelli d’Italia ha fatto saltare il banco ovunque perché a Verona non c’è stato l’apparentamento su Sboarina».
    Stando a questo ragionamento, la colpa della “botta” di Catanzaro sarebbe delle scelte politiche della commissaria regionale.
    Wanda Ferro, infatti, ha fatto saltare i tavoli di coalizione, ha bruciato nomi come fiammiferi, infine ha ispirato la candidatura di Valerio Donato. Il quale, tra l’altro, è una vecchia conoscenza della deputata meloniana (è stato suo avvocato nel ricorso contro la legge elettorale regionale nel 2014).

    Ma siccome nulla a Catanzaro è lineare, Wanda si è candidata contro Donato, salvo sostenerlo (senza apparentamenti) al ballottaggio.

    Donato il candidato “scaricato”

    Docente della Magna Graecia di Catanzaro e presidente della Fondazione Umg, Valerio Donato ha rivendicato a spoglio ancora in corso la sua matrice di sinistra. In verità, lo ha fatto per tutta la campagna elettorale, nononstante le molteplici iniziative pubbliche con i big del centrodestra.
    Ed ecco che la “Rinascita” ha partorito un topolino.
    Difatti, la lista espressione della sua proposta politica («nettamente bocciata dagli elettori» ha ammesso a scrutinio quasi finito) si è fermata al 4,9% e ha eletto solo Gianni Parisi, l’ex presidente del Sant’Anna Hospital.
    E c’è di peggio: Donato ha avuto il 9,8% di voti in meno rispetto alla coalizione.
    Se non è questo un segnale di sfiducia…

    Fiorita sindaco: l’uomo della rimonta

    Destra e sinistra esibivano la carta “Valerio Donato” da quasi un ventennio alla vigilia di ogni Amministrativa. Forse oggi, alla luce della “remuntada” di Fiorita, si può dire che la carta è stata calata tardi e male.
    Al primo turno Fiorita era indietro di 5.800. Al secondo, ha ribaltato le urne e si è trovato avanti 5.045 schede.

    Nicola Fiorita brinda alla vittoria

    Segno che la proposta civica di Donato è stata soffocata dal notabilato locale di centrodestra. Ma ciononostante non ha sfondato.

    Big allo sbando

    Torniamo a Wanda Ferro: la big meloniana ha postato su Instagram il bacio di Giuda con l’hashtag #quanticenesono. Peccato che il “pasticcio politico” lo abbia imbastito lei.
    Il presidente del Consiglio regionale in quota Lega, Filippo Mancuso, che aveva avuto carta bianca per le Amministrative dai vertici del Carroccio, ha diramato una nota stampa in cui riconosce la sconfitta e fa gli auguri a Fiorita. E tutto lascia pensare che, sotto sotto, Domenico Furgiuele, l’altro boss della Lega, se la rida sotto i baffi.

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    il post di Wanda Ferro su Instagram dopo l’esito del ballottaggio

    Il cerino in mano

    Il coordinatore cittadino di Forza Italia Marco Polimeni, è in un cul de sac.
    È rimasto col cerino in mano dopo la dichiarazione pubblica resa al fianco di Donato e del coordinatore regionale Giuseppe Mangialavori: «Lo dico subito: noi non avremo nessuna intenzione il giorno dopo di venderci e di fare accordi innaturali, il giorno dopo rassegneremo immediatamente le dimissioni e non accetteremo nessun accordo trasversale».
    «Polimeni parla solo per sé stesso» ha dichiarato più di un eletto nella coalizione di Valerio Donato.
    Questa dichiarazione rischia di minare la credibilità politica dell’ex presidente del Consiglio, che secondo i beneinformati era prossimo a diventare portaborse di Michele Comito, il presidente della Commissione sanità del Consiglio regionale, su indicazione di Mangialavori.

    Niente anatre, solo volponi

    Durante il ballottaggio ha tenuto banco la questione “anatra zoppa”. Che, almeno sulla carta, c’è: Valerio Donato ha 18 Consiglieri, Fiorita ne ha 10.
    Ma la politica catanzarese è abituata alle giravolte. La sa lunga Sergio Costanzo, il più votato a Catanzaro. A un quarto d’ora dalla chiusura dei seggi, su Facebook, ha abbandonato il “donatismo” con un’affermazione inequivocabile: «chiunque vinca avrà l’arduo compito di risolvere gli atavici problemi che attanagliano la nostra città e ridare dignità al capoluogo. Vinca il migliore, in bocca al lupo Valerio e Nicola». Un chiaro segnale di consapevolezza del vento elettorale.
    Tra consiglieri che si congratulano e altri pronti a diventare “responsabili” per il “bene della città”, Fiorita dovrà barcamenarsi tra i volponi ritornati in un Consiglio che ha poche novità. Una bella sfida.

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    Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico

    Talerico: l’ago della bilancia

    Antonello Talerico, presidente degli Avvocati di Catanzaro con un ricorso in ballo per subentrare a palazzo Campanella, è riuscito a diventare l’ago (pungente) della bilancia. Nonostante la faida personale con Mangialavori, che spesso lo ha distratto, ha tenuto testa ai due poli al primo turno e ricevuto il sostegno di Carlo Calenda, che ha rivendicato il risultato a doppia cifra di Catanzaro, e di Maurizio Lupi.
    Porta in dote, salvo riconteggi, tre consiglieri oltre lui, pronti a sostenere la maggioranza dopo aver dato una bastonata politica a un centrodestra ostile, con la sola eccezione di Roberto Occhiuto.

    Partitismo gregario

    Nicola Fiorita è risultato forte nella sua impronta civica. Le sue liste Mò e Cambiavento hanno trainato i consensi. Va ricordato che i grillini hanno fatto per primi il suo nome a sinistra, in particolare Paolo Parentela.
    il M5S festeggia il primo ingresso in Consiglio comunale (nonostante il 2,77%) con Danilo Sergi. Il Pd cresce di poco rispetto al 2017 (arriva al 5,8%) ma raddoppia la rappresentanza: Giusy Iemma, la presidente regionale, e il segretario cittadino Fabio Celia. Torna anche il Psi (2,7%) con Gregorio Buccolieri.
    Questo partitismo è risultato gregario. Toccherà al neo sindaco non divenirne prigioniero.

    I fantasmi della campagna elettorale

    Non si sono visti per l’intera campagna elettorale né hanno fornito candidati alla coalizione, nonostante le richieste. Sono spariti e ora ritornano.
    Parliamo del parlamentare del Pd Antonio Viscomi, già candidato nell’uninominale di Catanzaro. Viscomi il primo turno delle Amministrative pubblicò una foto con i risultati dei candidati del Pd di Pizzo.
    «Trovare candidati è difficile» disse ai dirigenti dem di Catanzaro quando gli chiesero di dare un apporto fattivo alla lista.
    Idem per la Consigliera regionale del gruppo misto Amalia Bruni. «Ci sto provando senza riuscirci» avrebbe detto, salvo poi spuntare con tanto di Spritz in mano per le photo opportunity.
    Zero tituli anche per la sardina Jasmine Cristallo, spuntata a favor di intervista tra baci e abbracci soltanto all’ultimo ma il cui apporto – nonostante il “campo largo” da sempre decantato – è stato, secondo fonti dem, assolutamente nullo

  • Castorina imbarazza il Pd, ma dice: votato dai vivi, non dai morti

    Castorina imbarazza il Pd, ma dice: votato dai vivi, non dai morti

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Antonino Castorina di professione fa l’avvocato. È stato capogruppo del Pd in Consiglio comunale a Reggio Calabria e consigliere metropolitano con delega al Bilancio.
    Castorina è stato pure membro della direzione nazionale del Partito democratico. In occasione delle primarie del 2019 è diventato coordinatore regionale della mozione “Sempre Avanti” di Roberto Giachetti e Anna Ascani, ex ministra dell’Istruzione e ora sottosegretaria alo Sviluppo economico.
    L’ex capogruppo è stato, inoltre, coordinatore regionale di “Energia democratica”, la corrente della sottosegretaria.
    Una carriera politica in ascesa, fino al clamoroso arresto nel 2020 nell’inchiesta sui presunti brogli elettorali a Reggio. Oggi Castorina è rinviato a giudizio per tentata induzione indebita nel processo Helios e indagato per concorso morale in falso ideologico nell’inchiesta sui brogli alle ultime amministrative reggine.
    Decorsi i termini della misura cautelare che gli vietava la dimora a Reggio Calabria, l’avvocato è pronto a rientrare nella sua città e nel consiglio comunale dopo un anno e mezzo. Ha deciso di parlare in esclusiva a I Calabresi.

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    Palazzo San Giorgio, il municipio di Reggio Calabria

    Avvocato Castorina, a Reggio i morti votavano per lei?

    «Per la seconda volta consecutiva sono stato tra i pochi consiglieri a superare le mille preferenze in tutti i seggi della città.
    La storia dei morti che mi avrebbero votato è sconfessata prima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato. I due organi di giustizia amministrativa hanno chiarito la validità delle comunali di Reggio del 2020. Inoltre, negli atti di indagine a mio carico non c’è alcuna contestazione sul presunto voto dei defunti. Anche perché i loro nomi – proprio perché morti – non possono essere nei registri elettorali. Una fake news bella e buona, usata ad arte per creare suggestione e provare a fare un processo fuori dal Tribunale».

    Il Tribunale del Riesame a febbraio 2021 ha parlato di «vero e proprio sistema di alterazione dell’espressione del voto». Cosa dice a riguardo?

    «Il Riesame si è espresso sulle esigenze cautelari e non sul fatto. Su questo si esprimerà un altro Tribunale quando ci sarà il processo. Mi preme specificare che abbiamo fatto ricorso contro la decisione del Tdl in Cassazione. Tuttavia, la stessa Procura aveva già revocato i domiciliari con il divieto di dimora e poi ha dato parere favorevole alla cessazione della misura».

    Il Presidente di Seggio Carmelo Giustra aveva parlato di un vero e proprio “accordo con Castorina” sui brogli durante l’interrogatorio del dicembre 2020. Lei aveva un davvero questo accordo?

    «Se si legge tutto l’interrogatorio, si può capire come in nessuna parte si sostiene che io ho dato indicazioni di fare brogli. E non è un mistero che il presidente di seggio sottoposto a misura cautelare sia stato interrogato ben tre volte: ciò significa che le sue dichiarazioni sono state alquanto contraddittorie».

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    Giuseppe Falcomatà, il sindaco “destituito” dalla legge Severino

    Quindi non c’erano liste di anziani il cui voto sarebbe stato espresso da altre persone…

    «Di sicuro, durante la campagna elettorale esistevano liste di potenziali elettori che potevano essere intercettati: giovani, anziani, stranieri, tutte le categorie. Alterare la libera espressione del voto non fa parte della mia cultura. Per questo motivo, non avrei mai praticato alcuna alterazione. Inoltre, ritengo che sia molto complicato o addirittura impossibile taroccare i consensi: un seggio elettorale è composto da sei persone, oltre le forze dell’ordine e i dipendenti comunali a presidio degli stessi».

    Lei è imputato nel processo Helios. Secondo l’accusa avrebbe cercato di assumere persone amiche nell’azienda dei rifiuti di Reggio Calabria. Reato o clientela?

    «Lo chiarirà il processo. Io ho fiducia nella giustizia».

    Ma Castorina cosa pensa del clientelismo politico?

    «Io ho fatto politica sempre per passione e per amore del mio territorio, sin da quando ero rappresentante a scuola, all’Università e militavo nel Movimento giovanile. Non vivo di politica, faccio l’avvocato. Perciò il mio impegno politico non si inserisce negli scambi di favori».

    Torna in consiglio comunale, riabbraccerà il Pd?

    «La mia casa è il centrosinistra moderato, riformista e cattolico. La mia idea è quella del Pd. Il Pd si dovrà determinare.
    Tuttavia, tengo a dire una cosa: se se una persona come me – non condannata ma solo indagata – non può stare nel Pd, lo stesso principio dovrà essere applicato a tutti i soggetti indagati o condannati che militano o hanno ruoli nel partito. Io quando ho subito la misura cautelare ho subito comunicato la sospensione dal Pd e da tutti gli incarichi, compreso quello in direzione nazionale.
    Nelle prossime settimane manderò una lettera al segretario regionale Nicola Irto e a Enrico Letta per capire quel che accadrà».

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    Nicola Irto, il segretario regionale del Pd

    Ci sono malumori o mal di pancia da quelle latitudini per il rientro di Castorina nel Pd?

    «Bisogna chiederlo a quelli del Pd. Io non ho malumori con nessuno».

    Ha ricevuto solidarietà dal suo partito in questo anno e mezzo?

    «Ho ricevuto tanta solidarietà umana. Per quanto riguarda l’aspetto politico, ho evitato qualsiasi contatto o rapporto con esponenti della politica calabrese, fino alla revoca delle misure cautelari e al reintegro in Consiglio. Ritenevo inopportuno fare altrimenti».

    Ha mai pensato di dimettersi?

    «Neanche per un istante. Le dimissioni avrebbero significato una ammissione di responsabilità che non ho mai immaginato di avere».

    Falcomatà “destituito” dalla legge Severino, il cui referendum abrogativo ha fatto flop alle urne, che ne pensa?

    «È una legge giustizialista, totalmente sbagliata e che danneggia le comunità. Mi auguro che molto presto Giuseppe Falcomatà possa tornare al suo ruolo istituzionale».