Ernesto Sábato (1911-2011) è stato uno dei più noti, importanti, originali –e controversi- scrittori argentini della generazione cresciuta intorno al gruppo di giovani intellettuali che intorno agli anni ’30 del Novecento si riuniva intorno alla rivista di letteratura Sur, oltre che per decenni una personalità centrale nella vita culturale e politica del suo paese, l’Argentina. Di origine italiana, anzi calabrese. Per via di queste ascendenze familiari, nel 1999 aveva riacquisito «con enorme desiderio e soddisfazione» la cittadinanza italiana, oltre a quella argentina di nascita.
La militanza, il peronismo, la dittatura
Gli studi di fisica, la militanza comunista, il peronismo, i rapporti strategici e sfuggenti con la Giunta capeggiata da Videla ne fanno un personaggio controverso come tanti intellettuali d’argentina. In realtà poi nessuno può negare il suo impegno in prima persona quando svolgerà un ruolo importante soprattutto in mezzo ai difficilissimi anni Ottanta, presiedendo in prima persona la Conadep (Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas). Fu infatti Sabato a presiedere la commissione sugli scomparsi (Desaparecidos) dal 1973 al 1986, passata alla storia come il Nunca más. Più di 30 mila vittime accertate negli anni della tirannide militare argentina, a cui si pose fine, grazie anche all’azione civile e diplomatica promossa dalla commissione presieduta da Sabato, che consentì senza altri spargimenti di sangue il passaggio alla democrazia con il governo di Raul Alfonsin.
Ma quella di Sabato fu considerata una posizione definita compromissoria e attendista, che non teneva conto di quanti, tra gli scrittori, gli intellettuali o i militanti democratici, che non avevano commesso reati e tantomeno erano implicati nella lotta armata, fossero già stati comunque sequestrati e assassinati dal regime.

Ernesto Sabato, outsider di lusso
Lo scrittore argentino Ernesto Sabato è stato un outsider di lusso che imprime il suo sigillo narrativo in territorio un di confine, che nel suo caso possiamo cifrare tra autori più densamente morali, come Dickens, Hugo, Tolstoj o Dostoevskij. Il suo romanzo capitale, Sopra eroi e tombe, è proprio una incandescente scheggia novecentesca di quel vecchio genere emotivo ed eticamente tormentato, fatto di chiaroscuri contrastati e di flussi di tormentate ricostruzioni filosofiche e morali che Sabato ha rifuso a modo suo, in materiali narrativi che spesso cozzano tra loro ma che nell’insieme formano un blocco di storie di poderosa grandezza epica: uno di quei libri in grado stralunare e tramortire il lettore. E in fondo oggi Sabato lo si legge poco proprio in virtù di questi aspetti epicamente esasperanti ed eticamente contrastanti, che sempre sfiorano l’assurdo.
Ma forse anche per questa sua drammatica frequentazione del margine, che la sua narrativa piacque tanto, invece, all’inquieta genialità meridiana di Albert Camus. Sabato ha goduto l’ammirazione del Nobel francese (anche lui un immigrato senza patria), al punto che questi si impegnò per farlo tradurre dal suo stesso editore, Gallimard che pubblicò in Francia nel 1956 il suo primo romanzo, Il Tunnel, scritto nel 1948.
Questo grande romanziere argentino morto alla soglia venerabile del secolo di vita, che ha vissuto «l’infanzia di un ragazzino solitario e spaventato di un villaggio della Pampa», avrebbe potuto essere benissimo, insieme alla sua famiglia di emigrati espatriati per l’avventura del sogno della grande Argentina, un ragazzino spaventato abitante di un qualsiasi villaggio della Calabria dei primi del ‘900.

Sabato e il Laghicello di San Benedetto
Del distinto richiamo dei luoghi ancestrali e del fervore epico del suo antico sangue calabrese Sabato ha liricamente chiosato nel suo libro di commiato, Prima della fine: «I mei due genitori calabresi abbandonarono i loro luoghi d’origine, ma non li dimenticarono mai; avevano lasciato lì tutto, partirono con le loro poche cose e non tornarono più indietro».
E sempre pensando ai suoi genitori, che arrivarono in Argentina a fine ‘800 da due minuscoli paesi viciniori come Fuscaldo (Francesco, il padre) e San Martino di Finita (la madre Giovanna Maria Ferrari) posti sulla catena costiera in provincia di Cosenza, scriveva ancora nella vividezza dei suoi ricordi d’infanzia: «Quanti italiani avrebbero continuato a vedere le loro montagne e i loro fiumi, separati dal dolore e dagli anni, nelle strade labirintiche e disperse di Buenos Aires, in questa metropoli costruita su un porto e trasformata in un deserto di ammucchiate solitudini».
Sabato, gli antenati calabresi e il Laghicello
Quando rivolgeva lo sguardo ai ritratti ingialliti dei suoi antenati calabresi Sabato lo faceva con profondi accenti di commozione e di rimpianto. Sentimenti che neanche i riconoscimenti, la fama, i suoi successi personali nel paese del nuovo mondo avevano risarcito.
Sabato avrebbe desiderato ritornare a ritroso sino alle origini, indietro nel tempo, e nello spazio, dove? Fin dove, ci si chiede? E cos’hanno a che vedere con la sua vicenda spesso finita al centro delle cronache mondiali per la sua letteratura e il suo impegno a difesa dei diritti umani, con i richiami di memoria, con le strofe delle vecchie canzoni popolari calabresi della terra di suo padre: «Ricordo che certe volte la sera mio padre mi teneva sulle ginocchia e mi cantava le canzoni antiche della sua terra, melodie malinconiche e delicate.
Era una grande emozione», o il Mediterraneo «la cui luce azzurra quando la vidi per la prima volta, era così intensa che mi offuscò lo sguardo», o ancora quella volta che andò in Calabria a conoscere il piccolo luogo montano dove un giorno il padre s’innamorò di sua madre? Laghicello e Pantanillo, un luogo che si fa specchio dell’altro; il tempo oltre lo spazio, lo spazio che annulla il tempo, come in uno dei suoi vertiginosi sofismi letterari.
Il Pantanillo di Ernesto Sabato è anche un bel libro di Pedro Jorge Solans, pubblicato in Italia da Luigi Pellegrini Editore. Ho curato personalmente la nota al testo, mentre la traduzione dallo spagnolo è dello scrittore Marino Magliani.

Le radici e il ricordo dell’Unical
Dopo la morte dello scrittore l’Università della Calabria di Arcavacata di Rende (Cosenza), decise di conferire al letterato, ma anche al fisico, Ernesto Sabato la Laurea ad honorem dell’Ateneo. Morì prima di poter ritirare la pergamena nel 2011; venne sua nipote diretta, Isabelita Sabato, che in quell’occasione ricordava: «La sofferenza e il ricordo dell’emigrazione meridionale dei suoi genitori calabresi in Argentina e l’importanza della pace nel mondo, sono stati concetti su cui Ernesto Sabato ha insistito fino alla fine. E fino alla fine mio zio voleva sapere tutto della Calabria, e ricordo che anche nel suo ultimo anno di vita, pochi mesi prima di lasciarci, quasi con le lacrime agli occhi e con enorme rimpianto, mi disse: ‘prima di morire tornerò nella terra di mio padre».
Il buen retiro
Gran parte della sua opera e del suo lavoro di scrittore Sabato lo ha svolto in un luogo lontano e appartato, distante quasi 900 chilometri dal caos della metropoli bairense, dove si era ritirato sin dal 1948. Un buen retiro che in realtà era una sorta di eremo francescano, un piccolo rancho di poche stanze, quasi invisibile, senza acqua corrente, né luce elettrica o strade.
Il luogo vissuto in povertà da Sabato con i suoi familiari e la compagnia di alcune mitiche figure di rurales del posto e le visite sporadiche pochi intimi amici e letterati, racconta tutto il mondo di Sabato e la sua solitudine, la sua ferrea disciplina di asceta della letteratura. Fu questo il suo unico rifugio mentre l’Argentina post-peronista attraversava gli anni più bui e luttuosi della dittatura militare, mentre imperversava il dramma dei giovani desapericidos, gli oppositori politici fatti sparire a migliaia dalla repressione dei generali delle giunte militari argentini al potere.
Sabato al Pantanillo come al Laghicello
La Casa di Ernesto Sabato, il suo luogo memoriale al Pantanillo (nella regione di Cordoba, a 900 km da Baires), è rimasta una dimora incredibilmente povera e spoglia.
Al Pantanillo, in questa umile casa di campagna, non lontano da un piccolo specchio d’acqua lacustre che tanto somiglia al Laghicello, la località montana vicina a Fuscaldo ma che ricade nel Comune di San Benedetto Ullano, luogo prediletto dai suoi genitori calabresi, si può visitare il piccolo patio o contemplare il semplice lettino in cui dormiva lo scrittore, intorno solo poche stanze quasi anguste in cui sono raccolti oggetti e suppellettili domestiche, poche cose essenziali: un lume per la notte, dei libri raggruppati in piccoli scaffali, una macchina per scrivere su un tavolino accanto alla finestra.
Non ci sono tracce di lussi o di cimeli della fama e dei riconoscimenti dei successi ottenuti in vita da Sabato negli spazi angusti e corruschi di questa piccola casa rurale al Pantanillo, che potrebbe essere benissimo un umile casalino rurale in un angolo disperso dell’appennino calabro, risorto per magia di desiderio e di ricordo in un lembo della grande terra d’oltreoceano. Le stesse stanze povere ed essenziali che fino alla fine sono servite a Sabato, scrittore e uomo tormentato dal dubbio, solo per radunarvi il necessario per vivere, in cui le crepe nell’intonaco corrono serpeggiando sui muri come il tempo scosso dal peso di giorni che nessuno più si preoccupa di fermare sui fogli di un calendario.
Mauro Francesco Minervino
