Evviva le Minne

Le minne di Sant'Agata

 

                                                                                               di Paola Sammarro

Questo doveva essere un articolo “ironico, divertente” e allo stesso tempo riflessivo, su quanto le tette (le minne, per noi calabresi) siano da sempre croce e delizia per gli uomini, capaci di trasformare qualsiasi maschio in un ebete bambinone pervertito. Solo che non mi viene nessun taglio ironico, non ho voglia di ripercorrere nessun mito antropologico e culturale sul seno femminile, e spiegare agli uomini perché è profondamente da stupidi osservare le “minne” delle femmine come se non ne avessero mai viste di altre in vita loro.

Il caso Grillo e le “ragazzate”

Solo a scriverlo mi sto profondamente annoiando e pure – a dire il vero – infastidendo. Perché mentre penso al taglio di questo articolo Ciro Grillo e tre suoi amici sono stati condannati in primo grado per violenza sessuale di gruppo a 8 anni, quasi altri 6 anni per convincere tribunali e opinione pubblica che non è stata proprio una “ragazzata consensuale” ma un vero e proprio stupro. E allora ogni volta dover trovare il giusto equilibrio tra serietà, leggerezza, informazione e rivendicazione dell’ovvio, diventa un impegno di una pesantezza che mi sono pure seccata di sostenere.

Il seno femminile nel mondo dell’immaginario

Mostrare le minne

Ma davvero a quarant’anni devo rispondere a chi sostiene che se esci con una scollatura profonda è perché “vuoi che ti guardano le minne, sennò ti copri!”? No Machominchion (nome di fantasia, nda), metto una maglia scollata perché semplicemente ci sto più comoda, mi piace di più, magari mi piace pure osservare le mie minne allo specchio, ma resta che io non lo debba giustificare a nessuno e che tu non sia autorizzato a fissarle-toccarle-giudicarle, come se fossero un bene pubblico. Il corpo delle donne non è un oggetto, non è un mezzo sessuale non consensuale per esprimere la propria foga rozza e priva di desiderabilità, che è la vostra idea di approccio sessuale.

La Madonna del Latte, opera del Borgognone, 1490 circa

Santa o Puttana

“Se metti in mostra il seno e perché vuoi che te lo guardino, che ti lamenti a fare? Fanno le puttane in vetrina sui social e poi si lamentano” Il neologismo Slut-shaming, termine inglese, indica l’atto di umiliare, colpevolizzare o denigrare una persona (soprattutto una donna) per il suo comportamento sessuale reale o percepito, spesso accusandola di essere “troppo disinibita”, “promiscua” o “immorale”.

E questo atteggiamento non lo ritroviamo solo nelle espressioni di un “vecchio bavoso” seduto al bar squallido di periferia, ma in ogni adolescente, ragazzo, uomo, a cui continuiamo ad alimentare e normalizzare una cultura dello stupro, in cui la colpa viene spostata dalla persona che commette la violenza a quella che la subisce.

La violenza non è solo lo stupro

La violenza – giusto per chiarire il concetto – non è solo lo stupro. Quando si parla di cultura dello stupro parliamo pure di quegli atteggiamenti che ci paiono “bonari” e che invece ci fanno cadere le “minne a terra” e sono: la molestia verbale di strada, che consiste in commenti sessuali non richiesti, fischi, apprezzamenti volgari o allusioni fatte da sconosciuti in luoghi pubblici — per esempio per strada, alla fermata dell’autobus, nei parchi, per una foto sui social.

Insomma Giacominchio (altro nome di fantasia) smettila di invadere ogni spazio femminile. Lasciaci libere di avere le tette! Di mostrarle se vogliamo, di toccarcele, di coprirle, di non usare reggiseni. Smettila di fischiarci come a delle capre per strada, facendoci sentire osservate, insicure o costrette a modificare il nostro modo di fare per non farvi salire una “munta” ingiustificata (munta in calabrese è l’eccitazione sessuale).

Approcci non richiesti, contatti fisici invadenti, sguardi insistenti, per queste minne e per come in generale ci vestiamo hanno rotto le scatole. E non sono per niente – cosa importante – eccitanti.

La sessualizzazione delle minne

L’erotizzazione dei seni non è naturale o inevitabile. Dipende da costruzioni sociali, da tutti i porno visti, dalle commedie di Pierino che vi hanno spacciato come film divertenti. Dipende dalla pessima educazione sessuale che avete ricevuto e che non siete stati capaci di decostruire. E dipende pure molto dalla religione, dal mito “sante o puttane” e anche dal fatto che gli uomini sono abituati ad invadere ogni spazio pubblico e privato delle donne, compreso ovviamente il loro corpo.

Lo sa benissimo la società patriarcale e capitalista in cui viviamo, tant’è che vi sbatte in faccia le minne ovunque: seni usati per vendere di tutto, dai reggiseni ai profumi, alle automobili. In tv, nel cinema, nella pornografia, il topless è diventato addirittura un codice erotico potente, spesso più del nudo integrale. Il seno è uno dei principali oggetti di desiderio, ingrandito, messo in scena, modificato chirurgicamente.

Il corpo come oggetto sessuale

La colpa è dei capezzoli, solo femminili

E poi il massimo della dissociazione cognitiva in cui tutti siamo immersi: i social media e la morale! Instagram e Facebook censurano capezzoli femminili, ma non maschili — creando una sessualizzazione basata su una differenza arbitraria e culturale, non anatomica. Il seno diventa così merce erotica, oggetto del desiderio maschile, e parte di un ecosistema visivo e capitalistico che ne sfrutta l’attrazione.

E quindi, Graziello (nome di fantasia), veramente… ti rendi conto di quanto “si ciuatu”? (ciotia in calabrese vuol dire cretinaggine)