Nicola Gratteri racconta le origini del male

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La prima puntata di Lezioni di mafie, il programma condotto da Nicola Gratteri su La7, andata in onda il 17 settembre 2025, ci riporta alle radici antropologiche di una delle più potenti organizzazioni criminali del mondo quale la ‘ndrangheta calabrese. Attraverso il dialogo tra Gratteri, lo storico Antonio Nicaso e il giornalista Paolo Di Giannantonio, il programma è stato un interessante resoconto giudiziario, che si apre a un viaggio profondo nella psiche collettiva di una terra aspra, dove l’ombra della mafia coesiste con l’essenza stessa della cultura umana.

Come aspirante antropologo, vedo in questa narrazione un’opportunità unica per decifrare il crimine, quel tessuto sociale che lo ha generato e nutrito, trasformandolo da fenomeno locale in impero transnazionale.
La ‘ndrangheta emerge come un sistema rituale e simbolico che riecheggia le strutture tribali antiche del Mediterraneo meridionale. Nata sulle montagne della Calabria – come Gratteri evoca con passione, ricordando la sua infanzia a Gerace, un paese isolato tra rocce e silenzi – questa organizzazione è mera delinquenza economica, ma anche una vera e propria “religione profana” del potere.

Riti e iniziazioni, tra sacro e sciamanesimo

I riti di affiliazione, descritti nel programma con dovizia di dettagli storici da Nicaso, richiamano le iniziazioni sciamaniche o le società segrete delle culture preindustriali: giuramenti su sangue e croci, gerarchie basate su vincoli familiari e codici d’onore che trascendono la legge statale. Questi elementi non sono casuali: sono radicati in un’antropologia della sopravvivenza.

La Calabria, con il suo terreno impervio e la storia di emigrazioni forzate, ha forgiato comunità dove il clan familiare – la ‘ndrina – funge da rete di protezione contro lo Stato assente e le carestie storiche. Come osserva l’antropologo Edward Banfield nel suo classico Le basi morali di una società arretrata (1958), in tali contesti il “familismo amorale” diventa norma: la lealtà al sangue prevale sull’interesse collettivo, permettendo alla ‘ndrangheta di evolvere da bande di briganti ottocenteschi a holding globali.

Dalle antiche montagne, alla conquista del resto del mondo

Dalle montagne più dure verso i cinque continenti

Il programma illumina brillantemente questa metamorfosi antropologica. Partendo dai villaggi montani – luoghi di isolamento che favoriscono la coesione endogamica e il sospetto verso l’esterno – Gratteri e Nicaso tracciano il percorso della ‘ndrangheta verso i cinque continenti. Espansione economica, attraverso il traffico di cocaina o l’infiltrazione in finanza e politica, adattamento culturale darwiniano. La mafia calabrese, a differenza della più spettacolare Cosa Nostra siciliana, opera nel silenzio, un’etica del “non detto” che riflette il codice dell’omertà come meccanismo di difesa comunitario.

Eppure, qui emerge il dramma umano: l’infiltrazione silenziosa nelle istituzioni legali corrompe il capitale sociale, trasformando reti di solidarietà in catene di dipendenza. Pensiamo alle storie di resistenza raccontate nella puntata – imprenditori e cittadini che “dicono no” – come esempi di agency antropologica, di individui che rompono il ciclo culturale del conformismo mafioso per rivendicare un’identità autonoma.

Nicola Gratteri e Antonio Nicaso. La loro collaborazione è iniziata molti anni fa

Magistrato e antropologo

Ma ciò che rende Lezioni di mafie un gioiello non è solo l’analisi storica, bensì il suo invito a una riflessione etica profonda. Gratteri, con la sua voce rotta dall’esperienza di una vita sotto scorta, incarna l’antropologo militante: un insider che decostruisce la cultura mafiosa dall’interno, mostrando come essa sfrutti le vulnerabilità umane – paura, povertà, senso di appartenenza – per perpetuarsi. In un mondo globalizzato, dove la ‘ndrangheta usa il dark web e le criptovalute (temi accennati come anticipazione delle puntate successive), questa mafia diventa metafora di un’antropologia post-moderna, ibrida, fluida, capace di mimetizzarsi nelle economie legali. Eppure, il programma ci ricorda che le radici rimangono in Calabria, dove il paesaggio montano è sfondo, ma anche agente culturale che modella l’identità, la lotta alla mafia è una battaglia per reclamare l’umanità collettiva.