Il Festival Corigliano Calabro fotografia nasce con la presenza di Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna e Mimmo Jodice. Cronaca di un successo (pre)annunciato, raggiungendo i suoi primi 20 anni. Resta tra i più importanti d’Italia. Ed è una meravigliosa vetrina per la Calabria. Senza “zuccherini” e retorica buonista.

Gianzi, anima di Corigliano Calabro fotografia
Ho conosciuto Gaetano Gianzi dieci anni fa quando ero di stanza col mio vecchio giornale nella Sibaritide, nella redazione di Rossano. Gaetano è un calabrese atipico. Biondo, occhi azzurri con una certa somiglianza con l’attore Rutger Hauer. Il suo nome è legato indissolubilmente al Festival. Direttore artistico e amministrativo. Medico in pensione, lavora tutto l’anno per questo evento insieme ai volontari dell’associazione Corigliano Calabro per la fotografia. E ci tiene a puntualizzare: «Li ringrazio tutti, sono indispensabili. Senza di loro non saremmo arrivati sino a qui».
Oggi porta a tracolla una bellissima Leica, oggetto di culto per chi ama scattare, ma ha iniziato tanti anni fa con ben altri dispositivi e tecnologie. L’idea di creare un evento del genere in terra ausonica gli viene dopo aver partecipato tra gli anni ottanta e novanta alla Settimana della Fotografia a Terrasini, in Sicilia. Perché non provarci sulle sponde del nostro Jonio? Si chiede. Ci riesce. Come tutti i cocciuti, gli ostinati.
Il “Viaggio” di Gianni Berengo Gardin
Da assessore alla cultura della sua città dà un impulso decisivo per la partenza della prima edizione. Sin da subito si decide di affidare il racconto del territorio a un grande fotografo. Apre le danze Gianni Berengo Gardin. Che poi diventerà cittadino onorario di Corigliano.
«Gianni non scatta se non passa nessuno. Ricordo un’ora di attesa. Eravamo sulla provinciale vicino al Quadrato Compagna». Gaetano ricorda il modus operandi del maestro. Ne uscirà fuori Viaggio a Corigliano. Non può esserci titolo più evocativo per un lavoro del genere, diventerà una consuetudine del festival. Ma quel primo numero segnerà una cesura netta tra il prima e il dopo.

«È una caratteristica peculiare di questo festival» – spiega Attilio Lauria, critico, giornalista e redattore di Fotoit, membro e docente della Fiaf. Perché la particolarità di questo evento è il rapporto con la città, la lunga arteria chiamata 106 Jonica, il suo mare. Che rimbalzano nelle immagini in mostra nelle capitali europee e non solo. Una pubblicità intelligente, raffinata, etica. Un buon modo per raccontare la Calabria di confine al di là dei soliti stereotipi.
«In tutto il Sud non c’è un festival di questa caratura. Ma anche attività di formazione, autori che fanno seminari. Un formula rodata ovunque: mostre e formazione». Sono parole di Attilio Lauria. Pochi giorni fa era proprio al Festival in compagnia del giornalista di Repubblica Michele Smargiassi. Entrambi impegnati in un seminario sul futuro della fotografia ai tempi dell’assalto inesorabile dell’Intelligenza artificiale.
Vent’anni di fotografia
Venti anni sono pure densi di appunti annotati sul taccuino della memoria di Gaetano Gianzi. «Di Gabriele Basilico», che ha saputo restituirci insieme ad altri come Luigi Ghirri le mutazioni del paesaggio italiano, «non dimentico i modi da persona elegante e squisita». Uno fuori dal tempo con «quel panno nero sulla testa, accovacciato sul suo banco ottico». Il fotoreporter partenopeo Francesco Cito, autore di reportage nell’Afghanistan dell’invasione sovietica oppure di perle come i “matrimoni napoletani”, capisce subito che il porto regalerà qualcosa di buono. «Ne verrà fuori uno scatto indimenticabile con i ragazzi che si tuffano dal faro». Sarà anche la copertina de Il Fotografo di qualche anno fa.
Monika Bulaj spazia dalla religiosità fino al mercato dei pesci in quel 2017. Ha fotografato guerre in posti complicati, come del resto lo sono tutti i conflitti. Era una temeraria. «I pescatori di Schiavonea mi dicono ancora: ma quella signora non viene più».

Da Letizia Battaglia fino a Franco Fontana. Oltre 300 autori sono passati da qui. Si fa fatica a elencarli tutti.
Il festival, da sedici anni una delle sedi di Portfolio Italia, è entrato di diritto nell’immaginario di una comunità. Uno dei tanti spazi meridiani che si prestano al racconto, dove l’occhio dei grandi fotografi incontra la storia minima, la complessità, i volti unici e i contrasti di una città che gente come Gianzi prova e riesce a trasformare in avamposto culturale del Sud. Anche solo per qualche giorno.

