Poche cose sono potenti come il desiderio della scoperta e nei primi anni ’60 in Calabria lāignoto era anche rappresentato dal āBucoā, l’imperscrutabile voragine ai bordi della vecchia strada che conduce da Cerchiara a San Lorenzo Bellizzi. Quel āBucoā oggi ĆØ il titolo dellāultimo film di Michelangelo Frammartino, regista, autore e documentarista, approdato con la sua opera sullāAbisso del Bifurto alla Biennale del Cinema di Venezia.
L’impresa
Ma prima di finire sul grande schermo, il Bifurto ĆØ stato per un tempo lunghissimo solo una voragine temuta, per diventare poi oggetto di esplorazione. Era il 1961, quando una pattuglia di giovani speleologi piemontesi partƬ alla volta della Calabria. Un viaggio interminabile, considerato che nel luglio dello stesso anno lāautostrada del Sole finiva a Salerno. Di lƬ in poi era avventura pura. La Calabria era terra arcaica con le sue montagne, le stradine strette, le greggi che le attraversavano. E quando guidati da un pastore arrivarono sullāorlo del Bifurto i ragazzi capirono che quel buco non finiva mai.

Settecento metri circa di profonditĆ , più del doppio dellāaltezza della Torre Eiffel. Una sequenza interminabile di pozzi la cui verticalitĆ ĆØ perfetta, con pareti levigate dal lavorio millenario dellāacqua e delle ere geologiche, che avevano lasciato segni e fratture come tracce indelebili di quanto antico fosse quel luogo.
Perfino gli esperti piemontesi, che avevano visto le grotte di mezza Europa, rimasero disarmati davanti a tanta potenza. LāAbisso resistette al primo assalto e lāesplorazione non fu conclusa, era troppo profonda la grotta. Ci volle lāanno successivo per arrivare in fondo al buco e completarne lāesplorazione.
Un incontro fondamentale
Il film su quella storia di avventura e passione muove i primi passi anni fa. Frammartino arriva in Calabria per girare Le quattro volte, film sulla fatica e la solitudine delle terre marginali come la Calabria. In quella occasione incontra Nino La Rocca, anima e fondatore del Gruppo speleologico lo Sparviere. La Rocca conduce Frammartino sul bordo dellāAbisso e quella voragine rapisce lāanima del regista.
In realtĆ , quando cominciano le riprese il Bifurto non ha giĆ più segreti. Ā«La prima vera esplorazione, dopo quella dei piemontesi, avviene nel ’77, assieme ai migliori speleo calabresiĀ», racconta Nino La Rocca. Lāanno dopo, aggiunge, attorno al Bifurto ci fu un campo speleo cui parteciparono gruppi provenienti da tutta lāItalia. In quella occasione si cominciò a realizzare il rilievo della grotta, oltre che ad aprire nuove vie laterali.
Dove ĆØ sempre notte
Questo luogo, pur esplorato, continua a mantenere intatta la sua seduzione, con il buio perfetto ed eterno, il consueto pipistrello a fare da guardia allāingresso del primo pozzo, lāacqua che scivola eterna sulle pareti. Ma aveva bisogno di un cantore. Questo compito ĆØ toccato a Frammartino, che prendendo in prestito lāavventura dei piemontesi ha narrato il mistero nascosto, il fascino della Ā«cattedraleĀ», come lui stesso ebbe a chiamare lāAbisso.

Ā«Questo film ā ha spiegato il regista ā nasce proprio dallāincontro con il territorio e con Nino La RoccaĀ». E per raccontare questo lembo di Calabria segreta la troupe ha sfidato il buio, la perdita della percezione del tempo che viene stando in un luogo dove ĆØ sempre notte, lāisolamento.
«Ho voluto raccontare la storia di un gruppo di speleologi che, in pieno boom economico, hanno deciso di scendere nel Sud ed immergersi nel buio di una grotta», ha aggiunto Frammartino.
Il tempo fatto pietra
Il lungometraggio ha visto il prezioso contributo di Renato Berta, che ne ha curato la fotografia e che in passato ha lavorato con maestri come Godard e Rohmer. La coniugazione tra la pulsione creativa e la magia di luoghi come i Piani di Pollino, il Raganello di Civita, lāarcaicitĆ di San Lorenzo Bellizzi, hanno dato vita ad un racconto cinematografico potente e suggestivo, in grado di restituire per intero il fascino selvaggio che emanano quegli spazi ancora per molti versi immacolati.

Oggi quei luoghi lontani dalla ribalta sono stati scoperti dalle pagine dei giornali nazionali grazie al lavoro di Frammartino e questa ĆØ una buona cosa per favorire una narrazione della Calabria fuori dagli stereotipi. Ma la cosa straordinaria ĆØ che quando le sole luci che resteranno in quei pozzi profondi bui e bagnati saranno quelle sulla testa dei matti che ci scenderanno, allora sfiorare ancora con la mano nuda la parete di uno di quei pozzi riconsegnerĆ intatta la sensazione di avere toccato il tempo che si ĆØ fatto pietra.
