Intanto c’erano ancora i partiti

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“Le pagelle dei calabresi in Parlamento” è il titolo di un arguto articolo apparso di recente su queste colonne in cui l’autore passa in rassegna le attività degli eletti alla Camera e al Senato della nostra regione.
Il tono stesso dell’articolo è leggero, i contenuti sono da divertissement in agrodolce e forniscono al lettore un quadro di cosa può comportare essere un rappresentante del popolo nelle massime assemblee elettive.

Quando c’erano i partiti

Mi ha riportato alla memoria vecchi ricordi, suggestioni di qualche lustro fa quando la Repubblica era un’altra Repubblica, la legge elettorale un’altra, pure l’Italia, forse, un’altra. Intanto c’erano i partiti, gli ultimi fuochi parafrasando F.S. Fitzgerald, delle centrali intermedie fra elettori e istituzioni; poi le pattuglie degli eletti (ricordiamolo, ogni tanto: da eligo) periodicamente riferivano all’opinione pubblica della loro attività, e c’era pure chi invitava stampa e tv locali a recarsi nei palazzi e monitorare la giornata tipo romana di deputati e senatori. Giornata che non era – testimonianza diretta – fatta di glamour e sfaccendatezze, tanto per sfiorare gli aspetti esteriori, ma di lavoro, lavoro nelle Commissioni e in Aula, di documentarsi, elaborare, essere presenti e non solo, e comunque, fisicamente, con un occhio al “territorio”, un altro al paese e un altro ancora ci sarebbe voluto per…

Autopropaganda

Quell’invito non fu raccolto ed è – possiamo dirlo anche oggi – un peccato: forse si dovrebbe riproporre, perché aiuterebbe forse a comprendere. Comprendere che le interrogazioni parlamentari sono sì una prerogativa dei membri del Parlamento ma che gli atti di sindacato ispettivo – così si chiamano, aulicamente – servono, come pure le mozioni e in genere gli atti di indirizzo, ma servono più che altro, direi servivano un tempo, come mezzo più che altro di propaganda.

Il collegio elettorale e il Paese

Invece uno strumento utile era, ed è ancora quello che conduce a mixare efficacemente rappresentanza con responsabilità, rendersi conto e diffondere cioè la cultura di farsi carico dei problemi dei collegi in cui si è, o meglio era, eletti con quelli del partito in cui si eletti e con quelli del Paese.

Quali sono i momenti lungo i quali si invera, e si verifica validandolo, questo mix fino a considerarne efficacia e prima ancora praticabilità? È un processo lungo, non lineare, non definito né definibile se non dentro le coordinate che fanno capo alla cultura politica, al rispetto istituzionale, alla “comprensione” reciproca fra eletto e elettore nelle sedi in cui tale comprensione s’ha da effettuare. Quindi proposte di legge, coordinamento fra parlamentari in ambito geografico e partitico, relazioni non formali con i ministeri, mettendo da parte e non alimentando falsi miti o non praticabili suggestioni di inesistenti deus ex machina.

Se in talune circoscrizioni e per alcune parti politiche questo si realizzava – ricordo – con ricadute positive, per altre imperava il solipsismo tipico delle nostre latitudini, con gli effetti facilmente prevedibili. Ma questo, tutto questo apparteneva a un altro mondo, a un’altra Repubblica.

Massimo Veltri
Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica